il manifesto, 14 luglio 2017
«Rapporto Istat Povertà in Italia 2016. Nel2016 oltre 4 milioni di persone in «povertà assoluta», erano la metà nel 2007.E aumenta anche il «lavoro povero». 8 milioni e 465mila persone, pari a 2milioni 734mila famiglie, sono in «povertà relativa». In questa condizione sitrova chi è prigioniero della «trappola della precarietà». 7 miliardi di euroall’anno sarebbero necessari per finanziare un sussidio contro la povertà.14-21 miliardi per un «reddito minimo». In Italia è in corso una guerraeconomica silenziosa, ma concretissima, che precarizza tutta la vita»
Nel paese dove si salvanole banche con 68 miliardi di euro, non si trovano i 7 miliardi all’annonecessari per un sostegno «universale» contro la povertà assoluta. Senzacontare i 14-21 miliardi necessari per finanziare le ipotesi di reddito minimoche permetterebbe di affrontare seriamente un nuovo problema: la «trappoladella precarietà». Oggi in Italia chi lavora con un reddito basso non riesce asottrarsi alla povertà e arrivare a fine mese.
La clamorosa asimmetria, prodotto di ungigantesco spostamento di ricchezza verso il capitale e di politiche economichesbagliate come i bonus a pioggia o l’abolizione della tassa sulla prima casa,si ritrova nel report «La povertà in Italia» nel 2016, pubblicato ieridall’Istat. Come sempre i dati vanno interpretati, e visti sulla tendenza dimedio periodo: gli ultimi dieci anni, quelli della crisi. L’Istat sostiene chenel 2016 i «poveri assoluti» erano 4 milioni e 742 mila persone, pari a 1milione e 619 mila famiglie residenti. La «povertà relativa» riguarda 8 milioni465mila persone, pari a 2 milioni 734mila famiglie. Rispetto al 2015, illivello si presenta «stabile». Dato in sé preoccupante a conferma che nulla èstato fatto in quei 12 mesi dal governo Renzi, in un periodo in cui lestatistiche attestavano una «crescita» che non produce occupazione fissa, né unarretramento della povertà. Tuttavia c’è qualcosa che peggiora ancora.L’incidenza della povertà assoluta sale tra le famiglie con tre o più figliminori e interessa più di 814 mila persone. Oggi aumenta e colpisce 1 milione e292 mila minori.
Parliamo di persone che non riescono araccogliere risorse primarie per il sostentamento umano: l’acqua, il cibo, ilvestiario o i soldi per un affitto. Questa situazione riguarda anche coloro chepossiedono un lavoro. L’incidenza della povertà assoluta è doppia per i nucleiil cui capofamiglia è un «male breadwinner» e lavora come operaio. L’Istatregistra anche un’altra tendenza: la «povertà relativa» colpisce di più lefamiglie giovani. Raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è un under35mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenzadella povertà relativa si mantiene elevata per gli operai (18,7%) e per lefamiglie dove il «breadwinner» è in cerca di occupazione (31,0%). Suggestionistatistiche che indicano l’esistenza di un continente sommerso: il lavoropovero, e non solo quello della deprivazione radicale a cui spesso è associatala tradizionale immagine della povertà.
La situazione generale è tale che MarcoLucchini, segretario della fondazione Banco alimentare onlus, ha sostenuto cheoltre 80 mila tonnellate di cibo distribuite in 8 mila strutture caritative inItalia hanno arginato la crescita del fenomeno, ma non non risolvonol’emergenza sociale più dimenticata nel Belpaese. Dieci anni fa, nel 2007, ipoveri assoluti erano 2 milioni e 427 mila persone. Oggi sono raddoppiati: 4milioni e 742 mila. È uno scenario di guerra, quella economica che proseguesilente, ma concretissima, da anni. A tutti i livelli.
I rimedi sono pannicelli caldi. Ieriil ministro del Welfare Giuliano Poletti si affannava, ancora, nel tentativo dispiegare come il governo ha modificato i criteri di accesso alla prima, emodesta, misura «contro la povertà». Quest’anno 800 mila persone dovrebberoprima beneficiare della social card del «Sia» che sarà trasformata in corsa nel«reddito di inclusione». La sproporzione è evidentissima: solo i poveriassoluti sono 4 milioni e 742 mila persone. Ci sarebbe bisogno di una misurapluriennale crescente fino a 7 miliardi, ma i fondi stanziati resteranno fermial miliardo. E poi dovranno essere rifinanziati. Ma questa è un’altra storia:riguarderà la prossima legislatura. Quindi un altro mondo, un altro universo,lontanissimo. Concretamente si parla di un sussidio di ultima istanza che va daun minino di 190 a un massimo di 485 euro per le famiglie più numerose con 5componenti. Importi per di più vincolati a una serie di condizionalità cherendono tale sussidio tutto tranne che «universale».
La disconnessione totale trala politica economica seguita in questi 10 anni e la condizione materiale cheurla da questi dati è evidente. L’Alleanza contro la povertà, il cartello diassociazioni e sindacati che ha premuto per ottenere il «reddito di inclusione»chiede l’introduzione di un piano pluriennale già dalla prossima legge dibilancio che permetta a chi non ha una famiglia con figli di condurre unostandard di vita dignitoso. Susanna Camusso (Cgil) ritiene che tale «reddito»sia uno «strumento corretto da finanziare» evitando di «distribuire bonus apioggia». Il Movimento 5 Stelle attribuisce gran parte delle responsabilità diquesta situazione «all’immobilismo politico del governo Renzi». Giulio Marcon(Sinistra Italiana) fa un ragionamento di sistema: questo è il frutto del ciecorigore delle politiche Ue e dell’incapacità dei governi di uscire dalledisuguaglianze e dalla precarizzazione progressiva<