Ci affidiamo al grafico e ai numeri pubblicati ieri da Repubblica, che riguardano l’intero quadro nazionale. Lo premetto perché a scala locale il rapporto fra biciclette e automobili evidenzierebbe probabilmente condizioni fra loro diverse. [il riferimento di questa Opinione è ai due articolisul tema ripresi da eddyburg.it - n.d.r] Anzi, un minimo di conoscenza della vita nelle città italiane, anche attraverso la cronaca oltre che grazie al soggiorno o alle visite, mostrerebbe differenze enormi. Per citarne qualcuna: tra una Ferrara, una Parma o una Modena (Augé) e città grandi emblematiche del pasticcio urbanistico edilizio, della deregulation anche socioeconomica. Ebbene, quel grafico e quel numero non dimostrano un aumento effettivo delle vendite di biciclette, che invece diminuiscono decisamente rispetto al vertice raggiunto nel 2007, 1.989.000; semmai una maggiore diminuzione delle immatricolazione delle auto a partire dal livello di 2.517.000 del 2007 (anno prima della crisi, nel 2008 si assiste a un subitaneo crollo riguardo alle une e alle altre).
Sicché all’ultima data indicata, 2011, notiamo quello “scarto minimo” ma “simbolico” (Tonacci) di sole 1.748.000 immatricolazioni di auto e però di modeste 1.750.000 vendite di bici. Insomma, non mi pare che si possa parlare, per l’intero territorio italiano, di riscoperta della vecchia tradizione ciclistica urbana e rurale, o comunque di grosse novità nell’impiego del silenzioso mezzo a due ruote. Queste ultime parole per ricordare che c’è un altro mezzo antagonista delle auto ma anche delle biciclette, il contrario che silenzioso, invadente e dominatore di cui sembra che pochi se ne accordano, se non i cittadini, pedoni e ciclisiti, di certe città che vi devono fare i conti ogni giorno.
Il mio punto di osservazione è Milano. Tutti conoscono l’attesa riforma del traffico attuata dall’amministrazione guidata dal sindaco Pisapia, proprio come era stata promessa nella campagna elettorale. Il centro della città all’interno della circonvallazione che siamo soliti denominare “spagnola” è accessibile alle quattroruote solo pagando un pedaggio (salvo eccezioni), cioè finalmente si è ricorsi a una congestion charge e non a una pollution harge relativa a troppo poche auto. Tuttavia ne sono esentate le motociclette. Intanto la giunta ha proseguito nella politica di sostegno all’uso della bicicletta, aumentando le postazioni di bike sharing e tracciando dove possibile ciclopiste. Tutto bene? Si vedono molte più persone in bicicletta. Che, insieme ai pedoni, devono subire il nuovo malanno (mi permetto di chiamarlo così) evidente da qualche anno e aggravatosi in maniera certamente sconosciuta in altre città, dell’invasione delle moto.
Questa la contropartita della notevole diminuzione delle auto. Il tema, ora, non è di disquisire se le motociclette nel centro della città sono più dannose delle auto, queste più invadenti diciamo dal punto di vista volumetrico (perché, per tremendo rumore e inquinamento le prime non la cedono alle seconde). Ma è di affermare regole di comportamento, ora mancanti o labili, e anche di assegnare equi spazi d’uso. Oggi, oltre agli sciami di decine di moto per volta che sfrecciano pericolosamente fra le auto e invadono le ciclopiste a raso, per esse il parcheggio è concesso dappertutto, compreso marciapiedi e portici, del resto piroettando senza spegnere il motore. E perché non sperimentare anche per questo mezzo niente affatto moderno come la bicicletta, ossia non conforme ai progetti per una vita migliore, più umana nelle città, un modesto pedaggio per entrare nel suo cuore?
Milano, 2 ottobre 2012