Grandi opere. Il Commissario anticorruzione ha esaltato l’Expo, ma ha dimenticato la mafia negli appalti. Il manifesto
, 31 ottobre 2015
Criminogena. Questo è il giudizio che Raffaele Cantone ha recentemente dato alla legge «Obiettivo del 2001» con cui sono stati perpetrati gradi scempi ambientali e urbanistici. Nonostante questo pesante giudizio quella legge è ancora in vigore: Matteo Renzi si guarda bene dall’abrogarla. Sono state soltanto accantonate alcune opere inutili, ma le procedure semplificate fanno ancora gola. Siamo dunque in un paese che lascia in vita una legge criminogena e in una città che ha contribuito per numero e qualità a riempire le patrie galere.
Appena dieci giorni fa a Milano sono stati arrestati il vicepresidente della Giunta regionale e vari altri galantuomini. Tutto miracolosamente superato. Raffaele Cantone ha affermato durante una cerimonia di esaltazione di Expo 2015 che Milano ha riattivato gli anticorpi contro la corruzione. Evidentemente l’uso spregiudicato della retorica è una coperta buona a nascondere la realtà, compresi gli arresti del maggio 2014 quando fu sgominata la cupola che governava gli appalti Expo.
Ma è davvero così? Expo è la leva su cui risorgerà Milano e l’Italia? Per costruire la grande fiera sono stati spesi 14 miliardi di euro, come ha dimostrato Roberto Perotti. A questa folle cifra dobbiamo aggiungere un gigantesco sostegno pubblico: abbiamo infatti assistito a quotidiane rubriche sulle televisioni e sui quotidiani, innegabili spinte alla visita. Saranno raggiunti i 20 milioni di visitatori. Se dividiamo quel numero per le somme spese, ogni visitatore ci è costato 750 euro. Una somma ragionevole o era possibile – come pure ipotizzò qualcuno — orientare l’esposizione dedicata al cibo verso le centinaia di luoghi straordinari d’Italia in cui avvengono le produzioni di qualità tanto decantate a parole? Si tratta spesso di luoghi marginali, abbandonati da anni di assenza di progetti, dove i produttori fanno fatica a mantenere le quote di mercato. Una Expo decentrata che avrebbe fatto conoscere al mondo la straordinarietà del paesaggio italiano e rivitalizzato le aree marginali, fornito occasioni di sviluppo ad imprese vere.
Vinse il paradigma della concentrazione sostenuto dall’agguerrita classe dirigente milanese. Grande quartiere di esposizione, grandi forniture di cemento e asfalto (sono stati urbanizzati 105 ettari di terreni agricoli), gradi affari. Terreni pagati a peso d’oro; alberghi pieni, valori immobiliari in rialzo per la felicità della grande proprietà edilizia.
Milano ha dunque beneficiato dell’effetto drogato dalla spesa di 14 miliardi, ma come esso possa rappresentare un modello per il paese è difficile da comprendere. Tra due giorni, appena spente le luci, resteranno tutti i problemi sul tappeto. Perché in Italia non si investe più nelle città e mancano programmi di lungo periodo. Durante i sei mesi di manifestazione, ad esempio, si poteva almeno ragionare sul futuro delle aree Expo. Nulla. Hanno taciuto comune e regione. Si esprimono solo i dirigenti della Confindustria lombarda che propongono sulle pagine del Corriere della Sera la realizzazione di una città della scienza e della ricerca — ovviamente a carico dei contribuenti — e sopratutto «tempi brevissimi» per le decisioni.
E così torniamo al punto di partenza. Forse Raffaele Cantone voleva soltanto magnificare il modello istituzionale del Commissario straordinario, e cioè di una figura in grado di svolgere la regia di operazioni complesse e garantire efficienza. Siamo sempre dentro al cultura degli anni ’90, altro che anticorpi. La crisi dei governi delle città è sotto gli occhi di tutti ma l’unica strada da percorrere è quella di restituire ai comuni le risorse per governare: la strada della straordinarietà è solo una pericolosa scorciatoia. Non c’è infatti chi non veda che in questo modo si crea una forbice micidiale: le opere ritenute importanti verranno affidate a figure straordinarie slegate dal controllo democratico mentre l’ordinarietà, come la mancanza di acqua nella città di Messina, sarà lasciata sulle spalle di sindaci senza risorse e autonomia. La innegabile crisi del modello democratico non si affronta con la cultura della straordinarietà. E’ più importante chiudere tutte le leggi di deroga, ad iniziare dalla «criminogena» legge Obiettivo.