Alexis Tsipras ha saputo la cattiva notizia in aereo e ha spiegato il suo rifiuto in questi termini: o non vogliono un accordo oppure vogliono servire gli interessi degli oligarchi greci.
Nelle proposte del Fmi, infatti, la tassa proposta da Atene sulle imprese con più di mezzo milione di utile annuo è stata depennata. Come è stata depennata la tassazione sulle società che gestiscono il gioco d’azzardo via Internet. In generale, gli oligarchi greci non compaiono nei brillanti piani del Fmi, né sotto la forma di proprietari di banche, né sotto quella di editori televisivi.
Il motivo? Fargli pagare le tasse avrebbe degli effetti recessivi. Infatti, in questi quattro anni che l’uomo del Fmi nella troika, Thomsen, governava con fare coloniale la Grecia lasciando del tutto indisturbati gli oligarchi, il Pil greco ha raggiunto risultati di crescita impressionanti:un bel — 26%.
La verità è che con la proposta greca che era stata accolta all’eurogruppo di lunedì il governo greco aveva esaurito– forse anche superato– i limiti che si era posto. Il piano greco di misure fiscali per otto miliardi in due anni permetteva al governo di vantarsi di aver difeso le pensioni ed evitato i nuovi licenziamenti al settore pubblico.
Aveva accettato un nuovo aumento delle imposte (nel paese più tassato d’Europa: sono aumentate del 338% dal 2010) cercando di salvare il salvabile: cibo materiale e spirituale (libri) al 6%, altri consumi diffusi, come la corrente elettrica, al 13% e il resto al 23%. Atene aveva inoltre accettato la permanenza di leggi odiose, come il famigerato Enfia sugli immobili, aumentando le imposte ai redditi superiori ai 30 mila euro annui. In sostanza, in un contesto negativo, il governo aveva cercato di differenziare il peso fiscale, aggravandolo per i redditi più alti.
Siccome in Grecia più che nuove tasse serve un meccanismo più efficiente per le entrate pubbliche , Varoufakis aveva anche avanzato delle proposte per rendere più difficile l’evasione dell’Iva. Proposte magicamente sparite dalle scandalose richieste del Fmi. Non è un segreto che la proposta di Tsipras era stata accolta positivamente a Bruxelles ma non era succeso lo stesso in Grecia. Il «compromesso onesto» richiesto da Tsipras era diventato un «compromesso doloroso.
Malgrado i reportage fantasiosi comparsi sulla stampa europea, l’ipotesi di accordo proposta da Atene non avrebbe avuto seri problemi al Parlamento greco. I voti contrari sarebbero stati al massimo una decina. Il perché è stato chiarito nella riunione di ieri della Segreteria Politica di Syriza. Prima Tsipras e poi il suo stretto collaboratore Flabouriaris hanno spiegato che condizione irrinunciabile della proposta greca è che i creditori assicurino ufficialmente di «rendere sostenibile il debito». In pratica, Atene esige che i creditori confermino l’impegno preso per iscritto con il secondo Memorandum del 2012: una volta finito il programma, i creditori dovevano prendere provvedimenti per alleggerire il peso del debito sull’economia del paese.
Come è noto, tra i tre creditori, il Fmi è l’unico favorevole al taglio del debito greco. In un colloquio di qualche giorno fa, il premier greco aveva anche chiesto a Lagarde di non limitarsi a chiedere tagli e che ponesse anche la questione del debito.
Sembra quindi che nella confusione dominante in campo europeo, ancora una volta si riesce a raggiungere una sintesi solo ai danni della Grecia. Vista però la ferma resistenza opposta da Tsipras in tutti questi mesi a ogni progetto di abbattimento di pensioni e di stipendi pubblici, è evidente che ora il Fmi pone un problema politico: destabilizzare il governo di sinistra greco, costringerlo o alla resa verso l’austerità o a un rovinoso (per tutti) scontro con l’eurozona, che il popolo greco non vuole. In ambedue i casi, si pensa, Syriza è spacciata e si spera in un cambiamento dello scenario politico.
È un progetto estremista, non a caso in Europa condiviso solo da Schauble.
Tsipras ha di nuovo ribadito che, in assenza di un «accordo complessivo», la tranche dovuta al FMI a fine mese non sarà versata.
Ovviamente, il mancato versamento non sarà considerato automaticaticamente una bancarotta di Atene. Sarà invece un nuovo colpo di avvertimento: o i creditori prenderanno sul serio la volontà di Atene a non arrivare allo scontro, oppure l’ipotesi di un’implosione dell’eurozona diventa sempre più realistica. Probabilmente, era questo il senso delle dichiarazioni di ieri di Matteo Renzi: c’è chi vuole il Grexit, ha ammonito. Ma non si rivolgeva solo ad Atene.
di Anna Maria Merlo
Eurogruppo. L’Europa cestina le proposte di Atene. Il Fondo monetario cancella le tasse agli oligarchi e pretende il taglio delle pensioni. Moscovici incontra tutti i partiti di opposizione. A Bruxelles Tsipras incontra Draghi, Lagarde e Juncker: «Alla Grecia richieste senza precedenti, c’è chi dice no a tutto e vuole la rottura». Dopo sei ore di riunione è muro contro muro. L’eurogruppo si aggiorna a oggi, si tratta nella notte
Un’altra giornata estenuante sulla questione greca, conclusasi con l’ennesimo - il nono - Eurogruppo dell’«ultima speranza», ieri sera, a ridosso del Consiglio europeo di oggi e domani. Due programmi a confronto, contro-progetto greco e contro-contro progetto dei creditori, respinti da entrambi i contendenti, anche se le cifre ormai non sono così distanti.
Il governo Tsipras è messo al muro per accettare la logica del proseguimento dell’austerità, «riforme contro soldi freschi», che ha difficoltà a passare in patria. La proposta arriva a pochi giorni dalla doppia scadenza del 30 giugno, rimborso di 1,6 miliardi al Fmi e fine del secondo piano di «aiuti», già rimandato due volte, che, in mancanza di intesa, vedrà l’evaporazione dei residui 7,2 miliardi da versare ad Atene, indispensabili non per una soluzione duratura, ma per sopravvivere qualche settimana ed evitare il Grexit. I creditori hanno usato tutte le armi: fomentando il rischio di un bank run (5 miliardi ritirati in pochi giorni) e la carta del degrado, reale, dell’economia greca, estenuata, per far piegare Atene. E giocano anche sull’ipotesi di un cambio di maggioranza: ieri il commissario Pierre Moscovici ha incontrato Theodorakis, leader di To Potami, partito di centro greco, ruota di scorta possibile per una nuova maggioranza.
Tsipras ha fatto proposte dolorose, ma chiede semplicemente che l’accordo contenga un punto di buon senso: vista l’insostenibilità del debito greco, ci vuole un impegno sulla ristrutturazione. Del resto, questa ristrutturazione era stata promessa nel 2012, legata al raggiungimento di un avanzo primario (prima del servizio del debito) del bilancio greco. Questa clausola è stata rispettata da Atene nel 2013, con 1,5 miliardi di avanzo. Ma i creditori non hanno rispettato allora la parola data. E non lo fanno neppure adesso. Anche se Michel Sapin, ministro dell’economia francese, ammette: «la questione del peso del debito dovrà essere affrontata». Tsipras ha passato la giornata a Bruxelles. Ha incontrato Jean-Claude Juncker (Commissione), Mario Draghi (Bce), Christine Lagarde (Fmi), Dijsselblome (Eurogruppo), Regling (Mes).
Il primo ministro greco ha denunciato «l’insistenza di certe istituzioni che non accettano le misure compensatorie» presentate da Atene per ottemperare ai diktat dei creditori, «come non era mai accaduto prima né per l’Irlanda né per il Portogallo». Una carica in particolare contro il Fmi, che ha prestato 32 miliardi (a scadenza breve, 10 anni) e che vuole assicurarsi i rimborsi. Per Tsipras, «questo atteggiamento può voler dire due cose: o non vogliono un accordo o sono al servizio di interessi specifici in Grecia». Ma il Fmi è il solo creditore a non essere contrario a una ristrutturazione del debito (che nei fatti non lo toccherebbe). Sono gli europei, che hanno crediti, tra istituzioni e bilaterali, intorno ai 300 miliardi, ad essere reticenti sulla ristrutturazione, a questo stadio.
La Grecia ha presentato il suo ultimo sforzo: 8 miliardi di tagli in due anni, pari al 4,4% del Pil, con un rialzo dell’Iva, dei contributi e delle tasse alle imprese. Uno studio della Deutsche Bank prevede un effetto negativo fino a 3 punti del pil. Ma Tsipras spera che questa offerta, sbloccando il negoziato, permetta una ripresa e che arrivino gli investimenti europei promessi dal piano Juncker (35 miliardi), oltre all’accesso al Quantitative easing della Bce. Per il momento, la Grecia vive grazie al tubo di ossigeno concesso dalla Bce, che ancora ieri, per il quinto giorno negli ultimi otto, ha alzato l’Ela, la liquidità di emergenza, ultimo rubinetto rimasto aperto dopo la chiusura di tutti gli altri. Ma i creditori chiedono di più, una correzione dei conti pubblici dell’1,5% quest’anno e del 2,9% il prossimo: il «contro-contro-piano» pretende riduzioni di esenzioni Iva, che dovrebbe venire unificata al 23% (con il 13% solo per cibo, energia, acqua e hotel, ma senza sconto per le isole, e al 6% per prodotti farmaceutici, libri e teatri), l’abolizione dei sussidi, l’aumento delle tasse di proprietà e sul lusso, ancora tagli alla spesa sanitaria e al residuo welfare, una riforma delle pensioni più drastica, una griglia dei salari della pubblica amministrazione fiscalmente neutra, oltre a una nuova legge contro l’evasione e una semplificazione burocratica. I creditori chiedono un avanzo primario in crescita: 1% quest’anno, ma 2% il prossimo e via a seguire, fino al 3,5% nel 2018. «Esigenze assurde e inaccettabili» per Tsipras, visto che la Grecia è in deflazione. Tsipras chiede investimenti per il rilancio economico.
La soluzione, se ci sarà, sarà politica. Ma Renzi ha messo in guardia Atene: «i greci devono sapere che esistono forti pressioni da parte di opinioni pubbliche di alcuni paesi a usare questa finestra per chiudere i conti con la Grecia». E «non si tratta soltanto dei paesi di più antica frequentazione dei tavoli europei», la Germania, «ma anche di quelli entrati dopo». Per Renzi «lo sforzo deve essere reciproco».
Nonostante ciò la Troika non è soddisfatta, soprattutto nei riguardi delle misure sulle imprese (che non necessariamente sono un bene). Si tratta di misure recessive che non interrompono l’austerità. Non ci deve consolare l’alleggerimento del target di surplus primario del bilancio pubblico dai 3 o 4,5% chiesti dalla Troika al’1% nel 2015 (e 2% nel 2016).
La differenza è nell’uccidere subito il condannato o torturarlo ancora più a lungo. Perché di una indegna e inutile tortura stiamo parlando. La soluzione ragionevole c’è, e Varoufakis l’ha riproposta all’Eurogruppo la scorsa settimana: il fondo salva-Stati europeo emetta titoli per acquistare i titoli greci in mano alla Bce (26 miliardi) con il duplice effetto di dilazionare la restituzione di questo debito fra dieci o vent’anni dando respiro al bilancio greco e consentire alla Grecia di entrare nel programma di quantitative easing della Bce (ora quest’ultima non può acquistare titoli greci perché già ne ha troppi in pancia).
Su questo tema l’Europa ha già detto no, che se ne riparlerà più avanti. Che se ne dovrà riparlare è sicuro visto che la confermata austerità impedirà alle finanze greche la restituzione di questi fondi alla Bce e anche di quelli al Fmi (32,5m).
L’unica concessione alla Grecia sono i famosi ultimi 7,2m del piano di salvataggio in scadenza con cui essa potrà ripagare la tranche al Fmi in scadenza questo mese e le rate di luglio e agosto alla Bce. Questo è perverso. Si sa che un nuovo piano di salvataggio sarà necessario quando le prossime rate verranno a scadenza. Ma il salvataggio deve avvenire, nel disegno dei torturatori, centellinando le erogazioni in corrispondenza alle rate in scadenza, tenendo il governo greco col cappio al collo.[/do]
Logica vorrebbe che l’Europa si assumesse subito e ora tutto il debito greco con Bce e anche Fmi — come molti economisti hanno invocato, anche conservatori quale Jacob Kirkegaard del Peterson Institute — nei fatti dilazionandolo per qualche decennio sì da liberare per un po’ la Grecia dal fardello. A quel punto pur vincolata da obiettivi stringenti di bilancio, la Grecia disporrebbe di uno o due miliardi al mese in più (lo dico ad occhio) da spendere per sostenere la domanda interna ed effettuare politiche di sviluppo. La prospettiva cambierebbe radicalmente.
La ragione dell’apparentemente illogico rifiuto europeo va probabilmente trovata nelle elezioni spagnole: far capire a Podemos che non v’è possibilità di europeizzazione dei debiti sovrani e all’elettorato che le forze alternative troveranno un muro.
E non si dica che il cattivo è il Fmi. Nel 2013 questo ha fatto autocritica affermando di essere stato tirato dentro al primo «salvataggio» della Grecia nel 2010 — quello che salvò le banche francesi e tedesche coi soldi anche del contribuente italiano — consapevole già allora che il debito greco andava ristrutturato. Una volta tirato dentro il Fmi, che gestisce quattrini dei contribuenti di tutto il mondo, fa il suo mestiere di pretenderli indietro. Se vuole, l’Europa lo può liquidare.
È questa che ne esce priva di ogni residua credibilità, sperabilmente anche agli occhi di coloro che pervicacemente ancora sperano in un suo mutamento.