La lettera di Massimo Morisi e la replica di Edoardo Salzano pongono un interessante terreno di riflessione. Parlo solo dei punti 1-5 della lettera, perché il resto mi sembra inutilmente polemico, come sgradevole l’accenno agli “accoliti di Asor Rosa”, fra cui ho l’onore di annoverarmi.
A Castelfalfi il garante ha fatto bene il suo mestiere. Per rendersi conto di ciò basta leggersi i verbali delle assemblee e la loro sintesi nel rapporto. Nessuno può accusare Morisi di essere stato di parte o indulgente con la Tui o omissivo. Da questo punto di vista molte critiche suonano preconcette e “a prescindere”. Morisi ha ragione quando ribadisce la necessità di non confondere il ruolo del garante con un ruolo decisionale e che - piaccia o non piaccia - questa è partecipazione e su questo terreno occorre che movimenti e comitati si confrontino.
Confrontiamoci dunque. Molto meglio il dibattito pubblico di Castefalfi che analoghi episodi, più piccoli ma consistenti nel numero, che si producono in modo seminascosto, aggirando lo spirito della legge di governo del territorio e del PIT, quando non in aperta illegittimità. I casi di Serravalle Pistoiese, dove il sindaco procede spedito nell’approvazione (illegale) di un villaggio turistico sul Montalbano nonostante le assicurazioni contrarie dell’assessore all’Urbanistica della Regione Toscana, e di Casole d’Elsa, dove trionfa un cronico abuso di potere da parte dell’amministrazione comunale, insegnano fra i tanti.
Il dibattito pubblico di Castelfalfi assume però un significato politico e non episodico solo se si inserisce in un processo rappresentativo e decisionale interscalare. Ha perfettamente ragione Salzano a sottolineare che questo è il vero nocciolo della questione. Da un punto di vista strettamente istituzionale, si tratta innanzitutto di fare rispettare le raccomandazioni del garante. Ma questo non basta. Ci vuole anche una buona politica. Una politica che, a mio avviso, deve essere basata sul semplice principio che ogni trasformazione del territorio nel “patrimonio collinare toscano” (invariante del PIT) e ogni nuovo consumo di suolo deve conformarsi alle regole del paesaggio - strutturali e ambientali - e non pretendere di dettare le proprie. In parole semplici: è la Tui, se vuole operare in Toscana che non è un’isola caraibica, ad adattarsi al paesaggio e non viceversa. Solo in subordine vengono le logiche tecniche e finanziarie.
Cosa succede adesso? Una strada, la più probabile, è che Tui ridisegni e in qualche modo ridimensioni il proprio progetto e che da qui inizi una contrattazione con il Comune dove si vedrà se le raccomandazioni del garante avranno efficacia. Si tratta comunque di un giocare in difesa. Soprattutto, come ha notato Salzano, se l’alternativa prospettata è l’ennesimo ‘svillettamento’ delle colline toscane, un’ipotesi che nella lettera di Morisi suona come dichiarazione di sfiducia rispetto ai buoni propositi e alle salvaguardie del PIT.
L’altra strada è che le istituzioni facciano un coraggioso passo avanti, aprendo un altro e più importante tavolo di partecipazione, un tavolo interscalare che, a partire da una ricognizione del patrimonio ambientale e paesaggistico in cui si inserisce il progetto, definisca le regole del suo uso e delle possibili trasformazioni, perché no, migliorative. In sintesi, si tratta di definire un vero e proprio statuto del territorio dell’ambito di paesaggio (per usare il lessico del Codice) in cui si trova Castelfalfi. Il soggetto promotore che dovrebbe fungere da ponte fra diversi livelli istituzionali e cittadini può essere la competente Commissione regionale del paesaggio o la Regione stessa. Ma le dichiarazioni su Castelfalfi del presidente Martini, e quell’incauto(?) incipit del rapporto del garante “nella misura in cui si può sa da fare” (tutto si può, ahimè, nella regione Toscana, legittimamente o illegittimamente), lasciano non pochi dubbi sul ruolo di garanzia politica della Regione.
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