Sono rimasto stupefatto dalla lettura del libro di Walter Tocci, Italo Insolera, Domitilla Morandi, da pochi giorni in libreria (Avanti c’è posto. Storia e progetti del trasporto pubblico a Roma, Donzelli, € 29). È diviso in due parti, una di Tocci, l’altra di Insolera e Morandi, tutt’e due trattano di tram, ma sono profondamente diverse. Il testo di Insolera e Morandi è dedicato davvero al tram, e dà conto degli studi e dei progetti che i due autori hanno prodotto come consulenti del comune di Roma, in particolare: via Nazionale; il centro e il lungotevere; la via Aurelia; il cosiddetto Archeotram, cioè la linea, da Termini all’Appia Antica,che avrebbe dovuto connettere i più importanti punti di interesse storico archeologico della capitale. Ogni argomento è sviluppato con grande attenzione al profilo storico, ai confronti internazionali, ad aspetti anche minutamente tecnici. Nessuno dei progetti è stato realizzato, né credo lo sarà, ed è spontanea la riflessione su come sarebbe Roma se quelle idee avessero avuto seguito, e certamente diversi sarebbero stati gli esiti delle elezioni amministrative (e forse anche di quelle politiche). Su tutto ciò spero che ci sia occasione di tornare.
Del tutto diversa è la prima parte del libro, quella scritta da Tocci. Qui il tram è un pretesto. Un pretesto per affrontare le questioni cruciali della politica urbanistica romana, gli errori commessi, le occasioni perdute, la subordinazione agli interessi fondiari (“A Roma la forza unificante dell’economia del mattone ha sempre vinto sulle differenze degli ordinamenti politici” [p. 93]. Il terzo capitolo della prima parte del libro (La chiamiamo ancora Roma) è un’indagine critica dell’urbanistica romana contemporanea molto approfondita, rigorosa, lucida, convincente. Non è che Tocci vada fuori tema rispetto al tram. Il tram, sostiene Tocci, va visto come occasione di riorganizzazione della città, non come mero intervento ingegneristico [p. 9]. “Per contenere la città infinita – scrive Tocci – l’unica possibilità è la città del tram. Nei casi migliori è stata la risposta europea alla tendenza internazionale verso lo sprawl, sempre assecondata invece negli Usa, con la generalizzazione del modello Los Angeles, e nei paesi emergenti con la formazione delle megacittà. In Italia, a dispetto della tradizione di civiltà urbana, sembra prevalere il modello insediativo americano e Roma non è da meno” [p. 10]. A Roma, infatti, si è formato “uno dei più grandi esempi di sprawl in Italia e per certi versi anche in Europa. È paragonabile a quello dell’area milanese e a quello del Nord-est, ma prende gli aspetti peggiori di entrambi, la forte gravitazione del primo e la bassa densità del secondo. In verità il modello di riferimento non è né italiano né europeo, ma quello americano delle inner cities circondate da immense distese di villette, molto diverso dalla cultura urbana che abbiamo ricevuto in eredità”. [p. 105].
Il modello insediativo americano, cioè l’espansione senza fine, a Roma hanno tentato di camuffarlo chiamandolo “policentrismo”, all’uopo inventando le cosiddette nuove centralità. Ma se un episodio urbano si ripete una ventina di volte (tante sono le nuove centralità previste alla scala urbana) non si centralizza alcunché, commenta Tocci [p. 116]. Secondo lui, il nuovo piano regolatore di Roma non è neppure un nuovo piano, ma un’ennesima variante di quello del 1962, di cui si condivide la forte geometria espansiva. “Attuare oggi quelle previsioni urbanistiche è in un certo senso più grave che averle pianificate negli anni sessanta” [p. 118]: nessuno di noi, critici da sempre del piano di Roma, aveva osato arrivare a questa conclusione. Eppure le valutazioni di Tocci non sono mai pregiudiziali ma sempre espresse a conclusione di un’analisi puntualmente documentata, spesso facendo riferimento ai risultati dei modelli di simulazione. Dai quali risulta, per esempio, che “un quartiere realizzato nella periferia anulare, dopo massicci investimenti infrastrutturali, è in grado di offrire ai cittadini un’accessibilità su ferro tre volte più bassa della media cittadina e sei volte più bassa dell’area centrale” [p. 112].
Penso che i lettori condividano il mio stupore. Tocci è stato vicesindaco di Roma e assessore alla Mobilità dal 1993 al 2001, quando fu sindaco Francesco Rutelli. È inevitabile allora che ci si chieda se l’insostenibilità del nuovo piano regolatore, Tocci l’abbia fatta presente all’amministrazione di cui è stato autorevolissimo esponente. Nel libro non c’è risposta. Apprendiamo solo che nel 1996 presentò uno studio dell’assessorato alla Mobilità sotto forma di contributo alle discussioni sul nuovo Prg (come se fosse stato un consulente). E negli ultimi giorni del suo mandato curò una pubblicazione, che assume l’importanza di un testamento (“Se non si modificano le regole della trasformazione urbanistica non ci può essere nessuna politica della mobilità in grado di risolvere il problema. Anche i piani di traffico più ambiziosi sarebbero come il tentativo di svuotare il mare con un secchiello" [p. 113]). Il vicesindaco si domanda addirittura “perché in un lungo ciclo di buongoverno come quello dell’ultimo quindicennio, non sia stato possibile compiere una svolta nella politica urbanistica” [p. 124]. Anche noi vorremmo proprio saperlo.
Ma in fondo tutto ciò non è molto importante. Importante è che abbiamo recuperato Walter Tocci. Forse non tutti i frequentatori di eddyburg sanno che Tocci è stato, per anni, uno del nostro giro. È stato fra i fondatori – insieme a Gigi Scano, Antonio Cederna, Eddy Salzano, Maria Rosa Vittadini, Paolo Berdini e altri – dell’associazione Polis, capostipite di questo sito. È un intellettuale colto, cultore aggiornato dei fenomeni urbani, e in Avanti c’è posto torna la lucentezza e la passione dello studioso di una volta. Bentornato Walter.