Il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2016 (p.d.)
La decisione, presa allora dal secondo governo Prodi, impone alla pubblica amministrazione di segnalare qualsiasi operazione sospetta. Questo appare evidente scorrendo il comma 2 dell’articolo 10: “Le disposizioni si applicano agli uffici della pubblica amministrazione”. L’obbligo viene ribadito all’articolo 41 della 231. In più si specifica che le segnalazioni raccolte dai comuni devono essere inviate all’Ufficio di informazione finanziare della Banca d’Italia. Ora la bozza della nuova legge-delega che sarà approvata dal governo entro il prossimo dicembre, ammorbidisce il castello normativo. E lo fa partendo da un punto cardine della 231, l’obbligatorietà. Questo particolare emerge dal nuovo articolo 10 dove la parola è stata cancellata. La retromarcia è evidente. Ma c'è di più: il testo prevede che “le disposizioni si applicano ai procedimenti” solamente “di autorizzazione o concessione”. La 231 rinnovata taglierà molti campi sui quali i comuni possono operare un lavoro informativo. Su tutti gli esercizi commerciali, strumenti primari per il riciclaggio. Insomma, accanto al cambiamento semantico (obbligo/non obbligo) si affianca un approccio difensivo. È evidente che collegare le segnalazioni ad atti autorizzativi significa limitare il rischio che la pubblica amministrazione venga utilizzata per riciclare.
Di ben altro tenore, invece, la vecchia 231 che dà ai Comuni un ampio raggio di azione, imponendo, attraverso l’obbligo, un atteggiamento di attacco. La nuova bozza di legge delega, scritta dai funzionari del ministero delle Finanze, opera una rivoluzione al contrario, eliminando le disposizioni obbligatorie. Evidentemente all’interno del governo Renzi qualcosa non funziona. Manca il dialogo tra i ministeri. Le future modifiche, infatti, smentiscono un decreto ministeriale firmato il 25 settembre 2015 dal capo del Viminale, Angelino Alfano. Quel documento è decisivo perché mette nero su bianco gli indicatori di anomalie che portano alla segnalazione di operazione sospette.
L’atto del ministero dell’Interno è frutto dell’esperienza, unica in Italia, del Comune di Milano. Il capoluogo lombardo, nel febbraio 2014, durante la giunta Pisapia e grazie alla spinta di David Gentili presidente della Commissione antimafia, dà sostanza alla 231. A oggi le segnalazioni di Palazzo Marino arrivate alla Uif sono undici per un valore complessivo di 150 milioni di euro. Diverse le tipologie: dal riciclaggio legato alla criminalità organizzata al finanziamento del terrorismo. A oggi Milano resta l’unica grande città d’Italia con un Ufficio specifico per l’antiriciclaggio con 53 funzionari tecnicamente formati sui vari indicatori di anomalie. Sul punto della nuova bozza il presidente David Gentili ha pochi dubbi: “È incomprensibile e inaccettabile pensare che oggi, dopo che dal 1991 in tutte le leggi di recepimento delle direttive antiriciclaggio, è sempre stata prevista la pubblica amministrazione come soggetto obbligato, questo venga annullato”.
Certo a voler essere sospettosi, in tutto questo potrebbe aver avuto un ruolo la lobby delle banche. È evidente che se il Comune denuncia persone fisiche con conti correnti che non sono stati segnalati dalla banca, l’istituto di credito sarà passibile di sanzioni.