Oggi ci s'interroga se Alemanno, a proposito del Pincio, considererà più impegnative le strizzate d'occhio ad Italia Nostra prima del ballottaggio, o gli interessi economici intrecciati alla «grande impresa» che stanno uscendo allo scoperto. Ha l'alibi di chi ha gridato ai conti in rosso, e dello sbandierato ammontare della penale. E soprattutto del fatto che il famigerato parcheggio non è una sua iniziativa, ma un'eredità della giunta Veltroni.
Nella mia lunga vita di assessore e consigliere comunale, ho avuto più di una volta la sensazione che l'approccio della «macchina comunale» al traffico romano non sia il più felice, pesante nelle soluzioni (il modo in cui è stata progettata la linea «8», più un monumento all'idea di tram che un funzionale tram veloce, che forse avrebbe potuto fare a meno, come ad Amsterdam, della banchina centrale e dei cordoli, appoggiandosi direttamente ai marciapiedi di viale Trastevere) quanto approssimativo nei dettagli (per restare sull'«8», basta guardare la foresta dei semafori davanti al ministero della Pubblica Istruzione).
A Roma sopravvivono tecniche consigliate dai peggiori manuali degli anni Cinquanta: le più datate sono la rotatoria come panacea universale, e l'idea di ricercare la «grande soluzione» anziché le più complesse soluzioni. L'idea che, per diminuire le auto parcheggiate per strada, occorrono più parcheggi ne è un corollario. Mentre sinora tutte le esperienze hanno dimostrato che è vero il contrario, che i nuovi parcheggi generano traffico. Oppure - a Roma - restano inutilizzati (basta visitare il famoso parcheggio del Gianicolo, ragione di una furibonda controversia giubilare di Rutelli contro il «signor no» La Regina) o sottoutilizzati (come lo stesso parcheggio - d'autore, firmato Luigi Moretti; e teatro di un evento culturale come Contemporanea di Porta Pinciana). In fondo, osserva qualcuno, non è tanto grande la distanza tra il progettato parcheggio del Pincio e quello esistente di Moretti... Aggiungo che considero un po' velleitaria l'idea, alla base del progetto, che i residenti del Tridente compreranno tutti un box nel nuovo parcheggio, in modo di poterlo liberare integralmente dalle macchine. E se non tutti facessero così? È il mercato, bellezza!
Dire di no al parcheggio potrebbe avere il valore liberatorio di rompere con l'illusione di risolvere una polmonite con l'aspirina. Ma Alemanno non sembra aver molta voglia di approfondire la questione, al punto di non trasmettere ai «cinque saggi della «sua» commissione i risultati degli scavi compiuti dalla Sopraintendenza. Preferisce pensare in grande: alla sua commissione Attali «de noantri», dove Venditti dovrebbe dialogare con Cipolletta e Portoghesi. Pensare che Tremonti si scaglia contro «il nullismo del '68»! Ma questo non è nullismo, è (berlusconiana) cura dell'immagine.
Nonostante l'indecisione dell'opposizione in Campidoglio, la questione del parcheggio del Pincio ha prodotto una divisione reale nella maggioranza di Alemanno. Non si scherza col simbolico, e in questo caso il simbolico si propone ben due volte. Il parcheggio va bloccato perché è uno dei simboli della Roma di Veltroni, le scoperte archeologiche vanno tutelate perché sono memoria del glorioso passato. E non l'ha appena detto Tremonti, che per andare avanti occorre guardare al passato?
Proprio queste fibrillazioni politiche mettono in evidenza una sostanziale indifferenza delle reazioni alle scoperte archeologiche appena pubblicate. La bellezza delle immagini è stata contraddetta dalla valutazione possibilista dello stesso sopraintendente. Purtroppo è qualcosa che appartiene più al ceto politico che al riflesso d'ordine della grande stampa. Anche del ceto politico del centro sinistra: a Napoli la Jervolino non ha saputo nascondere il suo disappunto per analoghi tesori portati in luce dai lavori della metropolitana. Haussmann, il demolitore» della vecchia Parigi per costruire la nuova, non rifiutò per caso un analogo incarico, che il Governo italiano gli offrì dopo la caduta di Napoleone III in quello stesso anno 1870 in cui Roma fu riunita all'Italia.
A Roma bisogna sapere intervenire con più delicatezza, quella per cui il «prefetto di ferro» non si sentiva giustamente portato. E soprattutto con idee più generali di singole grandi opere presunte, qui un parcheggio, lì una Nuvola, lì la «città della fitness acquatica» al posto del Velodromo di Ligini fatto esplodere dallo stesso prefetto che avrebbe dovuto tutelarlo. La capacità che abbiamo di comprendere il senso della città, della sua storia e dei suoi monumenti, non è altro che lo specchio della nostra capacità di essere moderni nell'intimo, che è altra cosa dalla sua esibizione spettacolare.
A Roma pensiamo a termine il maxi, il macro, la Nuvola di Fuksas la cui costruzione sta diventando una favola. Pensiamo a vere «nuove centralità» che sappiano competere col fascino del centro. Non è qualcosa d'impossibile, in fondo la stessa trasformazione del modo di vivere a Testaccio, all'Ostiense, a San Lorenzo lo dimostra. L'unico difetto è che finora si tratta di centralità cresciute «a macchia d'olio» intorno al centro esistente. E riprendiamo la «grande idea» di Petroselli per Roma - il centro archeologico e storico luogo della cultura - in forme meno banalmente tecniciste che far dipendere dal parcheggio del Pincio la pedonalizzazione del Tridente.