Brera ai privati? No, grazie
Luca Del Fra
E’ intorno alla Grande Brera che si combatte la nuova battaglia della cultura italiana: insorgono
intellettuali, storici dell’arte, tecnici, giornalisti,asserragliati e combattivi attorno a un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Indirizzata anche al Presidente del Consiglio Mario Monti e al ministro Lorenzon Ornaghi, la missiva ha sollevato un vespaio poiché sotto i toni pacati nasconde un j’accuse contro l’ennesima privatizzazione di una delle più importanti istituzioni culturali italiane.
Di grande intorno a Brera infatti per ora si profila solo l’ennesimo pasticcio, ovvero la creazione
di una fondazione privata che prenda in gestione la sede e il patrimonio della Pinacoteca Nazionale,
un classico colpo di mano agostano, inserito all’articolo 8 al momento della conversione in legge del decreto sviluppo, provvedimento peraltro a firma di Passera, ministro dell’Economia e non del suo collega Ornaghi dei Beni Culturali. Nelle sonnacchiose giornate estive la cosa era passata quasi inosservata finché non ha sollevato il caso su l’Unità Vittorio Emiliani, primo firmatario dell’appello, cui hanno aderito circe 120 intellettuali tra cui Settis, Asor Rosa, Guermandi, Ginzburg, Montanari, oltre a restauratori, funzionari del Mibac, e il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena. «È pienamente costituzionale un simile trasferimento» della gestione a una fondazione privata? Domandano al capo dello Stato, e proseguono: «Rappresenta
davvero l’applicazione della tutela garantita dall’articolo 9» della Carta?
Naturalmente sono domande retoriche, visto che tutti i grandi musei europei, tra cui quelli italiani, sono dello Stato e non privati. Così, prosegue l’appello, si apre la strada a una privatizzazione degli Uffizi, della Galleria Borghese e così via, malgrado la fondazione privata si sia dimostrata un modello gestionale spesso disastroso, come il ministro Ornaghi sa bene avendo ancora per le mani i cocci del Maxxi, il Museo delle Arti del XXI secolo, nato appena tre anni fa proprio come fondazione privata e di recente commissariato.
Ma è soprattutto il rilievo finale degli appellanti a essere decisivo: «Nell’ultimo comma dell’articolo 8 –scrivono– si dice che “la Fondazione può avvalersi di personale appartenente ai ruoli del Ministero per i Beni Culturali”. Dunque può anche non avvalersene, può essere tagliato in ogni momento il cordone ombelicale che lega la Pinacoteca Nazionale al Ministero e al personale tecnico scientifico». Secondo il provvedimento, insomma, la grande collezione di Brera potrebbe essere affidata perfino a un personale non qualificato. Un rischio più reale di quanto si creda, considerandola progressiva sparizione degli egittologi dal Museo Egizio di Torino dopo la sua trasformazione in fondazione privata.
Il fronte del no alla fondazione in queste ore si è molto allargato, arrivando a includere perfino
Mario Resca, manager che non ha mai nascosto la sua simpatia per i metodi del «privato nella cultura» e conosce bene la situazione essendo stato per tre anni commissario straordinario di Brera:
«Costituire una fondazione –ha dichiarato–, significa abdicare, è uno smacco». L’affidamento a
una fondazione dei locali di Brera poi corrisponderebbe allo sfratto di altre istituzioni culturali
che coabitano con la pinacoteca: l’istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti, la Biblioteca Braidense, l’Orto Botanico, l’Osservatorio astronomico oltre all’Accademia di Belle Arti, la prima scintilla da cui è nato l’intero complesso, cui è stata comunque già affidata una nuova sede, ancora da restaurare. «È una coabitazione difficile –spiega la docente di Storia dell’arte Francesca Valli– ma rappresenta una importante eredità dell’Illuminismo lombardo che andrebbe conservata».
All’eredità culturale si aggiungono le osservazioni di Patrizia Asproni presidente di Confcultura,
che benché da posizioni ultraliberiste osserva: «In questo Paese la creazione di nuovi “enti” porta
alla superfetazione normativa, burocratica e alla corsa alla poltrona. Pensare al contenitore giuridico, prima che al contenuto è quello che accade sempre in Italia. Da un governo di tecnici ci
aspettavamo qualcosa di meglio».
Un cavallo di Troia per far saltare il sistema statale
Vittorio Emiliani
Nasce di soppiatto malgrado il nome ambizioso, la fondazione di diritto privato Grande Brera, e nasce male, senza quel serio, informato dibattito preventivo che un’operazione di questa portata esige. Nasce con un articolo infilato, all’ultima ora, nella balena del decretone per lo sviluppo, lasciando fuori dal «concerto» interministeriale il ministro per i beni culturali. Roba da matti. Ma
Ornaghi è felice, la sostiene e porta alcuni esempi. A partire dal Museo Egizio di Torino, che sin qui ha suscitato più polemiche che altro: non tutte le collezioni sono state devolute alla Fondazione con una perdita di valore fondamentale; il personale tecnico-scientifico ha preferito rimanere con lo Stato e quindi alla Fondazione è mancato un apporto unico, in compenso il CdA ha nominato direttrice (caso unico) una non egittologa… Questo il luminoso precedente?
Ornaghi cita Venaria Reale che nulla ha che fare con la complessità della Pinacoteca di Brera nata nel primo ‘800 da una razzia «politica» di migliaia di opere soprattutto umbre, marchigiane, emiliano-romagnole ad opera del figliastro dimNapoleone e dalla successiva stratificazione di donazioni. Pinacoteca, fra l’altro, venuta dopo l’Accademia di Belle Arti e altre istituzioni culturali importanti, espressione del miglior illuminismo lombardo. Con problemi, certo, che non risolverà la privatizzazione e quindi la sua scissione da quel contesto storico. Nella Fondazione entreranno il Comune (soldi pochi), la Regione (idem), la Camera di Commercio e i privati. Questi ultimi vorranno dei benefici, dei ritorni, magari dei profitti, specie con l’Expo 2015.
Ma nessun museo europeo o americano - non il Grand Louvre, non il Metropolitan Museum - è autosufficiente o «rende». Ha invece bisogno, di puntuali iniezioni di denaro pubblico, federale, locale, nazionale. Lo stesso ex soprintendente di Brera Carlo Bertelli è prudente, suggerisce una indagine ministeriale sul reale funzionamento delle Fondazioni italiane. Perplessa pure Patrizia Asproni (cultura di Confindustria), che pure ad un convegno romano sbottò: «Io il Ministero dei
Beni culturali lo butterei e darei tutto all’Economia». Inaspettatamente negativo Mario Resca fresco ex commissario di Brera, che caldeggia, con buon senso, una seria politica di detassazioni per i privati. Questo ci si aspettava da un governo di tecnici per rilanciare cultura e ricerca, motori di una
nuova economia, e invece….
C’è chi propone un Polo Museale Brera-Cenacolo autonomo per tenersi a Milano gli incassi. Attenti perché il Polo Museale romano ha speso 3,5 milioni (di cui 700.000 per l’allestimento) per la solita solfa caravaggesca, stroncata dai più, lasciando i propri musei al verde. Ci vuole una politica nazionale per i beni culturali. Ci vogliono progetti seri e fondati da proporre ai privati. Non un ambiguo e macchinoso cavallo di Troia destinato a far saltare il sistema museale statale.