A Stoccolma, una delle patrie dell’architettura del Novecento, è aperto il dibattito politico e culturale su un secolo di soluzioni abitative … (segue)
Secondo il recente rapporto McKinsey sullo stato dell’economia europea, tra le ragioni che hanno reso la Svezia uno dei Paesi più resistenti alla lunga crisi degli ultimi anni spiccano l’estraneità alla zona Euro, l’elevata sindacalizzazione dei lavoratori e una serie di interventi statali volti a garantire il salario e l’occupazione attraverso la concertazione con le parti sociali, la riduzione dell’orario di lavoro, e timide misure redistributive. Ora, nessun cenno a quanto avviene in Scandinavia può prescindere da alcuni luoghi comuni che per esser tali non sono meno veri, anzitutto il senso civico degli abitanti (bassa evasione, bassa corruzione), la situazione di bilancio relativamente florida, e una certa fede nel bene comune.
Il ruolo dell’architettura e l’urbanistica
per la società del futuro
Ciò detto, in Svezia per tradizione l’architettura e l’urbanistica svolgono un ruolo di primo piano nella costruzione del modello di una società del futuro. Non è forse un caso che contro il discusso progetto di un nuovo Museo dei Nobel (quello attuale, nel Gamla Stan, è senz’altro insufficiente), un lucente bussolotto in vetro e pietra concepito per il cuore della capitale dall’archistar David Chipperfield, sia intervenuto con voce tonante il re in persona, Carlo XVI Gustavo. Già patria di numerose sperimentazioni, e in certe strade (Oxenstiernsgatan, Borgvägen, ma anche il nodo di Sergelstorg e Klarabergsgatan) vero e proprio museo a cielo aperto delle più varie tendenze architettoniche del XX secolo,
La questione delle abitazioni:
gli elementi del puzzle
Il modello scandinavo, infatti, ha mostrato sotto questo profilo qualche crepa, giacché l’immane sforzo pubblico confluito nel milione di alloggi costruiti per iniziativa statale fra il 1965 e il 1975 (si ricordi che la Svezia ha oggi meno di 10 milioni di abitanti, e non più di 8 ne aveva all'epoca) ha creato nel medio periodo una larga platea di proprietari “inoperosi” seduti sulle loro proprietà, e ha lasciato le generazioni più giovani, escluse da tanta grazia, alla mercé di un mercato degli affitti sempre più caro e quasi inaccessibile alle nuove famiglie. Naturalmente, il massiccio arrivo di migranti negli ultimi anni (nel 2013 il Paese aveva il tasso di naturalizzazione più alto dell’UE, e gli immigrati pesano per il 14% circa della popolazione), e la civile accoglienza loro tributata (ma non a tutti: celebri sono le intemerate degli ultimi governi contro i Rom, come si vede per es. nella mostra Non Grata di Åke Ericson, attualmente in corso al Fotografiska), abbiano vieppiù esacerbato il risentimento dei locali nei confronti di uno Stato che da questo punto di vista sembra non tutelare i propri figli.
La mostra dell'Arkitekturmuseet ha un forte valore didattico, e mette sul tappeto tutti gli elementi del puzzle: la persistente presenza di homeless (31mila in tutta la Svezia, oltre un terzo dei quali fra Stoccolma, Malmö e Göteborg); la notevole estensione del Paese, grande come Germania e Austria messe insieme ma occupato da un decimo degli abitanti; l’insensatezza della visione che individua nei migranti la fonte di tutti i problemi; la lunga storia di soluzioni abitative provvisorie diventate a lungo andare stabili, dalle case per gli operai di Södermalm nel 1917 ai prefabbricati spediti nelle città bretoni semidistrutte nel 1944 al “Better shelter” disegnato l’anno scorso dall’IKEA in cooperazione con l'UNHCR per i profughi siriani; l’impulso fondamentalmente egualitario che ha caratterizzato le varie (ben 16) tipologie di case del sullodato “piano del milione” (fa impressione constatare la modestia delle case di Olof Palme o di Per Albin Hansson, peraltro ben proporzionale a quella delle tombe dei potenti nel cimitero di Skogskyrkogården); il ruolo delle frange di pensiero alternativo come i “disobbedienti anti-IKEA” e il più strutturato “HSB Living Lab” di Göteborg.
Non solo slogan, ma progetti
Le soluzioni qui più in voga - che hanno il pregio di non risolversi, come spesso accade in esposizioni e dibattiti, in meri slogan più o meno intercambiabili, ma si traducono in progetti concreti ben visibili in mostra (alcuni peraltro realizzati o in via di completamento) - passano oggi per due elementi sostanziali: l’uso sempre più ampio del legno, materiale che oltre ad abbondare in loco è anche più economico, rapido e sostenibile del cemento, e garantisce ormai un alto grado di sicurezza (lo studio C.F. Møller ne ha progettato uno di grande impatto proprio per Stoccolma); la crescente condivisione degli ambienti, in un paradigma di co-housing inteso a migliorare ed estendere l’idea abitativa degli studenti universitari in vista di una migliore gestione delle risorse e di un più alto grado di socializzazione negli spazi comuni, nonché di un’apertura dei quartieri stessi oltre le rigide enclosures che ostacolano spesso i rapporti umani (si pensa in particolar modo agli anziani sempre meno autosufficienti) come anche la creatività dei giovani (si cita spesso come esempio positivo il quartiere di Rågsved a Stoccolma, nel quale di fatto nacque durante gli anni ’70 il punk svedese, destinato a un luminoso futuro).
Non si prendono qui dunque in seria considerazione, se non con un curioso spirito antiquario, certe ardite soluzioni architettoniche escogitate nei decenni passati (le case a stella di Backström e Leinius; le case di Järnbrott a Göteborg, con le pareti interne rimovibili al fine di comporre e ricomporre diversamente le stanze; le case a piramide progettate da Sten Ramel). D’altra parte, s’insiste invece sulla drammatica serietà del problema abitativo come scelta politica: il social housing non è stato un fatto scontato nella storia svedese, e dagli anni ’90 in poi è stato sostanzialmente accantonato, con l’esito di quintuplicare gli elenchi d’attesa per un alloggio (attualmente 500mila persone in lista a Stoccolma).
Smantellare sei miti mainstream
A tal proposito, colpisce vedere un’intera parete della mostra dedicata alla demolizione di “sei miti sull’edilizia”, tratti da un bouquet di tredici individuati dal think-tank svedese Critical Urban Sustainability Hub (acronimo: CRUSH): vale la pena di elencare per esteso le 6 proposizioni qui confutate, con dovizia di particolari e di interventi di professori e studiosi.
1) Un’economia più guidata dal mercato è la soluzione alla crisi degli alloggi. 2) Dobbiamo abbassare i nostri standard qualitativi nell’abitare. 3) La segregazione è prodotta dai migranti stessi che vogliono vivere assieme. 4) La gentrification è un processo di evoluzione naturale nelle aree urbane. 5) Economicamente, conviene possedere anziché affittare. 6) Dobbiamo ricreare la cara vecchia democrazia sociale del passato.
Credo che nel nostro spazio pubblico un manifesto che metta in discussione queste premesse - date ormai per acquisite dalla gran parte dei governi europei - potrebbe essere affisso al più in qualche centro sociale. La Svezia non è affatto il Bengodi (loin de là), ma è capace di sviluppare collettivamente - chiamando il pubblico a partecipare in modo attivo - un pensiero critico sui fenomeni sociali che ci coinvolgono, individuando proprio nella gestione dello spazio urbano uno dei fattori principali della società contemporanea.