Il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2015 (m.p.r.)
Si scrive riforma, si legge pasticcio. E quella mediazione che è l’ossessione del Pd potrebbe anche peggiorarlo. Ufficialmente e renzianamente, la riforma del Senato è la via per arrivare a una democrazia efficiente, nella quale «il procedimento legislativo sarà più snello ed efficace» (Maria Elena Boschi dixit). Fuor di propaganda, è un ginepraio contraddittorio, da cui potrebbe scaturire una seconda Camera che conterà poco o nulla. Soprattutto, composta di nominati. «Questa riforma è un capolavoro di dilettantismo», scandisce l’amministrativista Gianluigi Pellegrino.
Ma quale elettività: articoli che sbattono
Il cuore della riforma è l’articolo 2 del disegno di legge costituzionale, e in particolare il secondo comma, approvato in doppia lettura conforme (senza modifiche) nelle due Camere: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”. Renzi ha blindato il comma in base al regolamento di Palazzo Madama, secondo cui non si possono cambiare le norme già approvate in entrambi i rami del Parlamento. La possibile mediazione tra il premier e la minoranza del Pd, che invoca un Senato elettivo, sarebbe un nuovo comma 5. Ossia una norma in base a cui i cittadini sceglieranno i consiglieri regionali da inviare a Palazzo Madama tramite un listino. I Consigli di ogni singola Regione dovrebbero poi ratificare le nomine.
Ma Pellegrino stronca questa soluzione: «Il comma 2 prevede che i Consigli regionali eleggano i senatori con metodo proporzionale, ossia dando maggiore spazio ai gruppi politici più folti in Regione. Bene, secondo il nuovo comma 5, i cittadini dovrebbero votare i senatori con un listino. Ma come faranno a sapere quale sarà la composizione dei futuri gruppi in Consiglio, che dipende dall’esito del voto? È evidente che sulla volontà popolare prevarrà il criterio proporzionale, e quindi molti voti di preferenza saranno inutili». Come se ne esce? «Renzi non vuole toccare il comma 2, per non far ripartire da capo l’iter del testo. Ma se si punta a un sistema coerente la norma va modificata. Se il testo verrà approvato così, i senatori saranno dei nominati. E il comma 5 sarà superfluo».
Una transizione troppo scivolosa
Le contraddizioni proseguono: «Se si vuole davvero dare la parola ai cittadini va cambiato anche l’articolo 38 del ddl, già approvato in doppia lettura conforme, che è una norma transitoria (ossia colma il vuoto nel passaggio da una normativa all’altra, ndr). e che stabilisce la composizione del primo, nuovo Senato. Prevede che, finché non verranno eletti i nuovi Consigli regionali, ogni consigliere potrà scegliere i senatori ‘votando per una sola lista di candidati, formata da consiglieri e sindaci dei rispettivi territori’. Ma come combacia questa norma con la volontà popolare? Tanto più che c’è un rischio: perché entrino in vigore le nuove norme sull’elezione del Senato, bisognerà attendere una legge di attuazione. Poniamo che non si accordino sul testo: rischiamo di ritrovarci per anni con Palazzo Madama eletto solo dai consiglieri regionali».
Il ruolo di Grasso e quel precedente
Obiezione: il regolamento del Senato esclude cambiamenti per norme approvate in doppia lettura. Ma il legale replica: «Il regolamento afferma che si può intervenire sulle norme cambiate e su quelle a esse connesse. E allora, dato che Montecitorio ha notevolmente ridotto le funzioni del Senato, è ovvio che debbano cambiare anche gli articoli sulla composizione. Competenze e composizione vanno assieme». Non solo: «C’è il precedente del 1993, quando l’allora presidente della Camera Giorgio Napolitano ammise gli emendamenti sul nuovo articolo 68 della Carta. Come spiegò la Giunta per il regolamento, ciò era giustificato ‘dall’atipicità della revisione costituzionale». Quindi, il presidente del Senato Grasso dovrebbe ammettere tutti gli emendamenti all’articolo 2? «Certamente. Sarebbe inaudito se ne impedisse la discussione”. Infine: “Se si prevede che siano comunque i Consigli regionali a designare i senatori, sia pure su indicazione dei cittadini, si lascia spazio a un potenziale sovvertimento del voto”.