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Gian Antonio Stella
Le navi che violentano Venezia
3 Giugno 2012
Vivere a Venezia
Nonostante tutto, nonostante l’assurdo, continua l’invasione degli ultracorpi nel delicato tessuto veneziano. Corriere della Sera, 3 giugno 2012

Èlecito stuprare la fragile bellezza di Venezia lasciando che venga penetrata da immense navi Disneyland quattro volte più grandi del Palazzo Ducale?

È ora di fissare delle regole, contro questa violenza. Tanto più dopo aver visto l'arrivo, ieri, della gigantesca «Divina». Un lussuoso grand hotel viaggiante lungo 333 metri: il doppio di piazza San Marco.

Conosciamo l'obiezione: più le navi sono grandi, più passeggeri portano. E dunque più turisti fanno shopping in giro per la città lasciando giù soldi. Ossigeno, in questi anni di crisi. Vero. Nel 2009, spiega nel libro E le chiamano naviSilvio Testa, «i passeggeri che si sono imbarcati a Venezia per le crociere sono stati 1.420.490 e nel 2010 1.598.616 con un incremento del 12%». Saliti l'anno scorso a 1.786.416, con un altro 10,5% di aumento.

Fatti i conti, sono sfilate avanti e indietro di fronte a San Marco 654 grandi navi da crociera, cui vanno aggiunti 341 traghetti di collegamento con la Grecia per un totale di 995 bestioni. Pari a quasi sei passaggi al giorno nella media annuale, con impennate in certi weekend dalla primavera all'autunno da brivido.

Prendiamo il Gazzettinodel 24 luglio 2011. Titolo: «Venezia, lo sbarco dei 35 mila». Occhiello: «Invasione. In un solo giorno da undici navi scesi tanti crocieristi come mezza città». Una sintesi addirittura meno terrificante della realtà: la serenissima città (il «pesce» senza Murano, il Lido, Burano e Mestre) è ormai scesa in realtà sotto i 59 mila abitanti. E l'orda allegra, chiassosa e accalcata di turisti che sbarcano dagli enormi «vacanzifici» galleggianti non si sparpaglia da Dorsoduro a Sant'Elena. Vanno tutti ad allagare in massa le calli fra Rialto e San Marco.

Portano soldi? Sicuro. Come racconta Testa, il presidente della Venezia Terminal Passeggeri Sandro Trevisanato sostiene «che le navi da crociera arricchiscono tutta la città, che il porto garantisce un indotto diretto (230 milioni di euro spesi in città dai passeggeri) e indiretto (il complesso delle attività economiche innescate dal crocierismo) di quasi 500 milioni di euro l'anno».

Denaro benedetto, con l'aria che tira. Va da sé che appena il consigliere comunale Beppe Caccia ha proposto di imporre una «city tax» sottolineando mesi fa che il passaggio di navi in un certo giorno di gran traffico aveva prodotto «l'equivalente in emissioni di 20 mila auto nel canale della Giudecca», il presidente di Vtp è scattato come una molla: «Non sono contrario in via di principio a un contributo anche per i passeggeri delle navi, ma il Comune deve agire con prudenza o invece di mungere la vacca, la ammazza».

Il fatto è che questa vacca spropositata, mentre offre qualche consolazione all'Italia in crisi che certo non ci sogniamo di mettere a rischio, sta diventando sempre più invadente in un ambiente fragile come la laguna dove l'acqua ha una profondità media di un metro e 10 centimetri. Al punto che, siccome certi giorni gli immensi grand hotel galleggianti non riescono a starci tutti sulle banchine della «Marittima» alla fine delle Zattere, qualcuna è costretta ad attraccare in Riva dei Sette Martiri, «a un tiro di sasso dalle case, i motori accesi giorno e notte: vibrazione, fumi, un rumore incessante, inquinamento elettromagnetico che dirada sempre in funzione, televisioni oscurate, una delle passeggiate più belle del mondo chiusa da immense muraglie di ferro».

Di più: il business della crociera è talmente cresciuto negli anni che anche dopo il trasloco previsto nel 2013 dei traghetti in un nuovo terminal a Fusina, gli operatori chiedono ancora banchine e banchine e banchine. In un accumulo di progetti che prevede tra l'altro lo scavo di un nuovo canale, drittissimo, larghissimo, profondissimo, capace di accogliere quei bestioni sempre più grandi, più grandi, più grandi. A costo di creare un altro canalone che porterebbe dentro ancora più acqua dal mare.

Di più ancora: se anche i numeri restassero quelli di oggi (magari!) nei prossimi venti anni ci sarebbero nel bacino di San Marco 26.160 passaggi avanti e indietro di navi da crociera sempre più smisurate. Mettiamo anche che per 26.160 volte non ci sia mai un Francesco Schettino che voglia farsi bello sfiorando la riva più celebre del pianeta fino a schiantarsi. Mettiamo che per 26.160 volte non ci sia un errore di manovra come quello capitato alla nave passeggeri tedesca Mona Lisa (200 metri di lunghezza) che il 12 maggio 2004 si incagliò a pochi metri dalla Riva degli Schiavoni. Mettiamo che per 26.160 volte non ci sia un'avaria ai motori come quella che il 23 giugno dell'anno scorso fece finire la nave granaria turca Haci Emine Ana contro i cantieri del Mose alla bocca di Malamocco. Mettiamo insomma che vada tutto sempre bene: ne vale la pena?

Per niente, risponde il comitato «No grandi navi» che contesta il peso schiacciante di un certo tipo di turismo sulla città del Canaletto e di Vivaldi. Per niente, concordano tutti gli ambientalisti. Per niente, accusa il Fai che per bocca di Giulia Maria Mozzoni Crespi ha pronunciato ieri parole durissime contro «un tale crescendo di devastazione, che sfida in modo protervo le sorti di Venezia e della sua laguna, quando si potrebbe mantenere un crocierismo che rispettasse livelli di sostenibilità con navi non inquinanti, dalle stazze, pescaggi e dislocamenti compatibili con la delicatezza dell'ambiente lagunare».

Parole di fuoco, parole d'oro: davvero «tutti» hanno il «diritto» di alluvionare Venezia? Senza alcun limite? Anche se sono troppi? Anche se arrivano su navi esageratamente grandi? La città che da sempre tocca il cuore di ogni ospite («Scivolammo dolcemente dentro il Canal Grande e sotto i morbidi raggi della luna la Venezia della poesia e dei tanti racconti riapparve e ne fummo ammaliati...», scrisse Goethe) è fragile e delicata come un merletto. Che senso ha entrarci su terrificanti bestioni lunghi il doppio delle Procuratie Vecchie e più alti del Leone che svetta sulla colonna che domina il molo? Che senso ha per i visitatori guardare dai ponti più alti di quei bastimenti una città nata per andare a piedi o scivolando sull'acqua?

Nessuno al mondo si sogna di pretendere che centomila persone abbiano il «diritto», neppure pagando, di sedersi insieme per un concerto alla Scala: non ci stanno, punto. Né che un milione di tifosi abbiano il «diritto», neppure pagando, di assistere insieme dentro a uno stadio alla finale dei mondiali di calcio: non ci stanno, punto. Allora perché Venezia dovrebbe rassegnarsi a essere invasa, così, a capriccio, senza un tetto invalicabile, da milioni di turisti?

Quanto al terrore che «scappino da altre parti», ma per favore! Può andarsene in Cina un calzaturificio, andarsene in Romania una vetreria industriale, andarsene in India un'impresa metalmeccanica. Ma c'è una sola Venezia, al mondo. Una. E l'abbiamo noi. Anche se, forse, immeritatamente.

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