Lexambiente, ribadisce interpretazioni delle leggi vigenti, ignorando le quali tecnici e amministratori incompetenti, hanno contribuito al pesante e ingiustificato consumo di suolo
In un comune salentino, Monteroni di Lecce, il comune aveva approvato un nuovo Prg che destinava a verde privato un’area destinata dai precedenti strumenti di pianificazione a zona di completamento. Il proprietario ha ricorso al Tar chiedendo l’annullamento degli atti e il ripristino della precedente destinazione. Il Tar ha rigettato il ricorso e il proprietario si è appellato allora al Consiglio di Stato . Quest’ultimo ha confermato la sentenza del Tar con motivazioni interessanti per il loro carattere generale. Abbiamo notizia della sentenza dalla bella rivista online di Luca Ramacci, Lex ambiente, dalla quale riprendiamo di seguito sia il commento (firmato F. Albanese) che il testo integrale della sentenza.
Agli argomenti di valutazione positiva della sentenza espressi da Albanese vogliamo aggiungerne due.
1 - Il Consiglio di stato afferma ( paragrafo 5.1) che la nozione di naturale vocazione edificatoria postula la preesistenza di una edificabilità di fatto, cioè può essere attribuita solo a un terreno già edificato. ed è quindi concetto impiegato propriamente nelle sole vicende espropriative, stante la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell'amministrazione Non ha quindi alcun senso parlare di “vocazione edificatoria” di un suolo riferendosi a precedenti previsioni urbanistiche legittimamente modificate, e nemmeno a situazioni di fatto diverse dalla già avvenuta edificazione.
Possiamo dunque ritenere ulteriormente confermate le conclusioni alle quali eravamo da tempo arrivati sulla base dell’analisi della giurisprudenza: non esiste alcun fondamento giuridico sulla cui base il proprietario di un terreno possa rivendicare un “diritto edificatorio”, o un malaccorto urbanista o amministratore possa motivare la decisione di rendere edificabili aree che attualmente non lo sono.
2 - La sentenza afferma ( paragrafo 2.1) che « l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima». E’ esattamente il modo di vedere la pianificazione urbanistica che eddyburg sostiene e promuove.
Consiglio di Stato, Sez. IV n. 6656, del 21 dicembre 2012.
Urbanistica. Pianificazione urbanistica e tutela ambientale ed ecologica.
All’interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione di futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso in appello n. 10252 del 2005, proposto da
Corrado Carriero, [...]
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 10252 del 2005, Corrado Carriero propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, n. 4374 del 28 settembre 2005, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Monteroni di Lecce e la Regione Puglia per l'annullamento di tutti gli atti del procedimento di formazione del PRG del Comune di Monteroni di Lecce ed in particolare: della delibera del C.C.di Monteroni di Lecce n.54 del 13.02.89; della delibera del C.C. di Monteroni di Lecce n.80 del 11.10.1996; della delibera della G.R. Puglia n. 1643 del 7.12.1999 di approvazione del piano con prescrizioni e modifiche; della delibera del C.C. di Monteroni di Lecce n. 51 del 4.8.2000 di recepimento e controdeduzioni in ordine alle prescrizioni e modifiche regionali; della delibera G.R. Pugliese n. 529 del 10.05.2001 di approvazione definitiva del PRG di Monteroni di Lecce; di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale.
Dinanzi al giudice di prime cure, il ricorrente, proprietario di un terreno nel Comune di Monteroni di Lecce, su cui insiste un fabbricato ad uso residenziale, sito alla Via Isonzo, distinto in catasto al fg. 7/A part. 468-467-1036, esponeva:
- che la suddetta area era tipizzata nel vecchio P.d.F. come zona “B” – I circoscrizione, destinata a edilizia residenziale, con le seguenti prescrizioni: altezza massima degli edifici pari a una volta la larghezza stradale; numero massimo dei piani:2;
- che nel PPA, approvato con delibera C.C. n. 95 del 1.8.1985 e prorogato con delibera C.C. n. 28 del 30.1.1989, l’area veniva definita “Zona di completamento”;
- che il C.C. di Monteroni, con la delibera di intenti del 13.2.1989 n. 54, avviava il procedimento di formazione del PRG, cui seguiva in data 11.10.1996 la delibera di adozione del PRG;
- che la G.R. Puglia con delibera n. 1643 del 7.12.1999 approvava il piano con prescrizioni e modifiche;
- che con delibera n.51 del 4.8.2000 il C.C. di Monteroni recepiva e controdeduceva alle prescrizioni e modifiche regionali;
- che con delibera n. 529 del 10.05.2001 la G.R. Pugliese approvava in via definitiva il PRGPRG di Monteroni;
- che nel nuovo PRG l’area di proprietà del ricorrente risultava classificata come zona a verde privato (VP), disciplinata dall’art 2.15/H della N.T.A., che consente attività primarie di tipo agricolo, la sistemazione di verde attrezzato, interventi manutentivi e di ristrutturazione dell’edificato esistente, di tipo conservativo.
Il ricorrente impugnava gli atti di cui in epigrafe, chiedendone l’annullamento, per i seguenti motivi di diritto:
1) Eccesso di potere, violazione del principio della tendenziale stabilità delle previsioni urbanistiche.Violazione del principio di ponderazione degli interessi privati da sacrificare in relazione all’interesse pubblico perseguito. Carenza motivazionale: la nuova destinazione rende di fatto l’area inedificabile, senza alcuna specifica motivazione sulla scelta così penalizzante per il ricorrente;
2) Eccesso di potere per contraddittorietà. Carenza istruttoria sotto altro profilo, essendo la destinazione definitiva in contrasto con la delibera di intenti, in cui si prevede la conservazione dei contenuti del P.P.A.
3)Violazione dell’art 2 D.M. 1444/68, presentando l’area una vocazione edificatoria.
4) Violazione dell’art 2 D.M. n. 1444/1968 sotto altro profilo. Violazione dei criteri della delibera di G.R. n. 6320 del 13.11.1989. Violazione del principio di tipicità degli atti ammnistrativi: la destinazione impressa non rientra tra le destinazioni previste dal D.M. n. 1444/68;
5) Eccesso di potere per perplessità, irrazionalità ed illogicità. Carenza motivazionale sotto altro profilo. Sviamento dalla causa tipica. l’Amministrazione ha erroneamente inserito una zona agricola all’interno dell’abitato di Monteroni, qualificando senza una adeguata istruttoria l’immobile del ricorrente come “edificio con caratteristiche architettoniche di particolare interesse”.
Costituitosi in giudizio il Comune di Monteroni di Lecce, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione all’inesistenza di posizioni tutelabili particolarmente qualificate in capo al ricorrente ed alla conseguente correttezza dell’azione amministrativa, in rapporto ai criteri di giudizio concretamente applicabili.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo in appello le proprie ragioni.
Alla pubblica udienza del 23 ottobre 2012, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. - Con il primo motivo di diritto, rubricato in tre distinti sottopunti, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza del T.A.R. in relazione: alla mancata pronuncia sulla prima censura nel ricorso introduttivo, dove si è sindacata l’irrazionalità della destinazione impressa alle aree di proprietà dell’appellante, non avendo il TAR valutato come tale imposizione di fatto venisse a precludere qualsiasi utilizzo edificatorio dell’area; all’irragionevolezza ed atipicità della qualificazione come zona destinata “a verde privato” come “sottospecie della zona agricola”, in contrasto con i criteri generali valevoli per la redazione del piano e con la riserva di legge sui limiti apponibili alla proprietà privata; alla non configurabilità di una normale zonizzazione riguardante un’area, stante la carenza delle caratteristiche proprie di tale tipologia di area.
2.1. - Le doglianze non possono essere condivise.
Occorre osservare come il giudice di prime cure abbia fatto precedere la disamina dei singoli punti di doglianza con una premessa teorica di carattere generale.
In particolare, con un esame del tutto in linea con i principi e i criteri seguiti dalla giurisprudenza, ha evidenziato come le scelte urbanistiche costituiscano apprezzamenti di merito, e quindi sottratte al sindacato di legittimità con l’eccezione di quelle inficiate da errori di fatto o da incongruità argomentativa. Sulla scorta di tale premessa, va condivisa l’affermazione per cui le scelte sulla destinazione di singole aree sono congruamente motivate facendo riferimento alle ragioni evincibili dai criteri generali seguiti nell'impostazione del piano regolatore, ossia emergenti dalla relazione illustrativa del piano. Al contrario, la necessità di altri e più incisivi profili motivazionali può essere rinvenuta solo nei casi in cui preesistano particolari situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti, e che quindi, stante l’esistenza di posizioni soggettive meritevoli di specifica considerazione, debbano ricevere una più compiuta valutazione. Tuttavia, tali situazioni, lungi dall’essere riscontrabili in qualsiasi situazione peggiorativa, hanno il loro referente in situazioni oramai tipizzate dalla interpretazione giurisprudenziale (si pensi al superamento degli standards urbanistici minimi, alla lesione dell'affidamento qualificato del privato in rapporto a precedenti convenzioni di lottizzazione, agli accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, alle conseguenze da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4806).
Sulla base di tale ricostruzione, e sulla non contestata affermazione che nel caso in esame non ricorre nessuna di tali ipotesi, il T.A.R. ha potuto ravvisare in capo al ricorrente unicamente una generica aspettativa ad una non reformatio in peius, tale da non giustificare né una particolare tutela, né un obbligo di più puntuale motivazione. La conclusione di tale iter argomentativo è stata quindi nel senso di non poter spingere il proprio sindacato fino al merito delle scelte urbanistiche operate, che rientrano nell'ambito della discrezionalità degli organi preposti all'adozione e approvazione del piano.
Deve pertanto evidenziarsi che, al contrario di quanto dedotto in appello, il T.A.R. abbia correttamente spiegato le ragioni per cui non ha valutato i profili d’irrazionalità censurati, atteso che gli stessi o ricadono in un ambito sottratto alla disamina giurisprudenziale oppure, come si vedrà in seguito, ricadono in altri aspetti di doglianza, partitamente esaminati.
Conseguentemente, non può dirsi immotivata la scelta di procedere ad una classificazione dell’area a “verde privato”, stante l’inesistenza di una posizione particolarmente qualificata a non subire destinazioni peggiorative. Deve condividersi l’assunto del primo giudice che, sulla base del principio generale, ha applicato la stessa tecnica di giudizio anche al caso in specie, atteso che il passaggio dalla destinazione edificatoria, prevista dal previgente piano, a quella di tipo agricolo all’interno di una più ampia zona omogenea con carattere edificabile altro non è che un’applicazione in concreto di quanto sopra evidenziato; né la circostanza dedotta è tale da fare mutare la ratio applicativa sottostante.
Anche in questo caso, infatti, la destinazione a verde privato non richiede motivazione specifica. E, infatti, opportunamente deve farsi ricorso a quella giurisprudenza che ha evidenziato come all’interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710).
Non è dato quindi riscontrare alcuna tipizzazione abnorme o extra ordinem nella vicenda de qua, atteso che il verde privato viene a svolgere una funzione di riequilibrio del tessuto edificatorio, del tutto compresa nelle potestà pianificatorie dell’ente comunale, come peraltro precisamente motivato nella relazione illustrativa, dove si fa riferimento all’intento di “ritrovare un equilibrio nuovo dotando il centro esistente delle infrastrutture e delle aree per verde e servizi necessari”.
Proprio la funzione svolta rende corretta la risposta data dal giudice di prime cure, il quale ha inquadrato la destinazione a verde privato in un’ottica più comprensiva, utilizzabile anche al fine di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale.
Conseguentemente, va respinto anche il terzo profilo del motivo, stante la rilevanza funzionale della destinazione di zona a verde privato.
3. - Con il secondo motivo di diritto, viene gravata la censura sub B) del primo motivo di diritto, sollevata in tema di carenza motivazionale sulla scelta di tipizzazione peggiorativa nei confronti dell’area, evidenziando come le ragioni addotte mostrino una ostilità verso il ricorrente e una parzialità, non avendo considerato la posizione interclusa del fondo.
3.1. - La doglianza non ha pregio.
Come sopra evidenziato, la situazione del fondo escludeva la necessità di una motivazione di particolare puntualità. Né peraltro pare condivisibile la lettura della detta area come lotto intercluso, attesa la funzione eccezionale di tale concetto (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699 e tale quindi da escludere l’estensione analogica della sua applicazione) e la tipologia dell’area (che, affacciando su due diverse strade, non pare riconducibile a tale ambito). In ogni caso, va ricordato come la nozione di “lotto intercluso” abbia una sua valenza quando non si rinvenga spazio giuridico per un'ulteriore pianificazione, mentre non è applicabile nei casi, come quello in esame, di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l'effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Consiglio di Stato, sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7799).
La particolare posizione, come evidenziata dalla parte appellante, non rientra quindi, come si ripete, tra quelle a cui la giurisprudenza connette una situazione di particolare affidamento, per cui le ragioni sopra esposte e la considerazione di una avvenuta corretta giustificazione delle scelte addotte possono essere pienamente richiamate.
4. - Con il terzo motivo di diritto, si lamenta la mancata considerazione della fissazione dei criteri di formazione e indirizzo del piano, dati con delibera n. 54 del 13 febbraio 1989, con particolare riguardo alla necessità di ricucire il tessuto urbano esistente attraverso il recupero degli spazi destinabili a servizi, criterio leso dalla tipizzazione a verde dell’area. La detta ragione di doglianza trova poi adeguata precisazione nel quarto motivo di ricorso (pag. 11 dell’appello e tuttavia rubricato con il n. 3), dove viene censurata la mancata considerazione della destinazione di area come zona di completamento, secondo quanto previsto nel vecchio PPA del Comune, nonostante che i criteri generali prevedessero la conservazione di tali prescrizioni per il restante periodo di validità.
4.1. - La doglianza non può essere condivisa.
La contraddittorietà evidenziata, in rapporto a due diversi criteri generali, non è evincibile dalla lettura degli atti. Va, infatti, ribadito come la delibera di intenti contenga, tra gli obiettivi generali, proprio quello “di ricucire il tessuto urbano esistente, recuperando tutti i possibili spazi da destinare a servizi, con priorità per il verde”, nonché “di salvaguardare il patrimonio edilizio privato di carattere ambientale e artistico”. La scelta pianificatoria appare quindi del tutto coerente con le priorità fissate.
5. - Con il quinto motivo (pag. 13 dell’appello e tuttavia rubricato con il n. 4) si censura la mancata considerazione della naturale vocazione edificatoria delle aree in questione, in quanto aventi le caratteristiche di cui alle zone B di cui all’art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968.
5.1. - La doglianza non ha pregio dogmatico.
In disparte la contestabilità dell’impiego in questa sede della nozione di naturale vocazione edificatoria (che postula la preesistenza di una edificabilità di fatto ed è quindi concetto impiegato propriamente nelle sole vicende espropriative), stante la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell’amministrazione, occorre rilevare come le caratteristiche dell’area risultino del tutto chiare nella relazione illustrativa, dove si evidenziano le caratteristiche dell’area in rapporto alle costruzioni esistenti.
6. - L’appello va quindi respinto. Nulla per le spese.
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