patrimonioSos e La Repubblica, 2-3 novembre 2014
Patrimoniosos.it, 2 novembre 2014
SETTIS: SERVONO SOLDI
NON SOLUZIONI PLACEBO
Intervista Ansa
«Questo è un momento drammatico per la tutela del patrimonio culturale: lo "Sblocca-Italia" contiene
norme devastanti, e intanto la funzionalità del ministero cala di continuo per mancanza di fondi e di personale. In questa situazione, non credo proprio che l'eventuale restituzione dell'arena del Colosseo sia una priorità ragionevole, anche perché dettata da un'ipotesi di riuso per forme varie di intrattenimento».
Il duro giudizio sulla proposta del ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che in un tweet ha oggi rilanciato l'idea dell'archeologo Daniele Manacorda di "restituire al Colosseo la sua Arena", è di Salvatore Settis, ex direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa nonché ex presidente del Consiglio superiore dei beni culturali. La proposta di Manacorda, avallata da Franceschini, è ricoprire i sotterranei, oggi quasi completamente scoperchiati, per mostrare "come i visitatori vedevano e vivevano il Colosseo sino a poco più di un secolo fa".
La copertura, secondo il progetto, permetterebbe anche di utilizzare il Colosseo per eventi e spettacoli di diverso genere. Un'ipotesi che trova però l'opposizione di Settis. «La vera, unica priorità del ministro - sottolinea l'archeologo e storico dell'arte italiano in una dichiarazione all'ANSA - dovrebbe essere a mio avviso il rilancio delle strutture di tutela procedendo finalmente a nuove assunzioni di personale altamente qualificato, senza il quale nulla (nemmeno l'arena nel Colosseo) può esser fatto decentemente». Per Settis «senza nuovi investimenti il destino dei nostri beni culturali è segnato: ogni placebo (come questo progetto) durerà lo spazio di un mattino”.
3 novembre 2014
NON TRASFORMATELO IN UNA SCENOGRAFIA
di Tomaso Montanari
Il Colosseo, monumento sicuramente unico, correrebbe il rischio di diventare la più imponente delle location commerciali
Il Ministro per i Beni culturali ha annunciato ieri, via
Twitter, che gli «piace molto l’idea dell’archeologo Manacorda di restituire al Colosseo la sua arena». Bisogna riconoscere a Dario Franceschini la capacità di tener viva l’attenzione mediatica su alcune emergenze del nostro martoriato patrimonio culturale: questa estate con il tormentone dei Bronzi di Riace all’Expo, ora con l’idea di rifare il pavimento del Colosseo. Ma la domanda è: questa volta si tratta di una proposta più solida, e destinata a miglior fortuna?
Più di un turista si sarà domandato come facessero i gladiatori e le belve a rincorrersi negli angusti corridoi che oggi emergono dalla pancia scoperchiata del colosso: e le foto ottocentesche ieri twittate da Franceschini valgono egregiamente a svelare l’errore. Cioè a spiegare che ciò che vediamo oggi sono i sotterranei funzionali dell’arena antica.
Ma è davvero il caso di riportare indietro le lancette dell’orologio storico, rimettendo il coperchio agli scavi? È una questione che ciclicamente si pone per molti monumenti: quand’era sindaco di Firenze Matteo Renzi lanciò, per esempio, l’idea di ripavimentare in cotto Piazza della Signoria, tornando alla situazione presettecentesca. Ma il rischio di queste iniziative è scivolare nel falso storico, in un kitsch di cui non sentiamo il bisogno: come decidere dove fermarsi, e quale aspetto dare al monumento, quando si decide di salire sulla macchina del tempo?
In questo caso a preoccupare è soprattutto ciò che verrebbe dopo il ripristino: qual è il fine ultimo dell’operazione? Il professor Daniele Manacorda, cui spetta l’idea, ha chiarito che un simile ritorno, un domani, permetterebbe al Colosseo «di tornare ad essere, carico di anni, un luogo che accoglie non il semplice rito banalizzante della visita del turismo massificato, ma un luogo che, nella sua cornice unica al mondo, ospita — nelle forme tecnicamente compatibili — ogni possibile evento della vita contemporanea ». Ecco, è questo il nocciolo del problema. Che cosa vuol dire «ogni possibile evento»? E dove metteremmo gli spettatori? Non è che, subito dopo, si parlerà di ricostruire le scalinate della cavea? Magari in cemento, come si è fatto nel Teatro Grande di Pompei, durante il commissariamento della Protezione Civile? E poi non succederà che qualcuno vorrà coprirlo, il Colosseo, per farci gli spettacoli anche quando piove, e in inverno? Non sembri bizzarro: è quel che il sindaco Flavio Tosi ha chiesto ufficialmente di poter fare per l’Arena di Verona.
E poi siamo sicuri che il limite debba essere solo tecnico? Potremmo trasformare il Colosseo, poniamo, in un campo da golf? L’esempio non sembri fantasioso: lo stesso Manacorda aveva sposato l’idea di realizzare un simile impianto sportivo alle Terme di Caracalla, a ridosso delle Mura Aureliane. Se Franceschini non ha rilanciato anche questa idea è forse perché nel frattempo una sentenza (15 settembre 2014) della sesta sezione del Consiglio di Stato ha fermato il progetto, perché «modificherebbe sensibilmente la percezione e la coerenza complessiva dello speciale contesto ambientale».
Per il Colosseo, invece, il rischio sarebbe un altro, più subdolo: e cioè che questo monumento unico si trasformi nella più imponente delle location commerciali, magari in un’ambitissima arena per spettacoli di suoni e luci, ad uso di un turismo di infima qualità. Oggi è di moda parlare di edutainment ( education + entertainment), un ibrido che — almeno in Italia — non riesce a coniugare conoscenza e piacere, ma annulla la prima e persegue un intrattenimento di bassa lega, che trasforma il passato in un gigantesco luna park commerciale. Ora, non vorremmo che invece di riuscire a liberare l’ingresso del Colosseo dai tristi figuranti travestiti da gladiatori, qualcuno sognasse di farli entrare su quella famosa arena: e magari di assumerli nelle fila del ministero per i Beni culturali, che non riesce più ad assumere i giovani archeologi di cui avremmo, invece, un disperato bisogno.
Quando papa Innocenzo XI chiese a Gian Lorenzo Bernini di costruire un’enorme chiesa dentro il Colosseo — era il 1675 — l’artista più rivoluzionario del suo tempo rispose che non voleva toccare il monumento: «per la conservazione d’una macchina che, non solo mostrava la grandezza di Roma, ma era l’idea stessa dell’architettura». Parole che sembrano tuttora assai sagge.