Non cessano di stupirci le pulsioni dei nostri governanti nei confronti del mondo antico. Abbiamo sentito dell’incredibile progetto di far rivivere gli spettacoli circensi, al vero le corse alla Ben Hur, nel virtuale gli spettacoli gladiatori. Abbiamo visto l’inarrestabile corsa al commissario, a parole per far fronte ad insormontabili problemi di coordinamento amministrativo, di fatto per gestire l’ordinario in maniera autocratica. Ora si parla di singolari idee per la valorizzazione del patrimonio archeologico della Capitale, come quella del sottosegretario Giro, che vorrebbe approntare una seconda versione del grande plastico di Roma antica, realizzato settant’anni fa da Italo Gismondi per la Mostra Augustea della Romanità, poi traslato negli anni Cinquanta del secolo scorso con tutto il materiale di quella mostra nel Museo della Civiltà Romana all’Eur (di questa straordinaria istituzione avremo modo di occuparci in futuro) ed ora quasi unico frammento superstite di quel Museo, che tuttora suscita l’ammirazione dei turisti, di quei pochi che sanno dove trovarlo, di quei moltissimi che ne comprano le mille riproduzioni fotografiche vendute da tutte le bancarelle di souvenir.
Non so se l’on. le Giro ha idea di cosa comporti e soprattutto di quanto venga a costare una realizzazione del genere: si tratta di cifre con moltissimi zeri per un lavoro superfluo da fare in tempi di vacche magre. Evidentemente idee sensate per valorizzare l’enorme patrimonio archeologico di Roma di fatto non ci sono: si oscilla tra l’adorazione delle ricostruzioni al vero, in scala o in virtuale di una Roma di cartapesta e le risposte draconiane ai problemi, senza parlare di alcune iniziali uscite del sindaco Alemanno, come la dissennate proposte di urbanizzare la Campagna Romana o di mettere mano al piccone per distruggere la teca dell’Ara Pacis.
In questi giorni poi l’ago della bilancia pende verso l’antico inteso come arredo.
Una vecchia storia questa, che risale già alla precedente esperienza di governo di destra del 2001-2006. Chi ha dimenticato il festoso vertice di Pratica di Mare organizzato dal nostro premier e il suo fondale fabbricato con autentiche statue romane prelevate da grandi Musei Nazionali e artisticamente posate su prati artificiali? Come non ricordare la celebrazione del semestre italiano alla testa dell’Unione Europea contrassegnato da forti presenze classiche, nel caso specifico da un busto dell´imperatore Adriano, ancora una volta fatto pervenire nella sede della Presidenza nella capitale belga dalle collezioni di stato italiane?
Sempre sulla stessa linea di gusto di allora si vuole adesso graziosamente ornare le stanze del Cavaliere a Palazzo Chigi con statue romane, naturalmente prelevate dagli inesauribili magazzini dei nostri musei archeologici. Ma non finisce qui.
Costantemente ansioso di fare apprezzare i tesori del Belpaese, Berlusconi progetta un remake del vertice di Pratica di Mare in occasione del vertice del G 8, ma proporzionato ormai alla sua gloria imperiale: niente prati finti o il piattume della pianura Pontina, questa volta il fondale è quello dello stupendo paesaggio marittimo della Maddalena e l’arredo addirittura i Bronzi di Riace, ossia due delle pochissime statue originali pervenuteci dall’antichità, oggetto di un memorabile restauro di pochi anni fa, diretto da una grande archeologa prematuramente scomparsa, Alessandra Vaccaro Melucco, che con procedimenti d’avanguardia ha ricostruito persino la tecnica fusoria seguita per la realizzazione di quei capolavori.
La richiesta di prestito è stata sottoposta alle autorità di tutela e qualche illustre archeologo ha già detto che va appoggiata. Insomma è come se il Cavaliere chiedesse la Madonna della Seggiola come quadro da appendere a capo al letto, e la leonardesca Ultima Cena, opportunamente distaccata dalla sua sede milanese, per decorare la propria sala da pranzo.
La cosa ha uno suo interesse nell’ambito della storia del gusto: ricordo di aver usato già il caso di Pratica di Mare per illustrare ai miei allievi la mentalità dei ricchi parvenus romani, che rapinavano i tesori della Grecia per ornare le proprie villa al mare, affidandosi ad agenti per la scelta delle opere. Si sa che a scegliere il ritratto di Adriano mandato a anni fa a Bruxelles sarebbe stato lo stesso ministro dei Beni e delle Attività Culturali Giuliano Urbani, perché, riportavano i giornali, Adriano avrebbe il pregio di incarnare in maniera perfetta il simbolo del Buongoverno (la parola d’ordine di quegli anni...) e perché Berlusconi sarebbe un ammirato lettore delle «Memorie di Adriano», il capolavoro di Marguerite Yourcenar.
Il confronto con il gusto di rapina dei Romani è calzante: i musei grondano ritratti di poeti, filosofi e scrittori greci, cui i romani pensavano come modelli insuperati di una perfezione letteraria vagheggiata. Vorremmo proprio sapere chi ha fatto la scelta stavolta e soprattutto quale rinvio letterario si annida dietro questa scelta. Ma, a prescindere dalle continue prove di cattivo gusto offerte dalla nostra classe dirigente con queste geniali idee, la cosa di maggior rilievo è che la richiesta mette a rischio due capolavori assoluti, conservati - come è giusto e doveroso che sia - in ambienti climatizzati e continuamente monitorati nel Museo di Reggio Calabria, opere che in un paese civile nessuno penserebbe seriamente di spostare. Non fa meraviglia che le discutibili brame di un tycoon vogliano mettere a repentaglio quei delicatissimi bronzi per farne un personale trofeo: fa meraviglia che ci siano archeologi professionisti pronti a dichiarare che è ora di finirla con questa ossessione della tutela.