COSA c'è di peggio che fare uno stage da 430 euro netti al mese, dopo anni di studio, e con una laurea o anche un dottorato in tasca? Ovvio: non riuscire nemmeno a farseli dare.
È questa la paradossale situazione in cui si trovano, da gennaio, i famosi '500 giovani per la cultura': quelli che il 21 ottobre 2013 Enrico Letta andò ad annunciare a Otto e mezzo, presentandoli come una specie di svolta epocale. Finalmente un governo che investiva sulla cultura: non proprio creando lavoro, non esageriamo, ma selezionando "cinquecento giovani laureati da formare, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali" (così il bando).
Ebbene, né a gennaio né a febbraio quei «500 giovani» hanno ricevuto il loro 'stipendio'. Perché? Perché il combinato disposto della 'riforma' che ha gettato il ministero per i Beni culturali nel caos e la cronica incomunicabilità burocratica tra ministeri (in questo caso, appunto, il Mibact e l'Economia) ha fatto sì che nessuno ora sappia chi deve erogare gli 'stipendi'. Non solo: la confusione è stata tale che le ritenute finora applicate non erano quelle giuste, cosicché i «500 giovani» dovranno pure restituire i soldi al governo. Finalmente, una circolare della direzione Mibact per l'Educazione e Ricerca ha annunciato la soluzione: i centri di spesa saranno "i Segretariati regionali e gli istituti dotati di autonomia". Ma questi ultimi hanno già messo le mani avanti: non hanno i fondi, non hanno i capitoli di spesa, né i conteggi giusti. Morale: i 500 giovani non saranno pagati neanche a marzo, e anzi fonti sindacali dicono che lo stallo potrebbe durare fino a giugno.
Quando Letta annunciò il bando, sulla rete ci fu un'insurrezione, e fu coniato l'hashtag #500schiavi: profetico, vista l'incredibile conclusione che calpesta quel che rimaneva della dignità di chi ha deciso di dedicare la propria vita al nostro patrimonio culturale.
Ma il significato di questa vicenda va anche oltre. Perché vi si può leggere tutta intera l'incapacità di una classe politica che invece di cambiare i meccanisimi inceppati del
sistema, preferisce avanzare per provvedimenti eccezionali e una tantum, comunicando nel modo più enfatico bandi ad effetto con numeri tondi: a quei 500 giovani sono infatti seguiti i 1000 stage del governo Renzi, i 500 professori da riportare in Italia, i 500 posti di ruolo per il patrimonio culturale... Ognuna di queste infornate, decisa dal ministro di turno per andare in televisione, accende una piccola speranza, ma finisce col determinare un inaudito caos amministrativo, risolvendosi in un boomerang.
Perché quello di cui c'è davvero bisogno non è questa specie di residuale speranza da lotteria ('uscire' tra i 1000, o i 500), ma invece la certezza di un processo ordinato e continuo di reclutamento, trasparente e fondato sul merito. Certo, per ottenere questo risultato bisognerebbe avere la capacità e la volontà di cambiarlo davvero, il sistema: ma è solo questa la prospettiva che può dare fiducia a chi deve decidere se rimanere o no nel Paese in cui è nato. Una fiducia difficile da avere, quando non riesci neanche a farti dare quei miserabili 430 euro al mese che ti spettano per contratto. #500schiavi: fino in fondo.