Retrotopia” la sua ultima parola».la Repubblica, 11 gennaio 2017 (c.m.c.)
Con Bauman l’intellettuale è sceso dalla torre d’avorio e si è mischiato alla gente. All’indomani della morte del grande sociologo polacco i social network sono tutti per lui, quasi si trattasse di una popstar. Nella Rete navigano frasi estrapolate da interviste, citazioni dai libri, video di conferenze. I temi sono la solitudine, l’amore, l’esclusione, la paura, la felicità, il futuro. Temi che appartengono a tutti e che Bauman ha saputo intercettare e approfondire.
La “liquidità” c’è ma scorre, si dissolve tra gli altri, come è naturale che sia. «Non è mai stato un contabile delle idee. Era pieno di curiosità. Gli interessavano tutti i fenomeni nuovi, non era il maestro che si mette su un piedistallo, amava mescolarsi. Ma non esistono grandi intellettuali che non dialoghino con la società». Giuseppe Laterza ha pubblicato con la sua casa editrice più di trenta titoli di Zygmunt Bauman e venduto oltre 500 mila copie.
Il primo saggio tradotto è stato Dentro la globalizzazione,l’ultimo è atteso per settembre ed ha per titolo un neologismo, Retrotopia, cioè l’altra faccia dell’utopia, quella che guarda al passato e non al futuro, che rischia di tornare indietro invece di andare avanti, che si illude di fuggire il presente trovando riparo in un’indistinta età dell’oro.
Il testo, che uscirà a fine gennaio in inglese per la Polity Press, parla dei problemi di oggi, della tentazione a far rinascere le frontiere degli stati nazionali o della tendenza ad affidarsi alla leadership dell’uomo forte. È articolato in più tempi (il ritorno a Hobbes, il ritorno alle tribù, il ritorno all’ineguaglianza e quello al ventre materno) ed è un ulteriore modo per rileggere la tensione tra individualismo e cultura comunitaria: «Proprio questa tensione – spiega Laterza – è alla base del successo di Bauman in Italia, un Paese dove la società, la comunità, ha ancora un peso».
Poi i ricordi si mescolano ai libri, la vita vera a quella indagata con le categorie della sociologia. Non c’è nessuno, tra amici o compagni di lavoro, che non abbia aneddoti da raccontare. Laterza ricorda il giorno che Bauman volle partecipare a un’asta su Internet per l’acquisto di un iPhone o la volta che a Trento preferì salutare tutti dopo una conferenza per finire a mangiare una pizza con un suo lettore sconosciuto. Così le due eredità si confondono, intellettuale e umana, riuscendo nel miracolo raro di incarnare un intellettuale che non tradisce nella vita ciò che afferma nella scrittura.
«Non è un caso – aggiunge Laterza – che tutti i suoi libri inizino raccontando una storia. Bauman non è un pensatore sistematico, parte sempre da frammenti, spunti concreti, dalla vita. Anche papa Francesco ha parlato di vite di scarto, mutuando l’espressione da un suo libro».
A chiedere in giro nessuno sa indicare un intellettuale che possa prenderne il posto. Bauman non ha avuto una scuola, è stato il sociologo europeo per eccellenza, sicuramente quello più di successo. Citato, rimaneggiato, saccheggiato, amato e anche odiato. Da Modernità liquida in poi – era il 2000 – ha fornito una categoria impareggiabile con cui leggere le dinamiche dei nostri tempi e un po’ ne è rimasto prigioniero, come sempre accade quando un concetto si trasforma in brand.
Chiara Saraceno, sociologa che con Bauman ha in comune molti temi, dalla povertà alla famiglia, non ama ricordare Bauman come sociologo della liquidità: «Il concetto di società liquida è stato abusato, diventando una specie di passepartout. Credo invece che a rimanere sarà la sua capacità di sollevare domande importanti, di vivere la tensione del presente, l’attrito tra l’emergere dell’individualità e la perdita delle appartenenze collettive, dalla famiglia al partito alle identità professionali».
Senza dubbio Bauman aveva le antenne vigili sul mondo, sulle diseguaglianze, le derive della globalizzazione. Vanni Codeluppi, professore di sociologia dei media allo Iulm di Milano, individua nella capacità di indagare il presente la sua eredità: «Si è occupato di lavoro, migrazioni, crisi sociali, olocausto, lavoro, libertà. Una marea di temi, perfino dei reality show, della moda e dei social network. Il suo lascito non è in un concetto, né nella riduttiva categoria della liquidità, ma in questa moltiplicazione di interessi, nello sguardo critico attento ai mutamenti della società, senza paura di metterne in luce gli aspetti negativi».
E senza temere di sconfinare in altri territori. Sempre a settembre uscirà per Einaudi Elogio della letteratura, scritto con Riccardo Mazzeo, in cui convivono psicoanalisi, narrativa e sociologia. Spiega Mazzeo: «Per Bauman la sociologia si era ossificata, i sociologi non andavano più a vedere cosa c’era fuori, avevano perso interesse nell’uomo». Bauman ha saputo parlarci della paura quando stavamo avendo paura, dell’amore quando faticavamo a crederci, degli esclusi quando non volevamo vederli. Dice Codeluppi: «Poteva sembrare un po’ moralistico, ma non vedo eredi in giro. Era rimasto il solo a saper individuare quali sono i problemi delle persone comuni». Per questo amava frequentare i festival, almeno quanto le aule universitarie.