Certo ognuno ha i guai suoi, ma a quanti si dicono giustamente preoccupati per la vittoria dei giorni scorsi di Milano, vorremmo ricordare che in Campania con la prossima (e ultima, per grazia di Dio) tornata di aiuti comunitari, pioveranno entro il 2013 oltre 14 miliardi di euro, una bella sommetta, sufficiente a metter su un almeno un paio di Expo, o una nuova ricostruzione in Irpinia.
Si tratta di una partita importante, e infatti Bassolino ha ultimamente dichiarato che il principale motivo delle sue mancate dimissioni è proprio la necessità di completare la programmazione dei fondi strutturali.
Cosa intenda fare la Regione di tutti questi soldi è scritto nel documento strategico, redatto prima dell’ultima crisi dei rifiuti, tutto basato su un rosario di slogan tra il suggestivo e il tautologico (“La Campania si fa bella”, “Il mare bagna la Campania”), che nei giorni tristi che stiamo vivendo suonano in verità un po’ sinistri.
Poche righe sono dedicate al contrasto della criminalità (che secondo il Sole24Ore controlla il 32% del Pil regionale), mentre la crisi dei rifiuti viene sbrigativamente spiegata con l’opposizione delle popolazioni locali agli inceneritori.
Ad ogni modo, la novità principale, rispetto al precedente periodo 2000-2006, è la concentrazione del 60% delle risorse su una trentina di grandi progetti, per evitare finanziamenti a pioggia. Nulla di male naturalmente, se i progetti rappresentassero risposte appropriate alle molteplici crisi strutturali che attanagliano la regione.
Invece, forse proprio in ossequio all’emergenza in corso, il criterio di compilazione della lista è quello che gli analisti di politiche pubbliche chiamano scherzosamente garbage can (bidone della spazzatura), sarebbe a dire che tutto fa brodo, purché si faccia in fretta.
Con il risultato che i fondi per uscire dall’emergenza rifiuti sono stati inseriti sotto dettatura della Commissione europea, mentre quelli per bonificare i lacerti di Campania felix martoriati dai rifiuti tossici sono stati affannosamente recuperati in extremis, dopo che Coldiretti ha gettato sul tavolo una petizione con 100.000 firme.
Naturalmente, ogni riferimento al Piano territoriale regionale ed alla programmazione settoriale è accuratamente evitato, anzi la pianificazione vigente viene considerata il più fastidioso ostacolo allo sviluppo, come le rocce vaganti che Odisseo deve scansare nella sua perigliosa navigazione.
Alla fine, in un tragico errore di prospettiva, l’unico obiettivo esplicitamente indicato da Bassolino è quello della capacità di spesa, in barba a regole vincoli procedure, perché altrimenti si perdono i fondi, e qui il ricordo non può non andare al CAF e all’aria frizzante che tirava negli anni ‘80, prima dello scoppio di Mani pulite.
Esattamente il contrario di quanto sommessamente dichiarato dal ministro Bersani, secondo il quale, in assenza di obiettivi chiari, è meglio lasciar perdere e darsi una calmata, così almeno si evitano ulteriori danni.
Il patrimonio ambientale del Carso
Il Carso, che rappresenta gran parte della superficie delle Province di Trieste e Gorizia e che si estende anche ad est nel territorio della Repubblica di Slovenia, racchiude un insieme di ecosistemi ed un paesaggio di grandissima valenza ambientale e culturale. Ne è una riprova il fatto che quasi l’intera estensione di questo territorio è ricompresa all’interno di SIC (Siti di importanza comunitaria) e ZPS (Zone di protezione speciale), individuati in base ai precisi criteri scientifici indicati dalla direttive europee “Habitat” 92/43/CEE e “Uccelli” 79/409/CEE, tanto sul versante italiano, quanto – e ancor di più – su quello sloveno. Per questo motivo, da almeno un quarantennio, si susseguono le proposte per un’efficace tutela di tale straordinario patrimonio. Proposte, però, quasi tutte rimaste (almeno in Italia) lettera morta, malgrado il sostegno del mondo scientifico, dell’associazionismo ambientalista e di ampi settori dell’opinione pubblica.
Oggi, soltanto alcuni limitati lembi di territorio carsico sono effettivamente tutelati, in Italia, dalla legge del Friuli Venezia Giulia sulle aree protette (la n. 42 del 1996): si tratta di 5 riserve naturali regionali, le quali coprono un’estensione complessiva di poco più di 2.000 ettari, rispetto ad un’estensione complessiva delle aree carsiche in territorio italiano che supera i 25.000 ettari. Molto più grandi sono, naturalmente, i perimetri – sovrapposti tra loro - dei già citati SIC (9.648 ha) e ZPS (12.190 ha), privi però a tutt’oggi dei prescritti piani di gestione, così come mancano ancora – a 12 anni dall’approvazione della legge che le istituì - i Piani di Conservazione e Sviluppo per quasi tutte le riserve naturali citate.
In questo quadro, è evidente che un ruolo importante per la tutela del territorio carsico (e del suo straordinario sottosuolo, che rappresenta una parte fondamentale del pregio naturalistico, per l’enorme concentrazione di cavità e fenomeni carsici ipogei, in gran parte ancora inesplorati) spetta agli strumenti della pianificazione territoriale ordinaria, piani regolatori comunali in testa.
L’urbanistica dei Comuni carsici
I PRGC dei Comuni carsici non hanno dimostrato, generalmente, un’adeguata attenzione alle problematiche legate alla tutela del territorio (e del sottosuolo) carsico. Ne sono una prova lampante quello di Trieste, approvato nel 1997 (sindaco Riccardo Illy), ma anche quelli dei Comuni minori. Fa – o meglio faceva - eccezione il PRGC di Duino-Aurisina, approvato nel 1999 e redatto da Edoardo Salzano, Luigi Scano e Mauro Baioni. La nuova amministrazione comunale di centro-destra subentrata nel 2002, però, non paga di aver spianato la strada alla cementificazione della Baia di Sistiana, ha progressivamente svuotato il PRGC vigente di molti dei suoi elementi qualificanti, prima con la variante “agricola” e poi con un’ulteriore variante approvata nel 2007. Con il pretesto di dare risposta alle pressanti esigenze – solo presunte ma insistentemente manifestate - dei cittadini per nuove residenze o attività produttive (il figlio che deve metter su famiglia, l’azienda agricola che necessita di mega-serre, ecc.), si è riaperta la strada all’edificazione diffusa, che già tanti guasti aveva prodotto nei decenni precedenti.
Il PRGC di Sgonico
Il Comune di Sgonico, in provincia di Trieste, esteso su 3.130 ettari di territorio interamente carsico e senza affaccio al mare, è certo sottoposto a pressioni edificatorie di entità molto inferiore a quelle che hanno interessato Trieste e Duino-Aurisina. Almeno finora. Di recente, infatti, è stata adottata la variante n. 12 al PRGC (a tutti gli effetti un nuovo piano regolatore generale), che apre ampi varchi all’invadenza dello sprawl edilizio.
Va detto subito che gli stessi dati citati dai redattori della variante dimostrano l’inesistenza di un disagio abitativo nel Comune. A fronte dei 2.203 residenti nel 1996, se ne contavano infatti 2.099 nel 2006. Al censimento del 2001 (quando i residenti erano 2.226) risultavano occupate 826 abitazioni, mentre 89 erano quelle non occupate.La volumetria disponibile pro capite è pari a 280 m3/ab. nelle zone “B” e di 355 m3/ab. nelle zone “A” (si ricorda che la dotazione prevista dal Piano urbanistico regionale generale del 1978 era pari a 100 m3/ab…). Appare verosimile quindi che oggi, essendo diminuito il numero dei residenti, le abitazioni non occupate siano ulteriormente aumentate, anche se nel corso degli anni si è riscontrata una riduzione del numero di componenti per famiglia (2,72 nel 1995 e 2,46 nel 2006).
Malgrado ciò, la variante postula – senza giustificarlo in modo convincente - un “fabbisogno” di 58 nuove abitazioni, alle quali corrispondono 143 nuovi residenti (teorici). E’ previsto infatti un notevole ampliamento delle zone residenziali, la cui superficie complessiva passerebbe dai 654.987 metri quadrati del piano vigente a 778.144. A fronte di un futuro incremento (teorico) dei residenti pari al 6,8 per cento si programma quindi di aumentare del 18,8 per cento l’estensione delle aree da urbanizzare a fini di residenza.
Si tratta, dichiara ipocritamente la variante, di zone “B”, cioè “di completamento”, che nella prima versione della variante erano definite – correttamente - zone “C” di espansione. Era però arduo giustificare l’esigenza di ulteriori espansioni residenziali, a fronte di un calo demografico come quello che emerge dai dati sopra citati: la fantasia italica (anche se il Comune in questione è abitato in grande prevalenza da cittadini di lingua e cultura slovena, sindaco compreso) ha quindi prontamente provveduto a ridesignare le aree in questione.
Oltre 12 ettari di territorio carsico verrebbero quindi sacrificati per far posto a ville e villette, per di più in buona parte “sgranate” irrazionalmente lungo gli assi viari. Ma il consumo di territorio agricolo e naturale non si limiterebbe a questo. La variante prevede infatti anche notevoli ampliamenti delle zone industriali-artigianali e di quelle commerciali. Il principio della limitazione del consumo di suolo, sancito – sia pure soltanto a parole – anche nella (pur pessima) legge urbanistica regionale 5/2007, viene così tranquillamente ignorato.
Non basta: la variante considera attive due cave di pietra, abbandonate in realtà da circa 25 anni, che ricadono entro il perimetro del SIC e della ZPS: l’abbandono dell’attività estrattiva ha permesso l’insediamento di formazioni vegetali e specie animali che la riapertura ovviamente comprometterebbe, come sottolinea anche la relazione di incidenza che accompagna il nuovo strumento urbanistico, laddove si evidenzia come le aree in questione rivestano una “forte vocazione per il gufo reale”.
Ancora: come buona parte del territorio del Friuli Venezia Giulia, specie lungo la fascia di confine, anche il Comune di Sgonico era interessato da varie aree militari (una caserma, una polveriera, un piccolo aeroporto), dismesse da tempo. In proposito, però, la variante al PRGC contiene invece soltanto la vaga indicazione di un riuso per “funzioni di interesse pubblico”, mentre le stesse aree si presterebbero sia ad un riuso almeno in parte residenziale, in alternativa alla “villettizzazione” del territorio non urbanizzato, sia (l’ex polveriera, sita all’interno del SIC e della ZPS) ad un oculato intervento di rinaturalizzazione.
Quanto alle zone agricole, la normativa della variante appare più funzionale alla regolamentazione di “zone edificabili a bassa intensità”, piuttosto che di aree produttive del settore primario. Vi è, ad esempio, un’ambigua norma che esclude il mutamento delle destinazioni d’uso da agricola a residenziale, a seguito degli ampliamenti ammessi, degli edifici esistenti all’interno di SIC e ZPS: se ne deduce che in caso di analoghi ampliamenti in edifici esterni a SIC e ZPS il mutamento di destinazione d’uso sia ammesso. Il che, ovviamente, equivale alla creazione surrettizia di nuove zone residenziali “B” (o “C”?) anche in aree agricole. Viene poi consentita la costruzione di serre (altezza massima 3,20 m.) a libera localizzazione e senza vincoli dimensionali in lunghezza, mentre nella maggior parte delle zone agricole è ridotta a 1.000 m2 la superficie del lotto minimo edificabile.
La variante individua poi i “perimetri di insediabilità” per nuove edificazioni nelle zone di preminente interesse agricicolo”, per le quali è altresì ammessa un’altezza massima decisamente pari a 7,50 m. Tali perimetri sono ben 35 e non sono - in molti casi – affatto “in continuità o vicinanza ai centri edificati” come dichiarato nella normativa. Quanto agli aspetti paesaggistici (gran parte del territorio comunale è soggetto a vincolo ex art. 136 e 142 del D. Lgs. 42/2004) le prescrizioni della normativa di PRGC si limitano a indicare che gli interventi su edifici esistenti “dovranno tendere all’integrazione morfo-tipologica dei nuovi volumi curando l’omogeneità dei materiali (e i colori? – NdR)”, mentre per i nuovi interventi le tipologie dovranno “tendere alle soluzioni architettoniche dell’edilizia tradizionale locale”.
Nessuna previsione di un abaco delle tipologie edilizie ammesse, sulla scorta di quanto previsto in altri PRGC (ad esempio Duino-Aurisina). Nessuna prescrizione neppure per quanto concerne strutture ed infrastrutture ad elevata incidenza paesaggistica (es. interramento di linee elettriche e telefoniche, disposizioni sulle modalità di realizzazione di muri divisori, recinzioni, divieto di collocazione di roulottes in aree classificate agricole, ecc.).
Conclusioni
Sia pure su scala più ridotta rispetto ad altri Comuni, anche Sgonico pare aver scelto un approccio urbanistico sostanzialmente incurante sia dei limiti che il pregio naturalistico e paesaggistico dei luoghi, sia della realtà demografica. Un approccio funzionale di fatto agli interessi della rendita immobiliare, ai quali viene di fatto sacrificata la qualità del territorio e quindi anche la prospettiva di un suo uso sostenibile.
Il che dimostra una volta di più quanto pericoloso sia abbandonare (come accade con la legge urbanistica ed il Piano territoriale regionale del Friuli . Venezia Giulia) all’arbitrio dei comuni la gestione di territori preziosi, in assenza di linee guida e di serie normative sovraordinate per la tutela dei beni paesaggistici e naturalistici.
Spetterà ora al prosieguo dell’iter della variante l’eventuale correzione almeno delle storture più evidenti. Sarà interessante leggere il parere del competente ufficio regionale (visti altri precedenti e l’impostazione generale della politica territoriale, non c’è da attendersi nulla di buono) e vedere cosa accadrà in consiglio comunale al momento dell’approvazione definitiva.
Ultimo dettaglio non irrilevante: il Comune di Sgonico è retto (da sempre) da una maggioranza di centro-sinistra.
L’autore è Responsabile settore territorio del WWF Friuli Venezia Giulia
Il Coordinamento del Gargano per il risanamento e la prevenzione delle aree boschive incendiate, che comprende associazioni ambientaliste, circoli politici, cittadini, ritiene necessario un chiarimento a beneficio dell'opinione pubblica. Il catasto delle aree boschive incendiate, come strumento tecnico, esiste fin dall'entrata in vigore della legge 353/2000 che lo prevede. Il problema è che non è stato adottato dalla maggioranza dei comuni italiani. Precisamente, i Coordinamenti territoriali ambientali (organismi del Corpo forestale dello stato che operano nei parchi) ogni anno effettuano la perimetrazione delle aree incendiate tramite uno strumento (il Gps) collegato al satellite, cui danno un profilo informatico facilmente sovrapponibile alla mappa catastale usando dei software (ad es. autocad) normalmente in possesso delle pubbliche amministrazioni comunali.
In Puglia, il Coordinamento del Corpo forestale di Bari produce ogni anno, dal 2000, il Cd delle perimetrazioni e lo offre con comunicazione scritta ai comuni, che risultano non avere fatto la banale operazione informatica di accatastamento, che è senza costi, senza complessità né lunghi tempi e di cui tra l'altro avrebbero dovuto, per legge, prendere l'iniziativa loro stessi, con l'ausilio della forestale. E' quanto dichiarato dal dottor Mastrorilli del Corpo forestale di Bari, che detiene le suddette comunicazioni scritte protocollate e dai C. t. a. consultati (anche di altre regioni). L'omissione è talmente grave che ci sembra importante anche informare e tenere desta l'attenzione dell'opinione pubblica. Grave perché non prevenire con il catasto, in particolare attività edilizie, ha per conseguenza situazioni difficilmente e pericolosamente reversibili perché di fatto si richiedono denunce di cittadini in zone con criminalità, oltre a incrementare aspettative illecite foriere di nuovi incendi. Il Gargano anche negli anni precedenti è stato devastato da incendi, ma la maggior parte dei comuni non ha provveduto al catasto delle aree colpite.
Pertanto invitiamo le Procure di Lucera e di Foggia nonché le altre Procure italiane a indagare su eventuali reati, in particolare l'omissione di atti d'ufficio (la legge 353/2000 obbliga i comuni all'accatastamento entro 90 giorni dall'approvazione del piano regionale antincendio che in Puglia è stato emanato nel 2004).
L'attenzione delle Procure dovrebbe anche concentrarsi sulle mancate ordinanze sindacali di abbattimento dei manufatti edilizi abusivi quando appaia evidente la dolosa omissione: le iniziative dei privati comportano rischi e per questo non sono molto frequenti.
Infine, si rileva che la l. 353 sanziona amministrativamente il pascolo in aree incendiate per cinque anni. Invece nel Gargano risulta che aziende di allevamento anche con centinaia di capi di bestiame lo pratichi senza eccessivi problemi, venendo meno il deterrente a eventuali interessi incendiari: sarebbe facile averne indizio dall'amministrazione preposta rapportando numero dei capi (dato Asl) e terre da pascolo ufficialmente possedute.
Menuccia Fontana, pres. Italia Nostra sez. Gargano; Franco Salcuni, resp. Legambiente Gargano; Carlo Fierro), resp. Wwf Foggia; Enzo Cripezzi, resp. Lipu; Prc; Se; Giuseppe Comparelli, segr. Circolo di Vico del Gargano; Donatella Frisullo, coordinatrice
Caro direttore, è ancora convinto il presidente della giunta regionale, Bassolino, che l'iniziativa dell'Auditorium a Ravello, promossa da De Masi, presidente dell'omonimo Festival, e sostenuta pervicacemente dalla Regione Campania, costituirà una posta attiva del bilancio della sua carriera politica?
Diversi segnali fanno pensare il contrario. Anni orsono De Masi ha «abbagliato» Bassolino pronunciando un nome: Niemeyer! Al grande architetto brasiliano De Masi aveva infatti commissionato il disegno per un progetto di un Auditorium a Ravello. Nessuno però aveva detto a Niemeyer, che è ormai vicino alla soglia dei cento anni e non poteva venire a Ravello, che la localizzazione panoramica del sito prescelto per l'Auditorium era in contrasto con la normativa del piano urbanistico territoriale della costiera sorrentino-amalfitana. Si doveva operare una variante al Put, ma la procedura era lunga e poi si creava un precedente. No problem. Lo strumento dell'accordo di programma ha consentito di bypassare il Put per dare corso a quella che Bassolino considerava una impresa culturale memorabile.
È stato anche superato l'ostacolo di una sentenza del Tar di Salerno (agosto 2004), che accoglieva un ricorso di Italia Nostra. Il Consiglio di Stato (maggio 2005) senza entrare nel merito e ribaltare la sentenza del Tar, ha respinto il ricorso di Italia Nostra per un vizio formale. Ormai sta per iniziare la costruzione dell'Auditorium. Tuttavia il Festival di Ravello, nato in omaggio a Wagner, dà segni preoccupanti di stanchezza: la Walkiria, programmata per il 21 luglio scorso, è stata cancellata: meno di cento prenotazioni! «Il pubblico — ha affermato sconsolatamente De Masi in un comunicato — ama Wagner sempre di meno». E questo avviene d'estate. Cosa succederà d'inverno?
Hanno espresso il loro scetticismo sull'Auditorium Roberto De Simone e Gioacchino Lanza Tomasi perché nessuno può immaginare che il pubblico vada d'inverno ad ascoltare musica nelle brume di Ravello. La realtà è diversa. Come tutti sanno, meno Bassolino: gli albergatori di Ravello da tempo chiedono legittimamente di restare aperti tutto l'anno, e quello che si sta per costruire a Ravello è un centro-congressi. Una struttura destinata a ospitare congressi di categorie professionali. A questo punto De Masi ha tutto l'interesse a trasferirsi altrove prima che Bassolino si accorga di aver sostenuto un'iniziativa che non ha nulla di culturale. Anzi è una mistificazione. L'opzione prioritaria di De Masi sarebbe il Teatro San Carlo di Napoli recentemente commissariato. Infatti sono comparse sulla stampa alcune sue proposte per «risanare» il San Carlo, proposte che fanno trasparire la sua viva aspirazione di sostituire il soprintendente Lanza Tomasi. Nella convinzione peraltro di poter contare sui tradizionali appoggi politici, per cui passerebbe in terzo ordine la circostanza che la sua competenza musicale è tutta da dimostrare, mentre è riconosciuta a livello internazionale quella di Lanza Tomasi.
Sono indotto ora alla conclusione che segue dopo aver constatato la serietà delle indagini senza remore sui rifiuti condotte dalla magistratura di Napoli. Che succede invece a Salerno? Giace da ottobre 2006 presso la procura della Repubblica salernitana un esposto-denuncia della presidenza nazionale di Italia Nostra contro l'ormai avviata costruzione dell'«Auditorium» di Ravello. Infatti è ancora valida la sentenza del Tar di Salerno, che ha proclamato forte e chiaro: la struttura in quel sito è illegale, quindi abusiva. Sollecitiamo pertanto il procuratore della Repubblica di Salerno, Apicella, a dare impulso e concludere senza remore le indagini prima che l'opera venga illegittimamente realizzata.
L’autore è Presidente di Italia Nostra, sezione di Napoli
«Incendi estivi, trivelle in Val di Noto, abusivismo sulla Costiera amalfitana o in Val d'Orcia, emergenza spazzatura a Napoli. La misura è colma. L'Unesco ha messo in mora l'Italia. Se non facciamo nulla sul fronte della difesa dell'ambiente e del territorio, nel 2008 dovremo cominciare a digerire la prima esclusione di un sito dalla lista del patrimonio dell'umanità Perderemo la leadership mondiale che abbiamo oggi, perché non sappiamo difenderla. La Spagna, che è seconda, è pronta a sorpassarci». È profondamente amareggiato Giovanni Puglisi, 62 anni, rettore dell'Università Iulm di Milano e presidente della Commissione nazionale Unesco per l'Italia. E a sentire le sue parole si ha la netta impressione che il livello di fiducia dell'Unesco verso l'Italia (che ha 41 siti patrimonio dell'umanità contro i 40 della Spagna) sia in caduta. Proprio ieri il Governo ha scelto Napoli come candidata a ospitare nel 2013 il Forum Unesco delle culture.
Presidente, quale sito italiano va verso l'espulsione dal patrimonio mondiale dell'umanità?
Si tratta delle Isole Eolie, che sono state introdotte nella Lista nel 2000. Da allora in avanti le prescrizioni dell'Unesco, gli accordi che accompagnano il riconoscimento, non sono state rispettati. In pratica, la cava di pomice di Lipari non è stata chiusa, mentre è in via di realizzazione un maxiporto turistico non contemplato dagli accordi. Le Eolie a giugno 2008 vanno fuori dalla lista dei siti Unesco. A meno di ardui recuperi in extremis, ma non ne vedo.
Una brutta bocciatura per il nostro Paese.
Troppi i segnali inquietanti. Basti pensare che il 2007 è stato il primo anno in cui l'Italia non ha ottenuto alcun nuovo ingresso di siti nella lista mondiale. È stata una situazione difficile, penosa. La potrei definire una sberla.
Cosa è successo?
L'Italia è stata invitata ritirare la candidatura delle Dolomiti, mentre quella della Valnerina non è stata più presentata in extremis.
Sulle Dolomiti uno scivolone imperdonabile.
Quando gli esperti dell'Unesco hanno esaminato la candidatura delle Dolomiti e si sono recati in loco hanno trovato una situazione troppo confusa sul piano gestionale.
E la Valnerina?
La Cascata delle Marmore è splendida. Ma ci è stato fatto capire che l'Italia avrebbe dovuto scegliere, prima di formalizzare la candidatura, tra la prosecuzione della produzione di energia elettrica e la difesa del territorio.
Napoli rischia?
Sicuramente sì, ho scritto tante volte a Bassolino e alla Iervolino. Nessuno si rende conto che il centro di Napoli oggi umiliato dall'emergenza rifiuti, appartiene all'intera umanità. Ho segnalato il degrado anche alla Presidenza della Repubblica. Il paradosso è in Costiera amalfitana: ci sono più richieste di condoni degli stessi abitanti.
E le trivelle in Val di Noto?
Il governatore Cuffaro ha i poteri per intervenire subito e bloccare tutto per sempre. Meglio un atto preciso e rapido, ora, che imbarcarsi nel varo di una legge regionale, che porterebbe via del tempo. La Sicilia deve decidere. Una revoca immediata della concessione a effettuare trivellazioni petrolifere, cui la recente sentenza del Tar lascia aperta la porta, è un atto indispensabile per dare un segnale forte e chiaro anche su altre questioni importanti ancora aperte nell'isola.
Quali?
Mi riferisco in particolare all'area di Porto Empedocle, limitrofa alla Valle dei Templi, l'area archeologica di Agrigento inserita nel patrimonio dell'umanità nel 1997. La realizzazione di un impianto di rigassificazione a Porto Empedocle crea problemi gravissimi.
Uno sfregio dopo l’altro. Ma non paga nessuno
Enzo Ciaccio – Il Mattino, 21 agosto 2007
Abusi a destra, abusi a sinistra. E abusi in alto. E pure in basso. La terrazza crollata sugli scogli di Conca dei Marini era (ed è) letteralmente circondata da altri manufatti abusivi: eccoli, sono ancora lì, sgarri criminali alla natura, illeciti in mezzo agli illeciti, a mezzo passo dalla tragedia. Via i grandi teli, quelli che - con la scusa di proteggere i limoni - occultavano i cantieri fuorilegge. Ora resta la nuda pietra. E luccicano i sigilli, simbolo del «fermi tutti» e di uno Stato che non ce la fa ad arrendersi. Si tratta di costruzioni illegali messe sotto sequestro nei mesi scorsi dalla magistratura di Salerno dopo le indagini pazientemente effettuate via mare dagli uomini della Guardia di Finanza guidati dal capitano Alessandro Furnò e coordinati da Napoli dal comandante della sezione navale che ha giurisdizione fino a Sapri, il maggiore Giacomo D’Amico. Gli uomini delle Fiamme gialle, che fanno parte del Reparto operativo aeronautico e navale guidato dal colonnello Senese, hanno individuato in quell’area, durante i mesi scorsi, un grande solarium in cemento armato annesso a un Bed and breakfast già attivo, la nuova ala di una villa preesistente con conseguente realizzazione di nuove camere in cemento a pochi metri dal mare, una costruzione bloccata quando i lavori di rifinitura erano ancora allo stadio iniziale, un’altra villetta situata più in alto, quasi sulla strada nazionale, rispetto alla terrazza crollata. Tutto abusivo. Tutto illegale. Tutto ad altissimo rischio, pietre e cemento rubati senza criterio alla montagna sfregiata. E chi se ne importa del piano regolatore (di cui non si ha traccia) o dei vincoli della Soprintendenza (che invece esistono e restano rigorosi). Tutto sotto sequestro, con tanto di sigilli nella speranza (purtroppo assai vaga) che in tempi accettabili sarà possibile giungere a un dibattimento che consenta la sentenza. Già, ma perchè - allora - le forze dell’ordine che sono riuscite a intervenire su queste strutture illegali, stoppandone la realizzazione, nulla hanno potuto per impedire che fosse installata quella terrazza in legno di pino poi crollata seminando lacrime e lutti? Braccia allargate, di chi si sente sconsolato. Lasciano intendere gli uomini delle Fiamme gialle: «Possiamo intervenire laddove riusciamo a vedere lavori in corso. E cantieri in azione. Poco o nulla possiamo fare di fronte a una anonima terrazza in legno, di cui non conosciamo storia e connotati. Indagare? Senza elementi, è davvero complicato». Tranne il famoso Fuenti, quell’hotel abusivo diventato alla fine degli anni ’90 emblema, simbolo e fotografia di tutti gli illeciti perpetrati in Campania, nessuna struttura illegale è mai stata abbattuta qui in Costiera. Si procede a colpi di sequestro: finora ventidue, da parte delle Fiamme gialle, in questo 2007 che continua. 88 le persone denunciate, conferma Legambiente che ha studiato il fenomeno. Una cifra da brividi, 53 milioni di euro, il valore degli immobili giudicati illegali. A colpi di sequestro. Ma a ritmi burocratici che procedono al passo di lumaca. In compenso, fioccano le prescrizioni. Per scadenza di termini. E le sanatorie, che si succedono a grappoli, come ciliege avvelenate. E gli abbattimenti? Niente. Non una sola pietra dell’enorme villaggio illegale è stata buttata giù come imporrebbe la legge. Omissione inquietante. E scandalosa, visto che si parla di una delle coste più belle del mondo. I motivi di tale impotenza? Tanti. E da approfondire, perchè proprio nell’assenza degli abbattimenti si fonda, secondo gli operatori più attenti, il diffuso senso di impunità che divampa tra chi specula. «Un’impunità - sussurrano esponenti delle forze dell’ordine - che incentiva nuovi abusi e rende il fenomeno quasi ingovernabile nonostante la crescente opera di repressione». Fa notare il maggiore Giacomo D’Amico: «La costiera è lunga venti miglia. Coste alte, coperte da una fitta vegetazione. Abbiamo scovato abusi che perfino da mare risultavano quasi invisibili. A parte i famosi teloni dei limoneti, chi fa illecito ha imparato a mimetizzare perfettamente il cantiere fino a confonderlo con la montagna. Solo occhi esperti sanno guardare oltre quel che appare. Oggi? Il fenomeno mi sembra in una fase di stallo. Però state certi che, finita l’estate, riprenderanno a sfregiare la montagna. Segnalazioni di abusi? Dalla gente ce ne arrivano a valanga. E spesso ci spediscono pure le foto». Ravello è il paese più tartassato, almeno stando al numero dei cantieri sequestrati. Colpa delle sue frazioni, pare, difficilmente controllabili. Segue Amalfi, nella triste classifica. Poi Positano, dove però si annidano tanti «delitti perfetti», cioè illeciti così ben occultati che nessuno riuscirà mai a scoprire. Conca dei Marini e Furore seguono a breve distanza. «Dei tredici Comuni di Costiera - fanno notare gli uomini delle Fiamme gialle - solo pochi sono dotati di piano regolatore». Niente regole, dunque. Ciò in un’area tra le più appetite, dove un metro quadro di terreno ex agricolo arriva a costare diecimila euro. Niente regole, e - dove ci sono - facili da eludere. E così anche una piccola casetta sotto i limoni, costruita alla men peggio da piccole ditte di paese che trasportano gli attrezzi di notte a dorso di mulo o di asinello, qui si trasforma in un business da nababbi. Milionario. Anzi, ultra-milionario. E insaziabile. (1/continua)
I sigilli, l’abbandono. E lo sfregio raddoppia
Enzo Ciaccio – Il Mattino, 22 agosto 2007
«Tra il ’96 e il 2000, col sindaco di Eboli Gerardo Rosanìa, abbattemmo quasi cinquecento costruzioni abusive che avevano deturpato la pineta. Non fu facile: subimmo minacce di ogni sorta. Per alcuni giorni il litorale di Salerno venne tappezzato di manifesti ingiuriosi. Eppure, buttammo tutto giù nonostante le proteste. Da allora, nella pineta fra Battipaglia e Eboli, a nessuno più è venuta voglia di erigere case abusive». Illegalità in costiera: quest’anno i carabinieri di Amalfi hanno denunciato 190 persone, di cui 24 anche perchè avevano violato i sigilli. 105 sono finora i cantieri sottoposti a sequestro. «Fenomeno in crescita», fa sapere il capitano Enrico Calandro, che comanda la compagnia di Amalfi. «Ma di abbattimenti - aggiunge amaro - non si intravede traccia». «Già, in costiera non si abbatte. E ciò, oltre che l’ambiente, danneggia anche i Comuni che vedono intaccato il loro diritto-dovere di pianificare il territorio»: il sostituto procuratore Angelo Frattini si occupa di reati ambientali dal 1993. In questi anni ha maturato la convinzione che bisogna abbattere con determinazione tutto quel che è fuorilegge. Abbattere, senza se e senza ma. «È l’unico modo efficace - avverte - per combattere la tentazione agli abusi». Perciò ricorda con foga la famosa (e riuscitissima) operazione di Eboli, dove il Tar, il tribunale amministrativo regionale, non concesse neppure una sospensiva. E racconta: «A buttar giù i manufatti illeciti dovrebbero essere soprattutto le amministrazioni comunali, che la legge mette in condizione di poter agire seguendo un iter molto più rapido rispetto a quello giudiziario, oberato da troppe pratiche e assillato dai tempi di prescrizione che, per questi reati, sono molto ridotti». I sindaci però si giustificano: spiacenti, non è così semplice. Abbiamo pochi vigili urbani. Le sospensive incombono. E non abbiamo i soldi per abbattere. Il magistrato sorride. È una polemica garbata, però mica inedita: «I Comuni - fa sapere - possono attingere a fondi regionali. E poi, se non ricordo male, il sindaco di Eboli non ebbe remore a far ricorso a un mutuo pur di procedere agli abbattimenti. Si tratta peraltro di spese per le quali ci si può poi rivalere su chi ha commesso l’abuso». Discussioni a parte, resta un appuntamento: alla ripresa di settembre la procura di Salerno chiederà ai sindaci della costiera di partecipare, insieme alla prefettura e alle forze dell’ordine, a una riflessione comune sui temi dell’abusivismo. Così come a Salerno è stato già fatto per la lotta all’inquinamento del mare, si intende avviare un confronto serrato con i primi cittadini sul che fare, quando e come. Aggiunge Frattini: «Nutriamo molta fiducia nel satellite che la Regione Campania farà partire tra poco e nel progetto di legge che accentua le sanzioni e individua nuove ipotesi di reato. Però vorremmo capire a quale sorte sono destinati tutti quei manufatti che, sequestrati da anni, giacciono abbandonati come ruderi negli angoli più suggestivi della costiera». Già, i ruderi fuorilegge. Un obbrobrio nell’obbrobrio. Da Maiori e Minori, sulle colline e a ridosso del mare. Fino a Vietri, dove a otto anni dall’abbattimento (unico esempio, peraltro realizzato tutto a spese dei proprietari) del famoso hotel Fuenti resta un enorme buco osceno a offendere la montagna sventrata. Brutto. Orrendo. Peggio di quel che era stato costruito. Spiega Maria Teresa Mazzitelli, proprietaria del Fuenti: «Dopo aver abbattuto, stiamo lavorando al consolidamento dei costoni. Abbiamo ottenuto autorizzazione da ben diciannove fra enti e associazioni, ma finalmente il nostro progetto è esecutivo: dove c’era il Fuenti sorgerà un’enoteca, un ristorante, una zona benessere. Tutto nel rispetto dei luoghi e nell’ottica di mantenere viva la tradizione eno-gastronomica campana. Al posto della ex discoteca, invece, sorgerà un hotel a cinque stelle. Quando? Entro il 2009. E speriamo che di noi si cominci finalmente a parlare in positivo». Lontano dalla costiera, ma con l’occhio disincantato di chi conosce la materia, l’urbanista Guido D’Angelo commenta: «Abbattere? Non abbattere? Mi chiedo perchè nessuno ricordi una norma del 1987, quella che impone ai Comuni, dopo novanta giorni dalla mancata demolizione di un manufatto abusivo, di acquisire la sua proprietà al proprio patrimonio disponibile. Se la norma fosse applicata, i Comuni della Costiera risulterebbero da tempo ricchissimi proprietari di innumerevoli beni immobili. Che potrebbero affittare. O addirittura vendere al miglior acquirente». (2. Continua)
Quelle ruspe bloccate dal vortice dei ricorsi
Enzo Ciaccio – Il Mattino, 23 agosto 2007
Il record? Non appartiene ai titolari di una casa-vacanze di Praiano (duemila abitanti, due vigili urbani più uno stagionale) che, tra il 2004 e il 2006, si sono beccati (fonte: dati comunali) nove sequestri, dodici ordinanze di demolizione e tre denunce per violazione di sigilli. Il risultato? La casa-vacanze, grazie alla fitta ragnatela di sospensive, sanatorie e richieste di condono, è oggi in piena, «legittima» attività, lieta di ospitare - bed and breakfast - turisti più che soddisfatti che promettono di ritornare. Norme bislacche, comunque la si pensi, se alla fine producono simili paradossi. A quella casa-vacanze, il Comune è stato costretto a rilasciare pure il certificato di agibilità. Commenta il sindaco, Gennaro Amendola: «Se mi fossi astenuto, avrei commesso reato. Insomma, chi ha ragione qui in costiera deve spesso arrendersi alle assurdità». Costiera dei miracoli. O dei prodigi all’incontrario. Dove abbattere un abuso è ritenuto un’utopia. «Essendo di Amalfi, non ho mai fatto vacanze», ha scritto con tenerezza Gaetano Afeltra, innamorato dei suoi luoghi. I magistrati più impegnati criticano i sindaci, i sindaci più sensibili si difendono criticando le norme. Sullo sfondo, un immobilismo legislativo che, secondo molti primi cittadini, mummifica l’esistenza dei 36mila residenti nei tredici Comuni, castigandoli in un groviglio di vincoli che invece di aiutare gli onesti si rivelano spesso indistinti, anacronistici e in contraddizione fra loro. «Abbattere? Non scherziamo: prima della sentenza del consiglio di Stato - dice Antonio De Luca, sindaco di Amalfi - chi ricorre alle ruspe rischia di finire incriminato. Propongo di riformare la legge: quelli che rubano, mica possono far ricorso al Tar. Dunque, si impedisca a chi commette abuso di invocare la sospensiva. Insomma, per me va cambiata la norma. Ed è una questione di pura volontà politica». «Sì - concorda Gennaro Amendola, il sindaco di Praiano - però occorre anche snellire le procedure: nel mio municipio giacciono più di mille pratiche di condono. Negli ultimi cinque anni, ne abbiamo esaminate 400. Duecento si sono trasformate in condoni. Ma è una faticaccia. Il tempo medio dell’iter di una pratica è di otto mesi, cioè un’eternità. Qui in costiera chi commette un abuso sa di avere a disposizione almeno tre anni di tempo prima di essere chiamato a risponderne. Un ricorso al Tar si discute non prima dei due anni. In sei anni da sindaco, non sono riuscito a effettuare nemmeno una demolizione. Ho avviato tre importanti procedimenti di abbattimento, ma il Tar me li ha bloccati. Ci vuole una politica sovracomunale, propongo che la Regione costituisca un Commissariato straordinario per le demolizioni in costiera. Altrimenti, i casi come quello della succitata casa-vacanze o dell’hotel Tritone sono destinati a moltiplicarsi». L’hotel Tritone? Perchè questo esempio? E che vuol dire? Spiega il sindaco Amendola: «Quella struttura, dal 1996 a oggi, ha incassato ben diciannove ordinanze di demolizione, ma senza alcun esito. È lui il vero recordman della Costiera: tra i soci, di minoranza, c’è anche il consigliere regionale e presidente della commissione per la riforma dello statuto, Salvatore Gagliano, che è stato anche sindaco qui a Praiano per sei anni». «Diciannove ordinanze? Ah sì? Non credevo che fossero tante. A me sembra un numero esagerato. Mi scusi, ma mi viene proprio da sorridere...». Lui, il consigliere Gagliano, non appare turbato dalle accuse e dalle cifre. Nè sorpreso: «Anzi - spiega - me lo aspettavo: a Praiano oggi c’è un sindaco comunista che ce l’ha con me, e non solo perchè sono schierato con Alleanza nazionale». Scusi, ma diciannove ordinanze di demolizione sembrano davvero tante. O no? «Tutti gli alberghi e le case della zona vivono simili condizioni, cioè sono in perenne diatriba per le sanatorie o i condoni. Il Tritone ha storia antica, c’è da cinquant’anni. Dunque: 19 ordinanze in 50 anni. Mi pare una media accettabile. Non scherzo. Di sicuro, è più bassa rispetto a quel che possono vantare tante altre strutture che operano in zona». Insomma, è dunque questa la «normalità» in costiera? «No no, attenzione: sto dicendo che la storia dell’hotel Tritone è legittima al 90 per cento. E che quella di tanti manufatti edificati nei dintorni è al 90 per cento illegittima. Perciò, non mi scandalizzo. Nè faccio demagogia. La Regione usi una buona volta i poteri che ha. Se si decide di abbattere, si abbatta tutto quel che c’è di illecito. A cominciare, per esempio, dall’abitazione del papà dell’attuale sindaco di Praiano». Come si dice? Chi è senza peccato... «Qui in Costiera, mi creda, nessuno è senza peccato». E incalza, Gagliano. Sorridendo: «Vogliamo parlare dell’Auditorium a Ravello? O dell’approdo turistico previsto a Praiano in zona 1 A, cioè in un’area inedificabile? C’era perfino il parere favorevole della Sovrintendenza, che in troppi considerano vangelo. Era stato già appaltato, l’ho fatto bloccare. La verità è che sette anni fa, da sindaco, ho adottato il piano regolatore. Forse è questo che dà fastidio». (3.Continua)
Da rudere a villa in una notte
Enzo Ciaccio – Il Mattino, 24 agosto 2007
L’abuso più subdolo è quello fra le mura di casa. Perchè è invisibile. Da terra, da mare, da cielo. È meno che un’ombra. Che inganna, imbroglia, gioca a nascondino. «Un mese fa abbiamo sequestrato un immobile di 180 metri quadri. Valore: un milione di euro. I proprietari avevano ottenuto il sì alla ristrutturazione, ma solo per 36 metri quadri. Tutto il resto, era puro arbitrio»: il capitano Enrico Calandro comanda la compagnìa dei carabinieri di Amalfi. Fra un blitz e l’altro, qui sulla costa dei pirati, racconta di operai che scendono ai cantieri di notte a dorso di asinello, di cantieri in cui si lavora di sabato e di domenica, da mezzanotte all’alba, di manovali che alla vista delle forze dell’ordine se li mastica il buio e li ritrovi voilà al primo sole fra i vigneti, impupazzati da contadini, a far finta di vendemmiare. Formichine aumm aumm. Termiti devastanti. Maghi nell’uso delle cariche esplosive. E dei martelli pneumatici, con cui squarciano la roccia calcarea per rubacchiare spazi alla natura. Ma quale analisi del suolo. Ma quale progetto. E ben conoscono le vie di fuga, fra limoneti e terrazze, camaleonti di mezza costa dalla pelle color montagna. Godono di complicità. Di silenzi. Di protezione. «Eppure - spiega il capitano - trattasi di piccole ditte locali, di poveracci senza pretese però abilissimi a tirar su quattro mura in fretta e furia. Meglio se dotate di palestra, piscina e solarium sugli scogli». «Sì, ma la verità è che qui siamo imbalsamati - contesta Antonio De Luca, sindaco di Amalfi - ai miei concittadini è vietato dotarsi perfino dell’ascensore che conduce al cimitero. Per poter riparare un pavimento, debbono aspettare 70 giorni. Se c’è infiltrazione, ci si allaga». De Luca è come un fiume in piena. E denuncia: «Sono il proprietario dell’hotel dei Cappuccini: per ottenere il sì al restauro conservativo ho impiegato dieci anni. Tempi da incubo, è normale che si diventi abusivi. Mi vietano di costruire le strade interpoderali, costringendo gente anziana a non poter uscire di casa. Dicono no pure ai parcheggi in roccia. Però il ministro Pecoraro Scanio in costiera viene in elicottero. Croazia, Grecia, Spagna: lì vigono legislazioni meno ossessive. Spiegatemi: perchè - se affitto una villa ad Amalfi - non può essere dotata di piscina? Quale sarebbe il reato? Con simili vincoli, non sarebbe stato possibile costruire nemmeno il Duomo». C’è chi ha calcolato che un’opera pubblica in costiera ha bisogno di sedici autorizzazioni per poter partire. Troppe. E magari mancano quelle più efficaci. A non mancare invece sono le contraddizioni. Il sindaco De Luca racconta che ad Amalfi per i parcheggi in roccia c’è il no della Regione Campania e il sì della Sovrintendenza. Per la strada alternativa al centro storico, invece, c’è il sì della Regione e il no della Sovrintendenza. «Io mi sento crocefisso - confessa Domenico Marrone, che il sindaco lo fa a Positano - ho impiegato quattro anni per completare l’ultimo abbattimento, svuotando le casse comunali. Alcune procure sequestrano i servizi igienici delle case illegali rendendole inabitabili: perchè qui ciò non accade? D’inverno, quando gli abusivi impazzano, posso contare su cinque vigili. Spesso, con i riposi, in servizio ce ne sta uno solo». Vincoli eccessivi? «Sì - ammette Marrone - ma grazie ai piani particolareggiati farò presto in modo che sia meno difficile effettuare i piccoli ampliamenti. Lo sa che nel mio paese ci sono cooperative edilizie che aspettano il via libera da trent’anni?». «Il vero nodo - spiega Alfonso Giannella, sindaco di Vietri - per me è nei piani regolatori. Quando esistono, sono troppo vecchi. Il nostro conta dieci anni, va aggiornato». Nove chilometri quadrati, sette grandi frazioni, novemila abitanti: a Vietri operano undici vigili urbani, e pazienza se d’estate la popolazione cresce di tre volte. È a Vietri che nacque l’hotel Fuenti, è qui che fu abbattuto. Sindaco, a quando la riqualificazione dell’area? «Spero al più presto. Quella montagna ferita suscita angoscia e rabbia». «Io ce l’ho con i condoni: rappresentano una vera e propria istigazione a delinquere - sbotta Raffaele Ferraiuolo, ex sindaco di Furore e presidente della Comunità montana - basta col perdonismo, dunque. Dateci più tecnici e ben preparati. A Furore, 900 abitanti in collina, siamo finalmente riusciti a frenare l’esodo verso le Americhe, la Germania, l’Inghilterra. Grazie al turismo, che finalmente decolla. Attenti, vi dico: il non fare nulla, in una zona rurale, può generare più abbandono e disastri di chi commette abusi. Sarebbe utile un ente intermedio, capace di fare da cerniera tra Regione e Comuni: ma che fatica farsi ascoltare». «A me - confessa Gennaro Amendola, il sindaco di Praiano - preoccupa il fenomeno delle case-vacanza: proliferano clandestine, sfuggendo ai controlli urbanistici, fiscali e sociali. Perciò non esistono più case da destinare alle giovani coppie. E non parliamo delle ville in affitto: si va dai 4mila euro a settimana fino a cifre inimmaginabili». «No, non mi va affatto - dice il sindaco di Ravello, Paolo Imperato - che se la prendano tutti con noi primi cittadini. Rivisitiamo le norme, acceleriamo le procedure. Ma per favore, distinguiamo i diversi gradi di abuso. Altrimenti, sparando nel mucchio, restiamo tutti in balìa del caos». (4. Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 21, 22 e 23 agosto)
«Adesso serve uno choc. L'Unesco vada via dalla Costiera»
Intervista a Vezio De Lucia di Gabriele Bojano – Corriere del Mezzogiorno, 21 agosto 2007
«Gli appelli alla fine non servono molto. C'è bisogno di qualcosa di più, di uno scatto di coscienza collettivo. Ma anche di uno choc forte, il nostro Paese ormai reagisce solo di fronte a cose clamorose. Ecco, anche revocare alla Costiera amalfitana il riconoscimento Unesco di Patrimonio Mondiale dell'Umanità secondo me può essere utile. Perchè l'Unesco deve continuare a tutelare un bene che le istituzioni pubbliche non mostrano di apprezzare? Anzi, mi auguro proprio che ciò succeda. Come dicevano i latini: oportet ut scandala eveniant, è necessario che gli scandali avvengano».
Di fronte alla tragedia annunciata del crollo della terrazza abusiva di Conca dei Marini, Vezio De Lucia non può non sottolineare lo sdegno e l'amarezza per tutto ciò che in questi anni non è stato fatto per la tutela ambientale della Costiera amalfitana e sorrentina. C'è sconforto dall'alto della sua esperienza di urbanista sensibile alle ragioni del territorio che diventa rabbia quando parla da redattore di un piano urbanistico territoriale per la Costiera rimasto per 20 anni perfetto sulla carta.
Professore, lei dieci anni fa firmò con altri intellettuali un appello per salvare la Costiera dall'abusivismo edilizio
«Già, sono trascorsi dieci anni e purtroppo nel frattempo la situazione è peggiorata, l'abusivismo si è sviluppato con un ritmo vertiginoso ».
Di chi è la colpa?
«C'è latitanza da parte di Regione, Provincia e Comuni che dimostrano assoluta insensibilità verso questo territorio. Se ne infischiano tutti, questa è la verità. Devono succedere i disastri come quello di Conca perchè si ponga finalmente mano ad una riflessione».
Eppure non fu lei a redigere nel 1987 il Piano Urbanistico Territoriale che aveva tra gli obiettivi il no secco all'abusivismo edilizio visto come fenomeno criminale?
«Sì, è stato l'unico approvato con legge regionale, nel 1987, due anni dopo la legge Galasso. Era un piano paesistico rigorosissimo, perfetto. Prevedeva anche interventi alternativi alla viabilità, come la realizzazione di funicolari».
Mai attuato?
«No, la politica che avrebbe dovuto realizzarlo e sostenerlo con un'azione continua di controllo e di repressione si è ben guardata dall'attuarlo. Basti pensare che ancora oggi la maggioranza dei comuni della Costiera è priva di piano regolatore. È mancata la volontà precisa di operare in questa direzione, anzi non si è persa occasione per derogare da quel piano».
È un'accusa ben precisa la sua. Può farci un esempio che dà la dimensione di questa deregulation?
«Il caso più clamoroso è l'albergo realizzato a Pozzano, a Castellammare, al posto del cementificio».
Un mostro come quello di Alimuri?
«Non mi parli di Alimuri, per cortesia. Quella è una falsa repressione, è un'opera che andava demolita e basta. La strada della compensazione va a sostegno della proprietà, degli interessi peggiori».
Torniamo agli abusi edilizi in Costiera. Qui non è la criminalità organizzata a costruire...
«Non cerchiamo sottigliezze sociologiche, crimini sono gli abusi nel Napoletano, espressione diretta della malavita, crimini sono quelli compiuti in Costiera dai professionisti con l'aura di persone apparentemente rispettabili. Anzi, questi sono ancora più gravi».
E perché?
«Perché è grave vedere come ci sguazzano in queste situazioni la società borghese e i ceti professionali».
Riproporrebbe oggi un appello per la tutela della Costiera?
«È probabile che si rifaccia, anche se alla fine gli appelli non servono molto. Ci vorrebbe invece uno scatto di indignazione da parte della società civile, una reazione collettiva di rifiuto ad accettare la devastazione di un bene comune di tale importanza ».
Qualcuno teme che dopo il disastro di Conca la Costiera possa perdere il riconoscimento di Patrimonio Unesco. È possibile?
«Mi auguro che succeda una cosa del genere. C'è bisogno di uno choc forte per reagire. Troppo poco gli interventi dei carabinieri e di qualche magistrato. E anche voi della stampa potete fare di più».
In che modo?
«Se ci fosse un martellamento quotidiano, non un'azione affidata solo al fatto di cronaca, a quella che Antonio Cederna definiva 'notiza, maledetta notizia'. Ecco, mi piacerebbe una rubrica fissa: 'vediamo cosa succede in Costiera'».
«L'abuso edilizio? Per la borghesia ormai è un vanto»
Intervista a Diego Marmo di Antonio Fiore – Corriere del Mezzogiorno, 22 agosto 2007
NAPOLI — «E' dagli anni Sessanta che sento dire che in Campania il pericolo è rappresentato dalla criminalità organizzata. Il che è sacrosanto, ci mancherebbe. Ma non vorrei che tutto questo tuonare contro la camorra ci impedisse di accorgerci che abbiamo a che fare anche con una criminalità delle persone cosiddette "perbene", e che comunque non hanno niente a che fare né con la macro né con la microcriminalità». L'intervista con l'urbanista Vezio De Lucia sul tema degli abusi edilizi pubblicata ieri sul «Corriere del Mezzogiorno » sollecita le riflessioni di Diego Marmo, capo della Procura di Torre Annunziata: «Sì, è vero. Soprattutto in Costiera l'abuso è commesso non certo dai clan ma da albergatori, oppure da professionisti che hanno lì la seconda o terza casa e che la utilizzano a fini speculativi, non certo abitativi».
Tutte persone considerate «rispettabili», dice De Lucia.
«Certo. Ma bisogna tener conto che tutti questi reati non possono essere il "do di petto" di un singolo, ma nascono da accordi, amicizie, disattenzioni, connivenze».
Connivenze con chi?
«E' evidente: con la pubblica amministrazione. Andiamo: luoghi come la Costiera sorrentina o amalfitana dovrebbero e potrebbero essere guardati a vista e monitorati ogni giorno».
E infatti, tra breve tutta la Campania sarà sotto il costante monitoraggio del satellite, non la farà franca nemmeno un tramezzo abusivo.
«Come se in Costiera occorresse il satellite. Basta una barchetta per perlustrare il litorale, o una passeggiata a piedi per accorgersi delle centinaia di abusi. Né si tratta di abusi "arrangiati", tirati su in fretta, in qualche caso si tratta addirittura di costruzioni di un certo pregio, fatte quasi per farsi notare. E'evidente, dunque, che tutto ciò non può realizzarsi senza una rete di...»
Di omertà?
«Chiamiamola una rete di disattenzione. Anche perché questi edifici, una volta realizzati, hanno bisogno di acqua, di elettricità. E certo i proprietari non possono connettersi da soli, ma hanno ovviamente bisogno di entrare in contatto con la pubblica amministrazione per stipulare i necessari contratti».
Mi faccia qualche esempio di amministrazioni «distratte».
«Il sistema è molto esteso. Ma basterebbe cominciare a fare più attenzione ai dettagli: che so, evitare che nel tale Comune la carica di assessore all'edilizia sia ricoperta proprio da un geometra molto attivo nel campo delle costruzioni... Ma mi preme soprattutto esprimere una preoccupazione: non vorrei che appelli nobilissimi e apprezzabili come quelli recenti del cardinale Sepe o del prefetto Pansa vengano utilizzati dalla borghesia come alibi: tutti uniti contro il pericolo criminalità organizzata (che esiste eccome), ma poi ognuno continua a farsi i fatti propri. Sono il primo a battere le mani al cardinale Sepe quando invita la classe dirigente a uscire dai palazzi: ma facciamolo per stigmatizzare il comportamento delle persone cosiddette "perbene", altrimenti è pura retorica».
Lei sta dipingendo una borghesia perennemente dedita all'abuso edilizio.
«Guardi che l'abuso edilizio è solo una parte delle illegalità che vengono quotidianamente commesse "insospettabili", e che mai potrebbero essere ascritte alla categoria "camorrista". Solo per parlare dei casi più recenti di cui il mio ufficio si è occupato, basta citare l'inquinamento ambientale causato dalle autobotti cariche di rifiuti speciali che hanno sversato direttamente a mare a Piano di Sorrento: gli autori erano tutte persone incensurate, senza alcun legame con la malavita come la intendiamo comunemente. E le piccole fabbriche dove si lavora il pomodoro che scaricano i loro rifiuti nelle fogne collettive? Sono tutte di artigiani incensurati, mica di sanguinari boss. E il caseificio di Agerola che usava il cemento per dare colore e consistenza alla ricotta? E i ristoratori che congelano, scongelano e ricongelano i prodotti non utilizzati? Altro che camorristi. E le morti bianche, un flagello ormai quotidiano? Morti di camorra? No. Conseguenze atroci di una serie di reati che, purtroppo, non scandalizzano più nessuno. E che spesso non vengono percepiti come "colpe" né da chi li commette, né da chi li apprende dai giornali o dalla tivù».
Così l'abusivismo è vissuto e giudicato come un peccato veniale.
«Lei è ottimista. Uno che riesce a farla franca e a tirare su una bella casa con vista panoramica vede aumentare la considerazione attorno a sé. Viene ammirato come una persona furba, intelligente, uno che ci ha saputo fare. Una volta, con uno che aveva commesso una illegalità, i bravi borghesi evitavano persino di prendere un caffè. Adesso, invece, chi infrange la legge è circondato dalla stima e dal rispetto generale».
Anche perché quasi mai gli abusi vengono individuati in tempo. E ancor più di rado vengono puniti. Un caso eclatante e «esemplare » alla rovescia è il recente accordo tra Stato, Regione e privato sull'ecomostro di Alimuri, che ha suscitato molti dubbi e perplessità per le troppe "garanzie" offerte a chi l'abuso lo ha commesso. E intanto l'ecomo stro resta lì, alla faccia di chi ne chiede l'abbattimento immediato come segno di «tolleranza zero» verso simili reati contro l'ambiente.
«Su Alimuri abbiamo in Procura un fascicolo aperto poiché la vicenda ricade nel territorio di nostra competenza, dunque non posso esprimere opinioni. Posso solo dire che i tempi della magistratura non coincidono con quelli della politica. O con quelli che dovrebbero essere i tempi della politica».
«Sono fenomeni dolosi e basta, è in azione una banda di criminali». Qualcosa deve aver convinto il sindaco di Montecorice, Flavio Meola. «L´altroieri notte sono partiti quattro o cinque focolai contemporaneamente». Come dargli torto. Lo scempio comincia sulla statale 18, la strada dei caseifici e dei mucchi di sterpaglie e rovi a cui nessuno fa manutenzione. Benvenuti nel Cilento. Anzi, forse è meglio che ci torniate l´anno prossimo. Un´estate di roghi l´ha distrutto, e si comincia a vedere proprio da qui. Bruciati i punti più panoramici di Agropoli, fuoco alle porte di Santa Maria di Castellabate, fiamme sulla collina del Cenito, la spina dorsale di Punta Licosa che corre lungo la strada provinciale che collega San Marco di Castellabate a Ogliastro, fino a Case del Conte, Ripe Rosse. E ieri pomeriggio anche a Teggiano e a Pollica, sul Monte Stella, sono intervenuti un elicottero e un Canadair. Intanto i carabinieri e la Forestale vanno in perlustrazione a cercare tracce dei piromani, ma al momento, niente di nuovo: la Procura di Vallo della Lucania ha aperto un´inchiesta.
Il Cenito è stata la miccia che ha dato fuoco a Vallone Alto e Licosa. Al posto di querce, olivi, ettari di macchia mediterranea, rovine fumanti proprio sulla provinciale, la strada che nel Parco del Cilento - dove niente si potrebbe costruire - in quest´ultimo anno detiene il record dell´edilizia. Un enorme supermercato, melense villette in stile pseudo-rurale, scheletri di case che sorgeranno in pochi giorni e molto altro. Due anni fa era verde ovunque. Anche di questo si è parlato nella riunione straordinaria che si è tenuta ieri mattina nella sede di Vallo della Lucania dell´ente Parco del Cilento, alla quale hanno partecipato il commissario Giuseppe Tarallo, il vicepresidente della giunta regionale Antonio Valiante, l´assessore all´Agricoltura della Regione Andrea Cozzolino, il commissario del parco del Vesuvio Amilcare Troiano, il responsabile del Coordinamento territoriale ambientale Angelo Marciano e i sindaci dei comuni colpiti dagli incendi. «Intensificare la vigilanza è la priorità delle priorità, per evitare altre giornate di fuoco», dice Cozzolino. Eppure il parco aveva speso anche soldi per la vigilanza. Enzo Durazzo, proprietario di un ristorante, indica le torrette di avvistamento sulla collina del Castelsandra, un punto strategico per la prevenzione degli incendi: «Le hanno installate dieci anni fa, ma non ho visto mai nessuno salirci». Giovanni Brondi, bresciano in vacanza, fa un paragone con la Corsica: «Hanno camionette sparse nel verde con personale che tiene d´occhio il territorio con un binocolo. Quando danno l´allarme, il Canadair arriva in dieci minuti». «Sono arrivati in tanti - prosegue un altro ospite della tenuta di Licosa - ma purtroppo nessuno li coordinava». In qualche caso l´ha fatto chi era in vacanza. Come l´ingegnere Gino Sperandeo, che ha guidato i soccorritori a Vallone Alto indicando possibili bocche d´acqua: «Non ne esistono se non nelle proprietà private e si potevano usare solo quelle di chi possedeva un serbatoio perché l´acqua mancava. Nel parco non ci sono neppure i percorsi: molti erano costretti a fermarsi». La sorveglianza è un problema tragico che nessun parco nazionale sente come questo: proprio vicino al cancello che segna il confine del percorso naturalistico Vallone Alto-Punta Licosa, c´è chi si sta costruendo la casa con discesa al mare dietro una recinzione di edera finta. Dopo aver cementato sulla spiaggia demaniale, ha piazzato una roulotte dove poi ha coperto e ha costruito un terrazzamento con pali di pino come a Furore, dove nei giorni scorsi è crollata proprio una pedana del genere. All´assessore competente sono arrivate varie denunce, ma il lungo e furbo lavoro degli abusivi continua indisturbato.
Il Day after del Cilento ha visto anche il governatore Bassolino di nuovo al telefono con Bertolaso e con il prefetto Pansa, che coordina i prefetti della Campania, questa volta per chiedere i rinforzi nel Vallo di Diano: i gravi roghi di Teggiano, Padula e dintorni. Il dramma degli incendi ha toccato la costa ma anche l´interno: tre persone sono state ricoverate per intossicazione ieri a Perito; si erano rifiutate di lasciare l´abitazione al momento dell´allarme. Continuano i disagi: 20 famiglie di Montecorice hanno passato la notte in una scuola. In tutto il territorio colpito chi aveva preso in affitto casa ha dormito in albergo. Molti hanno trascorso la notte con i loro cani in macchina. La Statale 267 è stata chiusa più volte in giornata per la caduta di massi dalle colline.
Il messaggio che Italia Nostra lancia a Marta Vincenzi è chiaro e suona più o meno così: «Caro sindaco, hai detto che vuoi riparare agli errori urbanistici della precedente amministrazione, allora dimostralo facendo qualcosa di concreto: salva dal cemento gli ultimi spazi verdi del Levante cittadino».
La lettera a firma del presidente dell’associazione Federico Valerio è stata spedita il 25 luglio e, complici le ferie, non ha ancora ottenuto risposta. L’oggetto è questo: disposizioni contenute negli articoli BA 7 e BB 7delle norme di attuazione del Puc.
Ovvero «quelle che consentono la costruzione di nuovi edifici per effetto di superficie abitativa derivante da contestuali o anticipati interventi di demolizione». In altre parole, i tanto contestati "volumi di trasferimento" previsti nelle zone BA e BB, che sono poi quelle «caratterizzate da presenza di edifici di valore architettonico e da buona qualità ambientale, destinate a mantenimento e razionalizzazione». Zona riconosciuta dagli stessi regolamenti come «nel suo complesso satura». Parliamo, ad esempio, dei numerosi interventi in corso o programmati nei terreni delle ville storiche e poi parcheggi ed edifici come quelli per via Majorana, via Rossetti, nell’antico uliveto di Quarto, e ancora in via Puggia, o tra corso Gastaldi e Ingegneria, per citarne alcuni.
Italia Nostra sostiene che, nonostante alcune limitazioni introdotte - lotto minimo e indice utilizzazione insediativa - ci si ritrova comunque di fronte a valori che sono «il doppio o il quadruplo rispetto a quello fissato per sottozone che non sono intese come sature».
Così, per «evitare che siano eliminati quasi completamente gli spazi liberi che determinano la buona qualità ambientale», Italia Nostra chiede al sindaco Vincenzi un passo ben preciso: «L’immediata adozione di una variante al Puc che comporti la soppressione o la radicale trasformazione degli articoli Ba e Bb». Un appello che Valerio e i suoi si augurano possa fermare anche quelle conferenze dei servizi estive grazie alle quali, spesso, vengono sdoganati progetti contestati (ad esempio c’è grande preoccupazione tra i residenti di Quarto che temono sia stato sbloccato il progetto di un parcheggio privato, fermato dalla Soprintendenza nel 2003, vicino a Villa Stalder). «Il problema - spiega l’avvocato Carlo Raggi di Italia Nostra - è la scelta del trasferimento di volumi. Uno strumento che evita alle amministrazioni le grane degli espropri ma che quando non è più un’eccezione provoca un forte incremento del peso insediativo». Posizioni condivise anche da Legambiente, che alla cementificazione del Levante genovese ha dedicato un accurato dossier: «Noi non siamo contro ogni intervento - spiega Andrea Agostini - Vorremmo, anzi, poter collaborare con dei privati, all’interno però di una pianificazione che tenga conto dei contesti ambientali e che prediliga il recupero alle costruzioni ex novo».
Il tema era stato anche oggetto di un duro passaggio della relazione sul paesaggio inviata al ministro dei Beni Culturali dal Soprintendente della Liguria, Giorgio Rossini, che aveva parlato di «aggressione al verde urbano del Levante. Albaro, San Martino, Quarto, Quinto, Sant’Ilario... dove ipotesi di nuova espansione edilizia innescano una perversa involuzione territoriale».
Il 3 agosto il ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli, era stato chiaro nel presentare il parere di Valutazione di Impatto Ambientale («Via») espresso dal suo dicastero - e da lui controfirmato - sulla proposta di autostrada tirrenica avanzata dalla Regione Toscana e dalla Sat: «no» alle sei corsie, a caselli autostradali invasivi, a manomissioni pesanti di un territorio protetto per ragioni naturalistiche (Parco della Maremma, Oasi Wwf, ecc.) e archeologiche (aree di Tarquinia, di Vulci, ecc.), paesaggi ancora degni del Grand Tour. «Sì», invece, ad una autostrada «leggera».
Una autostrada, grosso modo lungo il tracciato dell'Aurelia, con barriere a pagamento e ingresso gratuito per il traffico locale che peraltro costituisce circa il 75 per cento dei 18-20mila autoveicoli giornalieri fra Rosignano e Civitavecchia (meno della metà delle medie autostradali normali). Tutto il contrario, sembrava, del progetto SAT-Regione fondato su pedaggi decisamente pesanti al fine di ribadire che quella autostrada «si paga da sé» e quindi su caselli e altro che esigerebbero strade complanari gratuite e quindi nastri di asfalto plurimi a tranciare parti ancora integre della splendida e però minacciata Maremma. Dai documenti dei Beni culturali, dalle parole del loro titolare e da quelle del collega della Tutela dell'Ambiente, Pecoraro Scanio, recisamente contrario all'autostrada «pesante », emergeva, di fatto, il ritorno al bel progetto ANAS di superstrada a quattro corsie sul quale avevano concordato, il 5 dicembre 2000, governo Amato, Regioni Toscana e Lazio, Enti locali e Associazioni. Intesa purtroppo saltata dopo le elezioni della primavera 2001 facendo «resuscitare » quella SAT che, in forza dell'accordo di fine 2000, era stata già indennizzata con circa 173 miliardi di lire.
L'altra sera a Festambiente, in piena Maremma, il ministro e vice-premier Rutelli ha detto che «la Autostrada Tirrenica bisogna farla. Facciamola bene. Noi vigileremo con spirito costruttivo perché si faccia e si faccia bene». Parole francamente più vaghe di quelle usate il 3 agosto scorso per presentare il parere critico, molto argomentato, dei suoi tecnici sull'autostrada voluta da Regione Toscana e SAT. A questo punto un chiarimento sembra necessario: a quale versione si deve prestar fede? Alla prima, molto dettagliata, o alla seconda, più «politica » e sfumata? Dal dicembre 2000 sono passati ormai sette anni e in due tratti dell'Aurelia, entrambi a due sole corsie, in Comune di Capalbio (circa 13 Km) e fra Tarquinia e Civitavecchia (altri 9 Km) i morti, i feriti gravi, i traumatizzati sono stati tanti. Una chiara e inequivoca presa di posizione del governo è più che mai necessaria. A fine di mettere in sicurezza l'Aurelia e farne un'autostrada «leggera», cominciando subito da quei due pericolosissimi tratti. A forza di parole, di dire e non dire, quanti anni dovranno ancora passare?
Chi può accorgersi di una pedana di legno grezzo spuntata nottetempo sulla roccia? Si difendono così i sindaci della costiera amalfitana, mentre chiedono più risorse e più mezzi nell’agosto funestato dalla paura dei crolli, e delle terrazze killer. Tuttavia l’estate 2007 aveva segnato il boom degli abusi edilizi, lo testimoniano anche le dettagliate relazioni dell’ultimo rapporto di Legambiente, Mare Monstrum 2007, che eleggono la Campania ed in particolare quella costa amata dai vip di ogni generazione come «enorme cantiere all’aperto». «La colpa è di tutti», ribatte il sindaco di Amalfi, Antonio De Luca. «Da un lato c’è la carenza di controlli. Dall’altro una normativa troppo rigida e afflittiva. Che vieta tutto e, di fatto, lascia fare tutto».
«È stata la stagione del boom di terrazzi, solarium, piscine, coperture, bar e centri benesseri, completamente fuorilegge, sorti da un giorno all’altro nei comuni di Ravello, Furore, Amalfi, Conca», denuncia il presidente regionale della Campania di Legambiente, Michele Buonomo. Su questi crinali a picco sul mare, borghi entrati nel glamour del turismo internazionale, arrivò esattamente 10 anni fa il riconoscimento dell’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità: anniversario sfregiato dalla sciagura e dalle continue offese all’ambiente. Spicca, nelle ore dell’inchiesta sul disastro di via Smeraldo, la storia di una singolare "distrazione" che riguarda proprio Conca: ben 4500 metri quadri di giardini e di suolo superprotetto dai vincoli di Stato su cui una società americana stava costruendo un albergo quattro stelle, con annessa beauty farm. È stata la Guardia di Finanza di Salerno a bloccare quell’operazione pochi mesi fa, con sigilli disposti dalla Procura su un affare stimato in 30 milioni di euro. Sei gli indagati eccellenti, tra funzionari e professionisti del Comune e della Soprintendenza ai beni ambientali di Avellino e Salerno: sotto inchiesta per aver concesso autorizzazioni che mai avrebbero potuto essere rilasciate. «Una storia davvero emblematica», spiegano al Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Salerno. «Anche perché per far posto a piscina, solarium ed altro erano stati sbancati terreni, giardini e realizzati volumi su volumi».
«Un enorme cantiere abusivo a cielo aperto. In costiera amalfitana, ed in generale sulle riviere della Campania siamo come nel far-west, chi arriva pianta la sua bandierina, che sia cemento, o legno fradicio o pali insicuri che sorreggono una pedana, non importa. Le istituzioni se ne accorgono solo quando ci scappa il morto», sottolinea ancora il referente campano di Legambiente. Buonomo ricorda: «Nei primi cinque mesi dell’anno i sequestri sono stati 22, per un valore di oltre 53 milioni di euro. Significa che ogni cantiere sequestrato quest’anno valeva mediamente poco più di 2,4 milioni di euro, con buona pace dell’abusivismo di necessità». Un’emergenza confermata in pieno dai dati più recenti della Guardia di Finanza di Salerno, le cui pattuglie sono intervenute, negli ultimi 6 mesi, su 25 realizzazioni fuorilegge, denunciando oltre 60 persone. Quasi tutti erano abusi realizzati da strutture alberghiere a cinque stelle o da piccole imprese del turismo. I Verdi annunciano battaglia e Tommaso Pellegrino della Federazione dei Verdi sottolinea: «Urge un monitoraggio attento, aggiornare gli allarmi alle aggressioni di ieri e di oggi che sono state arrecate all’ambiente».
Assalto alle coste: in una regione come la Campania che detiene il primato di infrazioni nel ciclo del cemento, dalle cave abusive alla costruzione di immobili anche in prossimità delle spiagge (nel 2006 erano 1166 le infrazioni, 1509 le persone denunciate e 470 i sequestri), è proprio nella «divina» Costiera amalfitana - da 10 anni patrimonio dell’umanità sotto tutela dell’Unesco - che si registra una vera e propria febbre abusiva da ricondurre in gran parte all’altissimo valore degli immobili che secondo il rapporto annuale Gabetti da queste parti si attesta tra i 15mila e i 20mila euro al metro quadro. E mentre la Regione di recente è corsa ai ripari dotandosi di un satellite spia capace di segnalare gli abusi nel giro di 48 ore, il rosario di cifre del rapporto Ecomafia 2007 di Legambiente documenta la triste realtà. Il trend è negativo. La Guardia di Finanza di Salerno nel 2005 ha sequestrato 45 cantieri abusivi per un valore di 24 milioni di euro e ha denunciato 119 persone. Nel 2006 i sequestri sono saliti a 47, per un valore di 33 milioni e i denunciati sono diventati 150. E dopo i primi mesi del 2007 si è già a 56 sequestri, con 200 persone denunciate. Ci sono ville ad Amalfi, Vietri, Ravello, Furore e Positano, come quella sequestrata a maggio alla società Ipa srl e in uso a Franco Zeffirelli: secondo gli inquirenti una delle tre eleganti ville che compongono il complesso era stata costruita completamente sul demanio. Mentre proprio a Conca dei Marini è stato sequestrato uno stabilimento balneare con tanto di teleferica per raggiungere la strada. Ci sono poi tre complessi alberghieri, uno sempre a Conca dei Marini, l’Hotel Santa Rosa, laddove nel ’700 sarebbe nata la sfogliatella a opera delle suore del monastero: più di 4mila metri quadrati di superficie sono finiti nel mirino delle Fiamme gialle che hanno emesso dieci avvisi di garanzia perché in una struttura come quella sottoposta a vincolo non sarebbe sufficiente una semplice dichiarazione d’inizio attività. Gli altri due alberghi si trovano a San Marco di Castellabate nel Cilento e sulla litoranea di Pontecagnano. Non si stupisce di quanto accade oggi a Conca la parlamentare dei Verdi Grazia Francescato: «Territorio sfasciato. Conosco bene la Costiera amalfitana, lì sono stati compiti tanti piccoli ”omicidi”, così li chiamo. Si è costruito senza la benché minima attenzione verso le più elementari regole. E invece proprio lì e dal Sud in generale bisognerebbe invertire quella tendenza nazionale che vede l’Italia maglia nera in Europa quanto alla manutenzione del territorio. Bisogna capire che la prima grande opera pubblica da fare è proprio questo genere di manutenzione. Il territorio è sfasciato». Stessa musica dall’assessore regionale all’urbanistica Gabriella Cundari, che insiste sull’aspetto della sicurezza: «Ogni abuso ha un duplice effetto negativo: è in sé una violazione delle regole, ma comporta anche una ricaduta dal valore incalcolabile per l’incolumità delle persone, perché nei fatti sono proprio i manufatti abusivi a sfuggire ai controlli. Anche per questo ad inizio d’anno la Regione ha avviato la sperimentazione del satellite spia: a settembre avremo il primo rilievo su tutti i 551 comuni della Campania e metteremo in condizione i comuni di verificare ciascuno sul proprio territorio gli eventuali abusi finora non noti. È un primo passo importante». Mentre il capogruppo dei Verdi in Consiglio regionale Stefano Buono chiede che «la maggior parte dei fondi europei 2007-2013 siano spesi proprio per contrastare gli abusi e contro il dissesto idrogeologico».
«Ho visto le immagini della terrazza-solarium e del resto della villa: emerge un uso sconsiderato e spericolato della roccia. Probabilmente abusivo, si vede una piccola piscina, tavole di legno per prendere il sole...». Vezio De Lucia, urbanista ed ex assessore al Comune di Napoli e profondo conoscitore della costiera amalfitana, è indignato ma non sbigottito da quanto accaduto a Conca dei Marini. E critica la Regione Campania: «Non ha imposto ai comuni i piani regolatori né l’applicazione delle norme vigenti per la repressione dell’abusivismo».
Professore De Lucia, il crollo sugli scogli poteva trasformarsi in una tragedia più grave.
«Purtroppo me lo aspettavo. Si tratta di interventi realizzati al di fuori di ogni controllo dell’attività edilizia».
La struttura crollata era abusiva. Ci sono altre costruzioni nella costiera amalfitana che sono affette da soluzioni fai-da te?
«Tutta la costiera amalfitana è affetta da fenomeni di questa natura. È una delle aree più pregiate del mondo e dotata di un Piano urbanistico territoriale (Pup) approvato con legge regionale nel 1997 molto rigoroso».
E allora come mai questo scempio?
«Il Pup non è mai stato coerentemente applicato. Moltissimi comuni della costiera, sicuramente Ravello, sono tutt'ora sforniti di un piano regolatore. Tutto viene risolto con soluzioni fai da te, nell’assoluta mancanza di controlli».
Di chi sarebbero le responsabilità?
«La responsabilità è dei Comuni e della Regione Campania. E sono enormi».
Si spieghi meglio.
«La Regione Campania ha esercitato poteri sostitutivi nel comune di Ravello per la costruzione del famigerato Auditorium ma non mi risulta che abbia esercitato alcun potere sostitutivo per obbligare i Comuni della costiera amalfitana a fare i piani regolatori, esercitare i poteri di controllo sull'attività edilizia ed applicare le norme vigenti sull’abusivismo».
Le spiagge sono la sezione terminale dei depositi sedimentari con cui, nel corso di milioni e milioni di anni, fiumi grandi o piccoli hanno costruito le pianure riempiendo insenature o bracci di mare con i materiali che ghiacciai, piogge e vento avevano staccato dai rilievi creati dai sommovimenti della crosta terrestre. Le spiagge sabbiose, sotto forma di dune, si sono formate in genere là dove la corrente dei fiumi si incontrava con la forza contraria del moto ondoso e delle maree: cioè a una certa distanza dall’ultima linea costiera consolidata, chiudendo così al proprio interno bracci di mare, cioè lagune, che per milioni di anni sono state il laboratorio più prolifico dell’evoluzione delle specie viventi. Molte di queste lagune hanno poi subito un interramento naturale per i successivi apporti dei fiumi che le attraversavano. Altre sono state "bonificate", soprattutto a partire dall’inizio del secolo scorso, per venir trasformate in campi di patate. Alcune, come quella di Venezia, sono state invece gelosamente preservate con imponenti opere idrauliche, per conservarne le funzioni difensive che avevano fatto la fortuna della città nel corso dei secoli. Per migliaia di anni la spiaggia era rimasta un’area che andava dalla battigia alle dune che la vegetazione spontanea cominciava a colonizzare; oppure alle barriere antivento che proteggevano i campi dalla salsedine; o, ancora, ai villaggi dei pescatori, costruiti appena fuori portata delle mareggiate. Le spiagge servivano quasi esclusivamente per tirare su e giù dal mare le imbarcazioni usate per pescare, trasportare merci o fare la guerra; fino all’inizio del secolo scorso, infatti, il bagno in mare era un’attività da tutti rifuggita .
Ma prima ancora che le spiagge cominciassero ad affollarsi di ombrelloni, cabine e corpi progressivamente meno coperti, in molti paesi del mondo, e soprattutto in Italia, i loro confini erano stati ridisegnati: verso l’interno, dal tracciato della strada ferrata che introduceva una separazione netta tra l’arenile e la parte dell’entroterra abitata o coltivata. Poi, durante la seconda guerra mondiale, da una muraglia quasi ininterrotta di fortini e barriere antisbarco, successivamente trasformate in "passeggiate a mare" per l’impossibilità di demolirle. infine, dal proliferare dei "bagni", dove i filari di cabine di legno dal tetto aguzzo venivano progressivamente sostituiti con imponenti edifici in cemento armato dotati di bar, veranda, dancing, ristorante, campi sportivi, parcheggi e piscine, oppure con sequenze ininterrotte di alberghi e condomìni che affondano direttamente sull’arenile i piloni "fronte mare".
Ma anche al confine con il mare i connotati delle spiagge stavano cambiando: moli e porticcioli per l’attracco delle barche su cui il popolo degli ombrelloni ha progressivamente trasferito la sede delle sue "vacanze balneari"; poi pennelli di rocce di riporto che attraversano a distanze regolari la linea di incontro tra spiaggia e mare, nel tentativo di trattenere la sabbia che le correnti, deviate dal porticciolo di turno non trasportano più. Poi, ancora, barriere artificiali di rocce o blocchi di calcestruzzo che fronteggiano per chilometri e chilometri la linea costiera per impedire alle mareggiate di mangiarsi quel che resta di un arenile sempre più striminzito; e che ricreano così, davanti alla spiaggia, un "effetto laguna": non più vivaio dell’evoluzione naturale, ma pozzanghera per far sguazzare i bambini in un’acqua torbida e inquinata dagli scarichi di carburante che la corrente non riesce più a trascinare al largo. Il fatto è che, a partire dai primi decenni del secolo scorso, pietre e mattoni sono stati progressivamente sostituiti, come materiali da costruzione, dal cemento armato; e sabbia e ghiaia necessarie a impastare il calcestruzzo hanno preso il posto dell’argilla e della selce. Le riserve di sabbia accumulate nel corso di milioni di anni lungo il corso dei fiumi sono state prese d’assalto e le dighe costruite per irrigare i campi e produrre elettricità hanno trattenuto gran parte della sabbia che i fiumi ancora riuscivano a trasportare. Il litorale non riceveva più l’apporto di sedimenti necessario a ricostruire i profili dei suoi arenili e le spiagge sprofondavano, mentre la subsidenza provocata dai pozzi offshore di metano e petrolio o dagli emungimenti di acque dolci dalle falde litoranee facevano il resto. In futuro, un innalzamento del livello dei mari di 40-80 centimetri, inevitabile se si riuscirà a contenere la concentrazione di CO2 a 500 ppm (parti per milione), sarà sufficiente a far scomparire, insieme agli atolli e a intere regioni e città costiere, tutto quanto siamo abituati a considerare come "spiaggia". Un innalzamento di 4-8 metri, quale potrebbe verificarsi se tutti i ghiacci dei poli si scioglieranno, certamente valorizzerà le villette che si trovano a quest’altezza sul livello del mare, aprendo a sbafo un accesso diretto al mare che oggi si paga profumatamente (come recita la pubblicità di un villaggio turistico marchigiano costruito a mezza costa). Ma ciò avverrà in un quadro di sconvolgimenti climatici che renderà comunque precaria la villeggiatura in simili resort.
Ma non sono solo erosione e speculazione edilizia a trasformare la "geologia" delle spiagge. Queste subiscono, da terra e dal mare, un altro assalto altrettanto importante. I milioni di turisti che ogni anno si precipitano sugli arenili trascinano con sé montagne di merci che poi abbandonano sul posto sotto forma di rifiuti. Dove c’è un "bagno" che difende la spiaggia dagli ospiti non paganti, questi rifiuti vengono bene o male raccolti in cestini e cassonetti, o rastrellati e portati via quando i bagnanti se ne vanno e si chiudono gli ombrelloni. Ma nelle cosiddette spiagge libere nessuno si prende cura della pulizia e il bagnante tipo è portato a identificare la libertà di accesso con la libertà di sporcare. Le spiagge si ricoprono così di milioni di bottiglie di cocacola, di sacchetti di plastica, di cartocci di popcorn, di bucce di banane, di secchielli e formine abbandonate, di salvagente sfondati. Le fogne che scaricano in mare senza il filtro di un depuratore fanno il resto, mentre dal lato mare, accanto ai bidoni della spazzatura rovesciati in acqua con disinvoltura da milioni di imbarcazioni turistiche, o dalle navi che transitano al largo, prosegue silenzioso lo "spiaggiamento", sotto forma di grumi di catrame che si appiccicano ai piedi e al sedere per non staccarsene più, di tonnellate di catrame che le petroliere scaricano lungo le loro rotte per pulirsi i serbatoi. Petrolio e plastica dominano incontrastati la superficie del mare, i suoi fondali, le sue spiagge e le mareggiate si incaricano di rimescolare tutto questo materiale e di scaricarlo regolarmente a riva. I materiali accatastati sulle spiagge della Tailandia dopo lo tsunami, o per le strade di New Orleans dopo l’uragano Caterina danno un’idea degli effetti di questo rimescolamento.
Quello che una volta era l’aspetto di una spiaggia dopo una mareggiata, ricoperta per tutta la lunghezza della battigia da cumuli di alghe e di ramaglie, inframmezzate da conchiglie grandi e piccole, stelle di mare, lische di pesce e ossi di seppia, è ora una distesa luccicante di plastiche incatramate, di bombole del gas arrugginite, di pneumatici scoppiati, di spezzoni di spadare spiaggiate. Così, in attesa dello sconvolgimento purificatore dell’effetto serra, la trasformazione delle spiagge in letamai continua.
Da Grosseto a Civitavecchia niente più autostrada. Lo stop arriva dal vicepremier Rutelli, che ancora prima che si concluda l’iter della Valutazione d’impatto ambientale fa sapere come la pensi il suo ministero al riguardo: «Pur non ritenendo la soluzione autostradale in contrasto con un possibile scenario dello sviluppo infrastrutturale del territorio - spiega - questa amministrazione considera opportuna la valutazione di soluzioni che consentano di migliorare la mobilità attraverso un minor impegno del territorio e un minor impatto sul paesaggio quale bene del patrimonio culturale». Al di là del linguaggio un po’ involuto il messaggio è chiaro: addio alle sei nuove corsie del corridoio tirrenico. Per la Regione un altro amaro boccone da digerire.
Eppure anche stavolta il presidente toscano Claudio Martini cerca di sdrammatizzare: «Non vedo nessuno stop al completamento dell’autostrada tirrenica», è il suo primo commento alle parole di Rutelli. «Al contrario il ministro con il suo parere - da non confondere con la Via - ha messo il disco verde affinché il progetto di massima arrivi all’esame del Cipe. Quella di Rutelli insomma è una decisione che sblocca la fase di stallo e consente al ministro Di Pietro di fare un passo avanti portando, entro settembre, il progetto di completamento nella sede appropriata per la decisione finale, il Cipe. Non vedo quindi veti di alcun tipo. C’è solo la richiesta di un approfondimento in sede di valutazione del progetto definitivo. Al di là degli stucchevoli tormentoni estivi, sul completamento della Tirrenica c‘è l’impegno di Di Pietro a procedere».
C’è da capirlo. Se la Regione prendesse per oro colato tutte le dichiarazioni dei ministri (passati e presenti) sulla Grosseto-Civitavecchia rischierebbe di diventare schizofrenica. Tra le mille contese aperte in Italia quella sull’autostrada della Maremma merita un posto d’onore. Qui non sono più i comitati ambientalisti ad opporsi alla realizzazione della nuova infrastruttura che dovrebbe decongestionare l’Aurelia ingolfata dai camion e dare una direttrice più rapida alla costa meridionale della Toscana. Quel tempo è passato, anni di discussioni e polemiche lo hanno seguito e dopo un lungo e tormentato percorso le istituzioni sono riuscite a firmare un accordo, a cui solo il Comune di Capalbio si è sottratto, che ha portato la questione sul tavolo di diversi presidenti del Consiglio. Era ancora sindaco di Grosseto Alessandro Antichi quando il centrodestra levò gli scudi contro la cosiddetta "lobby di Capalbio, cuore a sinistra ma villa in Maremma" che si opponeva al tracciato d’asfalto. Ancora non sapeva che nei suoi cinque anni di governo Berlusconi non avrebbe risolto il problema e che il governo Prodi si sarebbe trovato punto e a capo. Nell’attuale squadra di Palazzo Chigi il partito del "no" è capeggiato da Pecoraro Scanio e, in modo più morbido, dallo stesso Rutelli mentre quello del "sì" annovera Di Pietro, Chiti e D’Alema. Chi vincerà? «Non è vero che ci sia una paralisi», sostiene il sottosegretario ai Beni culturali Andrea Marcucci, ieri ospite della Versiliana. «Il ministero dà un parere favorevole, con qualche prescrizione, sul tratto Cecina-Grosseto sud proprio per non bloccare l’intervento ma chiede che da Grosseto a Civitavecchia venga seguita un’ipotesi diversa, che preservi il paesaggio. Intanto però le procedure vanno avanti, i lavori si attivano e l’opera non si blocca. Ci tengo a sottolineare che con Martini e Conti c’è un confronto aperto e costante». Rutelli parla anche di "autostrada leggera", con barriere a pagamento al posto degli svincoli per consentire al traffico locale dei residenti di viaggiare gratis. «Si tratta di scelte tecniche», risponde Marcucci, «che spetterà alla Regione decidere in via definitiva, sono meccanismi che permettono di alleggerire i pedaggi per chi abita e lavora in zona. Fino a Grosseto, comunque, c’è un sostanziale via libera, i problemi si concentrano nella parte sud».
Che nel governo ci siano nette divisioni sulla Tirrenica non è un mistero. Solo pochi giorni fa il ministro delle Riforme Vannino Chiti spiegava a Repubblica perché l’autostrada sia di fondamentale importanza per la Toscana, l’Italia e il collegamento con l’Europa. Ieri Chiti è tornato sull’argomento contraddicendo Rutelli: «La posizione del governo è quella sottoscritta da Di Pietro con la Regione. Altrimenti cadremmo noi stessi in contraddizione. Stiamo parlando del completamento di un’arteria di grande comunicazione europea, di un tracciato voluto da Regione ed enti locali. Non si può scegliere un metodo per la Val di Susa ed uno contrario per la Toscana, non si è riformisti a giorni alterni. E il riformismo non si può arrestare a Capalbio». Decisamente diversa l’opinione di Legambiente, che sposa in pieno la linea di Rutelli: «Finalmente si sblocca una vicenda durata oltre vent’anni», dice Angelo Gentili della segreteria nazionale, «e prevale il buon senso. Da sempre sosteniamo che realizzare un corridoio autostradale in un tratto dove già esiste una strada a quattro corsie sarebbe aggiungere ad uno scempio ambientale anche uno spreco di risorse». Ma il problema dei costi sembra tutt’altro che superato. Il project financing proposto da Sat a Di Pietro prevede che siano gli utenti a pagare il pedaggio ai concessionari dell’autostrada e che l’operazione per lo Stato sia a costo zero. Nel caso della risistemazione dell’Aurelia a sud di Grosseto, invece, sarebbe l’Anas a dover trovare i fondi. Se ne parlerà ancora e molto presto. Il 17 agosto a Festambiente, che si tiene ogni estate a Rispescia in Maremma, sarà proprio Francesco Rutelli il protagonista di un dibattito sul paesaggio. E la tirrenica sarà l
La storia della Baia di Sistiana sembrerebbe dimostrare che, quando gli interessi e i poteri sono forti, non li fermi. Così è stato finora. La variante 21 – lo strumento urbanistico su cui poggia il progetto – che, annullata dal TAR, risorge a nuova vita come l’araba fenice; il TAR che contraddice se stesso e autorizza in seconda istanza quei lavori di sbancamento in cava – preparatori all’edificazione di Portofinto, come l’ha chiamato Salzano – che aveva bloccato in precedenza; il consiglio comunale di Duino Aurisina – maggioranza di centrodestra e opposizione di centro sinistra, tutti d’accordo, tutti per lo “sviluppo” – che approva compatto in via definitiva il progetto di “valorizzazione turistica” (leggi come al solito “cementificazione”) della splendida Baia di Sistiana, miracolosamente preservata (non sia mai) dalla speculazione edilizia.
Nihil obstat a che finalmente si costruisca. E già si parla sulla stampa, e quindi sicuramente tra gli interessati, del futuro albergo e delle nuove case in baia, già si fanno i nomi di possibili acquirenti. E si parla di cifre, tanto ormai è sicuro. Manca solo – ma è un atto dovuto – l’approvazione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione paesaggistica comunale, poi si potranno rilasciare le concessioni edilizie, e via. Fine 2006, sessanta giorni, se entro febbraio 2007 la Soprintendenza dà l’ok o anche non si pronuncia, è fatta, per il silenzio-assenso.
L’atto dovuto arriva, il 23 febbraio, ed è una sonora, circostanziata bocciatura dell’autorizzazione comunale: carenze negli elaborati progettuali, inosservanza della normativa, incompatibilità del progetto (che comporta “un sostanziale rimodellamento morfologico e cospicue cubature”) rispetto al contesto paesistico tutelato.
Incredulità, sconcerto. Il sindaco Ret sulla stampa rassicura: si tratta di questioni tecnico-burocratiche di poco conto, facilmente superabili; e poi il Soprintendente è nuovo, non conosce bene il problema. WWF e Italia Nostra, da sempre impegnati nella storica battaglia per la difesa della Baia di Sistiana, plaudono pubblicamente all’iniziativa della Soprintendenza, che finalmente mette allo scoperto la superficialità, l’incompetenza e soprattutto la mancanza di oggettività con cui operano gli uffici tecnici del comune di Duino Aurisina pur di favorire i proponenti del progetto.
Scende in campo, ad autorevole sostegno, lo stesso Presidente del WWF Italia Fulco Pratesi con una lettera indirizzata al ministro Rutelli e alla gerarchia del ministero, con particolare elogio al Soprintendente del Friuli Venezia Giulia Stefano Rezzi. Nella sua lettera Pratesi auspica, tra l’altro, che “quanto avvenuto possa finalmente indurre Regione e Comune a un doveroso ripensamento sulla posizione fin qui tenuta sul progetto di valorizzazione turistica della Baia” e ricorda, con rammarico, come “a nulla siano valsi, nei confronti del Comune e della Regione, gli appelli di autorevoli esponenti del mondo scientifico e culturale nazionale, né la documentazione inoppugnabile dei guasti che la realizzazione del progetto avrebbe comportato”.
Intanto per il sindaco Ret è campagna elettorale, vuol essere (e sarà) rieletto. Come si fa con gli oneri di urbanizzazione per gli edifici previsti, che si sarebbero dovuti iscrivere a bilancio e ora minacciano di sparire? Facile, si fa come le altre volte: annullata una variante se ne fa un’altra uguale, se una sentenza del TAR è sfavorevole, la prossima rovescerà la prima e sarà favorevole, e così via. Allora basta rilasciare una nuova autorizzazione paesaggistica, e già che ci siamo metterci anche le concessioni edilizie, senza aspettare il placet della Soprintendenza, anche se forse non sarebbe proprio corretto. Meglio anticipare. Intanto è comunque opportuno che la proprietà ricorra al TAR contro il primo annullamento, non si sa mai. Detto, fatto.
Quante autorizzazioni paesaggistiche avrà il coraggio di annullare la Soprintendenza nei confronti di un comune il cui Consiglio è tutto d’accordo sul “fare la Baia” e che ha dietro di sé la Regione, Governatore in testa? Due per intanto sì, com’è puntualmente avvenuto il 6 luglio. Né poteva essere diversamente, se operano funzionari competenti e onesti: autorizzazione paesaggistica praticamente fotocopia della prima (tanto, che ci provino ad annullare pure questa), nessuna modifica progettuale, carenze rilevate nella prima rimaste tali e quali, integrazioni incongrue e inconsistenti. Insomma il giudizio conferma e rafforza il primo annullamento.
Qui comincia il brutto della storia. Brutto perché “sporco”. Rutelli viene a Trieste per altro (un convegno di Confindustria sul turismo). Illy e Ret colgono l’occasione per perorare presso di lui “politicamente” la causa della Baia di Sistiana, difficilmente difendibile per altra via. La stampa locale non ha esitazioni nel riportarlo; nessuno (destra, sinistra, centro) dice niente né tanto meno si scandalizza. E’ normale. Pochi giorni dopo il sottosegretario agli Interni Rosato, per non sentirsi escluso, risolti i problemi di terrorismo e ordine pubblico, si aggiunge all’allegra brigata. Più si è più forza si ha.
Si accorgerà Rutelli che delegittimare la Soprintendenza è un po’ delegittimare se stesso? Per ricordarglielo, interviene una seconda volta il WWF Italia con una lettera del neopresidente Venini all’onorevole ministro, nella quale, denunciando la manovra politica in corso, Venini sottolinea come non abbia alcun peso il giudizio espresso da Illy (“ora il progetto è fatto bene”) rispetto alle analisi e alle valutazioni dell’organo tecnico competente del ministero, cioè la Soprintendenza, il cui provvedimento di annullamento dev’essere pertanto difeso e sostenuto con la massima determinazione.
Una lettera in difesa della Baia di Sistiana e del decreto della Soprintendenza sarà sottoscritta nei prossimi giorni da uomini di cultura, urbanisti, ambientalisti. Come è già accaduto in passato (purtroppo, senza esito) a testimonianza dell’attenzione che esiste a livello nazionale sulla Baia di Sistiana.
Insomma, qualche soccorso è partito. Basterà, o finirà come ad Alamo?
Carlo Dellabella è responsabile della sezione di Trieste del WWF
Una pioggia di decreti di «vincolo archeologico» sul territorio sidicino: un deciso stop alla cementificazione selvaggia. Si tratta, infatti, di un provvedimento rivolto a ben ventiquattro proprietari terrieri ed emanato a difesa di altrettante zone ora sotto tutela del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le copie del decreto, fatte recapitare ai cittadini interessati nella giornata di ieri e di oggi, risultano prodotte in data 25 giugno e recano in maniera puntuale tutti gli elementi utili all’identificazione dei lotti immobili vincolati. Una decisa, quanto attesa reazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta nei confronti della minaccia, sempre più concreta, di un’azione di cementificazione selvaggia iniziata dai permessi a costruire rilasciati per circa 80 edifici destinati allo svolgimento di «attività produttive». Azione conseguente anche alle denunce contenute nell’inchiesta de «Il Mattino». Si contano, poi, per lo meno, altre cento licenze edilizie concesse a vario titoli per immobili destinati ad uso abitativo privato, molti dei quali addirittura già ufficialmente messi in vendita. A vergare le relazioni tecniche-storiografiche che, assieme ai fogli catastali, sorreggono tutta la documentazione necessaria, il direttore regionale Stefano De Caro, il direttore archeologico Francesco Sirano e la soprintendente Maria Luisa Nava. Un’ancora di salvezza per il parco Archeologico del Teatro di Teanum Sidicinum e per il Santuario di «Iuno Popluna»: i due emblemi della storicità del territorio. A cura della stessa soprintendenza, i ventiquattro decreti (verso cui è comunque ammesso ricorso) verranno trascritti presso l’Agenzia del Territorio - servizio pubblicità immobiliare - e avranno efficacia anche nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo. Questo significa innanzitutto che non sarà più possibile, per esempio, costruire nelle immediate vicinanze dell’eccezionale complesso architettonico pubblico imperiale (Teatro, Anfiteatro, Terme, Templi), una delle grandi risorse della città. Il provvedimento fa perno su molte e fondate motivazioni, decreti legislativi, regolamenti dello stesso Ministero e considerazioni circa i resti archeologici rinvenuti sui vari fondi oggi come oggi essenzialmente agricoli. Ma, appare comunque innegabile, come tra le sollecitazioni maggiormente rilevanti, possano essere a buon diritto annoverate quelle segnalazioni poste in essere da diverse associazioni presenti sul territorio, da Italia Nostra e Mente-Natura dalle Proloco di Teano al Wwf, il Touring club e Masseria Felix, accompagnate dalla decisa posizione assunta agli inizi del 2007 dal Comune di Teano ed espressa per il tramite del Sindaco Raffaele Picierno e dell’Assessore all’Urbanistica Gian Paolo D’Aiello.
Sventrato e poi raso al suolo con un braccio meccanico alto 24 metri e guidato da una pinza demolitrice del genio militare. E' iniziato ieri lo smantellamento del quartiere abusivo, spuntato dal nulla in pochi mesi, lo scorso anno, nella cittadina di Casalnuovo, alle porte di Napoli. Ad assistere al «funerale» delle proprie abitazioni un nutrito gruppo di cittadini truffati dalla ditta Visagi di Domenico Pelliccia, che rimasti senza casa hanno tentato fino all'ultimo di impedire gli abbattimenti. Il ricorso che hanno presentato al Tar è stato bocciato giovedì. Una donna ha anche preso per mano il figlio ed è sgattaiolata dentro l'edificio, il numero 8 di via Vecchiullo. Ha opposto resistenza rifiutandosi di abbandonare il suo appartamento, ma è stata portata via dalle forze dell'ordine.
Sono 57 le famiglie vittime di una mega truffa scoperta all'inizio dell'anno. Un affare enorme in cui è coinvolta parte della classe dirigente locale, comprese le forze dell'ordine, la Finanza, i vigili urbani, i tecnici del comune che hanno fornito i timbri per gli attestati di condonabilità degli immobili, i notai che hanno apposto le firme per legalizzare le compravendite, le banche che hanno concesso i mutui. Un giro di connivenze gestito dalla camorra edilizia, dove il pubblico si mescola agli affari loschi dei privati tramite aziende dalla faccia pulita e che ha permesso di costruire 230 mila metri cubi di edifici, 81 palazzi, 450 appartamenti e una ventina di villette a schiera alla luce del sole, senza che nessuno muovesse un dito. Compreso il sindaco di centrodestra Antonio Manna, che dopo tre mesi dalla scoperta era stato costretto a presentare le dimissioni, salvo ritirarle 30 giorni dopo. Così ieri quando è arrivato a Cesarea per assistere alla demolizione è stato pesantemente contestato e insultato dai cittadini.
L'inchiesta è nelle mani del pm Adolfo Izzo della procura di Nola che un paio di settimane fa ha recapitato le prime 20 richieste di rinvio a giudizio, per un totale di 110 capi d'imputazione che vanno da reati di falso per soppressione di atti pubblici, falso ideologico, truffa aggravata e costruzione abusiva. Ora si dovrà trovare una soluzione alternativa per gli ex-abitanti che in buona fede si sono anche indebitati per ottenere quattro mura in cui vivere e che nel processo saranno considerati parte lesa.
Le istituzioni locali garantiscono che si occuperanno della cosa, ma ieri è stata la giornata della soddisfazione per aver riportato la legalità a Casalnuovo. L'azione più imponente di repressione contro l'abusivismo mai compiuta in Campania. Antonio Bassolino, il presidente della regione, l'ha considerata un'operazione di grande valore per cui la regione ha investito oltre un milione di euro: ce ne vorranno altri quattro di milioni per buttare giù l'intero rione abusivo. Anche il ministro dell'ambiente Pecoraro Scanio ha definito gli abbattimenti una vittoria e una promessa mantenuto una promessa: «Dobbiamo far passare il messaggio della tolleranza zero verso gli abusi edilizi». Soddisfatta Legambiente che però tramite il suo presidente Michele Buonomo ha ricordato come la situazione nella regione sia sempre più drammatica: «Interi quartieri costruiti senza una sola licenza edilizia - ha spiegato - Giunte comunali che si compongono e si scompongono a seconda dell'adesione o meno agli interessi degli speculatori, addirittura enti locali che collocano loro strutture in immobili abusivi, territori divenuti ormai un mostro di cemento illegale». Secondo le stime dell'associazione nel 2006 si è viaggiato alla media di 16 case abusive al giorno, per un totale di circa 6000, con la costiera amalfitana e la provincia di Napoli capitale della cemento connection.
Da Casalnuovo però i rappresentanti del centrodestra fanno sapere di non voler essere etichettati come la cittadella illegale. «Questa operazione è stata pubblicizzata troppo - dice Paolo Proto, consigliere comunale - Il recupero di questa area quanto costerà? Sarà il cittadino a pagare». Sta di fatto che i suoi abitanti hanno già pagato lo scempio del territorio affidato ai propri rappresentanti politici.
Per l´autostrada della discordia, la scia d´asfalto che sembrava ormai destinata a divorare i boschi e i vigneti della Maremma, il progetto torna alla casella di partenza. Tutto è di nuovo appeso alla Valutazione d´impatto ambientale. Lo ha comunicato, in una lettera, il presidente della Commissione speciale Via, Bruno Agricola: «Il percorso autorizzativo è solo nella fase iniziale e sarà comunque necessario, sulla base delle prescrizioni espresse, adeguare il progetto che dovrà essere oggetto di una nuova ripubblicazione e di un nuovo pronunciamento da parte della Commissione speciale Via».
In sostanza è stato annullato il blitz di fine legislatura del governo Berlusconi che aveva ottenuto semaforo verde per la Civitavecchia - Livorno. Determinante era stato il parere favorevole della Regione Toscana che, dopo una lunga fase d´incertezza, aveva optato per un sì condizionato alla definizione di un percorso vicino alla costa, in modo da evitare il disastro paesaggistico nelle aree interne. Ma anche il nuovo tracciato aveva suscitato grandi perplessità per l´impatto prodotto da un ennesimo cordolo d´asfalto parallelo all´Aurelia, alla ferrovia e alle vie minori. Perplessità che hanno portato all´accumularsi di una serie di ritardi e ripensamenti. La Regione Lazio, contraria alla costruzione di altre 6 corsie che si aggiungerebbero alle 4 esistenti per buona parte del tracciato, ha disertato le riunioni di valutazione degli aspetti operativi. Il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) non si è ancora espresso. E le 84 prescrizioni imposte dalla commissione Via nel marzo 2006 si sono rivelate un handicap così pesante da costringere a riscrivere il progetto. Una mutazione tanto drastica da aver spinto il presidente della Commissione a chiedere un nuovo giudizio complessivo sull´autostrada proposta in una delle aree più incontaminate d´Italia.
«Interventi di mitigazione, opere di raccordo con i porti e la viabilità locale, studio dell´impatto sulle aree protette e sui 13 siti di interesse comunitario attraversati: quelle 84 prescrizioni hanno imposto una riscrittura totale e così oggi siamo di fronte a un progetto che di fatto non ha valutazione d´impatto ambientale», spiega la senatrice verde Anna Donati. «Alcune di queste prescrizioni sono poi decisamente bizzarre. Ad esempio si obbliga l´amministrazione pubblica a distruggere, a spese dei cittadini, 2 delle 4 corsie esistenti. La ragione è al tempo stesso logica e folle: se l´Aurelia resta una via comoda e gratuita, l´autostrada fa pochi profitti. Dunque per aumentare il fatturato dei privati bisogna distruggere un bene pubblico».
In realtà dei 120 chilometri del tratto tra Grosseto e Civitavecchia, che costituiscono il nodo del contendere, ben 95 sono già a 4 corsie: all´appello mancano solo 25 chilometri. Completare l´ampliamento dell´Aurelia e metterla in sicurezza costerebbe circa 800 milioni di euro. Il progetto autostradale, senza contare i maggiori costi derivanti dalle prescrizioni obbligatorie, viaggia invece a quota 2,5 miliardi.
Il nuovo stop al progetto cade in un momento particolarmente critico, alla vigilia del passaggio alla fase operativa del progetto. «In queste condizioni», continua Anna Donati, «sarebbe insensato proseguire nella fuga in avanti iniziata dalle società interessate e passare alla firma della convenzione con la concessionaria Sat già annunciata dal ministro Di Pietro».
26 aprile 2007
Rapporto sul cemento che soffoca la Liguria
L’intervista di Marco Preve al Soprintendente Giorgio Rossini
Dalle villette di Recco al golf di Bonassola, passando per i parcheggi di Genova, i grattacieli di Albenga e Savona. Sono tanti, forse troppi i "punti di criticità" ambientale enunciati dal Soprintendente Giorgio Rossini nella sua relazione annuale sul monitoraggio del paesaggio inviata da poco al Ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli.
Le emergenze riguardano il verde urbano di Genova dove «le previsioni edificatorie hanno raggiunto il livello di saturazione», e in primis l’uliveto murato di Quarto, e poi i piani urbanistici comunali di varie località rivierasche, e anche una perla come San Fruttuoso di Camogli dove sopravvivono baracche frutto di abusi.
Se fosse una pagella, l’alunno non potrebbe che essere bocciato. Tutt’al più rimandato in materie fondamentali come il paesaggio, la conservazione del verde e del patrimonio rurale, la cementificazione.
Le sei pagine di "Monitoraggio del paesaggio", ovvero la relazione annuale con cui il Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, Giorgio Rossini, informa il ministro dei Beni culturali della situazione del suo territorio, sono una radiografia severa della Liguria, un voto insufficiente per i suoi sindaci e amministratori provinciali e regionali. Un dossier che per Legambiente e Italia Nostra che lo hanno letto, è diventato una sorta di vangelo, e che arriva in un momento chiave, visto che la Regione sta aggiornando il Piano Paesistico. Senza dimenticare che si attende che, dopo Sardegna e Toscana, sia proprio la Liguria a firmare quell’accordo con il ministero dei Beni culturali che, di fatto, attraverso la condivisione, dovrebbe rendere più difficili le abituali operazioni di scavalcamento dei vincoli, quelle che consentono al cemento di contaminare anche gli ultimi paradisi storico naturali. Un progetto al quale il ministro Francesco Rutelli sta dedicando grandi sforzi e che prevedono anche la creazione di un nucleo "carabinieri del paesaggio".
Ce n’è per tutti, a iniziare dal capoluogo, per continuare con il Puc di Recco che mette a rischio la collina di Megli, e poi con Framura, Alassio, Albenga e così via. Rossini elenca le "criticità", parla del Puc in vigore a Genova e spiega che «la consistente antropizzazione ha indotto spesso il declassamento ad ambiti di trasformazione di aree verdi di pregio tutelate sotto il profilo paesistico. Un capitolo significativo è rappresentato dall’aggressione al verde urbano del levante. Albaro, San Martino, Quarto, Quinto, Sant’Ilario». I riferimenti a box e palazzine (alcuni interrotti da decisioni del consiglio comunale o del Tar) riguardano gli ex uliveti di via Semeria e via Palloa, e poi le aree verdi di villa Gambaro, via Donato Somma, l’area Campostano, viale Quartara, via Sacchi, via Giordano Bruno, via Puggia, e i fienili di Sant’Ilario che si trasformano in villette. E ancora «le previsioni edificatorie hanno raggiunto il livello di saturazione...si ritiene indispensabile dichiarare la previsione di conservazione per le zone paesistiche di pregio...al contrario ipotesi di nuova espansione edilizia innescano una perversa involuzione territoriale...una irreversibile perdita di valori pubblici...». L’architetto Rossini stigmatizza poi la "prassi", da parte di Regione e Provincia, di convocare la Soprintendenza nella fase di previsione degli strumenti urbanistici e «il ricorrente mancato confronto ministeriale» nella fase di formazione degli stessi.
L’elenco delle criticità del paesaggio - termine che raccoglie vari contenuti, ambientale, storico, socio-economico, urbanistico, perfettamente analizzati dal geografo genovese Massimo Quaini nel suo libro "L’ombra del paesaggio" - è lungo. Secondo Rossini «la maggiore aggressione edilizia al territorio si incontra nel tratto di costa e relativo entroterra tra Arenzano e il Monte di Portofino». Il paragrafo più lungo è dedicato al Puc di Recco, ancora da approvare a causa di incompatibilità interne alla maggioranza di centodestra. Un piano che prevede una colata di cemento sulla collina di Megli «in zone di pregio paesaggistico, a rischio archeologico e idrogeologico, già pesantemente interessate da pressione edilizia». Altri Puc contestati per la riclassificazione di zone di mantenimento, quelli di Alassio e Framura, per i quali sono scattati degli annullamenti della Soprintendenza. Rossini evidenzia anche alcune note positive: «Nella logica di collaborazione con la Regione è stata ripensata la consistenza del progetto del nuovo porto di Ventimiglia per 20 ettari, 572 posti barca e volumi residenziali». Il Soprintendente prosegue con 15 criticità, 8 nel savonese e 7 nello spezzino. A Ponente gli oltre 200mila metri cubi di residenziale previsti a Pietra Ligure, poi il progetto di quattro grattacieli a ridosso del centro storico di Albenga, altra manifestazione di "celolunghismo" che ha contagiato la città ingauna come Savona (ulteriore criticità per la Soprintendenza), Varazze e Vado Ligure, impegnate in una gara a chi arriva più in alto. Ma Rossini segue anche con attenzione la sorte della provincia più incontaminata, quella de La Spezia. I progetti del Villaggio Europa alle Cinque Terre e di un campo da golf e seconde case a Bonassola. Dove? Naturalmente in una «zona di pregio paesistico».
28 aprile 2007
"Contro il cemento, tolleranza zero"
di Marco Preve
«Il territorio ligure è fragile ed ha già subito aggressioni così forti negli anni ‘60 e ‘70 da non poter tollerare altro cemento. La collaborazione con la soprintendenza per tutelare il paesaggio è fondamentale e dà buoni frutti, nonostante ci siano a volte posizioni discordanti. Ma solo con la presa di coscienza da parte dei comuni ci può essere una svolta. E’ inutile avere buoni piani paesistici se poi con strumenti speciali diventati abituali, penso alle conferenze dei servizi, si aggirano i divieti».
Franco Zunino, assessore regionale all’Ambiente ha letto su Repubblica l’articolo riguardante il dossier "monitoraggio sul paesaggio" che il soprintendente Giorgio Rossini ha inviato nei giorni scorsi al ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli. Una relazione che elenca una serie di "criticità" tutte legate al business delle costruzioni.
«E’ vero - dice Zunino - c’è una serie di interventi progettati o programmati sui quali ci sono opinioni diverse. Il progetto porticciolo più grattacielo di Fuksas a Savona è emblematico. Io sono contrario, altri favorevoli (come l’assessore all’Urbanistica Ruggeri, e lo stesso Rossini lo giudica con favore anche se ritiene necessario un ridimensionamento, ndr). Poi ci sono interventi che devono ancora essere approvati. Il caso delle 4 torri grattacielo di cui si parla ad Albenga. Non conosco la vicenda in maniera approfondita ma mi sembra un progetto fuori scala in rapporto alla tutela del paesaggio, della storia e della cultura ingauna».
Le criticità evidenziate dal Soprintendente coprono tutto l’arco ligure.
«La nostra regione ha bisogno di salvaguardare la qualità del suo territorio, sia per l’ambiente che per puntare davvero a quel turismo di qualità che cerca servizi, ma soprattutto rispetto della natura e del paesaggio. Ma ci vuole più responsabilità da parte dei comuni. Con gli strumenti speciali come le conferenze dei servizi si è persa di vista la pianificazione provinciale e regionale».
Una serie di progetti "pesanti" sono previsti nel ponente savonese, Pietra Ligure e Finale Ligure, con seconde case al posto di ex cantieri navali e aerei o di cave abbandonate.
«Questo aspetto riguarda le aree industriali dismesse. Posso anche capire che si debbano trovare risorse. Ma alcune volumetrie, come era il caso di Finale, sono state giustamente ridimensionate dalla Regione, anche se forse non in maniera ancora sufficiente. D’altra parte, anche qui ci troviamo di fronte a scelte locali, forse discutibili, prese in passato anche da amministrazioni di centrosinistra».
A cosa si riferisce?
«Penso alle cave Ghigliazza di Finale. C’è stato chi ha sfruttato quella cava, poi il fallimento, gli operai a casa. Spesso chi ha deturpato poi riesce in qualche modo ad essere beneficiato, perché per ripristinare ottiene la possibilità di costruire delle case. E’ un meccanismo perverso. Chi fa una cava deve ripristinare l’ambiente a suo carico, non può pensare che la comunità debba farsene carico regalando volumetrie».
L’attenzione internazionale è concentrata su come ridurre il consumo di risorse naturali e conservare l’ambiente. In riviera si pensa a centinaia di miglia di metri cubi, che riscaldano ulteriormente l’ambiente e che provocano ulteriore consumo di energia e di acqua.
«Credo che la politica sulle seconde case dovrebbe essere accantonata definitivamente. Ci vuole un patto tra amministrazioni e aziende. La Liguria ha bisogno di conservazione e ristrutturazione, non di nuove costruzioni».
In conclusione, l’allarme per il paesaggio ligure arriva da più parti, cosa ne pensa?
«Credo che alcuni attacchi siano esagerati ma c’è un elemento di fondo su cui bisogna ragionare. La Liguria ha subito o rischia di subire ferite al suo territorio che non derivano dalle politiche degli anni 60-70. Mi rendo conto che esistono pressioni e interessi molto forti che vanno in senso contrario. Con la soprintendenza c’è una collaborazione efficace, e potrebbe bene testimoniarlo il mio collega Carlo Ruggeri, titolare dell’urbanistica. A volte ci sono delle frizioni, dei pareri divergenti, ma fa parte della dialettica».
28 aprile 2007
Il Soprintendente precisa "Non facciamo i gendarmi"
di Giorgio Rossini
Faccio seguito all’articolo apparso sul vostro giornale del 26 aprile 2007 dal titolo: "Box, palazzine & Co. Scacco al verde", a firma di Marco Preve.
Premetto che non ho rilasciato io alcuna intervista al giornalista, né ho dato alcuna autorizzazione a pubblicare parti di una relazione che abbiamo inviato al ministero per i Beni e le Attività Culturali e che lo stesso periodicamente richiede al fine di aggiornare il monitoraggio sulla situazione paesistica.
La pubblicazione di alcune parti di tale relazione rappresenta un atto di estrema gravità, in quanto essa è un documento interno all’amministrazione e pertanto ha carattere riservato.
Per questo motivo farò eseguire gli opportuni accertamenti alla ricerca di eventuali responsabilità da parte di chi ha divulgato o consentito la divulgazione di tali notizie.
Lo scopo della relazione che il ministero ci ha chiesto è quello di evidenziare i problemi del territorio, nei quali la Soprintendenza è stata coinvolta, spesso con esito positivo, talvolta senza ottenere i successi sperati. La relazione è stata mio parere utilizzata solo in una direzione, evidenziando, cioè, gli aspetti più critici della tutela. Questo aspetto, forse voluto (non certamente dal sottoscritto) tende a conferire alla Soprintendenza l’immagine di un "gendarme" nei confronti di Regione, province e comuni inadempienti.
Sono enti che, a vario titolo, si occupano della gestione del territorio e, pertanto, risultano essere gli attori principali della tutela del paesaggio.
Non è così che si contribuisce alla tutela. Sappiamo bene che il paesaggio non può essere congelato ed oggetto di conservazione tout court.
La Convenzione Europea sul Paesaggio, sottoscritta a Firenze nel 2000 dagli stati aderenti all’Unione Europea, ce lo indica: non solo tutela ma valorizzazione e pianificazione orientata ad una migliore fruizione del territorio da parte dell’uomo che vi abita. Spesso un atteggiamento eccessivamente rigido porta a delegittimare le azioni positive, che si stanno conducendo in sintonia con gli enti locali, con i quali si dialoga e si collabora.
L’evidenziazione degli aspetti critici vuole rappresentare un contributo alla risoluzione dei problemi. Nelle premesse della relazione, che l’articolo non ha voluto evidenziare, sono contenuti gli aspetti maggiormente positivi che sono maturati in diversi anni di collaborazione tra ministero e Regione Liguria.
I passaggi principali di tale premessa riguardano, ad esempio, la strumentazione paesistica vigente nella nostra regione, certamente una delle più avanzate d’Italia anche se, ad oltre vent’anni dalla sua elaborazione (il piano territoriale di coordinamento paesistico è stato, infatti, adottato nel 1986), mostra limiti che la Regione stessa sta cercando di superare, anche con la collaborazione della nostra amministrazione.
Non possono passare inosservati alcuni momenti di questa collaborazione come ad esempio, il protocollo d’intesa Regione Liguria - ministero per i Beni e le Attività Culturali del novembre 1999, o il documento congiunto Regione - Soprintendenza per la corretta interpretazione e l’applicazione delle norme del piano paesistico, sempre del 1999.
Non possono passare neppure inosservati i contenuti del nuovo codice Urbani dei beni culturali e del paesaggio, che prevede ulteriori forme di collaborazione tra regioni e ministero per la redazione e/o la revisione dei piani paesistici. Le criticità evidenziate si configurano pertanto come gli aspetti sui quali occorre orientare l’attenzione di tutti. Ci attendiamo che da tali orientamenti nasca un prodotto comune di qualità, teso non a sopravvalutare il lavoro di pochi a detrimento di quello di molti, ma nell’ottica della tutela del pubblico interesse, che è patrimonio di tutti.
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Non ti sfugga infine la somiglianza delle ombre con le idee; infatti sia le ombre sia anche le idee non sono contrarie dei contrari. In questo genere, attraverso una sola specie, si conosce il bello e il turpe, il conveniente e lo sconveniente, il perfetto e l’imperfetto, il bene e il male. Infatti il male, l’imperfetto e il turpe non hanno idee proprie con cui siano conosciuti; poiché tuttavia si dice che sono conosciuti e non ignoti, e quanto è conosciuto intelligibilmente lo è attraverso le idee, allora il male, l’imperfetto e il turpe vengono conosciuti in una specie altrui, non nella propria, che non esiste affatto. Infatti quel che è a essi proprio, è un non-ente nell’ente o (per dirla più chiaramente) un difetto nell’effetto. [1]
Il numero zerodue di Urbané affronta il tema della pianificazione costiera savonese con una monografia che, da diverse angolazioni, intende offrire spunti di riflessione forse inediti e sicuramente poco approfonditi nell’ambito savonese. Con un.ulteriore testimonianza, dunque, la proposta editoriale cresce, rafforzandosi con i preziosi contributi esterni ospitati nelle pagine di questa seconda simulazione della rivista, tanto che forse non sembra così lontano il momento del primo numero ufficiale dell’ambizioso progetto. Ma veniamo al dunque.
Da oltre un decennio, molti sostengono che Savona necessiti di un nuovo porto turistico e che questa infrastruttura debba essere realizzata al confine con il Comune di Albissola Marina, nella zona denominata Punta Margonara. La costa, nel tratto interessato dalla nuova infrastruttura per la nautica, è una falesia posta immediatamente a ridosso dell’imboccatura portuale del bacino di Savona, nella quale coesistono alcune emergenze morfologiche (Punta Margonara, lo scoglio della Madonnetta.e gli scogli della Margonara), Rio Termine, la Strada Aurelia e spontanei agglomerati di baracche costruiti nel tempo per la fruizione balneare del litorale.
L’Autorità Portuale di Savona, a partire dagli anni .90, si è fatta promotrice dell’introduzione negli strumenti di pianificazione sovraordinati delle necessarie previsioni per il polo nautico che, di fatto, è contemplato dal Piano territoriale di coordinamento degli insediamenti produttivi dell’area centrale ligure (PTCP-ACL - 1997) e dal Piano territoriale di coordinamento della costa (PTCC - 2000). Nel giugno 1998, l’Autorità Portuale intraprese la ricerca di soggetti interessati alla realizzazione e alla gestione del porto turistico, giungendo, nel gennaio 1999, all’affidamento della progettazione preliminare del futuro approdo alla società Porticciolo di Savona e di Albissola Marina Srl’ Il primo progetto preliminare, redatto dagli architetti Avagliano e Gambardella, fu presentato del dicembre 1999, e successivamente vennero avviate le procedure approvative nelleopportune sedi istituzionali, che si concretizzarono in un complessivo parere favorevole espresso dalla conferenza di servizi deliberante del maggio 2003, condizionato alle future prescrizioni del Ministero dell’ambiente in merito alla Valutazione d.impatto ambientale relativa al Piano regolatore portuale (PRP). Nell’ottobre 2005 un.ulteriore conferenza di servizi stabilì che il progetto preliminare depositato dovesse essere adeguato alle prescrizioni contenute nella delibera regionale di approvazione del PRP del Porto Savona-Vado. Così, nel marzo 2006, la Porticciolo di Savona e di Albissola Marina Srl presentò all’Autorità Portuale di Savona una nuova versione del progetto preliminare, in forma di studio di fattibilità, redatto dall’architetto Fuksas, che fu oggetto di presentazione pubblica presso la sede dell’Unione Industriali di Savona nel giugno dello stesso anno, senza peraltro formalizzarne il deposito presso le amministrazioni comunali interessate. Il Comune di Savona, a breve, intende avviare una discussione in Consiglio comunale al fine di esprimersi sulla nuova proposta progettuale.
Secondo i sostenitori dell’iniziativa, il nuovo porto turistico savonese contribuirà a riqualificare il tratto costiero interessato e darà un impulso significativo all’economia turistica locale del comprensorio; per contro, le voci avverse sostengono che l’operazione si tradurrà nell’ennesimo danno ambientale al patrimonio naturale costiero, giustificato esclusivamente dalla volontà politica di accontentare immotivati interessi finanziari e immobiliari.
A prescindere dalle posizioni ideologiche, vi sono comunque interessanti novità a Savona, e per coglierne la portata bisogna innanzitutto convincersi che i paradigmi della pianificazione urbanistica stanno cambiando in fretta e occorre pertanto adeguare i modelli interpretativi alle attuali situazioni. È una nuova fase dell’urbanistica quella che stanno vivendo anche le piccole realtà di provincia: la pianificazione territoriale classica, infatti, si sta rapidamente trasformando in una sorta di urbanistica dello spettacolo [2], come parimenti succede in altre città italiane e straniere.
Ai consolidati schemi delle iniziative immobiliari classiche, vengono oggi affiancati nuovi modelli per lo sviluppo delle città e la trasformazione del territorio che interessano in modo sempre più diffuso le aree demaniali, favorendo così la valorizzazione immobiliare del patrimonio territoriale dello Stato e mettendo in campo un articolato meccanismo di formazione del consenso, che pare più intimamente collegato alle tecniche pubblicitarie che alla pratica urbanistica tradizionale.
Fautori di queste iniziative non sono le amministrazioni comunali ma enti-promotori come l’Autorità Portuale e la stessa Agenzia del Demanio. Di concerto con le locali associazioni di categoria, con le imprese legate alla cooperazione e con singole forze imprenditoriali, intervengono direttamente nella gestione territoriale, alla stregua di promotori immobiliari, in virtù di un tacito principio di sussidiaria delega pianificatoria concessa loro dai comuni, che ormai sempre più spesso non sono neppure in grado di approvare il Piano urbanistico comunale (PUC).
Venendo quindi a mancare l’indirizzo di un organo elettivo, che deve pur rispondere ai cittadini che rappresenta, le nuove operazioni di trasformazione territoriale gestite da questi enti-promotori si fanno sempre più disinvolte, raggiungendo frontiereinesplorate nel campo della valorizzazione immobiliare, come, ad esempio, la costruzione di palazzine su aree demaniali vergini, che da sempre è stato considerato un tabù difficile da rimuovere. E quanto più la proposta è spregiudicata, tanto più la sua giustificazione è categorica. Quando infatti non è possibile legittimare una significativa operazione di trasformazione territoriale con il preminente interesse pubblico attraverso dei dati socio-economici oggettivi che dimostrino inequivocabilmente un tangibile vantaggio per la collettività, gli enti-promotori della trasformazione fanno ormai ricorso alle tecniche proprie dello spettacolo, creando delle suggestioni, delle immagini forti che si traducono in affermazioni perentorie, dei falsi indiscutibili [3], sui quali viene fondato e costruito il necessario consenso degli amministratori pubblici e di una larga parte dei cittadini, che cedono alle lusinghe di un immaginario spettacolare proposto come una concreta opportunità di sviluppo.
Anche considerando il panorama nazionale, il caso savonese è significativo. La scorsa estate, infatti, ha preso forma una singolare teoria urbanistica che afferma l’esigenza di dotare il capoluogo di provincia, oltre che della nuova infrastruttura per la nautica, anche di un landmark nel paesaggio costiero. Tale congettura si fonda sul bisogno, fortemente sentito da alcuni, di rendere identificabile con certezza la città di Savona, ridisegnandone il paesaggio costiero: marcandolo, appunto, in modo inconfondibile con una torre di circa centoventi metri di altezza, piazzata sul molo frangiflutti del futuro porto turistico. La torre-faro, secondo le intenzioni del progettista, dovrebbe ricostituire il giusto rapporto di proporzioni stereometriche tra la linea di costa e le grandi navi da crociera che faranno ingresso nel porto di Savona, segnalando inoltre la presenza della città con luminarie visibili fino a Genova.
La nuova strategia urbanistico-spettacolare è bene sintetizzata in un articolo, a firma di Paola Pierotti, pubblicato dal portale di Internet Demanio Real Estate, [4] dell’Agenzia del Demanio: «Costruire sull’acqua. Abitazioni galleggianti, alte torri che come fari caratterizzano nuovi skyline urbani, isole artificiali con architetture che ospitano mix integrati di funzioni o ancora intere città nate dal nulla. Sono architetture-icona firmate da grandi star dell’architettura internazionale, realizzate in città che hanno riscoperto nel rapporto tra città e mare il volano per lo sviluppo economico e l’occasione per essere forze attive nel quadro della competitività internazionale. Nel nostro Paese il binomio archistar e localizzazione sul mare è strategia di marketing urbano: le costruzioni sull’acqua normalmente non sono infatti interventi risolutivi di una problematica urbana diffusa, una tendenza alla conquista di spazi marittimi per risolvere problemi di densità urbana, ma landmark che danno qualità aggiunta alla trasformazione della città. (.) ». Urbanistica e architettura spettacolari, appunto.
Negli Emirati Arabi Uniti, sulla costa del Golfo Persico a Sud di Dubai sono in corso di realizzazione le Palm Islands, isole artificiali disposte in modo tale da formareil disegno un albero di palma. Le isole artificiali conterranno un complesso residenziale composto da 500 appartamenti, 2.000 ville, 25 hotel e 200 negozi di lusso, diversi cinema e un parco marino contenente alcune vasche per balene e delfini. Ogni isola, avrà poi un proprio porto turistico con ormeggi per 150 yacht e 50 super yacht. La Palma di Jumeirah è vicina all’inaugurazione, la Palma di Jebel Ali è in fase di completamento e a questa si aggiungerà una terza palma, a Deira, ancora in fase di progetto. Poco più a nord della Palma di Jumeirah è prossimo alla realizzazione The World, un arcipelago artificiale composto da 300 isole che formeranno il disegno del planisfero terrestre, mediante lo spostamento di 500 milioni di metri cubi di sabbia del deserto.
Sotto il dispotismo illuminato dello sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, negli ultimi anni, l’Emirato di Dubai si sta trasformando nella nuova icona globale dell’urbanistica immaginata[5], grazie ad altri megaprogetti quali: Burj al-Arab (l’albergo più alto e più lussuoso al mondo costruito anch.esso su un.isola artificiale), Hydropolis (un albergo di lusso sottomarino di 220 camere con vista sui fondali del Golfo Persico), Dubai Waterfront (ulteriori 81 chilometri quadrati di isole artificiali variamente composte), Burj Dubai (circa 800 metri di altezza, l’edificio più alto della Terra), Madinat Al Arab (il progetto per il migliore skyline costiero al mondo da realizzare costruendo nuovi edifici di pregio), Dubai Sports City (un complesso sportivo di 7,5 chilometri quadrati), Golden Dome (uno dei più voluminosi edifici al mondo, 455 metri di altezza, 500.000 metri quadrati di uffici e spazi commerciali, oltre a 3.000 appartamenti residenziali), Dubailand Ski Dome (una cupola di vetro nel deserto, contenente 6.000 tonnellate di neve per praticare sport invernali).
Questo originale modello di sviluppo è frutto di una precisa strategia di marketing territoriale che si prefigge di creare un nuovo tipo metropoli moderna: una specie di ibrido tra una capitale della finanza e Las Vegas, in previsione di un futuro ormai prossimo nel quale si esauriranno le scorte petrolifere mondiali e occorrerà riconvertire l’economia dei paesi arabi verso i nuovi mercati della finanza internazionale e del turismo di lusso.
Non stiamo dunque sperimentando nulla di nuovo a Savona, da altre parti osano ben di più. Occorre tuttavia rimarcare che dietro ai visionari progetti dello sceicco di Dubai geograficamente vi è il deserto e finanziariamente una delle più floride economie del capitalismo mondiale.
Come spiegare quanto sta oggi accadendo a Savona?
La città si era ormai abituata con rassegnazione allo storico landmark della Fortezza del Priamar, il manufatto che i genovesi iniziarono a erigere a partire dal 1542, attraverso la sistematica demolizione di una serie di importanti edifici sacri e civili, cancellando per sempre il vecchio quartiere di Santa Maria. Sembrava quasi un paradosso il fatto che l’emblema della sconfitta e della distruzione della città antica potesse diventare, anche se a distanza di qualche secolo, il simbolo della città stessa, e che nel completo riuso del complesso monumentale fossero riposte le speranze per un futuro rilancio culturale, turistico ed economico. Forse occorrevano altri stimoli, e di conseguenza gli ultimi anni sono stati fortemante innovativi sul versante della produzione edilizia, funzionale, secondo alcuni, a precisi scenari di sviluppo economico.
Così, dopo l’avvio degli interventi di trasformazione del waterfront cittadino, progettati dall’architetto Bofill, che rappresentano un significativo e controverso precedente urbanistico, la ventata di novità portata dal .Tornado. dell’architetto Fuksas ha definitivamente risvegliato la città dal torpore. Una suggestione troppo forte quella di una comoda teoria di marketing territoriale di provincia, per di più rafforzata da un brand architettonico all’ultimo grido. Da subito il programma ha trovato molti autorevoli sostenitori: «Savona come Dubai!» . avranno pensato.
Il recente convegno sul tema della salvaguardia della fascia costiera, organizzato da Italia Nostra, pur offrendo spunti ben più meritevoli di approfondimento, ha dato involontariamente la stura a una serie di discussioni e confronti serrati tra le opposte scuole di pensiero, quasi esclusivamente in merito all’interpretazione iconografica del landmark proposto dall’architetto romano. L’atteggiamento troppo superficiale degli organi di stampa ha poi contribuito a sviare l’opinione pubblica dalla vera sostanza del problema. Non si tratta di una questione estetica, è un problema etico.
Sarebbe quindi conveniente riportare le questioni urbanistiche all’interno di una discussione non viziata da ingiustificate derive, alimentate dalle suggestioni pubblicitarie e dalle strumentali semplificazioni in cui sovente cadono certi amministratori e una larga parte dell’opinione pubblica. Occorre tenere ben presente il fatto che alle nostre spalle non vi è il deserto, né tantomeno un florido tessuto economico pronto ad assorbire qualunque bizzarria imprenditoriale e progettuale. Davanti a noi si prospetta un futuro incerto che non va ipotecato aderendo pedestremente a scenari di sviluppo e a progetti carenti nella motivazione.
Tecnicamente si potrebbe argomentare che i 128 nuovi posti di lavoro dichiarati dai proponenti, a fronte del finanziamento a fondo perduto di una quota corrispondente a circa il 20% dell’investimento necessario per la realizzazione del porto turistico [6], appaiono poca cosa, tenendo conto che per l’ulteriore congestione veicolare sulla Via Aurelia, procurata dal traffico indotto dal nuovo approdo turistico, non viene fornita alcuna soluzione. Sorvolando sulle questioni architettoniche, che meriterebbero ben altri approfondimenti, appare singolare che il primo progetto preliminare del porto turistico e il recente studio di fattibilità non contengano un.Analisi costi-benefici, che permetterebbe di accertare l’effettiva sussistenza del preminente interesse pubblico dell’operazione. Appare quindi fin troppo facile liquidare la proposta come sospetta e poco circostanziata, ma tale atteggiamento presterebbe il fianco a quanti agitano lo spettro dell’immobilismo. Occorre invece essere propositivi.
Non si tratta pertanto di avversare a priori il progetto di un porto turistico a Savona, semmai si tratta di dimostrarne l’effettiva esigenza alla luce di approfonditi studi di settore e di valutazioni obiettive e di stabilirne la migliore ubicazione, in funzione delle scelte strategiche della città e del comprensorio, evitando di consumare inutilmente delle risorse territoriali non ancora compromesse.
Per meglio inquadrare il programma urbanistico appena enunciato, vorrei recuperare l’importante concetto espresso nel mese di ottobre dello scorso anno dal Sindaco di Savona, Federico Berruti, a proposito dell’esigenza di indire una Conferenza strategica sul futuro della città entro la metà del 2007: «La conferenza dovrà concentrarsi sul tema: quale idea di città tra venti anni? Porto, turismo e commercio, università, ricerca e innovazione sono i temi sui quali darci obiettivi condivisi. La strategia urbanistica deve essere figlia di questa idea di città» [7].
Se il binomio porto turistico alla Margonara e Torre-faro può rappresentare una risposta ai problemi dello sviluppo dell’economia locale, un Piano strategico per la città potrà sicuramente analizzare tutti gli aspetti non ancora indagati e proporre, nell’evenienza, delle alternative concrete all’intervento o semplicemente delle modifiche, tutte supportate da un più corretto approccio tecnico e amministrativo. Visto il perdurare della situazione di stallo del nuovo PUC, la prospettiva di dotare Savona di un Piano strategico pregno di contenuti programmatici, di consapevolezza, di slancio ideale, di rigore e di vera partecipazione democratica potrebbe forse rappresentare la vera novità nel panorama amministrativo locale e forse potrebbe costituire un primo segnale concreto del rinnovamento da molti auspicato. In quest.ottica la pianificazione territoriale tornerebbe a essere promossa pienamente dall’amministrazione comunale, organo elettivo espressione della comunità, e verrebbero finalmente a cessare gli anomali interventi sussidiari di soggetti che non rappresentano, di fatto, gli interessi diffusi della collettività.
I piani strategici, ormai da qualche anno, sono stati adottati da diverse amministrazioni comunali italiane quale strumento fondamentale per la costruzione e la condivisione futura del loro territorio. Vorrei riportare alcuni brani tratti dalla premessa del Piano strategico del Comune di Pergine Valsugana [8], che illustrano, in questa prospettiva, le ragioni e i significati della pianificazione strategica.
«Un piano strategico è qualcosa di più di un piano di sviluppo. Qualcosa di diverso. È un progetto di futuro. È un disegno collettivo che si propone di orientare le traiettorie del cambiamento e le trasformazioni concrete di una città o di un territorio verso un orizzonte di lungo periodo, verso uno scenario possibile e desiderato. Il piano strategico non è, da questo punto di vista, il piano del Comune:è il piano della città, nato dalla concertazione, dal confronto, dal contributo di numerosi soggetti attivi, dalla condivisione che si è saputo maturare. È, in breve, il punto di convergenza più avanzato possibile di una prospettiva di crescita.
È una costruzione sociale.
Questo è un primo significato del piano strategico. Forse il più importante. Perché il piano non è solo un .contenitore di progetti., ma è innanzitutto il luogo nel quale si costruisce e si .distilla . la fiducia reciproca fra la dimensione politica e istituzionale e la dimensione civile. La fiducia è il valore fondamentale dal quale può nascere il confronto pubblico su visioni e su interessi differenti ed anche, qualche volta, conflittuali; è il presupposto sul quale è possibile costruire o innestare la disponibilità a collaborare. La fiducia è, potremmo dire, un .uso civico.: è quella proprietà collettiva immateriale che rappresenta una parte essenziale di ciò che viene normalmente definito .capitale sociale., un valore fatto di saperi distribuiti, di conoscenze implicite, di intelligenza diffusa. (...)
Il piano strategico nasce anche come sfida al ruolo dell’Amministrazione municipale. Perché interpella il Comune come promotore e come garante del processo di pianificazione. Ed anche perché . di fronte ad una perentoria e non eludibile domanda di governo delle trasformazioni urbane (cioè di fronte ad una domanda di strategia e di concretezza) . la Municipalità non può limitarsi a dare risposte esclusivamente formali e ipotetiche: risposte che non sanno o non possono incidere sulle dinamiche reali. Con il piano strategico, il Comune non si limita alla .manutenzione ordinaria. del presente e al solo esercizio delle proprie competenze amministrative, ma si propone e si accredita a pieno titolo come agenzia di sviluppo locale, come governo locale. (...) »
Richiamando le arti proposte da Giordano Bruno nel suo De umbris idearum, mi permetto infine di suggerire le seguenti azioni:
RICERCARE con onestà intellettuale degli obiettivi di sviluppo per la città;
TROVARE i mezzi adeguati per il confronto dei diversi scenari di riferimento;
GIUDICARE in modo avveduto le idee progettuali avendo cura di separare quelle giuste da quelle sbagliate in funzione dell’interesse collettivo;
ORDINARE in forma di disegno unitario e partecipato le trasformazioni territoriali da mettere in atto;
APPLICARE con metodo scientifico le risultanze del processo appena esposto, affinando la pianificazione in corso e correggendo gli errori di valutazione commessi nel passato. Sono queste le iniziative che possono portare a una strategia per lo sviluppo della città e del territorio fondata su obiettivi giusti e condivisi, e quindi alla radicale inversione di tendenza nell’urbanistica savonese.
L’alternativa è lo spettacolo, nel senso più volgare del termine.
Nota: su questo sito a proposito delle vicende recenti di Savona vedi anche gli articoli sulla torre di Fuksas, di Sara Menafra dal manifesto, di Adriano Sansa, Luciano Angelini e Donatella Alfonso dall'edizione ligure de la Repubblica;
[1] Ventunesima intenzione tratta da Giordano Bruno, DE UMBRIS IDEARUM - Le ombre delle idee. Coinvolgenti l’arte di Ricercare, Trovare, Giudicare, Ordinare e Applicare: esposte per una scrittura interiore, e non volgari operazioni con la memoria. - (1582), Egidio Gorbino, Parigi (fonte http://www.filosofico.net).
[2] Intenzionale riferimento a La società dello spettacolo (1967), di Guy Ernest Debord.
[3] Definizione di Guy Ernest Debord ne Commentari sulla società dello spettacolo (1988). A proposito del falso indiscutibile, l’intellettuale francese scrive: «Il solo fatto di essere ormai indiscutibile ha fornito al falso una qualità del tutto nuova. Allo stesso tempo, il vero ha smesso di esistere quasi dappertutto, o nel migliore dei casi si è visto ridotto allo stato di ipotesi indimostrabile. Il falso indiscutibile ha ultimato la scomparsa dell’opinione pubblica, che in un primo tempo è stata incapace di farsi sentire; e in seguito, molto rapidamente, anche solo di formarsi. Naturalmente ciò provoca conseguenze importanti nella politica, nelle scienze applicate, nella giustizia, nella conoscenza dell’arte». Traduzione di Fabio Vasarri per SugarCo Edizioni Srl - Milano.
[4] Fonte http://www.demaniore.com
[5] Definizione tratta dall’articolo di Mike Davis Un paradiso sinistro, pubblicato su Tom Dispatch, nella traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini (fonte http://eddyburg.it).
[6] Dati desunti dalla Relazione istruttoria redatta da Europrogetti & Finanza Spa, per la richiesta di ammissibilità ai contributi previsti dal Patto territoriale della Provincia di Savona, depositata dai proponenti presso I.P.S. (Insediamenti Produttivi Savonesi).
[7] Intervista di Antonella Granero, pubblicata su Il Secolo XIX.
[8] Pergine Valsugana (TN), 18.833 abitanti. Brani tratti dal Piano strategico Pergine 2015, redatto nel gennaio-marzo 2004 e approvato nel marzo 2005 (fonte: http://www.comune.pergine.tn.it)
Il rischio di un commissariamento del parco di Portofino, un sindaco che cade ad Arenzano su progetti immobiliari (che voleva ridurre), ambientalisti all'attacco contro la cementificazione, un soprintendente ai beni paesaggistici, Giorgio Rossini, che parla di costa «prossima al collasso». Cosa succede in Liguria?
Sei tentativi di eleggere il presidente del parco di Portofino (18 chilometri quadrati di territorio, 13 di costa) sono andati a vuoto e nella «finestra» che si apre da qui alla nomina di un commissario da parte della Regione si prevedono i giochi più duri. Il presidente uscente, Renato Dirodi, raccoglie l'appoggio dell'assessore all'Ambiente Franco Zunino (Rifondazione) e degli ambientalisti ma la sua riconferma è rimasta al palo. A complicare il quadro c'è il progetto di costruzione di un albergo di 18-20 stanze nel borgo ma soprattutto quello di 65 box interrati, 40 da porre in vendita a non meno di 250 mila euro l'uno. Dirodi si oppone ai parcheggi ed è entrato in collisione con il sindaco di Portofino, uno dei «grandi elettori».
VERSO IL COMMISSARIAMENTO
Dirodi è anche l'uomo che vuol far togliere ai proprietari delle ville i cancelli abusivi con cui hanno sbarrato gli accessi ai sentieri (pubblici) nel monte. Mettendo a confronto la «fotografia» del parco nel 1994 e quella attuale sono stati scoperti 4 abusi edilizi a Santa Margherita, 2 a Camogli, e 92 abusi a Portofino. Ordinare le demolizioni spetterebbe al Comune ma Dirodi ha chiesto più poteri e anche questo non è piaciuto. È vero che tutto quello che tocca il parco è faticosissimo. Per abbattere i cinghiali, che distruggono i muretti a secco, il parco ha dovuto spendere 26 mila euro in cause legali per non parlare delle capre, che hanno contrapposto il presidente uscente agli animalisti. Ne sostenevano l'appartenenza a un ceppo genetico perduto, le capre di Montecristo.
Ma questa volta lo scontro ha ben altri contenuti che le caprette. La Regione non è neanche riuscita a nominare il suo rappresentante nel consiglio del parco (che vota il presidente). ll nome gradito ai Verdi e indicato dalla giunta si è inabissato nella commissione nomine: «Ho sollecitato la commissione perché esaminasse la pratica prima del rischio commissariamento. Non l'hanno fatto» dice polemico l'assessore Zunino.
I progetti edilizi portofinesi non sono gli unici a suscitare tensioni. Il sindaco di Arenzano, Luigi Gambino (Ds), ha visto cadere la sua amministrazione pochi giorni fa e grida all'agguato: «Ha vinto il partito del mattone». In ballo ci sono 9.000 metri cubi di edilizia residenziale in Pineta, tre volte tanto quelli regolarmente concessi e che il sindaco voleva ridurre.
POSTI BARCA
È stato invece approvato venerdì in via definitiva in Regione uno dei progetti più impegnativi sulla costa. Il fronte mare di Imperia viene ridisegnato con più di mille posti barca, 6.650 metri quadri di alloggi e oltre 18 mila di negozi e uffici, quasi 2.000 posti auto. La Regione ha bocciato il campo pratica da golf. Interventi riduttivi anche sul porticciolo di Ventimiglia che andava a minacciare due grotte marine.
Quando tutti i progetti saranno conclusi i posti barca saranno più di 9 mila, oltre 38 mila i metri cubi di edilizia residenziale, 11 mila i posti auto. Tutto necessario? L'assessore diessino all'Urbanistica, Carlo Ruggeri, parla di «una fase che si sta concludendo», quella delle costruzioni. «Alcuni interventi invasivi sono stati stoppati — dice — come il porticciolo di Noli e Spotorno. È necessario ora rivedere il piano paesaggistico». Non si può neppure dare ogni colpa a Sandro Biasotti governatore di centrodestra per un solo mandato. Biasotti, poi, l'albergo di Portofino non lo voleva proprio. Litigò per questo anche con Silvio Berlusconi. L'ex premier, che ama molto il borgo, nei giorni scorsi è tornato a cercare casa. Avrebbe già visitato villa Bassani e villa Metzger. Dispone dello splendido castello di Paraggi, ma lì è «solo» in affitto.
Di qua, subito dopo Savona, una torre come quella di Dubai, giusto un po’ più bassa. Di là un insediamento residenziale che raddoppia la piccola cittadina di Finale ligure. In mezzo, ma anche oltre, progetti grandi e piccoli per costruire moli, case e negozi che in pochi anni raddoppieranno il cemento che occupa la costa. Siamo in Liguria, terra di vacanze brevi per milanesi ricchi, di fughe sospiranti nei paradisi delle Cinque terre, di grandi insediamenti industriali che si sciolgono come gelati sotto il solleone agostano. Sei anni fa la giunta regionale ha approvato un Piano territoriale della costa che prevedeva di raddoppiare i posti barca presenti sul litorale. E mese dopo mese il piano è lievitato, ha gemmato cantieri, ha sostituito industrie con ridenti villette una uguale all’altra. Di tanto in tanto qualche associazione ambientalista protesta, la sinistra radicale si arrabbia, ma poi, visto che i progetti li fa la giunta Burlando (Ds), visto che di illegale non c’è nulla perché a cambiare le leggi sono le amministrazioni locali, progetti e colate di cemento continuano ad aumentare.
Il caso più clamoroso riguarda il progetto per un nuovo porticciolo alla Margonara, tra Savona e Albissola. Un autore d’eccezione, l’architetto Massimo Fuksas, ha ideato per la piccola spiaggia dello scoglio della Madunnetta un «faro completamente illuminato» alto 120 metri e pensato sul modello della megatorre in costruzione a Dubai. Una piattaforma sul mare circondata da settecento posti barca e dominata da una torre di quaranta appartamenti d’elite da 12mila euro al metro quadro.
Intervistato al momento della presentazione, Fuksas si difendeva parlando di «un progetto d’elite accessibile anche alla media borghesia. Nella mia idea il tutto non costa più di 1.250 euro al metro quadro, il resto è il guadagno dei costruttori». Il costruttore del caso si chiama Giovanni Gambardella, negli anni ’80 manager dell’Ilva e oggi presidente della industria produttrice di materiale fotografico Ferrania.
La torre di Fuksas sarebbe il terzo grattacielo in poche centinaia di metri di costa. Nella zona che un tempo era occupata dagli stabilimenti dell’Italsider sta crescendo una torre, e nei prossimi mesi spunterà una muraglia di abitazioni con vista sul mare. Tutto partorito dalla mente di Ricardo Bofill, altro architetto di fama. Torri della discordia, almeno a sinistra.
Alla vigilia delle ultime elezioni comunali, la capogruppo di Rifondazione comunista ha abbandonato il partito per creare «A sinistra per Savona» quando il segretario, Franco Zunino, è diventato assessore regionale all’ambiente della giunta regionale Burlando e il partito ha deciso di appoggiare l’attuale sindaco Federico Berruti. Il gruppo, costruito insieme a Franco Astengo, politologo e testa pensante della sinistra critica savonese, ha raccolto il 5,5% dei consensi. Isolati ma combattivi hanno soprannominato la nuova esplosione edilizia di Savona «il ritorno a Teardo», «dal nome del presidente della regione arrestato per tangenti negli anni ’80 che voleva trasformare tutte le industrie in zone di edilizia residenziale». «Questo non è solo un problema di impatto ambientale - spiega Patrizia Turchi - Siamo di fronte ad una alleanza tra la sinistra e i poteri forti della città, in particolare l’Unione industriali, che piano piano stanno azzerando ogni possibilità di sviluppo della città. E creano scempi come le torri di Fuksas e Bofill».
Non che il problema dell’impatto ambientale sia minore. Lunedì scorso Santo Grammatico ha guidato la sua Goletta verde di Legambiente fino alla spiaggia di Margonara: «E’ il principale lido della città, quello dove giocano i bambini di Savona. Il rapporto sulle coste europee dell’Agenzia europea dell’ambiente, presentato a Copenaghen, parla già dell’Italia come delmuro sul Mediterraneo. Qui sta crescendo il muro ligure».
Allontanandosi da Savona il quadro è tutt’altro che incoraggiante. Il Piano territoriale della costa prevede che la piccola regione raddoppi il numero di posti barca piazzati lungo la costa. Oggi sono 14.300 (calcolati per imbarcazioni di dodici metri ciascuna) ma presto i 300 kilometri di costa potrebbero essere coperti da 30.000 barche. Imbarcazioni, da parcheggiare a peso d’oro, che portano anche alberghi, negozi e strade: nel piano regionale ci sono 51.601 metri cubi di uffici e negozi, 19.122 per alberghi, 33.918 per artigianato e 11.007 posti auto. Progetti mastodontici eppure già superati. Perché l’indicazione del presidente Burlando di «rafforzare la vocazione turistica » trova adepti in ogni comune.
Finale ligure è tra le ultime cittadine ad aver aderito. Città un po' industriale un po' turistica, piccola come può essere un centro abitato che oggi conta 12.000 abitanti. Secondo il Piano urbanistico comunale appena approvato, accanto alla cittadina sorgerà una nuova città. Sulle macerie di due impianti industriali che lasciano gli ormeggi sorgeranno 400 milioni di metri cubi di abitazioni «turistiche» pronte ad ospitare almeno 4.000 persone. Pochi mesi fa la Piaggio-Aero e l'impianto Cave Ghigliazza hanno comunicato all'amministrazione locale che abbandoneranno Finale. «Piaggio ci ha proposto una specie di ricatto - dice la consigliera comunale del Prc Gloria Bardi - Non vanno in Campania, sebbene lì la regione sia disposta a fare ponti d'oro pur di averli, maper rimanere da queste parti e cioè a Villanova hanno chiesto al comune di convertire la zona industriale e renderla edificabile. E il comune, che allora era di centrosinistra, ha detto sì». La politica cambia,ma gli ecomostri piacciono a tutti.
La Liguria piace ai furbetti
Che la costa ligure potesse essere l’ideale per speculazioni edilizie senza troppi scrupoli lo pensava anche Gianpiero Fiorani. L’ordinanza di arresto che lo portò in carcere parlava di almeno tre progetti su cui aveva puntato l’imprenditore per dirottare e reinvestire i soldi della banca Popolare di Lodi. Il sistema era sempre quello delle scatole cinesi di società fantasma coperte da prestanome, in cui Fiorani non compariva ma lasciava che al suo posto figurassero una serie di prestanome. Tutto passava per il commercialista di fiducia Aldino Quartieri.
A Fiorani interessava soprattutto la ricostruzione della ex area Italcementi di Imperia.Nell’autunno 2003 organizzò un sopralluogo di eccezione: gita in elicottero con l’allora ministro delle attività produttive Claudio Scajola e con il costruttore Ignazio Bellavista Caltagirone, anche lui poi indagato nell’inchiesta Antonveneta e di certo oggi impegnatonella realizzazione del porto turistico di Imperia.
A raccontare la storia di quel tentativo fatto da Fiorani è stato alcuni mesi fa il «mediatore nel ramo immobiliare» Piergiovanni Mazzuco. In seguito alla denuncia per minacce nei confronti degli architetti genovesi Daniele Bianco e Girolamo Valle, Mazzucco rivelò ai magistrati genovesi che Quartieri e Fiorani gli avevano chiesto di mediare con gli architetti in questione aggiungendo che l’impresa sarebbe stata finanziata anche da alcuni imprenditori russi. Ma l’affare sfumò Quando gli imprenditori russi proposero di cambiare il progetto inserendo un centro commerciale.
E’ andato a buon fine il progetto realizzato A Celle ligure sempre grazie al commercialista di fiducia di Fiorani. Una palazzina con quattrocento posti auto a poche decine di metri dal mare. Ed è invece sfumato il progetto che Fiorani, tramite il prestanome Marino Ferrari (lo stesso a cui il «furbetto» aveva intestato la villa in Francia), voleva realizzare ad Alassio. L’idea, presentata dalla società di copertura Frontemare, era di far modificare la destinazione d’uso dell’area di Ceriale in modo da dedicare l’area a zona edificabile. Mai legami tra Fiorani e la Liguria erano parecchi. Micromega a febbraio scorso ha fatto l’elenco notando come Fiorani avesse buoni rapporti con il senatore di Forza Italia Luigi Grillo (indagato per Antonveneta) e con la banca Carige nel cui cda siedono Alessandro Scajola, fratello di Claudio, e il figlio di Vito Bonsignore (europarlamentare Udc anche lui indagato). Fiorani a verbale ha parlato anche dei rapporti con Marcellino Gavio, industriale noto per aver ceduto alla provincia di Milano la sua quota nell’autostrada Serravalle. All’epoca l’ex sindaco di Milano Albertini lasciò intendere che con la plusvalenza di 176 milioni, Gavio finanziò il tentativo di scalata di Unipol su Bnl.
Sa.M.
Nota: maggiori particolari sul progetto di trasformazione urbana per Savona a questo link col sito del comune
Liguria. Cemento, l’altolà di Rifondazione "Adesso basta, abbiamo già dato"
intervista di Raffaele Niri
Assessore, eppure dicono che l’architetto Fuksas, in fondo, sia vicino a Rifondazione Comunista.
«Ma che c’entra, neppure se l’architetto della Margonara si chiamasse Fausto Bertinotti potremmo essere d’accordo».
Franco Zunino, assessore regionale dell’ambiente e anzi unico presidio di Rifondazione nella giunta Burlando, in qualche modo è l’uomo del giorno. Le inchieste di "Repubblica", la nuova sparata di "Micromega", le tensioni su una seconda rapalizzazione della Liguria spingono questo savonese tranquillo e gentile sotto i riflettori.
Assessore, la maggioranza scricchiola già?
«Dopo un anno? Ma non scherziamo: Rifondazione è entrata in questa maggioranza, in questa giunta ed ha chiesto l’ambiente proprio su un progetto preciso di Liguria. Una linea scelta da tutta l’Unione, Rifondazione d’accordo. Non vedo cosa sia cambiato».
Beh, è cambiato che, da Ventimiglia a La Spezia, si ammassano progetti su progetti.
«Appunto, progetti».
Cioè, non corriamo nessun pericolo?
«Non ho detto questo. Ci sono dei progetti, delle proposte e bisogna discutere attentamente su ognuna di queste, ma in un quadro preciso che abbiamo già delineato, a suo tempo, con Burlando e tutti assieme. Un modello di sviluppo alternativo a quello attuale che prevede una presenza di massa nei week-end, che manda in tilt le infrastrutture».
Tradotto, nessuna rapalizzazione.
«Tradotto vuol dire che i progetti per il golf che fanno da cavallo di Troia per le nuove case non passano e non passeranno. Tradotto vuol dire che su Margonara abbiamo già detto un no preciso, visto che a Varazze il porto è stato allargato da poco e possono nascere posti barca nel vecchio porto storico di Savona».
E il progetto della vedova Cozzi a Ventimiglia?
«Non se ne parla. Lì ci sono due grotte marine e poi è una zona franosa. Non scherziamo».
Assessore, non negherà che questi progetti ci sono.
«Ma certo che ci sono e molti li abbiamo ereditati dalla maggioranza di centrodestra. Ma, intendiamoci, non vorrei che si confondesse la richiesta con l’accoglimento, chi chiede con chi deve rispondere».
Come dire che i giornali hanno fatto troppo rumore.
«No, "Repubblica", Micromega, chiunque sollevi il problema fa benissimo. Per noi è un campanello d’allarme fondamentale. Ma, come dire, siamo lì proprio per vigilare. Capiamoci: il boccino ce l’abbiamo in mano noi».
Se anche Finale viene rapallizzata
lettera di Daniela Accinelli-Finale per l’Ulivo
Riceviamo e pubblichiamo:
«Ho letto oggi l’articolo sulla rapallizzazione in Liguria. Mancano gli interventi che stanno per partire a Finale Ligure, dove si profila la costruzione di ben 400.000 metri cubi di seconde case sul fronte mare.
I progetti sono due ed attengono uno a colmare il vuoto lasciato dalla dismissione delle Cave Ghigliazza, all’ingresso del paese al di là della Caprazoppa, l’altro dal trasferimento delle industrie aeronautiche Piaggio a Villanova di Albenga, sull’altro versante. In pratica gli interventi previsti sono, rispetto al territorio su cui insistono, ben più imponenti di quelli esaminati nell’articolo.
Le motivazioni portate all’ineluttabilità di tante seconde case, che, come da dati e studi nazionali, non servono al turismo, già provato dall’eccesso di questo tipo di cementificazione sono, per l’intervento sulle cave, la necessità di una rinaturalizzazione del sito, per quello sulle aree Piaggio la necessità per l’industria di ricavare dall’operazione i soldi per il trasferimento dell’azienda, scongiurando così il pericolo di uno spostamento in Campania e conseguente perdita di posti di lavoro.
Può il nostro territorio sopportare tutto questo quando ogni estate vediamo i nostri paesi immobilizzati dalle code di auto, dalla cronica mancanza di parcheggi, da un mare sempre sporco, da penuria di acqua, da un modello di turismo che non porta sviluppo e lavoro, ma aggiunge problemi ai problemi?
Tutti i nostri sforzi, come associazione «Finale per l’Ulivo» di coinvolgere in un confronto Regione e Provincia per trovare soluzioni che, tutelando i lavoratori, non svendano il nostro paese sono state vane. Siamo stati ascoltati, ma non abbiamo avuto risposte.
L’amministrazione comunale pare non essere in grado di gestire la situazione, che ora avverte in tutta la sua gravità, perché le scelte avvengono in altre sedi. Che altro aggiungere se non confermare le preoccupazioni presenti nell’articolo».
L’articolo de la Repubblica cui si riferiscono entrambi gli scritti, è la sintesi dell’articolo di Micromega, inserito qui.
Per capire che cosa diventerà davvero l’Unione, come governerà questo centro-sinistra pieno di buone intenzioni, ma anche di facce difficilmente digeribili, bisogna guardare a Roma. Certo. Ma forse bisogna anche dare un’occhiata alle città, alle regioni dove gli uomini di questa maggioranza sono già all’opera. La Liguria, per esempio. Ecco che allora una vicenda, apparentemente di rilievo solo locale, assume un significato nazionale.
È una storia di cemento – tanto, centinaia di migliaia di metri cubi – che rischia di lasciare una traccia devastante e indelebile nel panorama ligure, seconda, forse, soltanto alla rapallizzazione del dopoguerra[1].
Proprio come racconta Fabio Fazio: “Sì, oggi noi viviamo un secondo dopoguerra. Ogni volta che torno nella mia Savona non posso fare a meno di notare il progressivo innalzarsi delle costruzioni. E non capisco… continua a sorprendermi che in tutti, istituzioni, imprenditori, ma anche negli stessi cittadini, l’idea di modernità debba per forza passare attraverso il costruire, l’edificare”. Aggiunge: “Al di là dei singoli progetti, che bisognerebbe conoscere nei dettagli, c’è una cosa che mi colpisce sempre: com’è possibile che tutti noi quando partiamo per le vacanze andiamo a cercare l’angolo isolato, incontaminato, l’hotel de charme… ma poi… poi nei luoghi dove viviamo riusciamo a realizzare l’esatto contrario?”. E conclude: “Oggi è proprio come dopo la guerra. Come durante il boom. Ricordo che allora l’aspirazione della mia famiglia era quella di andare a vivere nelle palazzine nuove a ridosso del fiume. Comunque. La mentalità era quella di costruire a ogni costo, a prescindere dalle ragioni, sociali e urbanistiche, per le quali lo si faceva”.
L’ambiente. L’urbanistica. Ma ci si potrebbe addentrare anche in settori diversi, perché il nodo della questione è anche un altro: la rete – difficilmente districabile – di rapporti politici, finanziari, di potere, insomma, che lega insieme amministratori e onorevoli di destra e di sinistra, imprenditori onnipresenti e dalle molte bandiere. Che gode dell’appoggio di professionisti, giornalisti, professori ansiosi, come diceva Flaiano, di correre in soccorso del vincitore. Non c’è foglia che si muova in Liguria senza il consenso di questo “cartello”. E al centro di tutto c’è lui, Claudio Burlando, vicino a D’Alema, calato alla presidenza della Regione dopo due prove non proprio esaltanti come sindaco di Genova e ministro dei Trasporti.
E qui questa storia locale diventa di nuovo nazionale: in Liguria il centro-sinistra è ormai praticamente sicuro di vincere. Tanto da portare un ex dirigente dei Ds locali, in un gustoso episodio avvenuto nel Porto Antico di Genova, a puntare l’indice su un passante esclamando: “Vedi, quello, se voglio, te lo faccio diventare sindaco”. Sì, il centro-sinistra ligure sa di poter fare il buono e il cattivo tempo. Così, invece di approfittarne per proporre volti nuovi e rinnovare la classe dirigente, decide piuttosto di imporre i propri uomini. Alle regionali del 2005 è la volta di Burlando. I sondaggi indicano che altri candidati avrebbero chance di vittoria anche maggiori, ma il centro-sinistra – i Ds, soprattutto – va dritto per la sua strada. Non importa che una parte della società civile e quel che resta dei movimenti chiedano di far sentire la loro voce. Burlando viene candidato. Burlando vince, certo non stravince. E da quel giorno comincia quello che ormai molti definiscono il “burlandismo”. I tratti distintivi non sono facili da individuare, per lo meno a livello di impostazione ideale. Fare: l’essenziale è essere concreti, fattivi, anche se l’interesse che ispira l’azione non è sempre immediatamente individuabile. Le regole? Non c’è, senza dubbio, la tracotanza del berlusconismo, ma qualcuno ricorda proprio Burlando pronunciare una frase significativa in un’assemblea pubblica. Si discuteva l’approvazione di un criticato progetto urbanistico. E Burlando propose la sua soluzione: i vincoli del piano regolatore “vanno superati con atti foglia a foglia”. Disse proprio così l’allora vicesindaco pidiessino. Era il dicembre 1992.
L’edilizia. L’urbanistica. Il terreno d’incontro ideale è proprio questo.
“La Liguria è lo sbocco al mare per quindici milioni di persone”, teorizza Burlando. La crisi economica della regione è evidente, bisogna puntare sul turismo, sostiene il governatore. E indica nei porticcioli una soluzione. A qualcuno, però, i progetti – da molte centinaia di milioni di euro – sembrano piuttosto il cavallo di Troia per realizzare colate di cemento. Per far sbarcare gli immobiliaristi. Per portare denaro (ma nelle tasche di chi finirà?). Già, prima arrivano i posti barca, poi, immancabilmente, quelli auto e quindi gli appartamenti. Perfino i grattacieli.
Basta guardare i dati dei quindici progetti in via di approvazione o realizzazione: in tutto sono la bellezza di 9.807 posti barca. Che di per sé già significano occupare una bella fetta della costa. Ma non basta, dietro lo yacht si nasconde il mattone: 37.822 metri cubi di edilizia residenziale, 51.601 di uffici e negozi, 19.122 di alberghi, 33.918 per l’artigianato. Più, ovviamente, le auto: 11.007 posti che da queste parti valgono quanto l’oro. Forse di più. In concreto significa una manovra che modificherà per sempre il paesaggio ligure.
Le località interessate? Ventimiglia, Bordighera, Diano Marina, Alassio, Loano, Savona, Albissola, Varazze, Arenzano, Santa Margherita, Portovenere, tanto per citarne solo alcune. Luoghi dove lo spazio ancora libero di accesso al mare si misura in metri. Forse in centimetri. Di sicuro in euro.
Burlando la spiega così: “Era il 1996 quando iniziai ad occuparmi diporti come ministro dei Trasporti. Nel vedere i numeri della portualità turistica italiana rimasi un po’ imbarazzato, quando appresi che c’erano meno posti barca in 9 mila chilometri di costa italiana che in 200 chilometri di Costa Azzurra. Fu allora che avviammo alcune operazioni significative per il rilancio del settore”.
E dieci anni dopo, diventato presidente della sua regione, Burlando sta vedendo realizzati i propri sogni. Anche se, tra porticcioli, preesistenti, in fase di realizzazione, progettati o anche solo pensati, la Liguria sembra non preoccuparsi dell’ultimo bollettino Onu che ci avverte di come tra vent’anni metà delle coste del Mediterraneo saranno cementificate. E a dire il vero non sembrano preoccuparsene neppure i liguri, ad eccezione di qualche voce isolata. D’altra parte il segreto di questa frenesia costruttrice, che per qualcuno potrebbe addirittura prefigurare un ritorno al “teardismo”[2], pare proprio essere la pax burlandiana in cui amministrazioni di tutti i colori, imprenditori e professionisti, si incontrano nel nome del rilancio dell’economia turistica. Che poi si concretizza quasi esclusivamente sotto forma di porticcioli e imponenti interventi immobiliari.
Un business che non è solo locale. Partiamo da Imperia, la città in cui Burlando ha presenziato alla posa della prima pietra del nuovo porto da 1392 posti barca (più, si intende, 1887 posti auto e 40 mila metri cubi di edifici). Accanto a lui il ministro Claudio Scajola (il reuccio del Ponente ligure, l’altra grande potenza locale), le autorità cittadine di centro-destra e i rappresentanti della compagine societaria che è soprattutto nelle mani dell’Acquamare di Gaetano, Francesco e Ignazio Bellavista Caltagirone (quest’ultimo indagato nell’inchiesta Antonveneta). Tout se tient, come si dice.
Cosa realizzerà in 40 mesi la Porto Imperia spa? Quello che dovrebbe diventare uno dei più grandi scali turistici del Mediterraneo. Con una spesa di circa 90 milioni di euro si creeranno 1.392 posti barca, e poi più di cento appartamenti e ancora box auto, esercizi commerciali, officine di riparazione e, dulcis in fundo, un campo da golf a due passi dal mare. Di fatto un nuovo quartiere per una città che sembra aver scelto la strada di un turismo elitario che rischia di avere poche o nessuna ricaduta per la collettività.
Ma sarà sicuramente un affarone per un sodalizio che sembra assai affiatato. Quello tra Bellavista Caltagirone e Beatrice Parodi, erede di una dinastia di costruttori sanremesi e vedova del deputato dell’Udc Gianni Cozzi. L’accoppiata è presente anche a Civitavecchia per l’intervento sul porto storico, mentre ad Imperia è stata “benedetta” dal presidente Claudio Burlando accompagnato dal savonese Carlo Ruggeri, figura chiave di questa nuova stagione immobiliare: un presidente provinciale delle Coop che dopo il record di licenze edilizie – 500 mila metri cubi – rilasciate nei suoi due mandati come sindaco di Savona, cos’altro poteva andare a fare se non l’assessore regionale all’Urbanistica?
D’altra parte l’attivismo di Beatrice Parodi è stato pubblicamente elogiato da Burlando nel corso di un convegno all’ultimo Salone nautico organizzato dal Sole-24 Ore. E pazienza se l’amico Prodi ha detto al presidente della Liguria che avrebbe preferito “vedere sulle spiagge più ombrelloni che porticcioli”. La rotta da seguire è quella indicata da Beatrice Parodi che – dopo aver firmato il megaporticciolo di Marina degli Aregai a Santo Stefano – sta per realizzare altri scali a Bordighera, ma soprattutto a Ventimiglia, dove le banchine mettono a rischio una delle rare spiagge di sabbia naturale, conosciuta come le Calandre, per la cui difesa sono già sorti due comitati. L’amministrazione comunale di centro-destra e quella regionale di centro-sinistra hanno assicurato che non ci saranno danni ambientali, ma che il porticciolo si farà, anche perché nasce con intenzioni elitarie e comporterà investimenti per 80 milioni. A parte l’immancabile porzione residenziale (92 appartamenti in villette) ci saranno 572 posti per grandi yacht al costo medio di centomila euro. L’obiettivo dichiarato è quello di soffiare diportisti vip niente meno che alla vicinissima Montecarlo.
Una crociata che condividono Scajola e Burlando, ma che sta creando qualche problema all’interno dei Ds del Ponente. Ad Imperia, per esempio, una larga parte del partito ha sostenuto nelle primarie per il candidato alle provinciali – perse dal centro-sinistra – Oscar Marchisio, che, pur uscito sconfitto, ha coagulato il malessere di fronte a scelte come quella del porto di Imperia (“Un affare da milioni per l’aggiudicatario dell’impresa, una manciata di spiccioli per il Comune, senza dimenticare che Caltagirone si è aggiudicato prima il 33 per cento delle quote con una strana e blindatissima operazione fatta passare in consiglio comunale ed ha poi ottenuto i lavori di realizzazione evidentemente grazie alle sue ottime referenze”). Ma c’è anche qualche disagio per gli elogi nei confronti di “nostra signora del diporto”, come è stata ribattezzata dai suoi oppositori. Beatrice Parodi è stata infatti di recente assolta in primo grado (ci sarà l’appello) per i presunti abusi edilizi legati all’hotel Portosole sulla passeggiata a mare di Sanremo. Marco Andracco, avvocato e vicesindaco Ds della città del Festival, dice che, aldilà dell’esito processuale, “per me quell’albergo resta una mostruosità ambientale”.
E di ecomostro, prima di arrendersi di fronte alle sentenze del Tar e alle potenti volontà trasversali di forze politico-imprenditoriali, parlò alcuni anni fa Italia Nostra a proposito del cosiddetto progetto Bofill, dal nome dell’architetto catalano Ricardo Bofill che ha ridisegnato il quartiere affacciato sulla darsena di Savona. C’era da riutilizzare un’enorme area occupata fino a metà anni Novanta da quell’Italsider che aveva consentito a Savona di fregiarsi del titolo di città rossa operaia nonostante fosse accerchiata, soffocata quasi, da località “bianche” a vocazione turistico-commerciale. Ma adesso di quel passato va cancellato anche il ricordo, con un’operazione più di stravolgimento che di riconversione: così oltre alle vecchie acciaierie si è deciso di abbattere un antico e grigio silos di cemento. Per restituire uno spazio alla città conservandone con un progetto culturale le radici industriali? No, per realizzare un intervento residenziale mastodontico con un crescent (un palazzo muraglia disposto a semicerchio), un grattacielo da quasi cento metri e altre costruzioni sparse, ma comunque tutte a pochi metri di distanza dal porto turistico della Torretta. Promotori del business tre potenti locali: Raffaello Orsero – re della frutta importata, con 1.700 dipendenti e 1.600 milioni di euro fatturati nel 2003 – Paolo Campostano, operatore marittimo, e Aldo Dellepiane, l’industriale che rilevò l’Italsider morente e divenne proprietario delle aree. Un’inchiesta nei primi Novanta, sul passaggio dei terreni da pubblici a privati, avviata dall’allora procuratore capo Renato Acquarone – poco tempo dopo promosso in Cassazione – venne accantonata e poi archiviata negli anni successivi.
Va aggiunto che l’attivismo degli imprenditori ha trovato terreno fertile tra gli amministratori. Fu infatti nei due mandati del sindaco Ds Carlo Ruggeri – dal 1998 al 2005, quando divenne membro della giunta regionale di Claudio Burlando – e con la supervisione del riconfermato deputato diessino Massimo Zunino, in precedenza assessore comunale all’urbanistica, che il progetto Bofill decollò. E neppure in senso figurato, visto che in città tutti ricordano il volo Genova-Barcellona su un aereo privato sul quale salirono amministratori e soprintendenti vari, per un viaggio di lavoro nello studio dell’architetto catalano. Il tutto senza dimenticare la collaborazione di Cristoforo Canavese, dieci anni fa agguerrito deputato di Forza Italia, oggi apprezzato – a sinistra – presidente dell’Autorità portuale savonese che è, manco a dirlo, sostenitore anche dell’altro grande intervento in ebollizione, il porticciolo della Margonara al confine con Albissola con tanto di grattacielo ricurvo a strapiombo sul mare: una specie di banana alta 120 metri. A disegnarlo Massimiliano Fuksas, caro alla sinistra.
Bofill e Fuksas, architetti di fama, non c’è dubbio. Perché il “ricatto” psicologico è un po’ questo: abbiamo sempre detto che la nostra Savona è in crisi, che siamo provinciali, e adesso vi opponete quando arrivano i grandi nomi internazionali? Niente di meglio, come simbolo di questa supposta lotta a chi penserebbe in piccolo, di due torri di cento metri. Di cemento e cristallo. Come New York, peccato solo che qui siamo a Savona. Per rendersi conto veramente di quello che sta succedendo bisogna, però, guardare i plastici. C’è il porto storico di Savona, poche centinaia di metri di fronte, in mezzo a vecchi magazzini appena recuperati e sorvegliato dalla torre medievale alta meno di venti metri. Un equilibrio architettonico delicatissimo, su cui all’improvviso crescono due torri che tagliano l’orizzonte e schiacciano verso il basso la città vecchia. Beato chi comprerà gli appartamenti sospesi su tutta la Liguria. Ma gli altri, quelli che vivono nelle strade là sotto?
A Savona la vicenda Bofill ha messo in evidenza le diverse anime della sinistra. Ha provocato grossi malumori. Prima di tutto con una clamorosa spaccatura all’interno di Rifondazione comunista, partito che dopo 12 anni di opposizione ha deciso di schierarsi al fianco dell’amministrazione cittadina. Patrizia Turchi, psicologa e volto noto del partito, è andata via sbattendo la porta giusto mentre il suo segretario, Franco Zunino, diventava assessore all’ambiente proprio nella giunta regionale Burlando. Turchi è diventata consigliere comunale d’opposizione per il partito “A sinistra per Savona”, esperimento ideato con Franco Astengo, politologo e animatore della sinistra radicale fin dagli anni Settanta.
I due non sono teneri: “Siamo di fronte”, dicono, “ a un governo della città oligarchico e di stampo corporativo che sta completando l’opera del teardismo, consegnando il lungo processo di deindustrializzazione alla speculazione edilizia”. E Domenico Buscaglia, ingegnere e a capo di un’altra lista civica: “Hanno concentrato nelle loro poche aree quasi duecentomila metri cubi di edifici, tanti da riempire il mercato edilizio savonese per vent’anni”.
Ma l’opposizione alla cementificazione è stata pressoché sconfitta. E adesso non le resta che praticare un’operazione di memoria infarcita di qualche freccia avvelenata. Intanto in città sono pochi quelli che non cedono al richiamo del mattone. Tra i tanti anche Simone Rossi, figlio di Ennio, geometra capo del comune.
Simone è uno dei soci della srl Sea Extension creato assieme a Patrizia Giallombardo, apprezzatissima allenatrice della squadra nazionale di nuoto sincronizzato nonché moglie del riconfermato deputato Massimo Zunino (Ds). E che per la riviera sia in corso una nuova stagione del mattone lo conferma anche l’arrivo di un’altra società. Si chiama Colonie Cremonesi, come quelle che sorgevano a Bergeggi di fronte al mare, e ha come capofila Ottavio Riccadonna, al vertice dell’omonima azienda vinicola. Riccadonna ha acquisito delle quote proprio dalla Sea Extension della moglie del deputato. Con l’industriale di Alessandria ci sono ingegneri e commercialisti che hanno sviluppato il progetto per vip di Colletta di Castelbianco nell’entroterra di Albenga, primo paese medievale telematico, e poi Vincenzo Ricotta, presidente di Arcigola e Slowfood di Savona, e un avvocato genovese, Luca Catalano, residente a Montecarlo con società immobiliari registrate a Londra. Tra le proprietà di extralusso che la Realinvest di Catalano cerca di vendere agli inglesi ci sono anche alloggi esclusivi di Alassio realizzati da Luigi Zunino, nessuna parentela con i politici locali, ma ricchissimo immobiliarista rimasto coinvolto con Ricucci e soci nell’indagine di Antonveneta.
Come a dire: anche fuori regione si è capito che in Liguria per i costruttori è iniziata una lunga estate. Lo aveva intuito, e con buon anticipo, Gianpiero Fiorani: come hanno spiegato i magistrati milanesi, l’ex patron della Banca Popolare di Lodi aveva creato società che, grazie a un gruppo di imprenditori amici, seppur in maniera occulta, controllava. Società che potevano servire sia per fare buoni affari che per far girare soldi di origine e destinazione incerta. Ambrogio Marazzina e Aldino Quartieri, costruttore il primo e commercialista il secondo, tra i più intimi del banchiere arrestato, avevano dato vita a società ad Imperia, Alassio, Celle Ligure. A Imperia nel mirino c’era l’ex area Italcementi, che doveva trasformarsi in un maxi intervento residenziale e commerciale. Fiorani si era portato in elicottero l’allora ministro Claudio Scajola e l’imprenditore Caltagirone per sorvolare la città e in particolare le aree del nuovo porto e dell’Italcementi. A Celle Ligure il business era rappresentato da una palazzina con 400 posti auto a poche decine di metri dal mare. Operazione benedetta dalla giunta di centro-sinistra, che nonostante indagini della procura e sequestri ha anche approvato una variante per sanare alcuni abusi.
Sì, in Liguria si fanno buoni affari. Fiorani lo sapeva. Non si possono dimenticare i verbali degli interrogatori del numero uno della Popolare di Lodi e del suo braccio destro Gianfranco Boni quando sottolinea gli ottimi rapporti con il senatore ligure Luigi Grillo (Forza Italia, indagato nell’indagine Antonveneta) e con la banca Carige nel cui consiglio siedono Alessandro Scajola (fratello dell’ex ministro Claudio) e il figlio dell’onorevole Vito Bonsignore (europarlamentare dell’Udc indagato anche lui per Antoveneta). Ma Fiorani parla anche dei rapporti con Marcellino Gavio, l’industriale noto per aver ceduto alla provincia di Milano (governata dal centro-sinistra) la sua quota nell’autostrada Serravalle, suscitando un vespaio politico con Gabriele Albertini. Con la plusvalenza realizzata (176 milioni), ha lasciato intendere l’ormai ex sindaco di Milano, Gavio avrebbe appoggiato la scalata di Unipol a Bnl.
Ecco, questo Gavio. La cui borsa della spesa in Liguria conta già autostrade e aree portuali, e da ultimo anche lo stabilimento chimico, rilevato dal fallimento, di Ferrania in Valbormida, dove dovrebbe sorgere anche una centrale a carbone finanziata con soldi statali. Soci di Gavio nell’avventura, gli armatori Messina e Giovanni Gambardella. Lo stesso Gambardella (un passato da manager pubblico, prima nell’acciaio, alla guida dell’Ilva, e poi come consulente del comune di Trieste, quando il sindaco era Riccardo Illy, che adesso lo ha voluto anche nella regione Friuli Venezia Giulia) che “riconvertitosi” da tempo a imprenditore vuole realizzare il porticciolo turistico al confine di Albissola con la megatorre di Fuksas.
E chissà se l’architetto più amato dalla sinistra immagina che tra i suoi committenti c’è anche l’imprenditore di Nizza Pierre Noiray, che tre anni fa venne arrestato perché, come scrisse Nice Matin, fu accusato di creare fondi attraverso false consulenze per porticcioli in Tunisia e, guarda caso, in Italia. Soldi che, secondo l’accusa dell’epoca, servivano a foraggiare un parlamentare di destra fedelissimo di Nicolas Sarkozy.
E in quest’orgia nautica nessuno vuole restare tagliato fuori. Anche Pietra Ligure, di nuovo riviera savonese, ha già affidato il suo progetto – 250 posti barca e 800 box auto – ad un architetto genovese, Vittorio Grattarola, ex assessore pidiessino all’Urbanistica di Genova. Erano i primi anni Novanta, Grattarola finì in carcere durante Tangentopoli, per poi essere assolto con formula piena così come il suo sindaco di allora, Claudio Burlando.
A chi prova a opporsi non resta che istillare qualche preoccupante dubbio, come fa Vittorio Coletti, ordinario di Lettere e filosofia all’università di Genova: “Con questa smania gigantistica che la contraddistingue (tipica per la verità di tutte le speculazioni), si stanno per ripetere sul mare gli stessi orrori che si sono fatti in terraferma dagli anni Sessanta in poi: urbanistica da periferia, tessuto sociale assente e scadente, città fantasma, senza centro, senza anima. Ora, chi non sarebbe disposto a rinunciare a qualcuno dei guadagni che pure ci sono stati in termini di microeconomia locale pur di tornare a vedere un pezzo di verde a Arma di Taggia o a non vedere i tristi casermoni di Ceriale o Spotorno?”. Secondo Coletti la nautica da diporto “abbasserà ancora di più il già miserevole livello qualitativo delle presenze in Liguria, portando un tipo di pubblico analogo a quello che sarebbe attirato da maxiparcheggi riservati a gipponi di 5 metri”. E ancora: “Dopo la devastante esperienza di un’edilizia ipertrofica, senza gusto e senza garbo, che ha offerto una villeggiatura anonima in squallidi loculi costosi, come non interrogarsi sulla compatibilità con quel che resta del territorio ligure di impianti portuali troppo grandi, spaventose cattedrali nel deserto come gli Aregai o inaccessibili enclave cementificate come quella che si prospetta a Imperia, nell’unico fronte mare ancora accessibile in piena città? Se è vero che non si può dire solo no e non si trova niente di meglio, per rilanciare il turismo in Liguria, che favorire i parcheggi delle barche, perché non porsi almeno rigidissimi vincoli di dimensione, non evitare di costruire i porti nelle insenature naturali (come in parte è avvenuto ad Alassio), non evitare che diventino garage preclusi a chi non ha la chiave, non curare l’edilizia di servizio secondo criteri di discrezione e di eleganza? Ma la discrezione e l’eleganza interessano ancora a qualcuno?”.
Ma a sollevare dubbi sul nuovo boom edilizio ligure è anche il clamoroso addio di Renzo Piano al progetto più importante di Genova: gli Erzelli. Deve – o forse doveva – essere la trasformazione di un’area destinata al deposito container in un distretto dell’alta tecnologia. Qualcosa di simile al polo nato vicino a Nizza. Un’operazione dal nome ambizioso, “Leonardo”, come il genio che sapeva coniugare bellezza e tecnica. In sostanza: la spianata di oltre 350 mila metri quadrati vicino all’aeroporto doveva essere utilizzata per imprese hi-tech, laboratori di ricerca e formazione per il 70 per cento, mentre il 30 per cento doveva essere coperto da attività complementari (residenze, servizi, cultura, strutture sportive). Un complesso che avrebbe dovuto ospitare un campus universitario e attirare diecimila addetti per 250 imprese. Poi qualcosa è cambiato: banche e immobiliaristi entrano nella società che gestisce l’operazione. Viene approvata una consistente variazione di destinazione d’uso degli immobili. Grazie ai nuovi criteri la quota di residenziale passa dal 5 al 25 per cento, il verde (originariamente al 15 per cento) e i negozi (10 per cento) insieme non superano ora il 5. Resta sempre al 70 per cento la quota di edilizia a uso industriale, destinata alle imprese hi-tech. Ma con la clausola che anche questa potrà diminuire passando al 60 per cento. A favore, neanche a dirlo, dell’edilizia residenziale. Non basta. Le abitazioni non saranno più ospitate nelle torri progettate da Piano, ma in più vendibili villette. È troppo, e l’architetto decide di lasciare. “Gli Erzilli sono come il monte Olimpo per Genova”, racconta Piano, “sulla sua sommità io avevo progettato i centri di ricerca, università, incubatori di aziende e… certo, anche una porzione di abitazioni, tutto circondato da un grande prato che guardava il mare e la città. Ma poi si sono messi d’accordo con un costruttore che vuole circondare il prato con villette vista-mare. Me ne sono andato”.
Mattone, cemento. Ma, in fondo, soprattutto una particolare visione della politica che anima parte del centro-sinistra. Resta da capire se sarà quella destinata a prevalere, in Liguria, ma soprattutto nel resto del paese. Genova-Italia?
[1] A cavallo degli anni Sessanta-Settanta, Rapallo, cittadina del Levante genovese incastonata tra mare e collina, è vittima di una grande colata di cemento. Una speculazione edilizia tanto selvaggia, e contemporanea a quella del ponente sanremese denunciata da Italo Calvino, da diventare un neologismo citato dai dizionari.
[2] Alberto Teardo, socialista, è il presidente della Regione Liguria che viene arrestato – e condannato – nei primi anni Ottanta. La sua vicenda anticipa secondo molti la Tangentopoli di dieci anni dopo. Teardo era a capo di una rete di intrecci e interessi che attraversavano la politica, l’imprenditoria – in particolare il settore edilizio – la criminalità, ed il suo nome compare in documenti sequestrati a Licio Gelli (n.d.a).