Un’analisi freddamente tecnica: «Si tratta di un’operazione tesa a “blindare” alcune opere (“sono state approvate dal Cipe...”) per consentire poi la totale discrezionalità politica nel loro finanziamento e nella loro realizzazione».
Il Fatto Quotidiano, 3 set. 2014
Il documento approvato dal Consiglio dei ministri venerdì contiene troppo cemento per gli ambientalisti e troppo poco per i costruttori: ma queste due reazioni erano prevedibili qualunque fosse stato il contenuto del provvedimento. Si tratta di un infinito elenco di opere, utili e meno utili, con uno strettissimo scadenzario di “cantierabilità”: alcune entro il 31 dicembre 2014, altre entro il 30 giugno 2015, altre entro il 31 agosto 2015.
Dopo queste date, i soldi andranno altrove. L’origine di questo elenco è tragica: si tratta di opere approvate dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) in molti anni, ma senza alcuna definizione di priorità, senza reale allocazione di fondi, e con analisi economiche e finanziarie (sempre positive!) imbarazzanti. Si tratta cioè di un’operazione tesa a “blindare” alcune opere (“sono state approvate dal Cipe...”) per consentire poi la totale discrezionalità politica nel loro finanziamento e nella loro realizzazione.
Uno degli effetti certi di questo approccio è quello dei “cantieri infiniti” (o “stop and go”): se ci sono soldi, e l’opera è approvata dal Cipe, si può partire con una bella inaugurazione del cantiere. Gli obiettivi di visibilità sono ottenuti, le imprese costruttrici sono contente, come pure gli enti locali interessati. Poi i soldi vengano a mancare, i costi si gonfiano (fino a tre-quattro volte, vedi l’Alta Velocità), i cantieri non si possono certo chiudere, e comunque i costruttori devono essere giustamente risarciti per lo “stop and go”. Dopo un po’, con qualche nuovo soldo, si ricomincia. Data l’assoluta scarsità di risorse fresche, se davvero anche una parte limitata delle opere divenisse cantierabile alle scadenze previste “in ordine sparso” diventerebbe impossibile. C’è da credere dunque che nei mesi a venire si procederà a una selezione delle opere in funzione della loro utilità. Nel frattempo, tutti i padrini politici delle opere potranno continuare a dichiarare che la loro “figlioccia” è compresa nell’elenco. In inglese le opere politicamente patrocinate si chiamano “pet projects”. Ai keynesiani puri anche i cantieri inutili vanno bene (“scavar buche e riempirle”), ma forse è meglio scavare buche utili e che diano lavoro a un sacco di gente. Cosa che, per euro speso, le grandi opere comprese in quell’elenco certo non fanno.