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Jonathan Yardley
Una guida all’era urbana
9 Giugno 2012
Recensioni e segnalazioni
Con qualche pretesa, un nuovo lavoro si propone come versione terzo millennio dell’opera di Lewis Mumford. The Washington Post, 9 giugno 2012 (f.b.)

Titolo originale: “City: A Guidebook for the Urban Age” by P. D. Smith – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Mezzo secolo fa Lewis Mumford pubblicava La Città nella Storia, uno studio di enorme influenza, in qualche modo molto discusso, una Bibbia per studiosi e appassionati della vita urbana. Ma era appunto mezzo secolo fa, da allora in tutto il mondo i contesti urbani hanno subito trasformazioni enormi. Un nuovo sguardo su questo importante tema si rendeva necessario, e nel suo City: A Guidebook for the Urban Age, ce lo propone. Studioso britannico dell’University College di Londra, Smith appare meno filosofico, e più pragmatico di Mumford, il che non è necessariamente un limite, perché City risulta molto accessibile anche per qualunque lettore medio interessato.

Quello che mi ha spinto a scrivere ‘City’ è il desiderio di studiare e celebrare quanto è senza alcun dubbio il più alto traguardo dell’umanità” scrive Smith, e non posso che essere d’accordo con lui. Perché non solo abito ininterrottamente le città nordamericane da quando ho finito il college 51 anni fa, ma quando vado in vacanza vado a Lima, Peru, una città con oltre 9 milioni di abitanti. Passeggiare in alcune città è più facile e rivelatore che in altre — per essere sinceri a Washington in genere si cammina molto meglio che a Lima — ma non posso non essere fra i fedeli parrocchiani di Smith quando scrive che “Per capire davvero una città, bisogna camminare per le sue strade e leggerne la geografia attraverso le suole delle scarpe” ed ecco spiegato perché “il libro che avete fra le mani è concepito pensando esattamente a questo, una guida a una immaginaria ‘TuttoCittà’” — un libro “in cui si può vagare e spostarsi” proprio come se si fosse in una città vera.

È diviso in quattro parti che affrontano le città nei loro vari aspetti, dalla fondazione al futuro, dalle vie alle mura, dai centri e quartieri finanziari ai ghetti, agli slum, dalle banche ai grandi magazzini, dai cinema agli stadi, dai chioschi di panini ai ristoranti esclusivi, dagli alberghi ai condomini, dalla metropolitana ai grattacieli. Non so proprio se esista qualcosa di qualche senso riguardante le città che Smith non affronta, o quantomeno nomina. E fa di tutto per sottolinearlo, nonostante le città siano tanto cambiate nei secoli il loro carattere resta identico. Quando scrive delle città mediorientali nel 3.000 a.C. “I fondamenti della vita umana in queste prime città non sono così diversi da quelli attuali”. E prosegue: “Dal gustare buon cibo ben cucinato insieme ad amici e familiari, alla necessità di lavorare al divertimento nel far compere, quella vita rispecchia la nostra. I Sumerici hanno lasciato le prime città, la prima agricoltura irrigua, il primo linguaggio scritto … Si trattava già di città riconoscibili nel senso moderno del termine. Con l’aspetto simile a quello di una città murata del Nord Africa, vicoli stretti, non più larghi di un paio di metri … case a uno o due piani in mattoni di fango dipinte di bianco, tetti piatti e cortili interni. Lo skyline di una città dei Sumeri è dominato da una ziggurat a ripidi gradoni, una montagna costruita dall’uomo a celebrare la gloria degli dei”.

Fino a circa un secolo fa, i profili delle città continuano ad essere dominati dai minareti delle moschee, o dalle guglie delle cattedrali. Oggi dominano i grattacieli, templi della relativamente nuova religione del potere e del denaro. Ma la vita che si conduce all’ombra di queste torri non è molto cambiata, almeno nello spirito se non nei particolari, rispetto a quella che c’era sotto le più piccole torri di Ur, Agade, Ninive o Babilonia. Ci sono sempre stati quartieri ricchi e poveri, aristocratici eleganti e ladruncoli, grandi alberghi e tuguri. Non è mai esistita la città ideale, ma la si è sempre sognata: “Immaginare la città ideale è un tema che ha sempre affascinato filosofi, architetti, artisti sin dall’antichità. È diventato il Santo Graal dell’urbanistica. La città ideale è lo spazio perfetto per abitare. La sua forma è espressione di geometria della vita, definisce l’ambiente fisico perfetto, a unire estetica e funzionalità verso uno scopo sociale ed etico. Perché le stesse strutture e spazi della città ideale trasmettono un senso di ordine e realizzazione agli abitanti. Sono città ottimiste, progressiste, che ci insegnano in ogni istante a vivere bene, ad ogni passo lungo quegli immacolati marciapiedi”.

La città ideale non si è realizzata, ma di sicuro non per mancanza di tentativi. In Leonardo da Vinci “schizzi e annotazioni mostrano progetti di città con piazze geometriche, gallerie, canali, logge”. Mumford nel suo La Città nella Storia idealizza la città medievale e boccia il suburbio moderno del tutto dipendente dall’automobile. E involontariamente la sua posizione viene confermata quasi in contemporanea alla pubblicazione del libro, da Lucio Costa e Oscar Niemeyer, i principali progettisti di Brasilia: “Dal punto di vista architettonico, da quello dell’orgoglio nazionale, Brasilia è un successo. Ma in quanto tentativo di costruire un dinamico centro urbano, è stato un fallimento. Costa la descrive come la capitale della ‘autostrada nel parco.’ Prova a unire l’ideale bucolico della città giardino britannica con la medesima tecnologia che plasmerà (secondo molti, distruggerà) le città del dopoguerra: l’automobile. E tuta la città è concepita attorno a un’autostrada , l’Eixo Rodoviario, otto corsie di traffico veloce. Il pedone si sente come un cittadino di serie B, obbligato ad attraversare le vie dentro a sporchi e pericolosi [sottopassaggi].”

E scrive ancora Smith: “ Forse più di qualunque altra tecnologia umana l’automobile plasma la nostra vita quotidiana. … Lewis Mumford nel 1957 lamentava che ‘Invece di adattare auto e automobili alla vita stiamo rapidamente adattando la vita all’automobile”.

C’è qualche segno, ancora iniziale, che le cose stiano cambiando. E lo si vede nelle due città della mia vita: a Washington, l’amministrazione fa molto per promuovere la mobilità in bicicletta, e a Lima la nuova corsia riservata dell’autobus rapido che unisce centro e periferia ha aumentato in modo straordinario il numero dei passeggeri. Ma a Washington ancora troppo spesso nell’ora di punta il traffico si blocca, e a Lima, dove al sovraffollamento di mezzi si unisce un’abitudine alla guida spericolata, la situazione è anche peggiore.

Lima, con la popolazione che si avvicina ai dieci milioni, sta sulla soglia di quanto chiamiamo Mega-città. Oggi esistono “ventidue megacittà … con popolazioni superiori ai dieci milioni … una quantità destinata ad aumentare sino ad almeno ventisei nel 2025”. In tutte si comprano automobili a ritmo frenetico, e le si guida con poca cura e conoscenza di regole di comportamento. Città senza dubbio dinamiche, ma “con una popolazione che cresce così tanto, … crescono anche i problemi … sta cambiando il clima del pianeta e le città si preparano ad affrontare la minaccia di un ambiente più ostile, tempeste, alluvioni, temperature in crescita e siccità. Occorre affrontare anche profondi problemi sociali.

Per migliaia di anni le città si sono dimostrate un contesto efficace per uscire dalla povertà. Oggi si allarga il divario fra ricchi epoveri. Globalizzazione e apertura dei mercati hanno prodotto nuova ricchezza, che però è distribuita in modo diseguale. Di fianco alle baraccopoli senza acqua potabile convivono le gated communities dei ricchi. Un terzo dei cittadini globali vive nello slum. … Aumenta la popolazione, le risorse diventano più scarse, e si fa urgente la necessità di ridurre l’impronta ecologica dei centri urbani”. Smith resta cautamente ottimista: in futuro si possono ancora affermare “città umane, sostenibili e ben governate” per affrontare le sfide, ma di sicuro non sarà facile, il prezzo da pagare sarà alto.

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