Quei non-luoghi sono espressione e, a un tempo, strumento di una profonda trasformazione del mondo che è azionata oggi da quel complesso di poteri che trova del neoliberismo la sua ideologia-non ideologia. Una trasformazione che sta riducendo ogni bene a merce, ogni cittadino a consumatore, e ogni diverso a nemico. E non a caso i due requisiti più apprezzati dagli outlet villages vestiti da finti paesi o da baracconi da fiera, come dalle “cento piazze” delle ferrovie e degli aeroporti, sono costituiti da dallo shopping e dalla sicurezza.
Qualcuno definisce i non-luoghi come “spazio democratico”. Ma democrazia significa essere padroni del proprio destino, mentre la “gente” che affolla i non-luoghi assomiglia alle folle del film Metropolis: massa di soggetti schiavi di un potere che, benché invisibile e impersonale, non è per ciò meno autoritario.
Bisogna governare i super-spazi, si dice. Ma per farlo occorre in primo luogo rendersi conto che essi, oltre a essere espressione di quella trasformazione del mondo, ne sono anche strumento. Favorirne la crescita, renderli più accattivanti, significa accrescere la potenza d’uno strumento di per sé malevolo. Governarli deve significare invece riprendere e rinnovare gli strumenti del controllo pubblico delle trasformazioni, a cominciare dalle utilizzazioni delle diverse parti della città: arricchire di spazi comuni e di luoghi aperti dello scambio (non solo mercantile) le periferie; restituire alla complessità e alla ricchezza sociale della vita urbana, gli spazi pubblici; ripristinare in ogni parte della città quella mixitè che ne è l’attributo più rilevante. Privilegiare, insomma, gli obiettivi sociali del governo della città su quelli mercantili.
Nella speranza che i cittadini, grazie a una democrazia rinnovata, siano più potenti della WalMart, dell’Ikea e delle altre multinazionali, le quali pianificano e progettano la città di un domani inquietante.
Sull'argomento vedi anche Mazzette su eddyburg, Erbani su Repubblica del 31 ottobre 2007, Tozzi su il manifesto del 23 ottobre 2007, e il testo di Agnoletto, Delpiano e Guerzoni