La signora dell’architettura è già al lavoro sulla nuova Banca Centrale. E dal governo iracheno arrivano altre offerte
Hadid sogna di riprogettare la capitale del suo Paese
Il suo sogno sarebbe «ricostruire il piano urbanistico di Bagdad dall’inizio, pianificarlo dalle fondamenta». Ma per ora si limita a puntare tutto sulla progettazione dell’edificio della Banca Centrale nel cuore della capitale. In agosto ha vinto la gara aperta a tutti i più grandi studi di architettura mondiali. «È un primo passo. Ci sono altre offerte da parte del governo iracheno. Devo ancora valutarle con attenzione», spiega Zaha Hadid da Londra. Sarebbe la controrivoluzione architettonica nell’era della democrazia contro quella della dittatura. Come Saddam Hussein tra gli anni Settanta e Ottanta fece radere al suolo i quartieri storici della capitale per imporre la sua visione dell’impero in stile assiro-babilonese, così l’architetta cresciuta nella diaspora occidentale, proiettata allo zenit dei nuovi design più avveniristici, pensa di ridare alla città la sua antica dimensione umana.
Un nome che è garanzia d’eccellenza. Nata a Bagdad nel 1950 ed emigrata sin da bambina con la famiglia all’estero, Zaha Hadid ha studiato matematica a Beirut, prima di laurearsi a pieni voti alla Scuola di Architettura di Londra e quindi insegnare a lungo nelle migliori università americane. Lavoro, impegno e grandi successi internazionali sono poi arrivati a cascata. Da quando nel 2004 ricevette il «Pritzker Architecture Prize», il premio Nobel nel suo campo, viene definita la «donna architetto più famosa al mondo». Tra le realizzazioni più note: il trampolino da sci di Innsbruck, il ponte a farfalla di Saragozza, gli uffici centrali della Bmw a Lipsia, il centro acquatico per le Olimpiadi di Londra nel 2012. In Italia ha all’attivo almeno sei progetti maggiori, tra cui il Museo delle Arti Contemporanee di Roma inaugurato l’anno scorso e il complesso City Life a Milano.
Pure, non è strano che la figlia per eccellenza dei circoli più cosmopoliti dell’intellighenzia contemporanea guardi adesso alla «sua» Bagdad come a una grande sfida. «Non ci sono mai tornata dalla mia partenza da bambina. Spero di visitarla, presto. Ma ancora non ho fissato una data», confida. Un anno fa sembrava tutto più facile. Le grandi operazioni militari americane d e l 2007-8 avevano fatto diminuire sangue e massacri ai minimi storici dalla guerra del 2003. Si sperava che le elezioni parlamentari dello scorso marzo avrebbero dato una qualche stabilità. Non è stato così. Il prolungarsi del braccio di ferro tra sciiti, sunniti e curdi per la formazione del nuovo governo è terminato solo una settimana fa e con esiti ancora molto incerti. Nel frattempo gli attentati, specie contro cristiani e sciiti, hanno riacceso le vecchie paure. La Hadid cerca di non parlare di politica. Ma non nasconde che il Paese è ancora immerso sino al collo in un «sacco di gravissimi problemi». Memore dei disastri degli ultimi trent’anni e dello sfascio urbanistico, l’architetto parla da professionista: occorre pianificare tutto da capo. «La prova del nove sta nella volontà del governo centrale di lanciare una nuova pianificazione urbana. L’Iraq necessita di un onnicomprensivo progetto di opere pubbliche che ripensi il Paese dalle macerie in cui è affondato».
La sfida è aperta. Nel 1991 lo scrittore e architetto Kanan Makiya appena fuggito a Londra dall’Iraq pubblicò un v olume, « I l Monumento», con lo pseudonimo di Samir al-Khalil in cui illustrava la grandiosità aggressiva e militaresca dell’architettura imposta da Saddam. Era una durissima critica contro gli Albert Speer iracheni. Vi si riprendeva il tema sempre attuale della strumentalizzazione del paesaggio urbano al servizio della dittatura. Oggi la Hadid vorrebbe davvero cambiare le coordinate di quel periodo. L’Iraq è in ginocchio. Ma non è un Paese del terzo mondo. Le scuole di artisti e scultori hanno riaperto. Le università funzionano. L’embargo internazionale è terminato. Si può volare a Bagdad direttamente da Parigi, Istanbul, Amman, il Kuwait e altri scali sono in apertura. Ecco la speranza: «Il governo vorrà ricostruire musei, teatri e biblioteche. Noi potremo esserci».