Titolo originale: Let’s choose towns for all, not suburban sprawl - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Il governo britannico è sul punto di prendere la decisione più importante da un decennio a questa parte sul futuro delle città e delle campagne. Il sistema nazionale di pianificazione può condurci alla ricchezza economica proseguendo nel processo di rinascita urbana, oppure scatenare le devastanti energie della dispersione. Sono trascorsi quasi tredici anni, da quando ci trovammo di fronte a una simile scelta. Nel 1999, dopo un approfondito dibattito pubblico sulla casa, l’espansione urbana, il degrado delle zone centrali, il governo istituì una apposita task force, da me presieduta. Nostro obiettivo era di porre termine a un’epoca di cattiva progettazione urbana periferica che risucchiava la vitalità dei centri riempiendo le strade di milioni di automobili. Volevamo sfruttare lo sviluppo economico per rivitalizzare città grandi e piccole, in modo sostenibile. Le nostre indicazioni erano sostenute da tutti i principali partiti politici.
Lunghi anni di lavoro sui grandi progetti di architettura in tutto il mondo, mi hanno convinto che un buon sistema urbanistico rappresenta la chiave della riqualificazione, e quindi dello sviluppo economico nelle città. Nel Nord America si notano enormi differenze fra situazioni come quelle di Detroit o Phoenix, dove l’assenza di buona pianificazione ha cancellato la vitalità dei quartieri centrali, e Portland o Vancouver, dove ci si è invece preoccupati di concentrare le trasformazioni nell’area interna. In Inghilterra ci sono più superfici già urbanizzate disponibili che in qualunque altro paese. Dando loro la precedenza, negli ultimi dieci anni, abbiamo visto tornare la vitalità nei centri più importanti del paese. Quartieri storicamente emarginati che si trasformavano, si ripopolavano, vedevano crescere i valori immobiliari. Aree urbane che si rafforzavano grazie a una coordinata crescita di case, uffici, negozi, attività culturali. Si sosteneva la vita collettiva, si arginava l’invadenza delle auto, si ripristinavano antichi edifici e spazi. Una città compatta non ha solo valore economico e sociale, ma è anche molto più energeticamente efficiente (fino a cinque volte tanto) di quanto non lo sia un insediamento disperso.
Se la Gran Bretagna vuole restare competitiva nello scenario globale, c’è bisogno di case e spazi del lavoro meglio concepiti. Purtroppo la rinascita urbana resta un fenomeno fragile, e con la recente crisi economica è molto rallentata, in alcuni casi si è addirittura fermata o peggio. Condivido la preoccupazione del comitato congiunto della Camera dei Comuni, quando si rileva che la bozza attuale di riforma urbanistica mette in primo piano gli aspetti economici, al di sopra di quelli sociali e ambientali. Sono anche del tutto d’accordo con la necessità di concentrarsi in prima istanza sulle superfici già urbanizzate, prima di pensare alle trasformazioni di aree libere; prima il centro, delle zone extraurbane. Anche il rapporto sulle arterie commerciali curato da Mary Portas afferma: “Una volta investito nella creazione di un capitale sociale nel cuore delle città, il capitale economico seguirà”. Sono perfettamente d’accordo: lo spazio pubblico è un diritto civile.
Al governo non mancano certo le migliori informazioni di prima mano su cosa dovrebbe essere cambiato. Credo che il sottosegretario responsabile, Greg Clark, le abbia ascoltate, spero che seguirà le raccomandazioni del comitato. Clark deve anche sfruttare il nuovo sistema urbanistico per dar senso a una crescita sostenibile. Che non vuol dire coniare nuove definizioni sul significato, ma di cosa vuole dire quel termine quando si tratta di territorio e edifici, ovvero esprimere un chiaro orientamento verso per quartieri compatti e a varie funzioni, inseriti nelle aree urbane esistenti, riqualificare ciò che già c’è, rispettare l’ambiente, la storia, rafforzare il tessuto economico e sociale dell’Inghilterra urbana.
Però si sta discutendo di qualcosa di più di questi particolari. In gioco c’è il riconoscimento da parte del governo, per usare le stesse parole di Clark, che c’è bisogno di “più pianificazione, non di meno” per garantire la certezza degli investimenti, prerequisito per una rapida ripresa economica. C’è anche bisogno di un nuovo impegno da parte delle amministrazioni locali per predisporre i piani regolatori. Scandalizza, che solo meno della metà del totale sia dotata di un piano aggiornato per governare lo sviluppo del proprio territorio. Il governo deve anche occuparsi delle competenze interne alle amministrazioni, che sono carenti. Se non si interviene, esistono zone del paese che resteranno ancora senza piani aggiornati per molti anni.
Arrivare a questa riforma nazionale è cruciale per il futuro del paese. Il 90% di noi abita e lavora in aree classificate urbane. Ci avviene gran parte della nostra attività economica. Se usassimo il sistema urbanistico per sostenere e rafforzare il sistema urbano, esso diventerà il motore economico dello sviluppo. Ma se consentiamo troppa libertà al mondo delle costruzioni per operare in zone extraurbane, sicuramente le prossime generazioni non ci ringrazieranno, perché saranno costrette a pagare un prezzo molto salato in termini di coesione sociale, degrado naturale, e anche occasioni economiche perdute