La parola magica di questa confusa fine d'agosto è coesione. Sotto gli auspici di un mai così dinamico Presidente della Repubblica, tutti la invocano: coesione tra le forze politiche, coesione tra le forze sociali, tutti insieme per salvare l'Italia nel suo 150° compleanno. Ma da chi, destra e sinistra, capitale finanziario, produttivo e lavoro dovrebbero salvare un paese alla deriva? Dalla Grande Crisi, naturalmente, dalla mancata crescita, dal rischio di bancarotta. Anche la crisi è diventata una parola magica, addirittura neutrale. E la crescita, un dogma indiscutibile. La coesione invocata da troppi e per scopi opposti è un inganno.
La crisi non è il prodotto del destino ma di scellerate politiche liberiste, non colpisce tutti allo stesso modo ma scatena i suoi effetti devastanti sui più deboli. Pensare di uscirne con un'alleanza contro natura tra chi l'ha provocata e accompagnata e le sue vittime sarebbe una scelta suicida, foriera di un massacro sociale insostenibile.
La coesione necessaria, al contrario, è quella tra le forze sociali alle quali si vorrebbe nuovamente presentare il conto dei danni provocati dal maremoto liberista: giovani senza lavoro né reddito, dunque privati di autonomia e futuro; lavoratori ridotti a pedine del capitale, come d'autunno sugli alberi le foglie; precari già caduti dall'albero, a cui ogni diritto è negato; cittadini generosamente disponibili a battersi in difesa del bene comune e del territorio, traditi da una politica cinica e autoritaria; pensionati logorati da una vita di lavoro e da quelle tasse che a troppi vengono risparmiate e condonate.
É sulla base di queste considerazioni che abbiamo accolto con sollievo la decisione del gruppo dirigente della Cgil, questa volta tempestiva, di indire per il 6 settembre uno sciopero generale contro la manovra classista del governo che colpisce in un'unica direzione e usa la crisi per regolare il conflitto di classe a favore dei più forti. E' una scelta che lascia aperta una speranza e forse una sponda a chi ormai sente di aver perduto ogni rappresentanza politica e fatica a trovarne una sociale. E' una scelta coraggiosa che segnala una possibile autonomia da un Pd che ha rotto un equilibrismo per schierarsi contro lo sciopero.
La proclamazione dello sciopero è una netta scelta di campo, potrebbe persino rappresentare un segnale di distensione all'interno della Cgil tra due linee differenti: da un lato chi aveva firmato l'accordo interconfederale Cisl, Uil e Confindustria su contratti e rappresentanza e a seguire un appello comune con banche e imprenditori presentato al governo. Dall'altro lato chi pensa che quei due passaggi abbiano segnato una perdita di autonomia della Cgil e aperto, al tempo stesso, la strada all'aggressione del trio Berlusconi-Tremonti-Sacconi ai diritti dei lavoratori, allo Statuto e alla Costituzione. Ora, esplicitate le opposte ricette anticrisi delle "parti sociali" - Emma Marcegaglia si lamenta per le troppe tasse pagate dai ricchi e si scatena contro le pensioni di anzianità mentre approfitta a man bassa dei prepensionamenti - che senso avrebbe confermare quell'accordo tra lupi e agnelli, magari attraverso una consultazione dimezzata? Lo sciopero generale è una scelta coraggiosa e impegnativa, se chi lo ha indetto ci crede davvero non può contraddirlo rivendicando un'alleanza contro natura. Altri, da ben diverse