Il tema della "casa per tutti" per la sua nobiltà e per le sue urgenze (sia quelle italiane dove negli ultimi dieci anni si è costruito abitazioni per meno della metà degli altri paesi europei, sia quelle gravissime dei paesi del terzo mondo) si presenta tanto rilevante da giustificare ogni tentativo di messa in evidenza.
Nel caso della mostra alla Triennale di Milano, Casa per tutti, con l’ambizioso sottotitolo "Abitare la città globale", il tentativo ci sembra lo spostamento del punto di vista rispetto a quelli proposti dal movimento moderno, con grandi speranze ideali di uguaglianza e di liberazione collettiva, a partire dagli anni Venti e Trenta del XX secolo. Ad essi sono dedicate nei cataloghi della mostra una serie di testi di grande interesse per il loro contenuto specifico, ma anche come termine di paragone rispetto all’attuale tensione ideologica verso una "città delle differenze". Si tratta di una sfida assai difficile in una società dove l’omogeneità sembra essere l’obiettivo strutturale al momento dell’uscita dalle povertà più disperate. Invece là dove i bisogni primari, oltre alle soluzioni abitative, sono le fognature, l’acqua, l’energia ed i servizi elementari, certo nessuna soluzione molecolare può far fronte. In qualche modo la città delle differenze sembra più una speranza alimentata da una lettura delle difficili condizioni delle periferie "sprawl" delle città europee che da quelle dei terzi mondi. Forse è questa ragione strutturale il motivo del fatto che alla serietà dei propositi dei testi e delle loro sia pur discutibili tesi, fanno riscontro una serie di proposte, che certamente senza volerlo, trasformano in burla estetica la tragicità del problema.