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«CARREFOUR a Fegino si può fare. Il Consiglio di Stato ci ha dato ragione, ora vogliamo una conferenza dei servizi specifica». I dirigenti di Gamma srl, la società promotrice di un insediamento urbanistico a Fegino da 80 mila metri quadri - con 24 mila destinati ad un grande centro commerciale del marchio francese Carrefour - dopo la sentenza che rimette in pista il loro progetto bocciato dal Comune (con conferma del Tar), rilanciano l´idea e le critiche, anche pesanti, contro il monopolio di Coop sul mercato della grande distribuzione in Liguria, posizione a cui in serata si aggiunge anche l´ex presidente della regione Biasotti. Convinti di poter avere un via libera che invece, sembra più remoto che mai nelle parole di Bruno Gabrielli, assessore comunale all´Urbanistica, tacciato anche di dichiarazioni "terroristiche" da Flavio Fasano, il battagliero avvocato pugliese che conduce la vicenda per conto della società promotrice, pronta a gestire anche l´ipermercato. «Dicono che possiamo fare una variante al Puc, ed è vero: ma si tratta di vedere se vogliamo farla, e io penso proprio di no, viste le indicazioni che abbiamo già dato - spiega Gabrielli - Facciano istanza per la conferenza dei servizi, rivedremo le loro carte, e spiegheremo per filo e per segno le ragioni della nostra posizione. Io terrorista? Divertente, detto ad uno mite come me... «. «Nessuna chiusura a priori, restano i vincoli di ordine urbanistico e commerciale» ribadisce Mario Margini, neoassessore al commercio. Mentre alla conferenza stampa di Gamma, ieri mattina al Jolly Marina, tra gli altri appare Gianfranco Gadolla, l´ex consigliere regionale di An che aveva promosso un emendamento al piano commerciale regionale - scomparso poi nelle nebbie della commissione - che prevedeva, appunto, l´insediamento di Fegino, in deroga ai limiti esistenti per nuovi insediamenti di tali dimensioni.

Fasano si spinge un po´ tanto in là, insiste sul Comune e le Coop che considerano la grande distribuzione "cosa nostra" e poi si corregge "casa nostra"; fa capire che bisogna smetterla con i privilegi, che loro hanno le carte in regola per costruire un insediamento di oltre 80 mila metri quadrati, 24 mila dei quali adibiti a centro commerciale, nell´area ex Continentale Italiana sulla collina di Fegino in Val Polcevera, una zona già caratterizzata da un´alta densità di ipermercati e attività commerciali, a rischio "tappo" continuo nonostante la strada di sponda. Ma Franco Cardinali, presidente della società, parla di riqualificazione di una zona abbandonata, sottolinea i 25 mila metri quadri di verde; siamo disposti, dice, anche a farci carico della spesa per la modifica della viabilità. «E´ un problema di metodo e non di merito: il Consiglio di Stato non ha infatti contestato il no al Carrefour, ma solo l´iter attraverso il quale ci si è arrivati» precisa Margini, che sottolinea il permanere dei vincoli urbanistici e commerciali. Tutti i progetti di riqualificazione privati sono ben accolti, ma «rappresentano e tutelano interessi appunto privati, mentre l´amministrazione deve rappresentare e tutelare gli interessi della città». E dove secondo il Puc non si possono costruire insediamenti commerciali oltre i 3000 metri quadri, come se ne possono accettare 24 mila?

Titolo originale: Malls and malls – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Per mantener fede agli impegni della Cina col WTO, in dicembre il Ministero del Commercio ha eliminato i vincoli alla localizzazione commerciale (che può avvenire ovunque), alla struttura di impresa (non si richiede più che sia una joint venture) e alle quantità di capitale (da 10 milioni a 300.000) per le attività straniere.

Le riforme sono state particolarmente benvenute dai grossi operatori commerciali d’oltremare ansiosi di gestire le proprie attività con l’immagine di impresa a proprietà interamente straniera [WFOE/ wholly foreign-owned enterprise], e non ultimo per la possibilità di liberarsi del peso morto dei soci di joint-venture, aumentare l’efficienza, e spesso tagliare i costi.

Ma se sono continuati ad arrivare annunci da parte dei giganti stranieri – come quello di Wal-Mart dello scorso mese, che progetta di aprire tre nuovi megastores Supercenter a Pechino – le quantità di capitale inferiori richieste sollevano il problema di quale posto troveranno nel quadro generale le catene internazionali di dimensioni più contenute.

Il fatto è, commenta un analista, che c’è solo una manciata di centri commerciali di livello internazionale in tutta la Cina, mentre continuano a sorgere malls di qualità e progettazione inferiore, anticipando un infinito boom dei consumi, coi costruttori che tentano di sfruttare la liberalizzazione commerciale prima degli operatori delle grandi catene.

”È sconcertante che con tutta l’offerta che esiste, e anche con quella in corso di costruzione, non vengano attirati questi operatori commerciali” dice Bryn Davis, analista immobiliare per la CBRichard Ellis, a Pechino. “Ci sono circa 20 centri commerciali in Cina con queste caratteristiche: tre o quattro a Pechino, uno o due a Dalian, Guangzhou e Shenzhen. I rimanenti sono a Shanghai”.

Gli esperti vedono un crescente malessere rispetto ai centri commerciali, visto che non esistono malls di qualità a sufficienza, e un sovrappopolamento di altri di basso livello, che diluiscono le prospettive commerciali per tutti.

Detto questo, Shanghai ha più centri commerciali, buoni e meno buoni, di qualunque altra città cinese. E con spazi commerciali non utilizzati ridotti al solo 5%, Shanghai sta diventando cara per gli standards cinesi. Alcuni operatori di medio mercato, come la giapponese Mitsukoshi, per esempio, stanno pensando di espandersi altrove, in città come Chongqing nel profondo dei territori interni. Le catene più orientate a un mercato di massa hanno aperto la strada dell’interno per anni. La Metro dalla Germania, ad esempio, si è spinta sino a Wuhan nella provincia centrale di Hubei e ora vanta 20 punti vendita in tutto il paese. Anche la francese Carrefour, è stata presente a Wuhan e in alte città interne per anni, talvolta in joint venture con le amministrazioni locali prima della liberalizzazione da Pechino, e altre volte a mortificazione delle regole, va detto.

Shanghai resta la grande calamita, ed è per questo che ci sono più malls di qualità che ovunque altrove. La britannica Tesco l’anno scorso ha comprato il 50% dello Hymall di Shanghai a 260 milioni di dollari USA.

Il più grosso e attivo giocatore emerso di recente è la CapitaLand di Singapore. Attraberso la sua controllata CapitaRetail, ha appena comprato il nuovo Anzhen Shopping Mall e il centro Wangjing di Pechino (questo ancora allo stato di work in progress) per 1,746 miliardi ($ 210,36 milioni) – dal grande operatore nazionale Hualian.

CapitaLand ha già lasciato il segno anche a Shanghai, costruendo la sua torre di Raffles City a 54 piani nel cuore della città – e fissando la nuova quota di affitto commerciale a 5 dollari al metro quando ha aperto il complesso nel 2003. Per i costruttori stranieri ora, l’obiettivo è di realizzare super-centri commerciali con anchors famosi a livello mondiale come Wal-Mart, con accanto strutture “ big-box” che possono normalmente ospitare giganti del fai da te come Home Depot. (I centri commerciali saranno dotati di parcheggi, ma niente di paragonabile alle dimensioni dei parcheggi americani o europei, perché la proprietà dell’auto, anche se in rapida crescita, è ancora molto indietro rispetto all’Occidente).

Un’audace fusione

L’anno scorso, con la sua mossa sinora più audace, la CapitaLand si è associata al braccio di investimenti di Shenzhen, lo Shenzhen International Trust & Investment Co Ltd (SZITIC) che aveva già un accordo in corso con Wal-Mart.

I due soci avevano aperto 10 negozi Wal-Mart prima che CapitaLand entrasse in scena. Ora i progetti prevedono l’apertura di una serie di altri negozi nei prossimi cinque anni. Sottovalutando l’importanza di Shenzhen nel complesso della sua campagna, Wal-Mart, che compra in Cina gran parte di quel che vende, annunciò che stava spostando il proprio quartier generale per l’Asia da Tokyo alla boomtown di Guangdong.

Mettere un tetto sulla testa di inquilini miniere d’oro come Wal-Mart è critico per la strategia di CapitaLand, il principale costruttore internazionale d’Asia, che al momento ha 6,8 miliardi di yuan, ovvero l’8% del proprio portafoglio globale, investiti in Cina, il proprio secondo obiettivo estero di mercato dopo l’Australia. E gli investimenti sono destinati a crescere.

”Stiamo cercando le possibilità di acquisire centri commerciali a Shanghai, dato che è una grande metropoli commerciale”, ha dichiarato il presidente del CapitaLand China Holdings, Lim Ming Yan. “Sono in corso negoziati. Probabilmente raddoppieremo gli investimenti nel prossimi anni per espandere il nostro patrimonio immobiliare in Cina”.

Questo dovrebbe aiutare ad aumentare le quantità di centri commerciali di serie A. E se ora l’appunto principale di Davis della CBRichard Ellis è la carenza di questo tipo di servizi, non ha perso entusiasmo per le possibilità delle riforme WTO. Il 97% di tagli riguardo alle disponibilità di capitale apre una ampia serie di opportunità. E lo stesso fanno le altre deregulations riguardo all’uso obbligatorio di distributori cinesi, che tanto spesso avevano determinato danneggiamenti e smarrimenti di merci in transito.

”Tutti guardano alla Cina, adesso” dice Davis, “anche gente che non pensava di aprire qui. Le riforme eliminano enormi ostacoli. Se solo il 25% di loro verrà in Cina, si creerà un mercato gigantesco”.

Se si è aperta la strada ad attività interamente straniere, alcuni analisti cinesi si aspettano che queste rappresentino più l’eccezione che la regola, “Gli stranieri dipenderanno da soci cinesi per costruirsi accessi a basso costo e basso rischio alle reti di attività”, ha osservato sul China Daily Li Fei, professore alla Scuola di Economia e Management dell’Università di Tsinghua. “Il mercato cinese è complesso, e il territorio vasto rende più sicuro ed efficiente per gli stranieri avere la collaborazione di soci locali”.

Tony Wong, presidente della Lifestyle Company, operatore di boutiques dei centri commerciali di Shanghai, è d’accordo, suggerendo solo che la riduzione delle quantità di capitale è più importante della revisione delle norme sulle imprese a proprietà completamente straniera. Questa riduzione faciliterà l’ingresso di marchi come Prada, dice. “Ma c’è ancora bisogno di soci locali: è un mercato difficile da penetrare, altrimenti”.

Come Davis, Wong è preoccupato per l’attuale “mania” dei centri commerciali. “Ce ne sono troppi. Sono troppo grandi e troppo vicini l’uno all’altro. Il tipo di consumo cinese è diverso da quello dell’America. Il grande mall è un fenomeno solo americano; nemmeno europeo” dice.

I costruttori che pensano di costruire i centri commerciali più grandi di tutti i tempi saranno perplessi, dice, perché i consumatori non vogliono scarpinare per corridoi senza fine. “Nemmeno i commercianti li amano” aggiunge. “Questi malls resteranno vuoti”.

Ed è la dimensione, la parola chiave di questo costruttore. La Lifestyle realizza e gestisce proprietà immobiliari a Shanghai del tipo che Wong chiama “ lifestyle centers” e cerca una dimensione a scala umana per andare incontro ai bisogni dei consumatori, e a quelli dei commercianti di media dimensione che entrano nel mercato.

Per quanto riguarda lo spesso dimenticato mercato interno del paese, Wong prevede che gli ostacoli per gli investimenti stranieri resteranno ancora per qualche tempo: soprattutto a causa del comportamento tradizionale dei consumatori. “C’è meno spesa in beni voluttuari, e di più in divertimenti” dice.

Nota: qui il testo originale al sito della China Economic Review (f.b.)

Titolo originale: Authorities try to cool mall mania – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

È pronto per l’apertura, in ottobre, Fonte d’Oro: il primo centro commerciale di Pechino e sinora il più grande della Cina.

Nonostante i funzionari del gruppo promotore, si costruttore che gestore del nuovo grosso centro, affermano di contare su una futura prosperità, ci sono timori che possa seguire la strada di altri shopping malls cinesi, che al momento non stanno dando grandi risultati, ha scritto martedì il China Daily.

Comunque, nonostante le prospettive grigie per i centri commerciali esistenti, ce ne sono molti di grosse dimensioni in corso di costruzione in tutta la Cina, e i promotori stanno facendo pressioni sulle amministrazioni locali per realizzarne.

Il fenomeno è stato chiamato “ mall mania” dagli esperti.

Mall mania

Per ora, la mania si diffonde in tutto il paese, con sempre più centri commerciali, sempre più alla moda in corso di costruzione, e le amministrazioni locali che offrono varie possibilità di sostegno ai costruttori di questi progetti.

Le prospettive sembrerebbero rosee. Ma ci sono dei problemi. Quanto denaro delle banche viene divorato, dalla mall mania?

La maggioranza degli enormi investimenti necessari per questi giganteschi progetti dipende dai prestiti delle banche. In altre parole, le banche stanno sostnendo alti rischi, dice Chen Jianming, direttore generale della Oriental 3invest Consulting Co Ltd, impresa di progettazione e consulenza immobiliare.

Nonostante non siano disponibili statistiche nazionali sulla costruzione di centri commerciali, si ritiene in genere che per quanto riguarda il settore bancario le spese per i grossi centri commerciali nella fase di progettazione o in corso di costruzione alla fine del 2003 abbiano superato i 200 miliardi di yuan (24 miliardi di dollari USA), e almeno il 60 per cento di questi finanziamenti vengono dalle banche.

Una formula comunemente usata dai promotori è: comprare i diritti edificatori dalle amministrazioni locali a prezzi preferenziali, prendere in prestito il denaro per la costruzione dalle banche utilizzando gli immobili come garanzia, e quando i malls sono completati, impegnare la proprietà per ottenere un flusso di liquidità per la gestione quotidiana.

”Ai promotori qualche volta basta solo il 10 per cento dell’investimento totale per acquisire i diritti edificatori nella fase iniziale, e l’approvazione del prestito può essere molto facile con l’intervento delle amministrazioni locali” dice Chen.

Secondo le esperienze degli investitori in malls all’estero, che hanno realizzato i modelli commerciali negli USA e in Europa dagli anni ’50 in poi, sono necessari più di dieci anni per recuperare l’investimento complessivo, se il centro commerciale funziona bene.

”Ci si può immaginare, se spuntano dappertutto in Cina i centri commerciali, quanto grandi saranno le somme necessarie, e quanto ci vorrà perché il denaro preso alle banche venga ripagato” continua Chen.

In più, l’eccesso di realizzazioni può trasformarsi in costruzioni non completate, concorrenza sleale, o cattivi risultati per i concorrenti, che porteranno al mancato reddito degli investimenti e a danneggiare il fragile sistema finanziario nazionale.

Alcune approssimative statistiche mostrano che, alla fine dello scorso anno, c’erano circa 300 grossi complessi commerciali, tra cui molti shopping malls, in Cina, un aumento di 100 unità dal 2002, e la cifra è salita a 400 in aprile.

Secondo il Decimo Piano di Sviluppo Quinquennale (2001-2005) a Pechino sono previsti quattro malls nell’area centrale.

Ma, anche senza contare alcuni progetti abortiti per mancanza di fondi, nella capitale al momento sono in costruzione dieci giganti commerciali.

Le realizzazioni sono più “fiorenti” a Shanghai, con 13 complessi commerciali, e per uffici di 970.000 metri quadrati, in progetto o costruzione, con superficie che supererà rispettivamente 1,6 e 2,4 milioni di metri quadrati, come affermano fonti dello Shanghai Commercial Information Centre.

”Al momento, i centri commerciali attivi sono in una fase di stasi e peggioramento” sostiene un funzionario del centro, che vuole rimanere anonimo.

Dice che al Chai Tai Square di Shanghai, il primo shopping mall della città, un terzo degli spazi sono inutilizzati, e il complesso lavora in perdita sin dall’inaugurazione.

A Chongqing, una città del sud-ovest della Cina con una popolazione di oltre 30 milioni di persone, si apriranno presto cinque grossi centri commerciali.

”Anche nei centri piccoli e medi, come Yixing o Jiayi, ci sono segni della mania dei centri commerciali” dice Zhang Shuping, vice-presidente della Camerca di Commercio nazionale cinese.

Lo stimolo alla febbre del mall

Perché, quasi contemporaneamente, sono stati lanciati tanti progetti, e perché dipendono in modo quasi eccessivo dal credito bancario?

In parte, è dovuto alla tattica dei promotori, di usare i progetti di centro commerciale per ottenere denaro dalle banche. E poi, le spinte delle amministrazioni locali in questa direzione non possono essere ignorate.

”Possiamo attribuire l’entusiasmo delle amministrazioni per i centri commerciali al desiderio di stimolare le costruzioni e il commercio, ma in qualche misura gioca anche un ruolo importate il perseguimento di obiettivi politici da parte dei funzionari. Questo atteggiamento di scarsa lungimiranza riflette alcuni problemi del sistema di valutazione cinese, quasi sempre basato su indicatori economici relativi ai brevi mandati dei funzionari.

Governare la mall mania

La preoccupazione degli esperti, e le notizie diffuse dai mezzi di comunicazione sul clima incandescente degli investimenti nella costruzione di centri commerciali, hanno spinto il premier Wen Jiabao a ordinare personalmente lo scorso febbraio un’indagine approfondita.

La Commissione di Controllo Bancario Cinese, il Ministero del Commercio, la Commissione Nazionale per le Riforme e lo Sviluppo, il Ministero delle Costruzioni, stanno conducendo un’inchiesta nazionale congiunta.

Per aumentare l’efficienza la Commissione di Controllo bancario si è concentrata sulla situazione dei prestiti per progetti di centri commerciali in sette città chiave: Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Chengdu, Chongqing e Wuhan.

Il Ministero del Commercio ha orientato la propria indagine sui grandi complessi investendo molto sul questionario.

Come primo passo per affrontare il problema, il ministero sta mettendo a punto una serie di regole per organizzare il sistema commerciale delle città. Sta prendendo in considerazione se introdurre il sistema della public hearing nel caso di costruzione di mega-stores.

È stato chiesto alle municipalità di presentare i piani basati sui grandi complessi commerciali, ma non si tratta di qualcosa che possa avere il medesimo effetto legale di una serie di norme.

Contemporaneamente, il Consiglio di Stato, ha spedito dieci gruppi di indagine in dieci città a verificare gli investimenti in capitale fisso.

A fine aprile, i centri commerciali sono stati inseriti nell’elenco delle attività “surriscaldate” della Commissione Nazionale per le Riforme e lo Sviluppo, insieme all’industria dell’acciaio, del cemento, dell’alluminio elettrolitico. La Commissione di Controllo Bancario ha anche avvertito i presidenti delle banche di stato che l’aumento del credito per investimenti in immobili era “elevato in modo anormale”.

Di fronte alla prospettiva di un’inchiesta approfondita concentrata sulle risorse finanziarie, alcuni costruttori di malls sono in ansia, e temono che con la mall fever vengano spazzati via anche gruppi imprenditoriali.

Al contrario, altri non sembrano toccati nella solidità del sostegno finanziario e della lunga esperienza nel campo dei grossi centri commerciali.

Cai Shanxun, vice-presidente del Golden Resources Group, responsabile unico dello shopping mall Fonte d’Oro di Pechino, afferma che i prestiti delle banche per il loro progetto sono valutati in un miliardo di yuan (120 milioni di dollari USA), su un totale di investimenti di oltre 5 miliardi di yuan (600 milioni).

”Per aumentare la nostra forza, preferiamo applicare prezzi d’affitto relativamente bassi per attirare più commercianti, il che garantisce un flusso di liquidità stabile e mantiene l’operazione in salute” dice Cai.

Sinora tutti gli spazi del centro comemrciale Fonte d’Oro sono stati occupati, e 40 inquilini – compresi New Lufthansa, Guiyou, Christian Dior, Nike e Admire – hanno firmato con gruppo un contratto ventennale.

Yu Lai, presidente del consiglio di amministrazione di Guangzhou Tianhe City Square, il primo e più grande centro commerciale del Sud della Cina, apprezza l’azione del governo centrale.

”Un consolidamento del settore è necessario e lungimirante, visto che l’eccesso di realizzazioni è un uso eccessivo del sostegno delle amministrazioni locali hanno fatto della costruzione dei centri commerciali un affare senza regole e rischioso” dice Yu.

”In più, la febbre da mall implica grossi rischi per le banche commerciali, che possono non solo dare un grosso colpo al sistema finanziario, ma creare problemi anche al settore degli shopping malls”.

Esperti e interessati sostengono le decisioni del governo centrale di far scoppiare la bolla del mall, ma sottolineano che dovrebbero essere distinti gli aspetti immobiliari e quelli specificamente commerciali.

”La realizzazione di un progetto insediativo commerciale, o shopping centre, mira al commercio e insieme all’immobile, e gli acquirenti saranno responsabili della gestione commerciale” dice Guo Zengli, segretario generale della Commissione sugli Shopping Centers per la Camera di Commercio Generale Cinese.

Un progetto di mall integra sviluppo immobiliare e gestione delle attività commerciali, in altre parole promotore e operatore sono la stessa impresa.

”Un operatore di mall non dovrebbe vendere gli immobili ai commercianti, ma predisporre un piano generale e scegliere inquilini adatti a questo progetto” prosegue Guo.

La mall mania riflette il fatto che non si è ancora imposto in Cina un sistema generalizzato di progettazione commerciale, e che si devono iniziare a innescare meccanismi di circolazione delle informazioni e di grandi investimenti, secondo Guo.

Nota: il testo originale al sito in inglese del Quotidiano, People’s Daily (f.b.)

Hong Kong Planning Department, Hong Kong Planning Standards and Guidelines, Chapter 6, Retail Facilities [redazione: 1998; validità: 2005] – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

1. Introduzione

Il commercio a Hong Kong

1.1 Il commercio è un’attività economica di primaria importanza nella vita moderna. Nel 1995, le vendite di negozi e ristoranti hanno contribuito per quasi il 6% al nostro prodotto interno lordo, e l’occupazione era di 400.600 persone nel 1997. Gioca anche un ruolo importante nella vita sociale delle persone, e da un contributo significativo ad attirare visitatori a Hong Kong.

1.2 Lo stock totale di proprietà immobiliari commerciali nell’intero Territorio era al 1996 di circa 9,2 milioni di metri quadrati di superficie di pavimento [IFA/ Internal Floor Area] di cui approssimativamente il 90% del settore privato, e il resto posseduto dalla Housing Authority e Housing Society. Per motivi di carattere economico e sociale, il settore commerciale deve essere un’importante componente della pianificazione a livello dell’intero territorio, e a scala regionale e locale; le necessità del settore commerciale, dei consumatori e delle attività edilizie commerciali, devono essere affrontate in modo propositivo dalle strategie di pianificazione per il Territorio, e nelle norme e linee guida urbanistiche.

1.3 Nonostante le Hong Kong Planning Standards and Guidelines (HKPSG) contengano elementi riguardo alla localizzazione ed edilizia commerciale sin dal 1983, il settore non è stato oggetto di interesse per le strategie di piano territoriali, regionali e locali quanto altre modalità di uso dello spazio. Di conseguenza, nel febbraio 1995 il Governo commissionò a una società di consulenza la “ Ricerca sulle abitudini commerciali e Revisione del Capitolo 6 delle Hong Kong Planning Standards and Guidelines”. Lo studio fu portato a termine nell’ottobre 1997. Le norme e linee guida presentate nei paragrafi successivi, salvo quelle su mercati all’aperto e attività di ristorazione ambulanti che non erano contemplate dalla Ricerca, sono state formulate sulla base dei risultati di questo studio.

Caratteristiche principali del settore commerciale a Hong Kong

1.4 La Ricerca ha individuato le seguenti caratteristiche principali, relativamente al settore commerciale di Hong Kong, che rappresentano un utile riferimento per la pianificazione:

● il mercato interno di Hong Kong è relativamente contenuto, date le piccole dimensioni della popolazione residente. Di conseguenza, secondo uno standard internazionale Hong Kong è relativamente piccola, e il settore è distribuito su un gran numero di attività molto ridotte, e pochi grossi operatori;

● la spesa dei visitatori in acquisti e ristorazione è in aumento. A causa della densità di popolazione, e in quanto centro turistico, Hong Kong è al centro dell’interesse internazionale per quanto riguarda lo sviluppo commerciale. C’è stato un aumento nell’ingresso dei grandi gruppi sul mercato locale. Ne sta emergendo un panorama più moderno, con maggior enfasi sull’immagine di impresa;

● si sono affermate anche nuove tendenze nel commercio diverso da quello dei negozi, come tramite televisione o ordinazioni postali. Comunque, questi tipi resteranno forme complementari di acquisto, e non si ritiene che il loro impatto sul settore possa essere significativo;

● il commercio dei negozi tradizionali sul fronte stradale è rimasto importante nelle zone urbane più consolidate, ma è diminuito in modo significativo nelle zone di nuovi insediamento/rinnovo urbano, a causa della crescita dei centri commerciali chiusi ad aria condizionata. Piccoli complessi commerciali, in insediamenti misti a residenza, continuano a svolgere un’utile funzione, fornendo spazi al gran numero di piccoli negozi. Il commercio extraurbano, che ha avuto un rapido sviluppo nei paesi occidentali, non dovrebbe aumentare significativamente a Hong Kong, a causa degli alti prezzi dei terreni e del basso tasso di auto private.

Abitudini commerciali

1.5Nel corso di un’indagine condotta nell’ambito della Ricerca, sono state individuate le seguenti caratteristiche relative alle abitudini di acquisto degli abitanti di Hong Kong. Si tratta di un riferimento utile anche per la pianificazione commerciale:

● la maggior parte delle famiglie intervistate nel corso dell’indagine hanno espresso una generale soddisfazione riguardo all’esperienza degli acquisti, indicando di essere ben serviti, dal punto di vista delle distanze e della qualità. È implicito, dai risultati dell’indagine, che l’approccio adottato dal Governo alla pianificazione commerciale – ad esempio il fatto di lasciare l’offerta di superfici e la miscela di attività in gran parte al mercato – sembra funzionare in linea di massima;

● la maggior parte delle famiglie fa la spesa vicino a casa per le necessità quotidiane, in particolare gli alimentari; pochi attraversano la baia per acquisti secondari o di grande importanza. Questo indica che ai fini della pianificazione commerciale i bacini di riferimento possano essere relativamente ristretti;

● i formati commerciali moderni, come ad esempio i centri commerciali chiusi ad aria condizionata, sono molto usati, il che indica come una strategia di piano debba incoraggiare tale forma di insediamento. Ma molte delle persone intervistate hanno anche auspicato che si mantenga il commercio stradale, e che sia promosso in località adatte, in modo tale da dare varietà, vitalità e animazione al panorama urbano;

● la Ricerca ha anche evidenziato come siano molto poche le famiglie che fanno la spesa in automobile. Per assicurare che i nuovi insediamenti commerciali, in particolare per le merci di ordine superiore, possano servire i bacini di utenza più ampi possibili, sarà opportuno localizzarli entro i principali nodi del trasporto pubblico.

Scopo e obiettivi delle Linee Guida

1.6Scopo delle linee guida di pianificazione commerciale è di assicurare lo sviluppo di strutture attraenti e funzionali, che rispondano ai bisogni economici e sociali sia del Territorio che della particolare località in cui si localizzano gli spazi commerciali.

1.7 Queste linee guida si collocano entro un contesto quadro di ampie strategie. È stata adottata una Strategy of Positive Market Response a significare che l’insediamento commerciale deve essere determinato dalle forze del mercato, e che l’intervento di piano debba essere mantenuto al minimo.

1.8 Per quanto riguarda la dimensione dell’intero Territorio, si raccomanda un modello di previsione econometrico. Alle scale sub-regionali, di distretto urbano e locali, si raccomandano modelli basati sulle modalità di acquisti e la domanda di spazi commerciali. Essi possono venir utilizzati allo scopo di pianificare con anticipo e stendere norme edilizie.

1.9 È importante utilizzare flessibilità nell’applicazione delle linee guida, per consentire alle norme commerciali di adattarsi ai possibili mutamenti nelle caratteristiche demografiche, alle aspirazioni collettive, redditi, stili di vita, e anche per rispondere alle trasformazioni nella distribuzione geografica della popolazione e delle attività economiche.

1.10 Le linee guida per strutture di servizio come parcheggi e spazi per carico/scarico, sono contenute nei relativi capitoli delle HKPSG.

Obiettivi particolari

1.11All’interno degli scopi generali così come esposti nel precedente punto 1.6 ci si propone di:

● fissare linee guida ampie per facilitare lo sviluppo di strutture commerciali funzionali e attraenti attraverso una preventiva pianificazione;

● fissare criteri e metodi che permettano una scelta, consentano la libera concorrenza, offrano sufficiente flessibilità per adattarsi ai possibili mutamenti economici e sociali del settore.

Definizioni

1.12Il commercio al dettaglio può essere definito come vendita di beni in piccole quantità direttamente al consumatore, distinto dall’attività all’ingrosso, dove le merci sono comprate o vendute in grandi quantità da magazzini o grandi corrieri alle varie attività. Il commercio al dettaglio comprende anche le nuove forme di attività come il “ teleshopping” o quello via ordinazioni postali, o l’acquisto diretto di merci dai cosiddetti “grandi magazzini all’ingrosso” [ retail warehouses] che servono sia i consumatori che gli operatori. Comprende anche i servizi rivolti ai consumatori.

1.13 Per gli scopi di pianificazione, il commercio si articola in:

convenience goods : beni di consumo acquistati per le necessità quotidiane, come alimentari, libri e giornali, cosmetici, farmaci, bevande;

comparison goods : beni (di solito durevoli) che il consumatore sceglie per qualità, varietà e prezzi, come calzature, abbigliamento, arredamento, gioielleria, articoli personali, materiali elettrici e per la casa;

● ristoranti, bar e caffè: ad esempio cibi e bevande consumati lontano da casa;

● servizi commerciali: servizi associati ai centri di commercio, come banche, parrucchiere, lavanderia.

1.14 Queste definizioni commerciali comprendono quindi tutte le attività che possono essere contenute nelle strutture edilizie di negozi e ristorazione.

2. Distribuzione delle strutture commerciali

Una gerarchia

2.1È possibile fissare una gerarchia essenziale di centri commerciali in base alle dimensioni, alla popolazione (o bacino) servita, alla gamma di negozi presente, alla disponibilità di ristoranti, strutture per il tempo libero, servizi e altro.

2.2 Entro il Territorio si è evoluta una gerarchia non sempre chiaramente definita di centri. Quelli di scala metropolitana servono l’intero Territorio per i comparison goods di ordine superiore. Quelli regionali offrono pure soprattutto merci di alta qualità; di livello inferiore quelli a scala di distretto urbano, e infine i centri locali sono orientati soprattutto agli acquisti quotidiani. Una descrizione più dettagliata è quella che segue:

Centri di rango metropolitano

Sono gli shopping centres che offrono un gran numero di negozi, che vendono principalmente beni di consumo durevole, con un’ampia gamma di servizi come le banche, e poi molti cinema, ristoranti, teatri. Per le loro dimensioni, tipi di negozi, accessibilità, i centri di scala metropolitana si orientano a servire l’insieme di Hong Kong e il flusso turistico verso Hong Kong (ad esempio le zone Central, Tsim Sha Tsui o Causeway Bay). Offrono anche strutture per il divertimento e l’incontro sociale a scala dell’intero territorio.

Centri di scala regionale

Si tratta di zone commerciali che ricoprono un significativo ruolo regionale per bacini di utenza da 250.000 a 1.000.000 di abitanti. Sono caratteristicamente collocati all’esterno dell’area metropolitana centrale, nei nuovi poli urbani (ad esempio Tsuen Wan, Sha Tin, Tai Po, Fanling/Sheung Shui, Yuen Long o Tuen Mun). Questo tipo di centri può occupare dai 50.000 ai 250.000 metri quadrati di pavimento, e si caratterizza per l’offerta di moderni grandi magazzini e supermercati, oltre a una vasta gamma di servizi annessi, come banche, ristoranti, cinema, teatri e altre strutture di aggregazione sociale.

Centri alla dimensione di distretto

Sono gli shopping centres di dimensione media, urbana o di distretto extraurbano, di solito a servizio di un bacino di popolazione da 50.000 a 250.000 abitanti (ad esempio Wan Chai nella zona urbana, Kam Tin in quella rurale). Questi centri tipicamente occupano da 10.000 a 50.000 metri quadrati di pavimento. Contengono strutture che offrono servizi limitati per il tempo libero e la socialità, ma significative concentrazioni di commercio e ristorazione.

Centri locali

Si tratta di piccole concentrazioni di negozi a servizio di un bacino locale di popolazione, inferiore ai 50.000 abitanti (ed esempio l’area Fung Tak o quella Tai Yuen), e che offrono servizi commerciali e ristorazione. La maggior parte di questi centri locali occupa una superficie inferiore ai 10.000 metri quadrati.

3. Strategie di pianificazione commerciale

Una strategia orientata al mercato

3.1The objective of the strategy is to encourage retail development according to market needs within a planned hierarchy of provision, and to maintain the functions and vitality of established centres. This strategy will be reflected in the Territorial Development Strategy when opportunity arises.

Alla dimensione del Territorio

3.2A livello dell’intero Territorio, la strategia prevede che la necessità di superfici commerciali venga determinata utilizzando il modello previsionale delineato ai punti successivi, da 4.3 a 4.5. La previsione calcolata nell’ambito della Ricerca di cui al punto 1.3 precedente, indica che il bisogno di spazi commerciali privati crescerà da circa 7,5 milioni di metri quadri IFA del 1995, a circa 10,1 milioni nel 2011. Le superfici necessarie per quanto riguarda le proprietà Housing Authority e Housing Society cresceranno prevedibilmente con un tasso simile. Questa previsione offre la base per l’individuazione di superfici edilizie o territoriali, e la realizzazione di infrastrutture, nel quadro della complessiva Territorial Development Strategy. È utile esaminare a scadenza annuale la strategia, per verificare se le localizzazioni previste nei piani regolatori locali e i progetti presentati e in corso di esame rientrano nel quadro generale dei bisogni, e non costituiscono un’offerta eccessiva, o troppo limitata.

A scala sub-regionale

3.3A livello sub-regionale, la strategia riconosce una gerarchia di centri commerciali alla scala metropolitana, regionale, di distretto e locale, in base alla gamma e tipi di beni e servizi resi disponibili e ai bacini serviti. Per facilitare la previsione degli spazi commerciali, e consentire il monitoraggio della domanda e offerta di superfici per questi centri, la strategia propone di mantenere l’attuale metodo di previsione sulla base delle spese correnti, corretto da parametri basati sui dati raccolti dalle indagini della Ricerca.

Nella dimensione locale

3.4A livello locale, la strategia consente che sia il mercato a determinare la localizzazione e realizzazione di centri di distretto e locali nei luoghi più adatti, di norma in corrispondenza dei principali insediamenti residenziali, in base alle sole regole e controlli urbanistici correnti, ad esempio la quota di superfici non residenziali fissata nelle norme edilizie, urbanistiche, di zona.

[...]

Nota: la versione originale e integrale delle Retail Planning Guidelines (che comprende fra l’altro il metodo, modello e schemi di calcolo per la previsione dei bisogni), è disponibile - non scaricabile - sul sito del Planning Department del Territorio di Hong Kong ; per capire meglio la centralità del trasporto pubblico, qui su Eddyburg l'esempio della nuova linea di metropolitana per Disneyland Hong Kong (f.b.)

Titolo originale: DestiNY’s Child – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Mentre il Senato decide sul disegno di legge per l’energia sostenuto da Bush, e gli ecologisti diffondono nuovi segnali disagio sulla pervicace dipendenza dell’America dai combustibili fossili, chi lo crederebbe che il prossimo grande passo verso le energie rinnovabili si debba a un tenace costruttore di centri commerciali, con forti legami al Partito Repubblicano, e 25 mega-malls sotto la cintura?

Immaginatevi un mastodontico complesso commerciale nel nord dello stato di New York – una cosiddetta “città del commercio”, grande abbastanza da far sembrare il Mall of America un bruscolino – con migliaia di negozi, e ristoranti, teatri, alberghi, un centro di ricerche e sviluppo per l’alta tecnologia applicata al commercio, e un’enorme biosfera a clima controllato per i divertimenti. Insomma, un altro abominio ambientale, vero?

Non è proprio detto.

Il titano del centri commerciali Robert Congel, uno dei principali operatori edilizi mondiali del settore, sta iniziando la realizzazione di un multimiliardario complesso commerciale e per il tempo libero su 320 ettari, con tutte le piacevolezze descritte sopra, ma senza – e qui viene la parte che si fa fatica a credere – usare nemmeno una latta di petrolio, o un kilowatt di energia di origine fossile. Esatto, gente: un mega-mall al 100% di energia pulita. Congel giura che sarà la cosa più simile al “Programma Apollo” che si sia mai vista in America per quanto riguarda le energie rinnovabili: crescita economica, rafforzamento della sicurezza nazionale tramite indipendenza energetica, tutela dell’ambiente.

Secondo il programma, le ruspe di Congel – tutte spinte da puro biodiesel, com e il resto degli impianti da costruzione – dovrebbero iniziare a lavorare ai primi di giugno, in una vasta area ex industriale a Syracuse, New York, un tempo soprannominata “ Oil City” per i serbatoi giganti di greggio che ospitava. Ora qui si progetta di costruire quello che è ottimisticamente chiamato DestiNY USA [ le maiuscole alla fine di DestiNY sono le iniziali di New York n.d.T.] , un complesso commerciale che trae la propria energia interamente da turbine a vento, pannelli e cellule solari, biocombustibili.

Nonostante lo scetticismo di molti abitanti di Syracuse, degli analisti immobiliari commerciali, degli esperti di energie rinnovabili, sul fatto che un immenso progetto del genere, senza precedenti, possa funzionare, Congel non esita a fare grandiose previsioni per DestiNY, affermando che attirerà turisti da tutto il mondo, diventando un elemento paradigmatico in grado di catalizzare e trasformare il mercato nazionale delle energie rinnovabili.

Congel si fida così tanto del carattere simbolico del suo progetto, da aver messo insieme una coorte bi-partisan di politici per inserire nel progetto di legge sull’energia un articolo che richieda al presidente di selezionare e riconoscere “mega-progetti di tipo rinnovabile e sostenibile che possano spostare l’America verso l’indipendenza energetica”, come spiega Rich Pietrafesa, manager di DestiNY e conigliere politico di Congel. Il provvedimento non implica alcun sussidio o riduzione fiscale per l’impresa; è puramente simbolico. “Se la Casa Bianca afferma, questo progetto è fondamentale per il futuro e la sicurezza dell’America, sarà un gran passo in avanti verso l’accettazione commerciale delle tecnologie [di energia rinnovabile]” prosegue Pietrafesa.

Ciò non significa che il complesso non potrà avere riduzioni fiscali. Al contrario, il gruppo di DestiNY è riuscito ad assicurarsi una grossa fetta di vantaggi fiscali a tutti i livelli: comunale, di contea, statale e federale, con l’aiuto dei politici di New York di entrambi gli schieramenti, come i senatori Hillary Clinton(Democratica) e Charles Schumer (Democratico), e il Governatore George Pataki(Repubblicano). A livello federale, Clinton e Schumer hanno battagliato lo scorso anno per aggiungere 231 milioni di dollari al progetto di legge sulle tasse alle imprese, a finanziare 2 miliardi di dollari di “obbligazioni verdi” per insediamenti commerciali eco-friendly. Si prevede che DestiNY avrà una quota significativa di questi sostegni, a causa delle dimensioni senza precedenti.

Questo, naturalmente, se i costruttori saranno in grado di garantire i requisiti previsti, il che non è un obiettivo tanto facile, secondo Ashok Gupta, decano degli economisti energetici al Natural Resources Defense Council. “I requisiti ambientali per queste obbligazioni sono i più rigidi che io abbia mai visto: non si tratta di un regalo, da punto di vista politico” dice. Gupta afferma di essere stato colpito dall’entusiasmo del gruppo di lavoro di DestiNY per queste richieste tanto vincolanti, ma non è sicuro che i costruttori del settore commerciale sappiano davvero cosa hanno davanti. Faccio fatica a credere che i managers di DestiNY possano realizzare le loro promesse verdi”, continua. “Non hanno mai tentato un progetto ambientalista, e non i è chiaro se capiscano le dimensioni dell’impegno, dal punto di vista finanziario e pratico”. Anche i costruttori che hanno già lavorato su parecchi progetti edilizi verdi troverebbero straordinariamente difficile un piano su queste dimensioni.

Rick Fedrizzi, presidente dello U.S. Green Building Council, che ha fornito consulenza al gruppo DestiNY per la progettazione ecologica, è meno scettico. “All’inizio molti di noi erano increduli. Non avevo mai visto niente con queste dimensioni. Ma la squadra di DestiNY ci ha spinto sempre di più a sviluppare un piano che non solo si adegui, ma superi gli standard LEED [ Leadeship in Energy and Environmental Design n.d.T.], le linee guida per la progettazione ecologica considerate il banco di prova per le imprese. Fedrizzi aggiunge che Congel “sa chiaramente come agire” come si capisce da decenni di successo come costruttore. “Questa è l’opera che lascerà come eredità. È molto determinato a farla diventare un modello a scala mondiale”.

Un tocco di classe mondiale

Gli obiettivi di Congel per le energie rinnovabili di DestiNY sono davvero di dimensioni mondiali. Considerando il solare, DestiNY produrrebbe e consumerebbe “al minimo 32 megawatt di elettricità di origine solare” secondo Pietrafesa. Messo in prospettiva, 32 MW non solo rappresenterebbero la più grossa installazione solare del mondo, ma un terzo della capacità solare totale installata annualmente negli USA.

Il complesso consumerebbe, come minimo, 28 MW di elettricità da fuel cells (con idrogeno da fonti rinnovabili), ricorda Pietrafesa, e questo a sua volta aumenterebbe l’ammontare totale di energie da fuel-cell del paese circa del 60%. A questo DestiNY aggiunge una produzione minima giornaliera di 120 MW insieme da biodiesel e biomasse, e 44 MW da energia eolica: entrambe cifre da capogiro.

Congel si spinge fino a prevedere che DestiNY possa accelerare l’economia, sino al punto da rendere il prezzo delle energie rinnovabili competitivo con quello dei combustibili fossili nel giro di dieci anni, rivoluzionando così il campo energetico moto prima di quanto previsto dagli esperti.

I sostenitori delle energie rinnovabili sono più cauti. Thomas Leyden, vice presidente dell’impresa di energia solare PowerLight Corp., uno dei potenziali soci energetici di DestiNY dice “Può anche essere la più grossa installazione solare e di energie rinnovabili del mondo, ma non c’è possibilità che possa cambiare il mercato in soli dieci anni, o solo muovere le cose in modo significativo”. Leyden ricorda che la Germania aggiunge da 600 a 800 MW di energie solari l’anno, e il Giappone sta sullo stesso piano: ovvero, DestiNY è una goccia nell’oceano in termini di economie di scala globale. Ma aggiunge subito: “Comunque, molti applausi alla capacità di visione di Congel. Voglio farne parte”.

Pietrafesa controbatte che l’impatto di lungo termine del mega-mall sulle economie energetiche sarà quello di generare una tendenza. Il gruppo di Congel sta discutendo coi costruttori, a livello nazionale e internazionale, che vogliono “creare il proprio DestiNY”. Pietrafesa prevede anche che il modello DestiNY “ispirerà i visitatori a prendere decisioni in termini di energie pulite per la propria vita”, trasformando così i mercati a partire dalla base.

Ma la tendenza ai mega-malls può essere controproducente, se significa più gente che si sposta su distanze maggiori a far spese? Gupta indica una contraddizione, in una struttura che non usa combustibili fossili, ma che ne richiede enormi quantità consumate dalle orde di chi ci arriva tutti i giorni, in aereo, treno, macchina o pullman organizzato. “Semplicemente, non c’è alcun modo di evitare che il consumo energetico dei viaggi verso il complesso commerciale superi i benefici ambientali del suo essere a energia non-fossile”.

Poi, naturalmente, c’è il fatto ovvio che si tratta di un mall: il grande tempio dell’iperconsumismo di stile americano.

Ma tutto questo non toglie l’incredibile ambizione di Congel, di realizzare una Mecca commerciale a consumo zero di energia. Un potente simbolo del fatto che profitti e combustibili fossili a basso prezzo non sono legati in modo inestricabile. Chi altro nel paese vuole impegnare l’incredibile somma di 20 miliardi di dollari pre realizzare questa visione? Chi altro vuole sostenere le energie rinnovabili con un progetto tanto eccentrico come un mega-mall a consumo zero? In un momento in cui i leaders Repubblicani spingono per un piano energetico quinquennale miope, con enormi regalie a Big Oil e a King Coal, gli americani dovrebbero applaudire l’ottimismo, a solo l’audacia, del sogno di Congel.

Nota: qui il testo originale - e alcuni links di riferimento – al sito di Grist Magazine (f.b.)

CITY OF EDINBURGH COUNCIL, EAST LOTHIAN COUNCIL, MIDLOTHIAN COUNCIL, WEST LOTHIAN COUNCIL, Edinburgh and the Lothians Structure Plan2015, agosto 2004 ; estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

[...]

COMMERCIO E CENTRI CITTÀ

6.1 Per realizzare un tipo di insediamento più sostenibile, le politiche per il commercio e i centri città del presente structure plan mirano a:

• assicurare che la popolazione di Edimburgo e dei Lothians abbia accesso ad una vasta gamma di strutture commerciali di alta qualità, riducendo al minimo il bisogno di spostamenti, e massimizzando i benefici alla economia locale;

• assicurare un’equa, accessibile e sostenibile distribuzione delle strutture commerciali, con i nuovi interventi concentrati ovunque possibile in individuati centri;

• promuovere investimenti che aumentino la vitalità e solidità dei centri urbani, attraverso miglioramenti della qualità ambientale, dell’aspetto esteriore, dell’accessibilità, del marketing e della gamma e qualità commerciale e delle altre strutture;

• consolidare e rafforzare il ruolo del centro di Edimburgo come destinazione commercial e per il tempo libero di scala nazionale, e come principale polo per gli acquisti di livello superiore per l’est della Scozia;

• limitare l’ulteriore sviluppo di parchi commerciali o di altre strutture decentrate, a meno che vengano riconosciuti bisogni a cui è impossibile rispondere attraverso i centri città.

6.2 Indagini recenti hanno evidenziato che rispetto a prima viene attirato un numero minore di utenti verso il centro di Edimburgo, da oltre l’area dei Lothians. Allo stesso tempo, emerge un’ampia tendenza ad un flusso all’esterno della spesa, da parte dei residenti locali, verso centri al di fuori dei Lothians. Essenzialmente, si tratta di spese non alimentari, e molta parte si dirige verso Glasgow. Per recuperare questi acquisti “persi” occorre una migliore attrezzatura entro l’area dello structure plan.

6.3 Altre ricerche hanno mostrato che sarà necessario molto nuovo spazio commerciale entro la durata del piano, per tenere il passo con una domanda continuamente crescente. Tale domanda nasce dall’aumento di popolazione, e insieme dall’aumento nel potere d’acquisto individuale (particolarmente per i non alimentari), e nelle aspettative per una maggiore possibilità di scelta. Una migliore dotazione interna alla regione sarà di beneficio all’economia locale, e limiterà la crescita del traffico connesso agli acquisti. Oltre la domanda generata localmente, anche visitatori e turisti contribuiscono significativamente alle attività del centro di Edimburgo, sottolineando gli stretti legami fra turismo e commercio.

6.4 Le linee guida governative della NPPG8 ‘Town Centres and Retailing’ danno esplicita priorità alla rivitalizzazione di individuati centri urbani, sostenendo nel contempo l’importanza della concorrenza e delle possibilità di scelta del consumatore. Le linee guida chiariscono come i centri di città abbiano qualità particolari che li distinguono dai centri commerciali. Sono in genere più sfaccettati, e offrono un’ampia gamma di strutture e servizi, costituendo un riferimento sia per la comunità che per i trasporti pubblici. In molti casi, l’attuale forma e funzioni sono il prodotto di un lungo processo evolutivo. I centri di città devono avere precedenza su tutte le altre localizzazioni in termini di nuovi investimenti commerciali, e devono essere tutelati dagli impatti negativi. Ci si aspetta che le amministrazioni locali agiscano in modo propulsivo, insieme ad altri soggetti pubblici e al settore privato, per rimediare alle lacune e aumentare vitalità e solidità di questi centri.

6.5 Il commercio e gli altri tipi di strutture, come quelle per il tempo libero, non sono proibiti all’esterno dei centri urbani. Ma le linee guida nazionali richiedono di seguire un “approccio sequenziale”, dove un insediamento esterno ai centri è accettabile solo se rimedia a carenze che non possono essere soddisfatte da un intervento su un centro di città (o, nel caso, in una localizzazione ai margini del centro città). Questo tipo di approccio si basa sull’individuazione delle opportunità entro i centri, sia da parte degli operatori che delle autorità urbanistiche.

6.6 Nello structure plan di conseguenza il concetto di “centri commerciali strategici” viene sostituito dalla tematica dei “centri di città”, su cui si basa l’approccio sequenziale. Gli spazi che fungono da centri di città nei Lothians sono elencati nella apposita scheda. Si riconosce che anche molti piccoli insediamenti e sobborghi hanno propri centri consolidati, che offrono un servizio vitale ai quartieri circostanti. Si presume, nell’ambito della strategia generale, che questi centri locali debbano essere incoraggiati e tutelati. Comunque, sarà compito dei piani locali determinare il ruolo dei singoli centri secondo le particolari circostanze.

[...]

6.7 Nell’adottare l’approccio sequenziale, questo piano riconosce il bisogno di chiarire le priorità nei casi in cui i nuovi interventi non possono essere localizzati entro, o ai margini di un centro di città. In ciascun caso specifico, la preferenza verrà accordata in primo luogo al consolidamento e miglioramento di altre località commerciali che siano, o possano essere facilmente rese, accessibili attraverso varie modalità di trasporto. In primo luogo fra queste località ci sono alcuni centri principali che giocano un ruolo chiave per i bisogni commerciali regionali, e sono stati individuati per sostanziali investimenti. Sono elencati in una apposita scheda. Si noterà che per alcuni di questi sono state prese decisioni da parte del governo scozzese, che possono influenzare il loro potenziale di crescita futuro. Alcuni recenti studi sul commercio offrono ulteriori orientamenti sui possibili impatti di qualunque crescita sui centri città.

[...]

6.8 Si riconosce come organizzare la quantità richiesta di moderne strutture commerciali entro i confini di un centro città rappresenti una sfida notevole, a causa delle preoccupazioni per gli elementi storici, l’estetica, il traffico, ecc., oltre a quella di reperire gli spazi. Comunque, a livello nazionale la rapida attuazione dell’approccio sequenziale sta già evidenziando risultati positivi. È da notare come ci sia stata una deviazione degli investimenti verso i centri, specie quando il settore pubblico e quello privato coordinano i propri sforzi per il conseguimento di un obiettivo condiviso.

6.9 All’interno dei Lothians, si ritiene che esista il potenziale per un nuovo livello di offerta commerciale entro o ai margini dei centri urbani, se si utilizza un approccio coordinato ed esiste la volontà di prendere in considerazione soluzioni innovative. Comunque, nell’applicazione dell’approccio sequenziale, si deve mantenere un punto di vista ampio riguardo alla disponibilità di spazi entro i centri, considerando i tempi lunghi necessari allo sviluppo dei progetti e al loro completamento. Quindi la focalizzazione sui centri non deve essere esclusa senza un’approfondita considerazione, non solo delle proposte di intervento attuali ma anche di spazi e localizzazioni potenziali.

RET 1: Approccio Sequenziale per la localizzazione di insediamenti commerciali e per il tempo libero

I nuovi insediamenti commerciali, per il tempo libero e altro adatti ai centri di città devono essere localizzati secondo le seguenti priorità, secondo la disponibilità di occasioni entro il previsto bacino di riferimento dell’intervento proposto:

a all’interno del centro di città (vedi scheda [ non riportata n.d.T.]); ove non possibile

b sui margini del centro di città, o sufficientemente vicino ad una sua espansione; ove non possibile

c entro un’altra individuata località a funzioni commerciali di dimensioni, caratteristiche e funzioni appropriate, come da scheda [ non riportata n.d.T.] di queste località; ove non possibile

d sui margini di una di tali individuate località commerciali, o sufficientemente vicino ad una loro estensione; ove non possibile

e il altra località, già attrezzata o prevista entro uno strumento di pianificazione locale.

[..]

6.10 Il Centro di Edimburgo è confermato come il principale centro di città dei Lothians, a coprire anche il ruolo più ampio di centro regionale per tutto il sud-est della Scozia. Si trova nello snodo centrale della rete del trasporto pubblico ed è la zona più accessibile della città-regione. Di conseguenza offre il maggior potenziale per continuare nella proposta commerciale di alto livello a servizio di un bacino ampio di attrazione. Ad ogni modo, esso presenta una serie di particolari difficoltà per gli operatori, con il suo paesaggio urbano di fama internazionale, un sistema delle proprietà e dei contratti d’affitto complesso, l’attenzione del pubblico per gli aspetti estetici e la congestione. A differenza di altre città, esistono poche superfici disponibili o sottoutilizzate nelle vicinanze del centro. Ciò non significa che non esistano opportunità: piuttosto, che l’approccio qui deve essere più flessibile e creativo, con grande attenzione ai dettagli. Un attento riuso o ristrutturazione di spazi sottoutilizzati sarà particolarmente benvenuto, se è possibile da realizzare senza compromettere altri obiettivi.

6.11 La strategia del presente piano pone particolare enfasi sull’incremento di vitalità del Centro di Edimburgo, e l’inversione della recente tendenza al declino della sua quota di mercato. Quindi il commercio e altri interventi appropriati entro il Centro Città saranno sostenuti e incoraggiati, posto che si prendano in considerazione le dovute cautele ambientali ed estetiche. [...]

6.12 Gli interventi del settore pubblico e di quello privato per la rivitalizzazione del Centro Città saranno coordinati da un City Centre Action Plan, sotto la responsabilità della Edinburgh City Centre Management Company. Ciò prevede un programma di miglioramento degli spazi pubblici, l’attenuamento della congestione e il miglioramento dell’accessibilità, l’individuazione di opportunità di insediamento.

[...]

RET 5: Compiti della pianificazione locale

Le autorità urbanistiche locali devono attraverso i propri piani e altre iniziative:

a fissare i confini dei centri di città e delle altre principali zone commerciali (elencate nelle schede);

b mantenere sotto controllo le potenzialità, debolezze, vitalità e affidabilità dei singoli centri, valutare gli indirizzi di pratico miglioramento, individuare specifiche opportunità di intervento;

c definire meglio i ruoli dei centri ove necessario; prendere in considerazione la possibilità di ulteriori estensioni; valutare gli obiettivi dei centri nel diversificare le proprie funzioni non commerciali; individuare le possibilità di miglioramento della qualità ambientale e della accessibilità, e assicurare un’organizzazione spaziale coerente.

d mirare a che i grandi supermercati alimentari, i grossi complessi e altri formati simili siano adeguatamente integrati nel paesaggio urbano locale, e offrano un ambiente gradevole a pedoni, ciclisti, utenti del trasporto pubblico;

e valutare l’adeguatezza delle strutture commerciali locali e compiere tutte le azioni adeguate a tutelare i centri di importanza locale e provvedere in caso di carenze;

f prevedere adeguate nuove strutture commerciali, particolarmente nelle zone di previsto sviluppo residenziale. [...]

Nota: per un confronto, sono disponibili su Eddyburg le Retail Guidelines nazionali britanniche aggiornate; qui la documentazione completa dello Structure Plan per la regione di Edimburgo e Lothians (f.b.)

Titolo originale: The vital businesses of immigrants – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Gli studi sulla realtà delle imprese di immigrati non hanno bisogno di motivazioni particolari. Il semplice fatto che queste imprese siano aumentate in modo vistoso in molte metropoli del mondo occidentale dovrebbe essere sufficiente a convincere le autorità, i politici, i ricercatori e gli analisti sociali che vale la pena di dedicarsi a questo argomento. Anticipando un’obiezione comune, si deve sottolineare che l’impresa gestita da immigrati non deve essere vista in modo romantico. Spesso nasconde un lavoro duro e mal pagato, e le barriere all’uso di lavoro regolare che esistono nei paesi di accoglienza non sono sempre neutrali in questo senso. Non sono solo le barriere linguistiche o la mancanza di formazione, a presentare ostacoli per gli immigrati, ma anche il pregiudizio e la xenofobia. Ma anche demonizzare il fenomeno – vederlo come parte di una consolidata alienazione – non aiuta. In paesi come il Regno Unito o gli USA molti gruppi di immigrati sono riusciti con successo ad uscire dalla propria comunità etnica, e ad unirsi alla maggioranza della popolazione. In tal modo le attività sono state in grado di crescere notevolmente di dimensione.

Ma ci sono altri motivi per studiare le economie etniche, in quanto caso speciale, che mostrano elementi validi per l’economia in generale. Gli immigrati non sono, dopotutto, i soli individui vulnerabili nei paesi del mondo ricco, e attraverso l’imprenditore immigrato forse è possibile rintracciare un meccanismo più generale. Queste imprese non differiscono in nessun aspetto fondamentale da quelle ordinarie, si tratta più che altro di differenze di livello. È vero, che si basano su risorse di gruppo per diventare possibili, ma lo fa anche la media degli altri imprenditori, anche se non tanto spesso o tanto chiaramente. Si lavora duro, ma lo fanno tutti gli imprenditori in relazione ai dipendenti. Un’importante forza propulsiva per gli imprenditori immigrati, è la difficoltà di trovare lavori interessanti, o semplicemente di trovarne uno qualunque. Ma anche molti imprenditori non immigrati hanno spinte simili. Può essere il caso di superare un basso livello di istruzione, o di istruzione diversa dai propri interessi, o di affrontare la discriminazione di età prevalente nel mercato del lavoro. Ma superare le barriere non è la sola forza propulsiva. Gli imprenditori immigrati sono anche persone in grado di cogliere l’opportunità, esattamente come gli altri imprenditori. A New York, per esempio, i Coreani si sono appropriati del commercio ortofrutticolo: ma solo lì. In altri luoghi degli USA si sono avvicinati ad altri settori. Il motivo è che New York ha una struttura urbana tradizionale – dove i negozi di frutta e verdura trovano spazio – piuttosto inconsueta negli Stati Uniti.

Il concetto di capitale sociale di recente ha interessato i ricercatori di economia, come spiegazione del successo delle imprese. Dato che di regola gli imprenditori immigrati trovano più difficile avere finanziamenti dalle banche di quanto non avvenga per la maggioranza della popolazione, e sono per questo motivo più dipendenti dal capitale sociale, il loro caso particolare è un soggetto di studio molto produttivo. La stessa cosa vale per i raggruppamenti. È stato provato, ad esempio, che l’insediamenti di immigrati nella stessa area spesso riesce a sfruttare la situazione come risorsa. Nello stesso modo in cui agiscono in genere le imprese quando formano raggruppamenti regionali, come dimostrato da Robert Putnam.

Quello che gli studi sugli imprenditori immigrati possono mostrare è come tale processo inizi, e come possa variare a seconda dei prerequisiti del luogo, come gruppi etnici simili si collochino in luoghi differenti nel mondo. L’imprenditore immigrato, in quanto membro di un gruppo etnico, è semplicemente un fenomeno interessante da studiare, perché si tratta di una variante estrema dell’imprenditore comune. Può anche darsi – il che sarebbe certamente piuttosto ironico – che le economie etniche, considerate da economisti e sociologi come appartenenti ad uno stadio precapitalistico, siano di fatto l’avanguardia di una nuova economia, caratterizzata dalla globalizzazione, flessibilità, diversificazione, riduzione dimensionale organizzativa e di urbanizzazione, che si sta sviluppando nel panorama post-fordista.

Ci sono alcune ricerche che lo confermano. È chiaro che l’impresa di immigrati ha giocato un ruolo importante nel processo di miglioramento di aree degradate in molte grandi città dell’Occidente. La vitalità prodotta dalle strade degli immigrati tende ad attrarre il resto della popolazione. La sociologa urbana Saskia Sassen ha indicato come gli imprenditori immigrati si localizzino nelle metropoli del mondo contribuendo all’economia dei servizi. Non si tratta solo dell’esistenza di immigrati che iniziano un’attività, ma anche del fatto che gli immigrati arrivano, attratti dalla possibilità di iniziare un’impresa. Los Angeles si è trasformata, da regione dominata dalle grandi attività, in una delle aree degli USA con la più alta densità di piccole imprese. In questo caso gli immigrati hanno giocato un ruolo principale. Durante il periodo dal 1970 al 1990 la proporzione degli imprenditori locali è aumentata di soli pochi punti percentuali, mentre quella delle attività degli immigrati si incrementava notevolmente.

Quello che possiamo vedere in varie località nel mondo è, quindi, non solo che le grandi imprese occidentali stanno localizzando la produzione nei paesi a basso costo di stipendi, ma anche come gli immigrati dal terzo mondo stanno attivando imprese in Occidente, ripristinando così una produzione che era scomparsa. Sia in Europa che negli USA l’industria tessile ha, in questo modo, subito un vero e proprio rinascimento. L’enorme diversificazione di prodotti e servizi nelle nostre grandi aree cosmopolite, può anche essere messa in relazione alla crescita delle economie etniche.

LE RICERCHE SULLE ECONOMIE ETINICHE possono anche far luce sugli aspetti non-economici dell’impresa. Ad esempio, non è infrequente che imprenditori immigrati diventino importanti esponenti del proprio gruppo etnico, che agiscano come collegamento entro molte reti di relazione, che attraverso la propria presenza nella società rendano il proprio gruppo etnico visibile, che si assumano importanti responsabilità per il proprio ambiente immediato, o ruoli di “personaggio pubblico”. Questi aspetti sociali dell’impresa, spesso sono ahimè poco considerati. I motivi di ciò sono numerosi. Per la gran parte del XX secolo nei paesi occidentali ha dominato la nozione di “logica industriale”. Secondo questa logica, sempre più aree sociali avrebbero dovuto divenire industrializzate. La produzione su larga scala avrebbe prodotto anche una società basata sulla grande impresa, sulla grande organizzazione, su relazione sempre più formalizzate fra individui anonimi in un ambiente urbano. Semplicemente, non appariva di interesse studiare le condizioni dell’impresa. Quando negli anni ’70 iniziò a crescere il numero delle piccole attività, la cosa fu uno choc per il mondo della ricerca, e alcuni studiosi dedicarono gli anni ’80 a mettere in dubbio i dati statistici.

Un altro motivo, è la specializzazione della ricerca; anch’essa è affetta da una “logica industriale”, che porta all’incapacità di vedere le connessioni con fenomeni che si trovano al di fuori del proprio campo. È sintomatico, che gli economisti abbiano mostrato disinteresse quasi totale nel campo di ricerca delle economie etniche, che è stato invece dominato da sociologi, antropologi, e altri campi interessati ai temi della migrazione. Un problema specifico per il sistema industriale e di welfare svedese è, naturalmente, il nostro atteggiamento formale verso i problemi sociali. Pensiamo ai sistemi generali, e tendiamo a mettere in secondo piano la vita al di fuori di questi sistemi.

Esiste, ciò che è più importante, in Svezia una tendenza a mettere la testa sotto la sabbia quando una ricerca direttamente o indirettamente critica il sistema di welfare. Le modifiche introdotte lo scorso anno nel comitato di indagine sulla discriminazione, trasformato in un programma di ricerca autonomo, hanno probabilmente a che fare col fatto che le conclusioni del comitato erano state politicamente imbarazzanti: si affermava, in modo diretto, che le politiche seguite erano sbagliate. È stata invece istituita una nuova commissione denominata “Comitato Governativo di Indagine sui Poteri, l’Integrazione, la Discriminazione strutturale”.

La cosa interessante è che, se il comitato precedente tentava di analizzare la struttua sociale e le politiche seguite per affrontare il problema della disoccupazione fra immigrati, quello attuale tenta di spiegare la questione attraverso il concetto empiricamente nebuloso di razzismo. Ovvero: non ci sono errori nel modello politico svedese; è il razzismo nascosto in parte del popolo svedese. Ma se studiamo il rapporto OECD “ Tendenze delle Mistrazioni Internazionali” troviamo ad esempio che entro il gruppo di paesi OECD, Belgio, Svezia, Danimarca e Finlandia hanno le quantità più elevate di immigrati disoccupati, mentre paesi come USA, Canada e Australia non mostrano differenze di nessun tipo riguardo alla disoccupazione. Se seguiamo la linea della nuova commissione di inchiesta, allora il razzismo è molto più diffuso qui in Scandinavia, con l’eccezione della Norvegia, che sembra accogliere gli immigrati.

Siamo in un vicolo cieco, teorico e politico. In primo luogo, i modelli della spiegazione appaiono improbabili: non c’è molto, per sostenere l’idea che il razzismo in Svezia sia maggiore che altrove in Europa. Secondo, potrebbe essere che il problema di adattamento degli immigrati alla società svedese faccia luce sulle debolezze del modello svedese. I problemi che si trovano di fronte gli immigrati sono molto simili a quelli della maggioranza dei disoccupati. La Svezia, naturalmente, è la terra promessa del fordismo. È vero che, come il alte parti del mondo, abbiamo iniziato a chiudere le produzioni industriali, ma le nostre attività, organizzazione, stato sociale, sono ancora sulla grande scala, e le istituzioni la sostengono. Nonostante sia avvenuta una rapida crescita delle imprese di immigrati in Svezia negli anni recenti, non siamo in una situazione particolarmente buona paragonati ad altre nazioni occidentali. L’economia etnica svedese non rappresenta una quota importante del prodotto nazionale lordo, come ad esempio in Gran Bretagna, dove la popolazione dall’Asia meridionale da sola fattura annualmente 65 miliardi di corone svedesi. Allo stesso tempo, va detto che la Svezia in generale ha una bassa proporzione di imprese rispetto alle nazioni vicine, in un’epoca in cui il numero degli imprenditori aumenta quasi ovunque.

È anche peggio, se guardiamo alla disoccupazione fra gli immigrati svedesi. Qui come già detto prima arriviamo al livello minimo, paragonati agli altri paesi OECD. Se la disoccupazione è una importante forza propulsiva delle imprese di immigrati, perché la nostra economia etnica non è proporzionale alla disoccupazione? Mancano le occasioni? Possiamo fare il paragone con gli USA, dove non esiste discriminazione di qualunque tipo riguardo agli immigrati, nel mercato del lavoro. Essi non sono, in media, disoccupati con più frequenza di quanto non accada alla popolazione residente. D’altra parte, essi non sono neppure sovra-rappresentati come imprenditori, il che non avviene in Svezia.

PUO’ ESSERE, che esista una connessione fra l’impresa immigrata e le possibilità per gli altri immigrati di trovare un lavoro? Un legame ovvio è, naturalmente, nel fatto che gli imprenditori immigrati tendono a impiegare persone del proprio gruppo etnico: ma, il che è interessante, non solo da questo gruppo. L’esperienza USA mostra che gli imprenditori immigrati diventano commercialmente più forti nella fase di sviluppo, e ancora di più quando impiegano personale al di fuori del proprio gruppo etnico. L’ambiente di lavoro multiculturale che ne risulta molto probabilmente contribuisce a migliorare la comprensione fra persone con retroterra differenti. Non è difficile vedere che gli imprenditori immigrati di successo costituiscono parte importante del processo di integrazione. Ci sono anche altri fenomeni, a unire chi cerca lavoro e chi svolge attività in proprio. Come già notato, questi ultimi spesso diventano autonominati portavoce per il proprio gruppo etnico, e in tal modo contribuiscono alla solidarietà di gruppo, al senso di un destino condiviso che spesso caratterizza le comunità etniche nei paesi stranieri. Attraverso i propri contatti coi clienti, fornitori e autorità, gli immigrati imprenditori formano anche un importante collegamento fra il proprio gruppo e il resto della popolazione. Cosa più importante, essi contribuiscono a mantenere contatti con il paese d’origine e con connazionali in altri paesi. Concretamente, è l’ultimo tipo di contatto a rappresentare spesso il prerequisito più importante per lo stabilimento di un’attività. Molti imprenditori immigrati iniziano importando beni di cui esiste domanda all’interno del proprio gruppo, ma che non si trovano nel paese ospite. Questi beni diventano, prima o poi, ricercati anche dal resto della popolazione, e ne risulta un mercato più cosmopolita e una maggiore vitalità urbana. La presenza di imprenditori etnici negli spazi pubblici della città contribuisce anche ad aumentare la visibilità delle minoranze, il che può portare alla diminuzione delle differenze culturali.

C’È UN ALTRO ANGOLO CIECO nelle analisi sociali correnti, che può essere spiegato dalle economie etniche, ed è il significato della città. Economisti e sociologi, in particolare, tendono a vedere la città come quantità nota, risultato dello sviluppo tecnologico ed economico. Ciò, semplicemente, non è vero, il che è dimostrato da un esame rapido della storia dell’urbanistica. L’urbanistica moderna, così come è stata praticata in occidente dopo l’ultima guerra separando e specializzando attività e collegandole con percorsi specializzati, è il risultato di un’ideologia precedente dominante. Nel pieno dell’epoca dell’ingegneria sociale, architetti, urbanisti, sociologi e politici vedevano nell’industrialismo la formula generale del progresso, e le città venivano ricostruite con la grande impresa come modello organizzativo.

Abbiamo smesso di edificare secondo la rete di strade e piazze della città storica, e invece realizzato suburbi ovunque. Le zone residenziali, i centri commerciali, le company towns e le zone industriali erano progettate come énclaves isolate attorno alle città storiche. Quando questo nuovo sistema di costruire città fu impiegato su larga scala, incontrò aspre critiche, non ultima quella della sinistra. Il marxista Henri LeFebvre riassume il dibattito con queste eleganti parole:

“La città era un prerequisito dell’industria. Senza queste densità e opportunità, il primo capitalismo non sarebbe mai stato in grado di realizzare i suoi piani grandiosi. Ma ora che tutta la società è stata industrializzata e urbanizzata, la città reale è stata annichilita. Segregazione, separazione e semplificazione funzionale hanno impoverito la vita urbana, che era un tempo caratterizzata da varietà, mobilità, incontri, feste e giochi. I luoghi di incontro sono diventati parcheggi. Ora la lotta è per il diritto alla città”.

In origine, non è il mercato a richiedere la subordinazione della città, ma il mercato si adatta rapidamente ai prerequisiti ideologici, e anche ora stiamo continuando a costruire in questo modo, nonostante chi costruisce abbia perso i contatti con l’ideologia originaria. Quello che economisti, sociologi e molti altri dimenticano, è che la forma della città influenza in quanto tale la vita economica. Influenza, per esempio la formazione del capitale sociale, le agglomerazioni e i distretti, che spesso hanno un ruolo decisivo nella possibilità di stabilire un’impresa. Semplificando un po’, si potrebbe dire che le attività su larga scala sono favorite dall’urbanistica moderna, mentre quelle più piccole sono svantaggiate. È nella strada commerciale classica, la Hornsgatan di Stoccolma per esempio, che fioriscono al meglio i piccoli negozi, non solo perché c’è un gran numero di pedoni, ma anche perché il tessuto urbano consente una complessità socioeconomica, che rende più facile iniziare e gestire un’attività. Si offre anche flessibilità al processo di creazione dell’impresa. Chi non può permettersi una localizzazione sulla Hornsgatan lo può fare su una strada laterale. Occasioni de genere non succedono, in un centro commerciale. E la dimensione spaziale non è rilevante solo per i piccoli negozi.Sono la maggior parte delle piccole attività ad aver bisogno delle funzioni della città classica, come ha compreso LeFebvre. D’altra parte le grandi attività, all’apice dell’industrialismo, erano in gran parte autosufficienti, nel senso che non dipendevano dalle risorse della città nello stesso modo delle piccole imprese. Oggi, con le grandi unità che spezzettano il proprio ciclo produttivo su più piccole o ricorrono a imprese esterne, la situazione è diversa.

La Svezia è una nazione estremista per quanto riguarda la pianificazione urbanistica. In quanto grande nazione industriale, è stata particolarmente radicale nell’attuare un’urbanistica modernista. Nella maggior parte dei piccoli centri i nuclei storici sono stati demoliti per fare spazio ai grandi supermercati e ai grandi parcheggi. In questo modo abbiamo creato punti di concentrazione nelle zone centrali delle cittadine minori, dove prima esistevano vivaci strade commerciali. In più abbiamo introdotto le zone pedonalizzate nelle aree centrali, preparando la strada alla localizzazione delle attività ai margini urbani. Il commercio sta diventando sempre più auto-dipendente e di grandi dimensioni. È possibile che la pianificazione urbanistica sia, semplicemente, un ostacolo alle attività di piccola dimensione? Nel campo commerciale e delle attività connesse, indubbiamente si. Ci sono anche alcuni risvolti interessanti. Il geografo economico americano Richard Florida, nella sua ricerca sul “ceto creativo” (vale a dire i gruppi professionali che generano i principali valori aggiunti in economia), ha indicato quanto le attività economiche siano diventate dipendenti dalle località dove tali individui capaci desiderano vivere. Tale aumento di interesse per il luogo e i suoi caratteri, è chiaramente riflesso in una dichiarazione dell’ex CEO della Hewlett-Packard, Carly Fiorina, alcuni anni fa a un incontro coi governatori degli stati USA: “Potete anche tenervi i vostri sussidi fiscali e le nuove autostrade; noi andremo dove si possono trovare persone competenti”.

Florida, che compie studi dettagliati sulle preferenze del ceto creativo, riconosce che non tutti necessariamente desiderano vivere nelle grandi città, ma se lo fanno esse devono essere vivaci, autentiche, cosmopolite. La presenza di attività locali, e fra le altre di quelle gestite da immigrati, è una delle caratteristiche di questo tipo di ambiente. Il fatto che l’organizzazione urbana delle piccole cittadine svedesi favorisca in modo tanto unilaterale commercio e centri commerciali esterni potrebbe dunque, nel lungo periodo, dimostrarsi un grosso problema.

SE STUDIAMO COME si insediano gli immigrati in Svezia, vediamo che raramente riescono a conquistare le zone interne della città, ma in gran parte vivono nelle cosiddette “ zone programma milione” (aree edificate nell’ambito di un programma per realizzare un milione di alloggi, dal 1965 al 1974), dove scarseggiano strutture e strade adatte. Una eccezione è Möllevången a Malmö, e qui le attività gestite da immigrati proliferano. Gli immigrati sono anche diventati visibili, e interagiscono col resto della popolazione. Nel suburbio, sono strade e centri commerciali che contano. Può essere, questa, una delle spiegazioni al fatto che gli immigrati in Svezia non attivano più imprese come risposta alla notevole disoccupazione? Un paragone con la Gran Bretagna, che ha un’economia etnica molto forte, può far luce su questo aspetto, dato che la maggioranza degli immigrati del Regno Unito vive nei distretti storici delle principali città.

Anche da un punto di vista internazionale, ci sono pochi studi che in modo sistematico rapportano la struttura insediativa col risultato in termini di imprese di immigrati, ma l’importanza del luogo della città in cui gli immigrati fondano l’impresa emerge chiaramente dalle ricerche. “Ci sono significative differenze fra le varie città per quanto riguarda le attività gestite da immigrati, in parte per le differenze nella struttura urbana e industriale”, scrivono Pyong Gap Min e Mehdi Bozorgmehr. Ans Rekers e Ronald van Kempen sono più espliciti:

“La struttura spaziale di una città è importante per la funzione dei contenitori di attività. In molti paesi dell’Europa occidentale ci sono enormi differenze fra i quartieri delle città costruiti prima della seconda guerra mondiale, o dopo. Nei quartieri della vecchia città, negozi e altri esercizi crescono più meno spontaneamente attorno ai mercati quotidiani e lungo certe strade. Queste strutture ora hanno trovato nuovi utenti fra gli imprenditori etnici. I quartieri della città moderna d’altra parte sono spesso pianificati con cura, in molti casi in modo molto rigido. Talvolta ci sono leggi sul poter o non poter stabilire un’attività ... Almeno formalmente, è molto più difficile iniziare un’attività in queste zone”.

Può essere necessario qualche chiarimento. Non si tratta della distinzione fra città interna ed esterna, ma di diversi tipi di forma insediativa. Per motivi storici, noi associamo comunemente alcuni tipi di tessuto con la città interna, e altri col suburbio, ma le cose possono variare. In alcune zone interne delle città USA la morfologia urbana locale si è dissolta, producendo quartieri atrofizzati. Qui è un elemento di svantaggio, vivere nella inner-city. Ci sono anche casi come il Belgio, dove gli immigrati sono riusciti a stabilirsi nei distretti della città storica, senza che l’economia etnica abbia raggiunto livelli interessanti. Il Belgio, esattamente come la Svezia, appartiene al gruppo dei “ cattivi ragazzi” per quanto riguarda la disoccupazione fra immigrati, e quindi la pressione ad intraprendere una propria attività dovrebbe essere considerevole, ma il Belgio possiede in generale un debole settore di piccole attività. La situazione nelle città interne del Belgio è anche particolare riguardo allo spostamento dei ceti medi verso il suburbio, perché l’ideologia dei Cristiano Democratici ha tentato per un lungo periodo di limitare l’urbanizzazione, perché si temeva che le masse di lavoratori nelle città si autorganizzassero.

È per motivi come questi, che il ruolo dell’insediamento nell’economia è sempre stato tanto difficile da valutare, ma un modo per cogliere davvero il fenomeno è quello di indagare sui processi in corso in una medesima città. A Stoccolma la struttura urbana tradizionale è compresa nei margini della città vecchia, mentre abbiamo al di fuori la città moderna e dispersa. Quindi c’è un nucleo storico molto piccolo con un tessuto stradale classico, ed edifici che hanno stretta relazione con la strada. Al di fuori del vecchio centro, ci sono molte énclaves, unità di vicinato, che di norma mancano di strade urbana. Soprattutto, appartengono alle “zone programma milione” dove gli edifici residenziali sono posati liberamente sul terreno, e c’è carenza di strutture. Qui troviamo percorsi, piste ciclabili, strade, parcheggi, e centri commerciali locali.

Il fatto che la città antica abbia una struttura particolarmente favorevole alle piccole attività diventa evidente se studiamo la distribuzione delle imprese da 1-4 dipendenti a livello strada a Stoccolma. Per cominciare, ci sono quattro volte tanti piccoli esercizi nella città antica, a parità di popolazione. Si possono vedere anche agglomerazioni lungo le strade commerciali importanti e attorno alle piazze della città vecchia, mentre vediamo lupi solitari sparpagliati in quella esterna. La città vecchia però subisce un processo di gentrification man mano diventa più costoso e difficile viverci e lavorare. Il potenziale di vitalità che esiste nella struttura di popolazione del suburbio non si sviluppa, perché il tipo di struttura spaziale pone degli ostacoli. Ma anche i quartieri della città e il suburbio variano in struttura, sia interna che di relazioni col mondo esterno. Rinkeby, con la sua lata quota di immigrati, è uno dei suburbi con una struttura più urbana. L’insediamento è denso, ha un rudimentale tessuto stradale e strutture adatte sia sulla piazza che in altri punti. Non sorprende che ci sia un gran numero di negozi e altre attività di immigrati, qui.

Una situazione comune riguardo alle economi etniche è che gli immigrati che abitano vicini utilizzino risorse in gruppo per iniziare l’attività, e la vicinanza dei clienti per vender loro merci e servizi. È un processo presumibilmente più facile se l’area possiede un tessuto articolato di ambienti pubblici, dove esistono strutture adatte e si possa manifestare una vita di strada. Possiamo fare un paragone con Rosengård a Malmö, che ha un’alta quota di immigrati, ma un insediamento molto più diffuso di quello di Rinkeby. Qui non c’è niente di paragonabile alla stessa vitalità.

Quando è stata colmata la nicchia del vendere agli appartenenti del proprio gruppo etnico, lo stadio successivo è di conquistare nuovi mercati, nella forma di altri immigrati o della popolazione residente. La cosa è più facile, naturalmente, se questo mercato più ampio sta nelle immediate vicinanze. Ma Rinkeby oggi è una énclave isolata. Le comunicazioni con gli immediati dintorni sono scarse, e notevole la distanza dall’ambita città vecchia. Se gli abitanti di Rinkeby vivessero in quartieri urbani con un sistema stradale continuo, avrebbero oggi un ambiente gradevole, che presumibilmente attirerebbe visitatori da altre zone. La segregazione in sé non è necessariamente un problema, può anche essere una risorsa per costruire la solidarietà di gruppo. Il problema per gli immigrati a Stoccolma riguardo al tipo di edificato, è piuttosto la somma di segregazione e isolamento spaziale.

Nel caso di Rosengård c’è un altro elemento di preoccupazione. La struttura interna è diffusa, ma il centro commerciale sta lungo una delle arterie centrali di Malmö. Così si è insediata una delle principali catene svedesi di supermercati alimentari che offre più o meno 25 posti di lavoro a basso salario, ma contemporaneamente getta un’ombra funzionale su tutta la zona. Non è facile fargli concorrenza.

Rosengård mostra gli effetti della pianificazione modernista: una generale desolazione, interrotta qui e là da grandi concentrazioni. Questo sistema differisce radicalmente dalla distribuzione continua e molto più variegata di attività della città classica.

QUELLO CHE SPERIAMO di spiegare restringendo queste riflessioni sul rapporto fra economie etniche e organizzazione dell’insediamento sono i prerequisiti interconnessi di carattere socioeconomico che facilitano la nascita di attività e la creazione di agglomerazioni spontanee. Il rapporto fra zone urbane e risultati economici esiste, ma è una questione di legami complessi. Parlando in generale, si può però su base empirica affermare che la città tradizionale offre maggiori prerequisiti per le piccole attività di quanto non faccia il suburbio, con la sua separazione di funzioni.

L’aspetto forse più interessante delle piccole attività è che ovunque esse si rinnovano con grande rapidità. Le idee vengono sperimentate, raffinate e scartate. Un gran numero di accademici ha sottolineato la maggiore capacità delle piccole imprese di creare innovazioni radicali, rispetto alle grandi attività. In Svezia si afferma spesso in termini negativi come solo una piccola percentuale delle piccole attività abbia successo. È un punto di vista su cui richiama l’attenzione lo studioso specializzato in piccole imprese Peter Drucker: “ Aver solo attività hi-tech , non integrate entro una più ampia economia di impresa no-tech , low-tech e middle-tech è come avere la cima di una montagna senza la montagna”.

Le piccole attività dunque formano il terreno di coltura su cui prospera lo sviluppo economico. Come si sviluppa e si mantiene, attraverso le reti e culture della conoscenza? La Hornsgatan è da lungo tempo una strada di piccoli negozi. Come si riproducono?

Ci si può chiedere ad esempio cosa abbia significato la distruzione del quartiere attorno a Klara a Stoccolma per la capacità dell’are di produrre nuove attività. Il danno maggiore è stato forse non la chiusura di “ Johansson’s Gentlemen’s Outfitters” – avrebbe chiuso comunque, prima o poi – ma che sia stata distrutta la struttura socioeconomica legata alle piccole attività.

Ora ci troviamo in un’economia dai rapidi mutamenti, dove creatività e flessibilità delle piccole imprese sono significative. Gli imprenditori immigrati nelle grandi metropoli dell’occidente si sono dimostrati importanti in questo processo, non solo per quanto riguarda il commercio, ma anche la produzione. Come molti altri piccoli imprenditori, essi dipendono dall’accesso all’ambiente urbano. Quando i modelli organizzativi dell’industrialismo perdono la propria influenza, la città reclama il proprio ruolo come motore dell’economia. Ma il rinascimento della vita urbana porta a un incremento dei prezzi immobiliari. Ora abbiamo scarsità di ambiente urbano a prezzi accessibili e contemporaneamente abbiamo moti immigrati in tutta Europa costretti entro suburbi isolati di grandi dimensioni. Non è economicamente possibile demolire tutto quanto, ed è anche difficile cambiare qualcosa, entro le strutture esistenti.

Queste circostanze rappresentano ora uno dei maggiori problemi in Europa. In Svezia molte di queste aree sono di proprietà pubblica, di grandi organizzazioni burocratiche che non vogliono vendere ai residenti, e che preferiscono non trasformare le strutture esistenti. È un fenomeno che emerge chiaramente dalle interviste agli immigrati nei sobborghi di Stoccolma condotte dall’etologo Siv Ehn.

Nota: la versione originale e integrale (con le note bibliografiche) di questo articolo, insieme agli altri saggi paralleli, alla rivista svedese AXESS (f.b.)

Per riconoscere il commercio big-box, piaccia o non piaccia il nome, basta poco:

Occupa sempre almeno più di 5.000 metri quadrati, di solito da 10.000 a 20.000. Guadagna sulle quantità di merce venduta (e relativo traffico di fornitori e compratori). Gli edifici sono blocchi rettangolari senza finestre. I parcheggi possono occupare anche ettari di superficie. L’orientamento esclusivo alla mobilità automobilistica tende ad escludere dalla progettazione generale degli ambienti insediativi tutto ciò che ha a che vedere con la pedonalità. Si presenta ovunque più o meno uguale, si tratti di una grande città o di un contesto rurale.

Cosa ci si guadagna, dal commercio big-box? Essenzialmente, prezzi più bassi, o meglio un certo rapporto fra prezzi e scelta, senza perdere troppo tempo nella ricerca di alternative. Ci possono anche guadagnare le società locali, se riescono a stabilire rapporti convenienti con la Grande Scatola. Ma ci si può anche perdere, dal commercio big-box: i piccoli operatori commerciali locali, gli impatti ambientali dell’insediamento e del traffico, l’urbanizzazione irreversibile di suoli per funzioni che possono avere vita anche brevissima, e lasciarsi poi alle spalle un guscio vuoto difficilissimo da riutilizzare.

Dal punto di vista della progettazione del sito e architettonica, i problemi sono quelli dei caratteri degli edifici, dei colori e materiali, del rapporto con spazi aperti e quartiere, del traffico e sistema di mobilità pedonale. Una buona pratica, in generale, è quella di perseguire strategie flessibili, entro cui IKEA non possa semplicemente far atterrare un proprio progetto indifferente all’ambiente locale, ma ne rifletta le specificità sottolineandole ed inserendosi.

E poi dicono che dalla globalizzazione non ci si guadagna nulla! Ci si guadagna eccome, ad esempio un sacco di tempo nel descrivere le cose: per parlare del nuovo Ikea di Roncadelle mi serviva un buon incipit, e me lo sono trovato bell’e pronto sul sito della Columbia University. Dove non hanno la più pallida idea di dove sia Roncadelle, ma in compenso sanno benissmo cosa sono il commercio big-box, e quella sua versione giallo-blu svedese, che da New York alla padania e altrove sembra presentarsi identica. Così, con qualche minima licenza poetica, ho trascritto un loro testo, che è quello del paragrafo precedente e che va benissimo sia per la baia dell’Hudson che per le rive del Mella, fra le tangenziali sud di Brescia.

Si è infatti inaugurato, dopo settimane di pubblicità con lo slogan “gli svedesi si sono allargati”, il nuovo negozio Ikea di Roncadelle, a un tiro di sasso (letteralmente) dai confini sud-ovest di Brescia, e qualche centinaio di metri a nord dalla vecchia sede, la cui insegna spunta ancora visibile per gli automobilisti sulla Milano-Venezia. Sotto quell’insegna si erano accumulati negli anni alcuni problemi legati ad una parte di quegli automobilisti, ovvero quelli che dopo aver occhieggiato la scritta iniziavano a cercare il casello d’uscita, e poi a seguire le indicazioni verso il grande emporio di articoli per l’arredamento e la casa. La striscia commerciale che ospitava il little-box (oddio: mica tanto piccolo, poi) giallo-blu, stava di fatto inserita in un quartiere di villette e poco altro; ci si può immaginare l’entusiasmo dei residenti per quelle file interminabili di appassionati della libreria componibile Billy, per non parlare della massa stessa dell’edificio e di quelli di servizio, o dei movimenti di mezzi per le forniture, la rimozione dei rifiuti. Insomma, moltiplicati per un bel po’ di volte, i disagi che conosce chiunque abiti vicino a un esercizio commerciale non familiare.

Il Comune di Roncadelle è un centro di circa 7000 abitanti contiguo a Brescia, nel quadrante sud-ovest dell’area metropolitana con un territorio definito dallo sbocco del corso del Mella verso l’aperta pianura, e dai nodi viabilistici fra il doppio sistema tangenziale sud (il tracciato della A4 e la circonvallazione in sopraelevata della Padana Superiore) e la provinciale 235 che scende verso la bassa di Orzinuovi. Il motivo principale per cui il nome è noto anche a che non abita nei paraggi, si capisce immediatamente anche passando oltre i limiti di velocità sull’autostrada o la tangenziale: la grossa, molto grossa, striscia dell’insediamento commerciale, che fra shopping malls, grandi e piccole scatole monotematiche, altri parallelepipedi da immagazzinaggio, manifattura leggera e annessi, si snoda per tutta la fascia est-ovest del territorio a cavallo delle grandi arterie. Come dichiarava un paio d’anni fa al giornale del comune il sindaco dell’amministrazione di centrosinistra Giovanni Ragni: “ Nel nostro programma c’è un progetto preciso ... trasferire fuori dal centro abitato gli insediamenti produttivi e commerciali più rilevanti e costruire una sorta di tangenziale che consenta di deviare il traffico di scorrimento fuori dal centro abitato”. Perché, per inciso, una delle caratteristiche delle grandi fasce commerciali è quella di mescolare (mescolare male, si intende) i flussi interregionali, quelli metropolitani, e last but not per niente least, locali.

Nasce da questo contesto il Piano Integrato di Intervento che prevede tra l’altro il trasferimento (e grosso aumento di volumi) del big-box Ikea dalla fascia a sud dell’A4, in una zona anche residenziale, a un’area fra la Tangenziale SS11 e i confini comunali con Brescia, a ridosso del corso del Mella e all’incrocio con la strada 235 per la bassa di Orzinuovi. Struttura chiave portante, una strada bypass che funge al tempo stesso da collegamento diretto fra il sistema delle grandi arterie e l’universo commerciale, senza interferire con la viabilità locale, e da “asse di arroccamento” (come si diceva una volta) interno al sistema. Le cifre: la nuova area, già destinata dal piano a zona artigianale, ha una superficie complessiva di circa 200.000 metri quadrati; superficie coperta 65.000 mq (slp circa 100.000); di questi, 25.000 sono per il nuovo big-box Ikea, altri 20.000 commerciali, meno di 10.000 artigianali e i rimanenti oltre 50.000 terziario. La superficie totale di 35.000 dell’ex Ikea a sud dell’A4 sarà recuperata a verde pubblico. Per dirla col Giornale di Brescia, “la soluzione, che soddisfa Comune e Ikea, è stata trovata ... in un’area che offre notevoli possibilità di accesso per la vicinanza della arteria a grande traffico”. Per dirla con lo strumento urbanistico comunale, “Nell’ambito, perimetrato in PRG e comprensivo delle aree limitrofe in zona D1, denominato “D2-A”, relativamente all’area IKEA, il PRG persegue il trasferimento delle attività commerciali esistenti in altra sede, dotata di più completa accessibilità viabilistica ed ubicata in minore prossimità all’abitato. La collocazione più idonea per il trasferimento delle attività commerciali esistenti nell’ambito in esame”.

Per dirla con la modesta opinione del sottoscritto, una cosa è certa e comprovata: il programma enunciato dal sindaco, di separare il complesso degli insediamenti commerciali (che non votano) dal sistema insediativo residenziale e di piccole attività (che votano, e che hanno indubbiamente diritto a respirare un po’ meglio) di Roncadelle, è senza dubbio in via di attuazione. Resta da vedere l’evoluzione del grande organismo organizzato attorno ai due shopping malls (il grande Rondinelle fra le due arterie est-ovest, e il pur ragguardevole Brescia 2000 nel nodo con la 235), alla nuova tangezialina bypass di “arroccamento”, e al nuovo big-box Ikea, che si staglia sull’orizzonte nord a schermare buona parte delle colline, a involontaria (?) parafrasi del Deposito di Zio Paperone. Parlo di evoluzione del grande organismo in senso proprio, e non semplicemente della realizzazione di tutti i metri quadri e cubi previsti, e/o dell’interazione fra le sezioni stradali della tangenzialina e il traffico interregionale dei week-end, magari a caccia delle occasioni Ikea o delle promozioni Auchan (l’ anchor del mall Rondinelle”).

In altre parole: un conto è il fatto di aver separato i due sistemi di circolazione, escludendo le strade locali dal traffico di attraversamento e annessi; un altro fatto è l’avvenuta segregazione funzionale, con un ambiente esplicitamente automobile-oriented, dove anche i lavori di organizzazione e finitura dei grandi spazi a verde (ancora in corso) sembrano confermare questa impressione di “enclave”, priva di rapporti spaziali e funzionali col resto dell’insediamento. Se l’amministrazione voleva “liberarsi” del problema, insomma, ci è riuscita perfettamente, creandone però un altro probabilmente destinato a riproporsi tra non molto, ovvero quello delle terre di nessuno alimentate solo dalla vigilanza privata, dalle imprese di manutenzione del verde, al massimo da qualche sfigatissimo automobilista in panne nel bel mezzo della prospettiva trionfale, dallo snodo della tangenzialina al Deposito di Zio Paperone. Il quale come tutti sappiamo non abita nemmeno lì, perché come diceva un consigliere municipale di una piccola città USA a proposito di big-box: “se di notte non riuscite a dormire e sentite un fruscio, sono i vostri soldi che se ne vanno via”. L’unico dubbio: se ne andranno verso Milano, Venezia, o magari Orzinuovi?



Nota: i testi citati nell'articolo sono: dibattito alla facoltà di Architettura della Columbia Universityper il nuovo Ikea a New York; Giovanni Spinoni, "Nuova sede per l’Ikea, l’attuale diventerà verde pubblico", Il Giornale di Brescia, 14 agosto 2002; i materiali citati prodotti dal Comune,"Mella 2000”, periodico Roncadelle, maggio 2003, Norme Tecniche di Attuazione al Piano Regolatore (febbraio 2005), Art. 19 sulle aree per la grande ditribuzione, sono disponibili al ricco sito del Comune di Roncadelle; e forse vale la pena ricordare che, a circa un chilometro da qui, lungo una delle diramazioni della stessa Tangenziale, c'è l'Outlet Franciacorta, già presentato su Eddyburg (f.b.)

Parla Luc Vandevelde, presidente del colosso francese: “Pronti a nuove acquisizioni in Italia”. “Dobbiamo consolidare la nostra presenza al Sud”. “Wal Mart? Non credo che comprerà in Europa”

MILANO - “L’Italia è un Paese strategico per il gruppo Carrefour, abbiamo investimenti diretti e alleanze forti con partner di rilievo come Finiper, continueremo a crescere investendo su più fronti e facendo acquisizioni mirate “ . Luc Vandevelde, presidente del gruppo transalpino primo in Europa e al secondo posto nel mondo nel business della grande distribuzione, parla con soddisfazione dell’Italia, un mercato che finora ha gratificato l’impegno del colosso francese che ha mostrato un’andatura un po’ incerta negli ultimi mesi. Tanto che il vecchio management, capitanato da Daniel Bernard, ha passato la mano a fine 2004 a una nuova squadra guidata appunto da Vandevelde e dall’amministratore delegato Josè Luis Duran.

Quali sono gli obiettivi di Carrefour per il mercato italiano?

Intanto continueremo a fare acquisizioni mirate di imprese della distribuzione moderna che abbiano un buon posizionamento a livello locale. In Italia vogliamo consolidare le nostre posizioni, che ci vedono tra i leader sia a livello nazionale sia in diversi ambiti locali. Dobbiamo però sviluppare meglio la nostra presenza, consolidarci nel mezzogiorno. Anche al Nord ci sono buoni margini per crescere ancora.

Quindi siete a caccia di realtà da acquisire.

È una delle opportunità che valutiamo di volta in volta e che cogliamo a seconda dei casi. Stiamo seguendo un modello di sviluppo multicanale, ossia vogliamo crescere in tutti i formati che abbiamo, dagli ipermercati ai negozi di minori dimensioni che sono molto vicini ai consumatori. È questa l’opzione strategica che caratterizza anche il gruppo a livello internazionale.

Non spaventa la crisi dei consumi?

La crisi della spesa è comune un po’ a tutta l’Europa. Fa eccezione il mercato inglese. L’Italia costituisce semmai un interessante laboratorio di osservazione sulle formule commerciali. In questo senso è importante la partnership strategica che abbiamo siglato con il gruppo Finiper, che fa capo a Marco Brunelli. Nell’alimentare Finiper ha ottenuto ottimi risultati cui guardiamo con estremo interesse. Al tempo stesso Carrefour in Italia è all’avanguardia sul non alimentare. La sfida dei mercati, a livello globale, può essere vinta offrendo risposte chiare e innovative alle domande dei consumatori.

Ma qual è il male oscuro della spesa delle famiglie?

Credo che sia soprattutto una crisi di fiducia che attraversa in maniera trasversale molti mercati. In Giappone, ad esempio, i prodotti di lusso hanno una diffusione molto ampia eppure le famiglie sono molto attente alla spesa. Ci vorrà indubbiamente del tempo per una ripresa, che penso sarà selettiva.

In che senso?

Non credo che i consumi alimentari, nel complesso, possano aumentare più di tanto. Anzi, per quanto riguarda l’Italia e Europa occidentale lo scenario è ormai consolidato; ci sono più margini in Asia o in America latina. Più dinamici invece i mercati non alimentari.

Perchè?

C’è molta più innovazione. Prodotti ed esigenze dei consumatori si evolvono con una certa rapidità. Basti pensare all’evoluzione della convergenza multimediale negli elettrodomestici, ad esempio. Interessante è anche lo sviluppo della telefonia.

L’alimentare quindi ha un orizzonte stabile?

La sfida si giocherà sulle preparazioni alimentari. Carrefour sta investendo molto in questa direzione perchè le famiglie passano sempre meno tempo in casa per cucinare, ad esempio. Il modo di consumare gli alimentari sta cambiando rapidamente e radicalmente ed è un processo che interessa vari Paesi. Quindi l’industria deve rilanciare sull’innovazione altrimenti avrà delle difficoltà. Credo poi che aumenteranno le concentrazioni tra i gruppi distributivi.

I rapporti con i grandi gruppi industriali restano conflittuali?

Sarebbe preferibile una maggior collaborazione verticale per creare più valore per il consumatore. Alcuni gruppi però hanno dei problemi, legati alla loro capacità innovativa. Unilever e Nestlè attraversano una fase complessa. Johnson & Johnson sta invece seguendo una strategia di posizionamento sui vari mercati più equilibrata. Ci vorrà tempo per comprendere appieno le sinergie dell’alleanza tra Procter & Gamble e Gillette. Un ruolo chiave sarà poi giocato dai prodotti con marchio del distributore, dove possiamo gestire noi marketing e margini. Sono destinati ad aumentare massicciamente.

E Carrefour dove va?

Anche Carrefour è in piena riorganizzazione. Siamo usciti da alcuni mercati per concentrarci su altri. Apriremo negozi per un milione di metri quadrati e acceleriamo sulle diverse formule commerciali. Gli ipermercati in generale non hanno tenuto il passo della dinamica dei consumi. C’è bisogno di un ripensamento, di formule più vicine e più sinergiche con i supermercati. Di estremo interesse sono anche i convenience store, negozi piccoli ma molto attraenti per i consumatori. In questo momento, poi, puntiamo sul Amercia latina, Est Europa e mercati asiatici: la Cina in particolare offre grandissime prospettive di sviluppo, i consumi galoppano. È come un continente dove gli investimenti sono appena all’inizio.

Vi trovate di fronte il concorrente di sempre, il gruppo americano Wal Mart.

Non c’è una concorrenza diretta. C’è spazio per tutti. In generale poi le formule commerciali sono differenti. Crede che Wal Mart aumenterà la presenza in Europa? I risultati in Germania sono stati meno che mediocri, mentre è positivo il bilancio dell’inglese Asda, che però è un caso a sè. Non credo che nel breve Wal Mart possa rilevare in Europa un gruppo talmente leader da giustificare un investimento.

Carrefour entrerà in Usa?

Direi di no. Non avrebbe senso. Un investimento diretto per essere significativo richiederebbe un’enorme quantità di risorse. Puntiamo a crescere creando valore.

City of Seattle, Seattle Comprehensive Plan: Toward a Sustainable Seattle adottato nel gennaio 2005 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini [la sigla LU che precede ogni singolo paragrafo programmatico sta, credo abbastanza ovviamente, per “Land Use” ]

[..]

ELEMENTO USO DEL SUOLO – ZONE COMMERCIALI MIXED-USE

scopi

LUG17 – Creare zone a funzioni commerciali e miste stabili e attive, che incoraggino la nascita di nuove attività, l’espansione e vitalità consentendo una mescolanza di varie funzioni e mantenendo la compatibilità, col carattere di servizio al quartiere e gli altri aspetti del contesto.

LUG18 – Sostenere lo sviluppo e permanenza di zone ad ampia gamma di aspetti e funzioni che rispondano ai bisogni di occupazione, servizio, commercio, residenza, per la popolazione attuale e futura di Seattle.

LUG19 – Comprendere la residenza come parte della miscela di attività da collocare nelle zone commerciali, per offrire altre opportunità agli abitanti di risiedere in quartieri dove sia possibile raggiungere a piedi servizi e posti di lavoro.

politiche

LU103 – Assumere come prioritaria la conservazione, miglioramento ed espansione delle zone commerciali esistenti rispetto alla creazione di distretti nuovi.

LU104 – Coerentemente alla strategia denominata urban village, preferire lo sviluppo di zone commerciali concentrate e compatte, o nodi, dove molte attività possano essere facilmente accessibili dai pedoni, alla designazione di zone commerciali disperse e diffuse lungo le principali arterie, che spesso richiedono di spostarsi in automobile da un’attività all’altra.

LU105 – Destinare a zona commerciale mixed-use aree già esistenti dotate di spazi dove collocare posti di lavoro, servizi, residenze e commercio per rispondere ai bisogni della popolazione attuale e futura di Seattle. Consentire grande varietà di caratteristiche e funzioni nelle singole zone, in modo coerente con la strategia urban village.

LU106 – Predisporre una vasta gamma di classificazioni per zone commerciali, ad offrire diverse miscele e intensità di funzioni, dimensioni dell’insediamento, gradi di orientamento residenziale e commerciale, orientamento automobilistico e pedonale, rapporti con l’ambiente circostante, a seconda dello specifico ruolo nella strategia di urban village e degli obiettivi comunitari così come adottati nei piani di quartiere.

LU107 – Distinguere, fra zone commerciali a orientamento pedonale, compatibili e di facile accesso rispetto ai quartieri circostanti, e zone commerciali generiche intese a collocare funzioni dipendenti dall’accesso automobilistico o camionale.

obiettivi funzionali

LUG20 – Sostenere vari usi che contribuiscano ad ampliare la base di impiego della città, e offrono beni e servizi di cui gli abitanti cittadini hanno bisogno, e spazi per le imprese.

politiche funzionali

LU108 – Offrire un’ampia gamma di funzioni nelle zone commerciali. Consentire, proibire, o consentire a determinate condizioni le varie funzioni, a seconda del deciso orientamento pedonale, automobilistico o residenziale della zona, del suo ruolo nella strategia urban village, degli impatti che ci si possono aspettare dalle varie funzioni sia sulla zona commerciale che sulle aree circostanti.

LU109 – Prendere in considerazione limiti alle dimensioni di specifici usi commerciali nelle zone commerciali, quando tali limiti:

• Aiutino ad assicurare compatibilità fra le funzioni insediate e il carattere e altre funzioni dell’area commerciale;

• Incoraggino la localizzazione di funzioni tali da attirare traffico significativo, in zone dove gli impatti di tale traffico possano essere gestiti al meglio;

• Promuovano usi del suolo e modalità di trasporto compatibili;

• Sostengano un sano sviluppo commerciale.

Consentire un ampliamento limitato delle attività esistenti, oltre le soglie dimensionali stabilite, per sostenere il carattere attuale e le funzioni delle attività e distretti cittadini.


Seattle, Land Use Map: particolare della zona centrale



LU110 – Scoraggiare l’insediamento o ampliamento di funzioni individuate come grandi generatrici di traffico. Esaminare le domande relative a tali funzioni in modo da poter controllare gli impatti del traffico ad esse collegato, e assicurarsi che le funzioni siano compatibili con le caratteristiche della zona commerciale e di quelle circostanti.

LU111 – Regolamentare tutte le strutture principali e accessorie di tipo drive-in attraverso norme edilizie variabili a seconda delle funzioni commerciali, allo scopo di ridurre al minimo gli impatti del traffico e i conflitti fra pedoni e veicoli, evitare la frammentazione dei fronti commerciali, migliorare l’aspetto della zona.

politiche per le attività all’aperto

LU112 – Proibire o limitare localizzazione e dimensioni delle attività all’aperto in specifiche zone commerciali secondo le funzioni della zona e la vicinanza a spazi residenziali, allo scopo di mantenere e migliorare la continuità del fronte commerciale stradale, ridurre gli impatti visivi e di rumore connessi a tali attività all’aperto, conservare la compatibilità con le aree residenziali adiacenti.

politiche per la residenza

LU113 – Consentire le funzioni residenziali nelle zone commerciali per incoraggiare le abitazioni in stretta prossimità coi negozi, i servizi, le opportunità di impiego. Sostenere gli usi residenziali entro e nei pressi di zone commerciali a orientamento pedonale, per offrire case vicino a servizi e posti di lavoro.

LU114 – Incoraggiare la presenza residenziale in edifici a funzioni miste, per assicurare distretti commerciali attivi che offrano beni essenziali, servizi e opportunità di lavoro agli abitanti di Seattle.

LU115 – Conservare le zone destinate al commercio a questa funzione, limitando le residenze collocate al piano terreno nelle zone intese come nodi o concentrazioni commerciali. Prendere in considerazione l’uso residenziale del livello terreno fuori da queste zone, per rafforzare i nodi commerciali e consentire una certa fluttuazione di mercato. Quando si consentono usi residenziali al piano terreno, cercare di offrire privacy ai residenti, e interesse visivo al fronte stradale. Realizzare spazi aperti come parte dell’insediamento residenziale nelle zone commerciali, da rendere disponibili agli abitanti.

politiche sui limiti alle densità

LU116 – Cercare di concentrare gli interventi entro villaggi urbani orientati alla mobilità pedonale e tramite trasporto pubblico, mantenendo al contempo compatibilità fra nuove realizzazioni e area circostante, attraverso norme che regolamentino dimensioni e densità dell’insediamento.

LU117 – In generale, consentire una maggiore intensità di insediamento in ambienti a base pedonale e di trasporto pubblico, come quelli delle zone commerciali negli urban villages, rispetto a quella consentita nelle zone commerciali generiche, o al di fuori dei villages.

LU118 – Assicurare dimensioni e intensità di insediamento compatibili, e controllare impatti quali massa, ombre, traffico, associati allo sviluppo in altezza, attraverso limiti di densità all’insediamento nelle zone commerciali.


Seattle, area centrale, vista da foto satellitare (Google)

politica sulle norme edilizie

LU119 – Regolamentare le masse delle strutture nelle zone commerciali per mantenere compatibilità con scala e caratteri dell’ambiente e delle aree circostanti, limitare gli impatti visivi, offrire aria, luce, spazi aperti agli occupanti.

politiche sulle altezze

LU120 – Fissare limiti di altezza alle zone commerciali, indipendentemente dalla specifica destinazione. Consentire che a varie parti della medesima zona possano essere assegnati diversi limiti di altezza, in base a quelle più adatte a:

• Sviluppare gli obiettivi della strategia urban village di concentrare la crescita in tali spazi;

• Collocare le funzioni e intensità di insediamento desiderati;

• Realizzare rapporti dimensionali compatibili con l’edilizia esistente;

• Evitare potenziali ostruzioni visive.

• Fissare altezze massime prevedibili che rispondano alle varie condizioni topografiche.

LU121 – Consentire limitate eccezioni ai limiti di altezza, per collocare usi commerciali al piano terreno, o particolari strutture sui tetti, per facilitare lo sviluppo di complessi multifunzionali, per consentire un appropriato funzionamento delle strutture, o per sostenere una progettazione innovativa che sviluppi gli scopi del presente piano, o di quelli adottati per i quartieri.

LU122 – Per consentire flessibilità e piena utilizzabilità dello spazio all’edilizia ove consentito, e per mantenere e sostenere fronti commerciali stradali continui, in generale nelle aree commerciali non devono essere richiesti arretramenti, eccetto dove l’edificazione avviene su lotti adiacenti a zone residenziali.

politiche per i parcheggi

LU123 – Fissare norme per i parcheggi tali da scoraggiare la sottoutilizzazione delle strutture, il che significa tollerare occasionali traboccamenti, e consentire l’abolizione, rinuncia, o riduzione di quote minime, per promuovere mantenimento e sviluppo di funzioni commerciali che incoraggino l’attività pedonale e dei mezzi pubblici, e offrano una varietà di servizi. Consentire la riduzione delle quantità di parcheggio dove la domanda è minore, offrendo programmi di trasporto pubblico alternativi. Tali programmi comprendono parcheggi riservati alle auto e furgoni in uso comune, abbonamenti ai trasporti, parcheggi cicli aggiunti per i dipendenti. Prendere in considerazione la possibilità di fissare quantità di parcheggi ridotte nelle zone dove un eccesso potrebbe peggiorare le condizioni di traffico, e dove sono disponibili alternative all’uso dell’auto.

LU124 – Consentire la revisione o fissazione di nuove norme sui parcheggi in particolari zone commerciali, quali misure di carattere locale come parcheggi cooperativi o condivisi, accesso limitato, o norme particolari legate a politiche già citate come usi comuni di auto e furgoni, o sostegni agli abbonamenti al trasporto.

LU125 – Consentire una riduzione dei parcheggi nel caso in cui molte attività hanno in comune il parcheggio clienti, perché gli utenti possano parcheggiare una volta sola e spostarsi a piedi fra i vari esercizi, con maggiore efficienza nell’uso delle strutture.

LU126 – Regolamentare la realizzazione dei parcheggi riservati nei lotti commerciali, secondo funzioni e caratteristiche dell’area, così come indicato dalla specifica destinazione a zona ad orientamento pedonale, oppure generica.

LU127 – Cercare di limitare gli impatti della localizzazione dei parcheggi, sul traffico pedonale e la circolazione veicolare. In genere, incoraggiare l’accesso ai piazzali da vicoli di servizio, eccetto nei casi in cu il vicolo è utilizzato per carico/scarico.

politiche per le zone commerciali a orientamento pedonale

LU128 – Utilizzare le aree ad orientamento pedonale per promuovere zone commerciali con un tipo di insediamento, miscela di funzioni, intensità di esercizi rivolte a chi si sposta a piedi e coi mezzi pubblici, conservando le aree già dotate di questa caratteristiche e incoraggiando la necessaria transizione in altre aree, per raggiungere queste condizioni:

1. Solidi e stabili distretti di attività compatibili col proprio quartiere, che rinforzino l’identità locale offrendo merci, servizi, lavoro agli abitanti della città;

2. Mescolanza di funzioni nelle aree commerciali che sia compatibile con l’insediamento delle zone circostanti;

3. Un adeguato a graduale passaggio di scale e intensità di edificazione fra le aree;

4. Un insediamento residenziale sia vivibile per gli abitanti che compatibile con le funzioni desiderabili di carattere commerciale;

5. Un ambiente pedonale attraente, accessibile, attivo.

LU129 – Applicare il tipo della zona commerciale a orientamento pedonale sia all’interno che all’esterno degli urban villages dove le funzioni residenziali esistono o sono nelle vicinanze, e dove l’intensità dell’insediamento consentita si adegua per dimensioni e proporzioni al quartiere servito.

LU130 – In generale consentire zone commerciali a orientamento pedonale negli urban villages a contenere densità insediative e miscele di funzioni tali da sostenere pedonalità e uso dei mezzi pubblici.

LU131 – Predisporre per le zone commerciali a orientamento pedonale norme edilizie e destinazioni funzionali che promuovano ambienti tali da condurre agli spostamenti a piedi verso usi commerciali e residenziali, a completare gli obiettivi specifici delle zone.

LU132 – Collocare – nelle zone commerciali a orientamento pedonale – le strutture per i parcheggi dove siano ridotti al minimo i conflitti coi pedoni e la continuità del fronte stradale: ad esempio sul retro o sul fianco degli edifici, ad un livello inferiore, o incorporati nell’edificio e schermati rispetto alla strada.

LU133 – Prevedere distretti speciali pedonali variabili, a riflettere le diverse caratteristiche e condizioni delle zone commerciali, a conservare o incoraggiare quartieri dove siano accentuatamente favoriti gli spostamenti secondo modalità non-automobilistiche.

obiettivi delle zone commerciali generali

LUG21 – Le zone commerciali generali ospitano attività fortemente dipendenti dall’uso dell’automobile e dall’accesso di autocarri, oltre a funzioni intensive commerciali e di manifattura leggera generalmente incompatibili con la residenza e mixed-use a orientamento pedonale.

politiche per le zone commerciali generali

LU134 – Utilizzare le destinazioni a zone commerciali generali a sostegno delle esistenti aree commerciali orientate all’uso dell’auto, che servono una clientele a scala urbana o regionale, localizzate con facile accesso dalle strade principali, o zone adiacenti a quelle industriali. Le aree adatte per la destinazione a commercio generale devono essere caratterizzate dalla prevalenza dei lotti di grandi dimensioni, da una accessibilità pedonale limitata, vi possono essere realizzate fasce di interposizione o transizione fra esse e le zone residenziali, o quelle commerciali di minore intensità. Allo scopo di sostenere una maggior quantità di ambienti pedonali entro gli urban villages, va incoraggiata la conversione delle aree a commercio generale localizzate entro gli urban villages all’orientamento pedonale.

politiche funzionali

LU135 – Collocare nelle zone a commercio generale la più ampia gamma possibile di attività commerciali consentite.

LU136 – Riconoscere negli shopping centers, negozi di ogni dimensione, magazzini di dimensioni contenute, piccoli edifici terziari a superficie contenuta e, dove adeguato, strutture residenziali e a funzioni miste, i tipi edilizi più appropriati per le zone a commercio generale.

LU137 – Nelle zone a commercio generale, vanno limitate o vietate, a seconda dei casi, grandi quantità di residenze o uffici, in aree dove:

1. Le caratteristiche di orientamento automobilistico dell’area incoraggino residenti e lavoratori a spostarsi in auto con un solo occupante;

2. Queste funzioni possano entrare in conflitto con la principale funzione commerciale della zona, o con quelle adiacenti;

3. La disponibilità di spazio per alcune attività commerciali è contenuta ed esse potebbero essere allontanate se si consentissero altri usi con determinate intensità.

politiche per le norme edilizie

LU138 – Consentire densità di uffici e residenze simili a quelle delle zone commerciali a orientamento pedonale comparabili.

LU139 – In generale, fissare limiti di altezze compatibili con quelle dell’edilizia esistente, o che siano necessarie per contenere le funzioni destinate a queste zone; non incoraggiare alta densità a usi come residenza o uffici, che trovano la propria collocazione più appropriata nelle zone a urban village.

[...]

Nota: Per chi fosse interessato, sono scaricabili direttamente da qui (link a pie' di pagina) due files PDF: la Land Use Map di Seattle 2005, e il documento sugli Urban Villages, più volte citato in questi paragrafi; sempre su Eddyburg, e di argomento complementare per territorio e temi: il Growth Management Act dello stato di Washington - il piano della King Countya cui Seattle appartiene - quello per la cittadina di Des Moines, poco a sud del capoluogo; Copia originale e integrale dell’intera documentazione di piano, al sito Department of Planning & Developmentdi Seattle (f.b.)

Titolo originale: Wal-Mart pledges $35 million for wildlife – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

WASHINGTON - Wal-Mart, la più grande catena commerciale del mondo, si è impegnata martedì a spendere 35 milioni di dollari, per compensare l’habitat naturale perso sotto la sua “occupazione di suolo”.

Ettaro per ettaro, dichiara la Wal-Mart Stores Inc., comprerà una quantità di terre pari a quella occupata dai propri negozi, parcheggi, centri di logistica per i prossimi dieci anni. Questo salverà almeno 60.000 ettari di habitat naturale “prioritario” negli Stati Uniti.

La somma andrà alla National Fish and Wildlife Foundation, gruppo non-profit creato dal Congresso nel 1984 per raccogliere risorse a livello federale per progetti di conservazione, e che possiede 150.000 ettari solo nel Maine.

“Abbiamo concepito l’idea di un programma di azione esterno a Wal-Mart l’anno scorso” dice Max Chapman Jr., presidente della fondazione. “Hanno risposto di sì in fretta, e l’apporto di Wal-Mart sarà di grande impulso per la conservazione.

È la prima volta che un’impresa USA si impegna in questo modo, secondo i funzionari del Ministero Affari Interni, che collaborerà nel decidere quali aree conservare. Il Segretario agli Interni Gale Norton dice di sperare che l’accordo diventi un modello per altre compagnie.

“Obiettivo finale è quello di creare un grande piano di ripristino delle praterie del West” afferma Larry Selzer, presidente del Conservation Fund, di Arlington, Virginia. “Non c’è nessuna altra impresa che si è fatta avanti con un tipo di iniziativa tanto audace”.

Ma il Sierra Club [gruppo ambientalista n.d.T.] resta scettico. “Wal-Mart pensa di poter verniciare il suo operato con una bella mano di verde, ma questo non nasconde i suoi veri colori” sostiene Eric Olson, responsabile anti- sprawl per l’associazione.

Questo gesto aiuta Wal-Mart a lustrare le proprie credenziali ambientaliste, alla vigilia dello Earth Day del 22 aprile. La compagnia ha comprato intere pagine pubblicitarie nell’edizione di martedì di almeno 20 quotidiani, per piazzare il suo nuovo programma per l’habitat.

Wal-Mart è stata posta sotto osservazione per le sue pratiche di rapporto col sindacato, e per come i suoi negozi abbiano effetti sulle città e il commercio concorrente. Lo scorso mese ha pagato la somma record di 11 milioni per l’accusa federale di aver impiegato centinaia di immigrati illegali.

Ha anche concordato il pagamento di 3,1 milioni l’anno scorso per una violazione del Clean Water Act, relativa all’eccessivo deflusso di acque piovane dai propri cantieri. Si è impegnata a migliorare i controlli in questo senso nelle oltre 200 località in cui ogni anno realizza negozi. Nel 2001, Wal-Mart e alcune imprese di costruzione avevano raggiunto un accordo di compromesso simile, pagando una multa di un milione.

Con 250 milioni di miliardi di dollari di vendite annuali, Wal-Mart da’ lavoro a 1,6 milioni di persone, in 3.600 negozi negli USA e 1.570 a livello internazionale.

La fondazione prevede di raccogliere altri 35 milioni da aggiungere alla somma di Wal-Mart, ma intende iniziare investendo 8,8 milioni della somma Wal-Mart in un progetto da 20,5 milioni di conservazione delle terre in cinque località.

Nota: l’articolo prosegue con elenco e descrizione sommaria dei progetti di conservazione nelle varie località, ed è disponibile in versione integrale al sito della MSNBC ; altre informazioni, particolari, un powerpoint e un filmato al sito ufficiale della Wal-Mart Foundation ; su Eddyburg, anche un polemico articolo di commento firmato dall'ambientalista Stacy Mitchell (f.b.)

Titolo originale: Acres for Wal-Mart – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Il mio quotidiano locale, Portland (Maine) Press Herald, ha raccontato la scorsa settimana, in un vistoso servizio di prima pagina, che gli sforzi per tutelare parti della foresta settentrionale dall’urbanizzazione avevano fatto “un enorme masso in avanti” grazie a Wal-Mart.

Storie del genere, di terre preziose che ottenevano protezione con l’aiuto di Wal-Mart, sono comparse su centinaia di giornali in tutto il paese, sotto titoli come “ La donazione di Wal-Mart contribuirà a finanziare il piano di tutela di Squaw Creek”, o “ Wal-Mart collabora a gli sforzi per proteggere il Gran Canyon”.

Nota per spremere anche l’ultimo centesimo da dipendenti e fornitori, Wal-Mart è riuscita anche a concludere un contratto al minimo per ridipingersi di verde. Per soli 35 milioni di dollari – meno dell’1% dei profitti dello scorso anno – la più grossa impresa del mondo ha lucidato la propria immagine ambientalista, adornandosi di una cascata di coperture mediatiche entusiaste.

Secondo l’accordo, battezzato “ Acres for America”, Wal-Mart donerà questi soldi – diluiti per i prossimi dieci anni – alla National Fish and Wildlife Foundation, un ente creato dal Congresso che può contare tra i suoi “associati” la Exxon-Mobil e Alcoa. La NFWF utilizzerà i fondi per acquisire terre o imporre servitù di tutela su habitat naturali in tutto il paese.

Acres for America tutelerà in modo permanente almeno un ettaro di habitat naturale di primaria importanza, per ogni ettaro urbanizzato sinora da insediamenti Wal-Mart, e per ogni altro sottratto dall’impresa nei prossimi dieci anni” recita un comunicato stampa della NFWF.

Un ettaro tutelato per ogni ettaro costruito. È un congegno intelligente, pensato per dare l’idea che la donazione di Wal-Mart compensi in pieno il suo impatto ambientale.

Il comunicato stampa continua: “Questo fissa la superficie minima totale da tutelare a 60.000 ettari”. Se è uno-per-uno, allora vuol dire anche che questi sono gli ettari che Wal-Mart intende occupare entro il 2015. È una cifra strabiliante. Al momento i suoi punti vendita negli USA e i 100 centri di distribuzione, compresi i parcheggi, occupano più o meno 35.000 ettari. A quanto sembra, la compagnia intende quasi raddoppiare la propria occupazione di suolo nei prossimi dieci anni.

In Maine, anche se Wal-Mart paga le servitù di conservazione sui terreni delle foreste settentrionali, sta tagliando altre foreste e interrando zone umide, altrove nello stato. Nella cittadina di Scarborough, progetta di abbandonare un negozio – lasciandosi dietro una carcassa delle dimensioni di due campi da football circondata da ettari di asfalto – e spazzar via una zona boscosa sull’altro lato della strada per costruire un supercenter più grosso. Il “vecchio” Wal-Mart aveva aperto nel 1993.

”La protezione del nostro ambiente è, semplicemente, la giusta cosa da fare” ha dichiarato il vice presidente di Wal-Mart, Mike Duke, annunciando l’accordo Acres for America.

Questo da una compagnia che negli ultimi anni ha cercato di asfaltare la palude Penjajawoc a Bangor. Descritta dai funzionari statali come “la più significativa area umida per gli uccelli acquatici del Maine”, Penjajawoc ospita numerose specie rare e in pericolo. Wal-Mart ha giocato duro per urbanizzare la zona, ma alla fine è stata bloccata da un tenace gruppo di cittadini che ha convinto lo stato a intervenire.

Anche più degli esempi isolati, è l’impatto complessivo di Wal-Mart sull’ambiente, quello che deve essere paragonato alla donazione di 35 milioni di dollari. Nessun’altra impresa ha fatto tanto, per trasformare le nostre commissioni quotidiane in un’attività ambientalmente rischiosa.

Wal-Mart ha distrutto decine di migliaia di attività, nei quartieri e nei centri urbani. Collocate in edifici multipiano che non avevano bisogno di ettari a parcheggio, queste attività commerciali occupavano relativamente poco spazio e offrivano un buon servizio a brevi distanze da case e condomini.

Oggi, anche l’acquisto più semplice, come mezzo litro di latte o una scatola di chiodi, spesso richiede di guidare parecchi chilometri fino a un negozio big-box. Le famiglie americane percorrono il 50% di chilometri/veicolo l’anno in più per acquisti di quanto non si facesse nel 1990.

Oltre ai danni all’aria e al clima, il dilavaggio inquinante dei piazzali a parcheggio ora è una delle principali minacce per fiumi e laghi. Secondo il Center for Watershed Protection, nessun altro uso del suolo produce più deflusso velenoso del commercio big-box.

E non è che l’eccessivo consumo di suolo sia solo un effetto collaterale di crescita, per compagnie come Wal-Mart, Target o Home Depot. È parte costituente centrale della loro strategia di impresa. Non solo spianare con le ruspe terreni agricoli è più economico che non adattare i loro negozi a forma di tramezzino a un sito esistente o, peggio, a un edificio esistente, ma inondare il mercato con eccesso di offerta costruendo negozi giganti multipli rende anche più facile mettere fuori gioco i concorrenti minori.

Da quando Wal-Mart aprì il suo primo negozio nel 1962, la quantità di spazi commerciali pro capite negli USA è aumentata di dieci volte. Ora abbiamo da cinque a sei volte lo spazio a negozi delle altre nazioni industrializzate.

Abbiamo davvero bisogno di tutto questo commercio? Difficile. Una quantità incredibile se ne sta lì, vuota. Ci sono centinaia di strisce e centri commerciali lungo le strade, e migliaia di negozi big-box abbandonati, buttai come spazzatura nel paesaggio.

La sola Wal-Mart a livello nazionale ha 300 negozi vuoti. La maggior parte sono stati abbandonati dopo che la compagnia ha aperto un punto vendita più grosso nello stesso bacino. Il rapporto annuale di Wal-Mart afferma che si pensa di “rilocalizzare” (di fatto, lasciar vuoti) sino a 150 negozi quest’anno.

Non sono solo gli ambientalisti a suonare l’allarme contro questa piaga dilagante. In un recente rapporto di consulenza il centro studi immobiliare PricewaterhouseCoopers afferma: “Il paese a maggior superficie commerciale del mondo non ha nessun bisogno di nuovi negozi”.

Ma si continua a costruire. Wal-Mart, Home Depot, Target, Lowe's e gli altri operatori big-box progettano migliaia di nuovi punti vendita nei prossimi anni, molti sopra campi, foreste, zone umide. È più che mai tempo che si metta fine a tutto questo.

Alcune città stanno già iniziando a farlo. Adottano politiche di piano e zoning che limitano le dimensioni dei grandi complessi pensati per l’automobile, e orientano gli investimenti verso il centro città e quartieri commerciali a mobilità pedonale.

Come consumatori, possiamo sostenere un’economia più verde facendo la spesa più spesso nei negozi locali, specialmente quelli che si riforniscono anche localmente. Dobbiamo opporci in modo deciso alla propaganda di Wal-Mart, e alla vergognosa affermazione della NFWF secondo cui la compagnia sta “aprendo la strada alla conservazione”. “Ettari per l’America” non vuol dire conservazione, ma spianare la strada a a molti più ettari di Wal-Mart.

Nota: qui il testo originale dell’articolo, al sito Alternet ; qui su Eddyburg anche uno degli articoli di giornale sulla "donazione" Wal-Mart (f.b.)

Town of Bennington (Vt.), Town Plan, bozza adottata nell’aprile 2005; Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Dal capitolo: Sviluppo Economico

[...] L’attività commerciale

Le attività commerciali – i negozi dove i cittadini di Bennington e dell’area circostante, o i visitatori della città, acquistano di tutto, dal cibo alle automobili – sono sempre stati una parte importante dell’economia locale, e l’occupazione nel settore ha mostrato una crescita considerevole negli anni recenti. Storicamente l’attività di commercio era concentrata nei quartieri centrali, e quella zona continua a sostenere una quantità significativa di negozi anche oggi. C’è stata una tendenza alla conversione verso punti vendita più specializzati, gallerie, prodotti “high-end” quando grandi magazzini e catene nazionali hanno iniziato a insediarsi nell’area lungo Northside Drive, la statale 67A verso il nuovo svincolo con la 279, e Kocher Drive.

I grandi punti vendita dei magazzini, alimentari, prodotti per la casa, grandi catene nazionali negli quartieri destinati a queste funzioni, offrono prodotti a bassi prezzi al consumatore, e posti di lavoro a molti residenti. Nello stesso tempo, una crescita eccessiva di questo tipo di attività e insediamento avrebbe impatti negativi sulla vitalità di altre zone commerciali, specialmente nel centro. In più in grandi complessi “big-box” hanno dimostrato di esercitare effetti negativi sulle comunità locali, quali la spinta verso il basso della media degli stipendi e riduzione di benefits, il favorire lo sprawl, i mancati reinvestimenti dei profitti in città. L’amministrazione riconosce la necessità di mantenere un certo equilibrio, e ha approvato regole che limitano le dimensioni dei singoli punti vendita, richiedendo inoltre studi di impatto preventivi alla realizzazione dei grandi complessi.

Dato che Bennington è un importante centro di attrazione commerciale a scala regionale, è importante che le infrastrutture di trasporto siano mantenute in buone condizioni, e migliorate se necessario. È necessaria anche un’attenta pianificazione degli spazi e un “access management” lungo le principali arterie e corridoi commerciali, ad assicurare che la congestione da traffico o problemi di sicurezza non scoraggino chi intende raggiungere in automobile le aree commerciali della città.

Nello stesso modo, sono importanti adeguate strutture di parcheggio e per la mobilità pedonale, per offrire uno shopping comodo e godibile. Il completamento di tutti i tre nuovi rami della statale 279 toglierà il traffico pesante dal centro e lo renderà anche più attraente come luogo per gli abitanti della regione di Bennington e i turisti.

Le organizzazioni economiche locali e le varie amministrazioni devono proseguire nello sforzo per promuovere e migliorare il centro città. Le recenti iniziative per l’ambiente stradale e le nuove attività commerciali hanno aumentato gli investimenti, l’interesse, la vitalità di questa importante zona commerciale. Programmi di marketing e altre strutture come la Molly Stark Trail Scenic Byway o il Welcome Center allo svincolo della US 7/VT 279, aumenteranno ulteriormente l’interesse verso il centro.

È necessaria un’attenta pianificazione e progettazione dei nuovi interventi di costruzione o modifica dei complessi commerciali nei distretti con tale funzione, per assicurare che queste zone restino attrattive e di successo. Non si ritiene appropriato lo sviluppo di complessi commerciali in aree non destinate a questi usi.

Il commercio ha anche bisogno di forza lavoro esperta e affidabile. Saranno le strutture di formazione e aggiornamento ad offrire ai lavoratori le capacità necessarie per accedere e progredire in questo campo.

[...]

Dal capitolo: Uso del suolo

Quartiere Commerciale [ Planned Commercial District]

Il quartiere commerciale comprende le zone lungo Kocher Drive, Northside Drive, e la statale 67A che sono interessate da un considerevole sviluppo commerciale. Scopo della destinazione di zona è quello di promuovere una miscela di funzioni commerciali in un’area dotata di efficiente accesso ai principali corridoi di trasporto. Le funzioni esistenti e consentite in questa zona devono essere compatibili l’una con l’altra, e complementari a quelle del centro città a costituire un polo commerciale e di occupazione. Nella zona è sarà anche possibile sviluppare una progettazione spaziale ben concepita ed efficiente.

È consentita una vasta gamma di attività, che comprende negozi, stazioni di servizio, strutture d’alloggio, ristoranti, concessionarie d’auto, alberghi, alloggi multifamiliari, e vari servizi professionali e per il tempo libero, così come specificato nelle norme municipali di azzonamento. La dimensione minima dei lotti nel quartiere è di 4.000 metri quadrati, e sono fissate dimensioni massime per gli edifici commerciali. Limitando le dimensioni dei singoli negozi, viene tutelata la diversificazione economica e una sana miscela di usi in tutto il quartiere. A causa della concentrazione di interessi cittadini nella zona, i nuovi interventi devono uniformarsi alle Planned Commercial District Design Guidelines [estratti riportati di seguito n.d.T.]. Deve anche essere posta particolare attenzione allo access management, per ridurre al minimo la congestione da traffico, e i rischi per la sicurezza lungo le affollate strade della zona.

L’arredo a verde deve essere conforme agli standards delle norme cittadine, con particolare attenzione a creare affacci di alta qualità, e ad attenuare l’impatto visivo dei grandi spazi a parcheggio. Un fattore critico è rappresentato dall’accesso pedonale dalle strade agli spazi commerciali veri e propri; ogni nuovo intervento dovrà comprendere marciapiedi lungo tutto lo sviluppo del fronte, e sino all’ingresso principale dell’edificio.

[...]

Town of Bennington (Vt.), Planned Commercial District – Design Standards, 2004; Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Dal paragrafo 1: Organizzazione generale del sito

[...] 1.1 L’entrata principale dell’edificio deve sempre essere collocata sul fronte (davanti al margine anteriore del lotto) ed essere chiaramente visibile dalla strada (A) In questo esempio è stato creato un vestibolo di ingresso rivolto contemporaneamente a fronte, lato, retro e zona a parcheggio.

1.2 I parcheggi devono essere collocati sul fianco o retro del lotto, e per quanto possibile schermati alla vista. Le zone devono essere separate in blocchi di non più di venti spazi (35 per i complessi più grandi), divise da fasce verdi. (B)

1.3 Collocare la massima quota possibile dello sviluppo dell’edificio sul fronte del lotto, per aumentare al massimo l’esposizione della facciata al pubblico. (C) La facciata sul fronte deve essere tenuta parallela alla strada.

1.4 Per rafforzare il “ciglio stradale”, allinearsi con gli edifici vicini e più accosti alla linea di arretramento sul fronte. A rafforzare questo allineamento possono essere utilizzati elementi di arredo a verde. (D)

1.5 Dove possibile, va tentato di connettere i parcheggi adiacenti, o di offrire aree di sosta comuni che possano servire contemporaneamente più edifici. (E) Si offre un punto d’accesso secondario al sito allentando anche la congestione stradale.

1.6 Realizzare marciapiedi lungo tutto lo sviluppo della proprietà, con collegamento diretto all’ingresso principale dell’edificio. (F)

1.7 Le piattaforme di carico/scarico, le aree di servizio, per la rimozione dei rifiuti, devono essere localizzate sul retro dell’edificio, non visibili dalla strada. Si possono utilizzare recinzioni, pareti o verde per mascherarle alla vista. (G)


Figura 1: Esempio di organizzazione del sito. L’edificio è portato avanti il più possibile vicino alla strada, con parcheggio e alte zone sistemate ai lati o sul retro. Questo aiuta a dare identità alla strada e massima visibilità alla funzione commerciale.

1.8 Inserire ove possibile qualunque albero adulto esistente nel progetto di insediamento, per ridurre gli sprechi e conservare un ottimo albero da ombra. (H)

1.9 Ridurre la minimo la quantità di interruzioni sul filo del marciapiede, realizzando ovunque possibile una sola entrata/uscita veicolare dalla strada principale. Si raccomandano punti d’accesso dalle strade laterali per i progetti più grandi, dove consentito. I tagli nella continuità del marciapiede devono essere larghi quanto necessario a contenere le corsie veicolari. I raggi di curvatura devono essere mantenuti al minimo. (I)

1.10 La zona a parcheggio deve essere progettata secondo forme rettangolari regolari. Sono sconsigliati parcheggi con forme irregolari a cunei, che seguono le linee di confine della proprietà. Si deve realizzare tanta superficie asfaltata quanta strettamente necessaria.

1.11 Fasce piantumate e altri spazi a verde devono essere raccolti e di una certa dimensione, e non solo strette strisce d’erba o filari di alberi. (J)

1.12 Nei lotti d’angolo si deve collocare la maggior quantità possibile di edificato in corrispondenza dell’incrocio, per definire lo spazio e avvantaggiarsi della maggior visibilità. (A)

1.13 Le pensiline delle stazioni di servizio devono essere progettate come parte integrante dell’architettura generale ovunque possibile. Ciò consente un collegamento visivo o anche fisico e di riparo, fra veicoli e edificio. (B) [...]

1.14 In alternativa lo schema delle stazioni di servizio può consistere nella collocazione delle pompe presso il retro del lotto, e l’edificio del negozio sul fronte vicino alla strada. (C) Ciò aiuta a mettere in risalto l’edificio, schermare la pensilina utilitaria delle pompe, e portare il taglio nel bordo stradale più lontano dall’incrocio, creando un più facile accesso.

1.15 Quando non sia possibile collocare l’ingresso all’edificio direttamente sul fronte, si deve tentare di renderlo comunque molto visibile dalla strada principale o interna. (D)

1.16 I vecchi spazi commerciali molto arretrati rispetto alla strada possono trarre beneficio dall’edificazione degli spazi sul fronte del proprio lotto. Ciò contribuisce a definire il carattere della strada, consentendo ai clienti lo “one-stop shopping” e possibilità di parcheggio condiviso. (E)


Figura 2: Ridefinizione dei margini. I lotti d’angolo sono particolarmente importanti nel definire la strada. Si deve prestare particolare attenzione a spostare la massa dell’edificio verso l’esterno e l’angolo. Nei vecchi complessi più grandi si deve anche tentare di edificare sul fronte dei lotti nuovi fabbricati commerciali per avvantaggiarsi dell’affaccio stradale.

1.17 Realizzare filari di alberi e altro verde a schermare le grandi zone a parcheggio dalle proprietà adiacenti. (F)

1.18 Nei grandi parcheggi si raccomanda di realizzare isole verdi e percorsi pedonali che aiutino a rompere la continuità visuale dell’asfalto, offrendo anche percorsi sicuri ai pedoni. (G)

1.19 Alcuni complessi possono trarre vantaggio dal condividere l’accesso coi vicini di proprietà ad una zona di scarico. (H)

1.20 Tutti i percorsi d’accesso al sito devono essere adeguati alle norme dell’Americans With Disabilities Act. Consultare il sito web per maggiori informazioni.

[...]

Nota: tutti i materiali di piano di Bennington sono disponibili in versione integrale PDF sul sito web dell’amministrazione cittadina; si veda anche il Regional Plan di contea per il quadro sovracomunale, disponibile su Eddyburg, e gli arti articoli sul tema Vermont/Wal-Mart di questa sezione (f.b.)

Commercio. Ciancio, fra i soci, è proprietario al 19,5 per cento. Poi c'è la signora Valeria - sua moglie - con un altro 13,5 per cento. Poi qualche politico, qualche manager, tutti amici. Di che giornale stiamo parlando, di che tv? Su quali nuovi media ha messo le mani il monopolista dell'editoria siciliana? Sorpresa: stavolta niente giornali, ma centri commerciali: il più gigantesco della Sicilia, lo farà una ditta (l'Icom) che è quella di cui parlavamo all'inizio e lo farà - duecentoquarantamila metri quadrati - in una zona di verde pubblico, di verde a uso agricolo e non commerciale. Scusa: ma come si può costruire un centro commerciale (e che centro!) sul verde agricolo? Neanche a Catania una cosa del genere si può fare! Infatti: non si può fare. Perciò il Comune, il 25 febbraio, ha fatto un'opportuna delibera e voilà, ciò che era verde agricolo diventa istantaneamente zona commerciale. Mercurio batte Cerere uno a zero. E i giornali? Le tv? Muti: centri commerciali (dello stesso padrone) anche loro (Riccardo Orioles, Catena di San Libero, 21 marzo 2005)

[Orioles è un allievo e collaboratore di Giuseppe Fava (il giornalista ucciso dalla mafia). Dopo la chiusura dei "Siciliani" pubblica da solo un curioso giornale, "La Catena di San Libero", che manda gratis per e-mail a chi ne fa richiesta è che è ospitato da diversi siti (p. es.: http://www.barcellonapg.it/, qui dalla homepage si può accedere all'ultimo numero e a tutti gli arretrati).]

Dal sito “ Terre di Confine”, 13 aprile 2005

Catania - Il Palazzo s'inchina a Mario Ciancio Il “partito delle varianti” colpisce ancora: dietro il padrone della città.

Alla fine hanno vinto i poteri forti. Come accade troppo spesso, anche in questa città. I poteri forti, a Catania, hanno un volto preciso, quello di Mario Ciancio, il padrone della stampa, la cui egemonia sulla città è un dato definitivo. La sua ultima vittoria è datata 25 febbraio scorso: il centro-destra, con una maggioranza di quindici consiglieri di An, FI, Udc (Giammona, Siciliano, Zuccarello Alleanza Nazionale, Arcidiacono, Buscema, Chisari, Reina FI, Condorelli Sebastiano Ppe (presenza politica etnea), Consoli, Failla, Ingrassia, Lombardo Agatino, Pulvirenti, Riva, Vittorio per l’Udc), ha votato una variante al Piano Regolatore Generale di 25 anni fa, il Piano scaduto, mentre è deve essere ancora approvato il nuovo.

La variante è funzionale ad un’affare gigantesco, una grande speculazione edilizia che aggrava il già precario equilibrio di Catania sud: qui, nella zona del Pigno, sorgerà, il più grande centro commerciale di Sicilia, 240.000 metri quadrati (55.173 di superficie coperta, 95.700 per parcheggi utenti), nettamente superiore all’attuale “primato” quello di Melilli-Belvedere, nel siracusano. Un agglomerato che, unito agli altri imponenti investimenti previsti nel settore, porteranno Catania ad avere, nel rapporto abitanti/centri commerciali, una densità, in metri quadrati calpestati di centri commerciali, superiore a quella di Milano.

E’ già pronta, infatti, a farne un altro, nella zona di San Gregorio, la potente famiglia Virlinzi, molto vicina a Ciancio in tante operazioni, ma l’opera è ferma per un contenzioso amministrativo. Si avvicina il momento anche per la “Coop”, con ogni probabilità a Gravina: il comparto “Ipercoop” (che fa riferimento alla Legacoop) è già da tempo al lavoro. Nel complesso, sono stati autorizzati (vedi schema allegato) altri quattro investimenti (fra cui l’ “Etnapolis” dei gruppi Abate e Carrefour), in un’area percorribile in pochi minuti di auto. Il commercio catanese, se non questi stessi “giganti” in lotta (l’ egemonia di alcuni di loro è stata già descritta nell’ “affaire Garibaldi”, per non parlare di Nello Scuto, sotto processo per associazione mafiosa ed estorsione e delle sue “Zagare”), rischiano il soffocamento. Certo, per il principio della perequazione, l’ “Icom” avrà, a suo carico, alcuni oneri, ma per un’affare del genere, forse, il gioco vale la candela.Ci voleva però la variante, l’ennesima: e così è stato. Da verde agricolo a zona commerciale: gli interessi proprietari di Ciancio si sono coniugati –magicamente- a quelli della società “Icom srl”, che, in data 20/03/2003 ha presentato allo Sportello Unico per le imprese un progetto di massima per la realizzazione di un centro commerciale. E chi c’è nella “Icom srl”, società con sede a Milano?

Fra i soci, compare, Mario Ciancio: proprietario al 19,5% di una società con capitale sociale di 20,000,00 Euro.Ma non è finita: fra i soci c’è anche la signora Guarnaccia Valeria? E chi è? La moglie di Mario Ciancio: proprietaria al 13,5%.

Stavolta, non è andata, come tante altre volte sotto l’Etna: c’è un affare, c’è l’interessamento di Ciancio, ma lui –magicamente- non compare. Mai. Ma c’è di più: fra i consiglieri d’amministrazione della “Icom srl” compare anche il nome di Tommaso Mercadante, proprietario anche di una quota (5,5%). Chi è? E’ uno dei figli del deputato regionale di Forza Italia, Giovanni Mercadante. Naturalmente, non mancano poi soggetti del mondo dei media, in particolare in “Antenna Sud” di Bari, una delle tante emittenti gravitanti nell’impero di Ciancio, come nel caso del consigliere Fabrizio Pijola Lombardo, da meno di un anno, cioè dal momento dell’uscita ufficiale di Ciancio dalla proprietà, presidente di “Edivision”, società editrice di “Antenna Sud”. Amministratore delegato della società è Pasquale Iamele, che compare come presidente del c.d.a dell’ “Icom srl”. Ma c’è ancora di più: Ciancio e sua figlia Angela sono uscite dalla società, ma la stessa, fra i soci, annovera tutte società dell’impero, addirittura c’è la “Domenico Sanfilippo editore” che edita “La Sicilia”.

Ricapitolando: il consiglio comunale approva una variante che consente l’insediamento di un immenso centro commerciale, che sarà realizzato da una società, dove il padrone ha una forte partecipazione diretta e collegamenti con soggetti del mondo dei media. Il tutto, ovviamente, senza che nessuno in città possa conoscere nel dettaglio i termini dell’operazione, con inquietanti risvolti in tema di proprietà e di incroci societari: secondo i valori di mercato, un metro quadrato, a verde (valore da uno a tre euro) può arrivare, “trasformato” in edificabile, fino a circa cinquanta euro. Un bell’affare. Anche e soprattutto a questo serve il monopolio dell’informazione. Il nome che aleggiava sul senato cittadino è rimasto inespresso. Intanto, il giornale di Ciancio continua ad appoggiare la giunta Scapagnini.

Del resto, aveva fretta l’amministrazione di centro-destra e la sua maggioranza. Chissà, forse anche perché la scadenza elettorale è alle porte? Come poteva accadere, comunque, che il consiglio non si piegasse? La delibera era stata, infatti, messa all’ordine del giorno il 15 dicembre 2004, per essere poi riproposta il 20 e 27 gennaio, il 10, 16 e 24 febbraio. Risultato: fino a venerdì 25 febbraio, non era passata, vuoi per rinvii, vuoi soprattutto per mancanza del numero legale. Un braccio di ferro, occulto, che nessuno in città poteva conoscere. La situazione era a rischio: ecco, allora, la mobilitazione dei “big” del centro-destra. L’affare si doveva fare: era stato deciso e certamente non in consiglio... Il “partito delle varianti” faceva sentire il suo peso.

Ci ha pensato, invece, il senatore Mimmo Sudano (Udc), vicesindaco e assessore con delega all’urbanistica a fare capire che non era il caso di dilazionare ulteriormente. Il 16 febbraio si è presentato in consiglio e a nome dell’amministrazione ha proposto che la variante fosse votata congiuntamente ad un’altra “pesante”, quella per l’ospedale San Marco. Perché non farlo? Tutto è in regola e poi i posti di lavoro, calcolati, in prima battuta, fra i 500 e gli 800 circa ….

C’era da essere imbarazzati per questo piccolo grande –dal punto di vista politico- “colpo di mano”: per fortuna un no secco dall’opposizione.Il “colpo di mano” era, però, soltanto rimandato. Il 25 febbraio, però, è scoccata l’ora: oltre quattro ore di discussioni, con l’opposizione, (i consiglieri Licandro, D’Agata, Romeo, Rosario Condorelli, Giacalone) a resistere, in pochi, in ogni modo, ricorrendo a tutte le argomenti di critica ad un’operazione dissennata, la maggioranza allineata. Davanti ai consiglieri, per l’amministrazione ecco comparire, oltre a Sudano, seduto accanto ad un altro potente, l’avv. capo Mario Arena, il deputato nazionale e assessore (senza deleghe) Benito Paolone (An), convinto assertore dell’utilità della delibera, proprio lui che, più volte, aveva espresso la sua contrarietà alle varianti. Alla fine, comunque, dopo mezzanotte il verdetto: presenti 25 consiglieri, votanti diciannove, astenuti sei, (Commercio Presidente consiglio comunale Udc, Ferrera Ppe, Giuffrida Udc, La Rosa FI, Maravigna Centro Indipendente, Vasta FI) quindici sì, contrari quattro (Licandro Pdci, Romeo, D’Agata Ds, Condorelli Rosario Democratici con Bianco). Il consiglio approvava, Mario Ciancio poteva festeggiare. Eppure, in mattinata la Confcommercio aveva manifestato in piazza Università contro questa operazione: posizione contraria anche della Confesercenti. Critica anche la Federconsumatori. Non c’è stato, per ora, nulla fare: l’arroganza del capitale ha avuto, per ora, la meglio.

Titolo originale:Shopping Center Definitions. Basic Configurations and Types for the United States – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Il termine “ shopping center” si evolve a partire dai primi anni ’50. La nomenclatura commerciale originariamente offriva quattro denominazioni fondamentali per i centri: neighborhood [di quartiere], community [di scala urbana], regional, e superregional. Ma con l’evoluzione del settore questa classificazione in quattro tipi non appare più adeguata. Per eliminare alcune ambiguità e introdurre i nuovi formati di shopping center, lo International Council of Shopping Centers ha definito otto principali tipologie di centro, riassunte nella tabella allegata.

Le definizioni, e in particolare la tabella, sono intese a rappresentare linee guida per capire le principali differenze fra i tipi fondamentali di shopping center. Molti elementi proposti dalla tabella, come le dimensioni, il numero dei negozi anchor, il bacino di riferimento, devono essere interpretati come “caratteristici” di ciascun tipo. Non intendono coprire interamente le caratteristiche di operatività di ciascun singolo caso. Come regola generale, le determinanti principali nella classificazione di un centro sono il suo orientamento merceologico (tipi di beni e servizi proposti) e le dimensioni.

Non è sempre possibile classificare precisamente ciascun centro. Alcuni sono ibridi, e combinano elementi di due o più classificazioni base. Oppure, il concept di un centro può essere abbastanza insolito da rendere impossibile collocarlo dentro una delle otto definizioni generali proposte qui, e potrebbe anche condurre ad una categoria completamente nuova nell’evoluzione del settore.

Alcuni tipi di centro non sono definiti separatamente, anche se fanno parte del settore. Possono essere considerati sottosezioni di uno dei gruppi maggiori definiti, create a volte per rispondere ad una particolare nicchia di mercato. Un esempio è il convenience center, fra i più piccoli, i cui occupanti offrono una piccola gamma di prodotti e servizi personali ad una piccola area commerciale. Un classico anchor in questo caso potrebbe essere la catena 7-Eleven o altri piccoli negozi. All’altra estremità dello spettro dimensionale stanno i super off-price malls che consistono di una grande varietà di punti vendita ad alta qualità, compresi negozi factory outlet, grandi magazzini close-out outlets, e category killers, entro un grande complesso commerciale “introverso” (sino a 200.000 metri quadrati).

Un altro tipo di formato commerciale che sta ricevendo molta attenzione e merita una trattazione particolare, è l’ampia classe degli insediamenti mixed-use. In senso stretto, il mixed-use non è necessariamente un tipo di shopping center. Ma, visto che il commercio ne rappresenta una delle tre principali funzioni economiche, questo genere di complessi è frequente nel settore dei centri commerciali. I progetti di successo mixed-use sviluppati come un singolo intervento – chiamati talvolta mixed-use centers – possono essere complessi ben integrati di attività per il tempo libero, uffici, alberghi, residenza, stadi per lo sport, strutture culturali e/o altri usi che possono sostenere insieme una consistente quota commerciale. Spesso questi insediamenti offrono unità residenziali o per uffici al di sopra degli spazi commerciali a livello strada, anche se possono esistere malls integrati entro edifici ad albergo o ufficio. Qualche volta sono i lifestyle centers a formare la parte commerciale di un progetto mixed-use.

Altre piccole sottosezioni del settore comprendono i complessi in verticale, progettati per il centro urbano, gli off-price, home improvement, e car care centers. La tendenza alla differenziazione e segmentazione è destinata a continuare e ad aggiungere nuovi termini, man mano il settore si evolve.

SHOPPING CENTER: Un gruppo di negozi e altre funzioni commerciali progettato, posseduto e gestito in modo unitario, con strutture a parcheggio proprie. Dimensioni e orientamento del centro sono determinati dalle caratteristiche del mercato nell’area di riferimento servita. Le tre configurazioni principali del centro commerciale sono: mall, centro open-air, e gli ibridi.

CONFIGURAZIONI FONDAMENTALI

Mall: Il modo di progettazione più diffuso per i centri regionali e superregional è chiamato spesso “shopping mall”. Il percorso pedonale, o “mall” è classicamente chiuso, ad aerazione e illuminazione controllata, con i fronti e gli ingressi dei negozi affacciati su entrambi i lati. I parcheggi propri, di solito offerti nell’ambito del centro, possono essere esterni o strutturati all’interno degli edifici.

Centro Open-Air: Una fila continua di nezozi e servizi gestita come complesso unitario, con parcheggi propri abitualmente collocati di fronte ai negozi, e aree comuni non chiuse, è chiamata “open-air center.” I fronti commerciali possono essere collegati da una pensilina, ma non esiste un percorso pedonale al chiuso a collegare i vari esercizi. Le varianti più diffuse sono di tipo lineare, ovvero la forma a L, a U, a Z, o a gruppo compatto. L’organizzazione lineare è utilizzata spesso nei centri a scala di quartiere o urbana. Quella a gruppo compatto nelle sue varianti ha determinato l’emergere di una nuova classe, come i lifestyle centers, dove l’organizzazione fisica e il senso di apertura sono le caratteristiche determinanti. Storicamente, l’organizzazione aperta è stata chiamata “strip center,” anche se lo strip center trae il nome dalla forma lineare, coi negozi fianco a fianco in una lunga fila.

Ibrido: si tratta di un centro che combina elementi presi da due o più tipi principali di shopping center. Tipi ibridi frequenti sono i mega-mall a orientamento verso prodotti superiori (che sommano elementi del centro commerciale, del power center, e alcuni dell’outlet), i centri power-lifestyle (a sommare caratteristiche del power center e del lifestyle), e i complessi entertainment-retail (che uniscono le funzioni del commercio a cinema multisala, ristoranti a tema, e altri usi per il tempo libero).

TIPI DI SHOPPING CENTER

MALL

Regional Center: Questo tipo di centro offre prodotti generali (una larga quota è di abbigliamento) e servizi completi e vari. La sua attrattiva principale è la combinazione dei negozi anchor, che può essere tradizionale, mass merchant, discount, o grande magazzino di moda, con numerosi negozi specializzati fashion-oriented. Un caratteristico centro di scala regionale è di solito chiuso e rivolto all’interno, con negozi collegati da un percorso pedonale comune. Il parcheggio è posto sul perimetro esterno.

Superregional Center: Simile al centro regionale, ma per le sue dimensioni maggior ospita più anchors, una maggior selezione di merci, e si rivolge ad un bacino di utenza più vasto. Come per i centri regionali, la configurazione caratteristica è quella a mall chiuso, frequentemente su molti livelli. I parcheggi possono essere anche strutturati entro il volume degli edifici.

CENTRI OPEN-AIR

Neighborhood Center: È un tipo di centro concepito per offrire risposte ai bisogni quotidiani di consumatori delle immediate vicinanze. Secondo lo studio SCORE dello International Council for Shopping Centers circa la metà di questi complessi si basano su un supermarket, e un terzo su un drugstore. Questi anchors sono affiancati da negozi che offrono varie merci e servizi personali. Un neighborhood center è di solito organizzato secondo una linea retta, senza percorso pedonale al chiuso o area mall, e coi parcheggi sul fronte. Alcuni centri hanno una pensilina o altro elemento di facciata a provvedere ombra e protezione dal cattivo tempo, o a connettere l’intero complesso.

Community Center: Caratteristicamente offre una ampia gamma di scelta nell’abbigliamento e altri articoli, maggiore di quella dei centri di quartiere. Fra gli anchor più comuni, ci sono i supermercati, i super drugstores, i grandi magazzini discount. Fra i negozi di un community center talvolta può essere presente la categoria big-box value-oriented con offerta di abbigliamento, articoli per la casa e arredamento, giocattoli, elettronica, articoli sportivi. Il centro di solito è organizzato in modo lineare su una striscia, oppure a forma di L o di U, a seconda del tipo di lotto e di progetto. Fra le otto categorie, i community centers sono quelli che coprono la maggiore varietà di formati. Ad esempio, quelli che hanno come anchor un grande magazzino discount sono molto caratterizzati sul genere discount. Altri con alta percentuale di superficie occupata da commercio off-price possono essere chiamati offprice centers.

Power Center: È un centro dominato da alcuni grandi anchors, come grandi magazzini discount, negozi off-price, warehouse clubs, oppure “ category killers”, ovvero che offrono una vasta selezione di prodotti correlati a prezzi al consumo molto competitivi. I centro consiste di parecchi anchors, alcuni dei quali possono essere isolati (senza connessioni) e con una quantità minima di piccoli negozi specializzati.

Centri a Temao Festival: Utilizzano un tema unificante, riproposto dai singoli negozi nella progettazione architettonica e, in parte, nei prodotti proposti. Sono le proposte per il divertimento, l’elemento comune di questi centri, anche se possono concretarsi sia nell’attività di shopping che nell’offerta vera e propria di proposte per il tempo libero. Si rivolgono spesso ai turisti, ma possono attirare anche clienti locali per la propria natura particolare. Questi centri a tema/ festival hanno come anchor ristoranti o strutture per il divertimento. In genere collocati entro le zone urbane, spesso usano edifici anche storici adattati, e possono essere parte di progetti mixed-use.

Outlet Center: È un centro composto da negozi che vendono grandi marche a prezzi scontati. Classicamente manca di un anchor, anche se alcuni negozi di un certo marchio possono rappresentarne la “calamita”. La maggior parte degli outlet centers sono all’aperto, strutturati in linea o raggruppati a villaggio, anche se ce ne sono di chiusi.

Lifestyle Center: Nella maggior parte dei casi collocato vicino a quartieri residenziali ricchi, questo tipo di centro risponde ai bisogni commerciali e di “stile di vita” dei consumatori nel proprio bacino di riferimento. È configurato all’aperto, e comprende almeno 5.000 metri quadrati di negozi, occupati dalle grandi catene nazionali di prodotti di alta qualità. Altri elementi differenziano il lifestyle center nel suo ruolo multiplo di proposta per il tempo libero, come ristoranti e divertimenti, e un ambiente molto progettato con fontane e arredo urbano orientato al passeggio e a guardare le vetrine. A fungere da anchor, possono essere uno o più grandi magazzini o negozi di moda.

Tabella sinottica riassuntiva (versione originale)


TYPE OF SHOPPING CENTER CONCEPT SQUARE FEET (INCLUDING ANCHORS) ACREAGE TYPICAL ANCHOR(S) ANCHOR RATIO * PRIMARY TRADE AREA**
NUMBER TYPE

MALLS

Regional Center

General merchandise; fashion (mall, typically enclosed) 400,000–800,000 40–100 2 or more Full-line department store; jr. department store; mass merchant; discount department store; fashion apparel 50–70% 5–15 miles
Superregional Center Similar to regional center but has more variety and assortment 800,000+ 60–120 3 or more Full-line department store; jr. department store; mass merchant; fashion apparel 50–70% 5–25 miles

OPEN AIR CENTERS

Neighborhood Center Convenience 30,000–150,000 3–15 1 or more Supermarket 30–50% 3 miles
Community Center General merchandise; convenience 100,000–350,000 10–40 2 or more Discount department store; supermarket; drug; home improvement; large specialty/ discount apparel 40–60% 3-6 miles

Lifestyle Center

Upscale national chain specialty stores; dining and entertainment in outdoor setting. Typically 150,000-500,000, but can be smaller or larger. 10–40 0-2 Not usually anchored in the traditional sense but may include book store; other large-format specialty retailers; multi-plex cinema; small department store. 0-50% 8-12 miles

Power Center

Category-dominant anchors; few small tenants 250,000–600,000 25–80 3 or more Category killer; home improvement; discount department store; warehouse club; off-price 75-90% 5-10 miles
Theme/Festival Center Leisure; tourist-oriented; retail and service 80,000–250,000 5–20 N/A Restaurants; entertainment N/A N/A

Outlet Center

Manufacturers' outlet stores 50,000–400,000 10–50 N/A Manufacturers' outlet stores N/A 25-75 miles

(*) The share of a center’s total square footage that is attributable to its anchors;

(**) The area from which 60-80% of the center’s sales originate.

Bennington County Regional Commission (Vt.) Regional Plan [2002]; Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

I centri urbani

I due centri di attività a rango urbano della regione sono nelle aree dentro e attorno la zona terziaria principale di Bennington, e nel centro di Manchester. Entrambi contengono ampie zone commerciali che offrono un’ampia gamma di beni e servizi a un bacino di utenza multicentrico. Queste aree sono servite sia dalle reti dell’acquedotto pubblico, che dagli unici due sistemi fognari della regione; si tratta di infrastrutture che consentono maggiori concentrazioni di insediamento residenziale e commerciale/produttivo, di quanto non sia possibile altrove nella Bennington County. In quanto centri di popolazione e capoluoghi sia Bennington che Manchester ospitano strutture amministrative e varie funzioni e servizi pubblici. I loro nuclei centrali hanno problemi simili: carenza di parcheggi e congestione da traffico sulle strade principali ne sono solo due esempi.

Nello stesso tempo, le due cittadine sembrano avere molte somiglianze e molte differenze. Bennington ha una popolazione stabile superiore, mentre Manchester ha molti più residenti stagionali. L’economia di Bennington si basa in misura maggiore sull’industria manifatturiera e sta tentando di ampliare le attività. A Manchester, le attività dominanti sono il turismo e quelle collegate. Di conseguenza, molti dei negozi di Manchester sono punti vendita di grandi catene, che servono persone provenienti da fuori regione, mentre a Bennington ci sono più negozi di proprietà locale, che servono ai bisogni degli abitanti dell’area. L’insediamento commerciale fuori dal centro di Manchester consiste in gran parte di motel e ristoranti. Le fasce commerciali nelle zone simili, a Bennington sono caratterizzate da negozi di necessità quotidiana, ristoranti, stazioni di servizio, complessi commerciali con grande magazzino, supermercato alimentari, e funzioni simili. Di conseguenza, se le idee generali di urbanizzazione qui proposte si applicano sia alle parti commerciali di Bennington che di Manchester a causa delle loro similarità e del ruolo condiviso di poli regionali di crescita e sviluppo, vanno comunque riconosciute le relative differenze. Ciascuna di queste aree è anche oggetto di particolari destinazioni. Nell’area ex Village of Bennington (ora inclusa nella cittadina) esistono un quartiere storico e una zona a fiscalità speciale, con lo scopo di promuovere conservazione e vitalità economica. Il centro terziario di Bennington è sottoposto al Vermont Downtown Program e ha adottato particolari procedure di approvazione dei progetti. A Manchester sia il centro terziario che il Village possiedono un distretto storico e procedure particolari di approvazione dei progetti concentrate sulla tutela edilizia e urbanistica.

Gli strumenti di regolamentazione, gli investimenti pubblici in infrastrutture, gli studi particolareggiati di piano, i quartieri a tutela storica, le zone a regime fiscale preferenziale, la promozione di alcune iniziative private, tutti questi possono essere utilizzati per sostenere lo sviluppo e trasformazione dei centri città. Iniziative per lo sviluppo che possono essere orientate a consolidare i centri che contengono varie funzioni commerciali, economiche, strutture collettive che offrono un’ampia gamma di beni, servizi, attività culturali, occasioni di lavoro. Le attività industriali, che pure contribuiscono a diversificare e consolidare la base economica locale, devono essere localizzate in particolari zone urbane. Deve essere presente anche una varietà di tipi residenziali, nei centri. L’offerta di abitazioni deve essere disponibile in edifici mono e multifamiliari, con densità da sei a quaranta abitazioni per ettaro, in base alle forme dell’insediamento, al tipo di quartiere, alle possibilità infrastrutturali.

I Centri Commerciali

Uno shopping center è una struttura che può comprendere uno o molti negozi, di proprietà singola o multipla, organizzato per parti indipendenti coordinate o come un tutto unico. Per gli scopi di questo Piano, si applicano le seguenti definizioni:

Shopping center locale [ Convenience]: offre servizi per la vita quotidiana e beni di consumo corrente, come alimentari, farmaci, abbigliamento, casalinghi, e alcuni servizi (p. es., lavanderia, parrucchiere, sportello bancario, riparazione biciclette). Dimensioni – superficie commerciale lorda da 3.000 a 5.000 metri quadrati.

Shopping center urbano [ Community]: offre in vendita un’ampia gamma di merci (alimentari, abbigliamento, arredamento e accessori, articoli sportivi ecc.) e servizi alla persona e all’impresa; può anche comprendere un cinema e un grosso grocery store o grande magazzino discount. Dimensioni – superficie commerciale lorda da 5.000 a 30.000 metri quadrati.

Shopping center regionale ( shopping mall): offre una grande varietà di merci e servizi (simili ma su scala più ampia a quelli di uno shopping center urbano), è costruito di solito attorno a uno o più grandi magazzini ( anchor). Dimensioni – superficie commerciale lorda oltre i 30.000 metri quadrati.

Gli shopping centers, essendo una forma di insediamento commerciale diventata dominante attorno ai centri urbani, meritano attenzione particolare nel Regional Plan. Vari tipi e dimensioni sono adatti rispettivamente a diverse zone di piano; sia gli shopping centers locali, che urbani, che regionali possono essere localizzati nelle aree urbane, posto che siano progettati secondo le previsioni del presente Piano e coerentemente a piani e regolamenti locali. Gli shopping centers attirano clienti da un mercato regionale e possono esercitare impatti importanti, aumentando i flussi di traffico, stimolando uno sviluppo commerciale aggiuntivo nei terreni circostanti, trasformando le caratteristiche delle località. Un grande centro commerciale, o raggruppamento di essi, può anche danneggiare la vitalità delle aree commerciali esistenti nella medesima città o in quelle vicine. Dunque deve essere posta attenzione a localizzare e progettare i nuovi centri commerciali. Questi insediamenti devono essere utilizzati per rinforzare l’insediamento commerciale esistente, anziché costituirne uno diverso.

Le botteghe oscure gettano ombre. Gli spazi commerciali inutilizzati – come tutte le strutture vuote sono considerati un segnale di qualcosa che non funziona in città (secondo l’indicazione della American Planning Association, 2001). I mutamenti del mercato, il declino demografico, la concorrenza economica, si sono tradotti nello svuotamento di quello che era uno spazio vitale. Funziorari locali e proprietari di spazi vacanti (o sottoutilizzati) devono collaborare perché questi immobili vengano reinseriti nel mercato per usi appropriati. L’amministrazione di Bennington, la Better Bennington Corporation, e il nuovo proprietario, stanno con successo convertendo un ex edificio industriale (al 210 di South Street) in uno spazio attivo per il centro e tutta la città. Gli spazi commerciali inutilizzati possono anche trarre beneficio da associazioni di questo genere, e alcune comunità agiscono insieme ai proprietari per assicurare che gli spazi restino attivi.

Uno dei principali obiettivi di questo Piano è quello di promuovere la vitalità delle aree storiche dei centri urbani. I centri di Bennington e Manchester offrono molte opportunità per azioni innovative, che rendano la vita e lo shopping più attraenti. Il riuso adattivo di edifici (ad esempio la conversione di una vecchia fabbrica in spazi commerciali e appartamenti) e la realizzazione di spazi verdi in riva al fiume sono due modi di utilizzare risorse esistenti per offrire strutture necessarie, aumentando nel contempo l’attrattività del centro urbano. La tutela storica e le regole per la progettazione del nuovo possono essere attuate dalle amministrazioni cittadine per conservare i caratteri particolari dei principali quartieri e singoli edifici. Può anche essere utile per le città provvedere unità di intervento pianificato più ampie, e complessi multifunzionali, nei centri; questo modo di agire consente più flessibilità nell’applicazione delle regole di zoning, se un intervento sviluppa alcuni obiettivi generali della città e offre servizi pubblici. I complessi mixed use consentono di destinare i piani superiori a residenza se gli spazi commerciali sono difficili da affittare. È al lavoro una task force legislativa proprio sull’uso dei piani superiori, da cui ci si aspettano raccomandazioni entro il 2002. I Downtown improvement districts, finanziati da particolari strutture associative fra attività, possono raccogliere fondi e utilizzarli per realizzare o migliorare spazi pubblici all’aperto, parcheggi, strade, facciate, illuminazione, e altri programmi di rivitalizzazione ritenuti appropriati dalla municipalità. In realtà tutti questi tipi di intervento sono stati utilizzati in qualche misura sia a Bennington che a Manchester. Tali azioni innovative dovrebbero essere sostenute in quanto modi efficaci per promuovere la piena utilizzazione e godimento degli spazi urbani, a sostegno dello sviluppo regionale. Le Development Corporations locali (come la Better Bennington) offrono uno strumento per realizzare vari tipi di servizi e miglioramenti nel centro, dalla promozione alla trasformazione urbanistica.

Gli shopping centers e la costruzione dello spazio

Oggi, il sistema delle attività economiche di Bennington è caratterizzato da centri ben individuati, che comprendono il nucleo storico, parecchie piazze commerciali, a varie fasce stradali. Gli shopping centers sono: Ames (circa 11.000 mq.); Hannaford Plaza (circa 9.000 mq.); Monument Plaza (circa 13.000 mq.); Bennington Square (circa 15.000 mq.). Anche se sono stati fatti notevoli passi in avanti per migliorare il nucleo storico, gli shopping centers tendono a riflettere le caratteristiche suburbane della dipendenza da trasporto automobilistico, dei grandi parcheggi, della mancanza di correlazione l’uno con l’altro, e delle caratteristiche distintive e attrattive esclusivamente individuali. Detto in parole semplici, mancano di senso dello spazio. In molte località del paese i complessi commerciali, a causa delle grandi dimensioni e degli spazi vacanti, sono in via di trasformazione per diventare spazi di attività più vitali. Anche se nei nostri shopping centers di recente sono stati effettuati miglioramenti e ampliamenti, resta il problema di rafforzare varietà e coordinamento di questi nodi e fasce commerciali, verso un solo centro integrato di scala regionale. La realizzazione di una tale e attrattiva massa critica, rafforzerebbe la posizione economica di tutta l’area.

Nello stesso modo in cui il nucleo storico di Bennignton ha tratto beneficio da un piano strategico e dall’attuazione di alcuni interventi, c’è bisogno di un’azione simile negli altri centri di attività commerciale. Là dome le forze del mercato si preoccupano di determinare i tipi di attività insediati nell’area, una strategia per interconnettere e rafforzare i poli commerciali può beneficiare l’intero spazio del centro regionale. Dovrebbe essere costituito un comitato di orientamento che sviluppi un piano strategico che tenga conto sia della realtà del mercato che della necessitò di individuare una gamma di servizi, prodotti e sui dello spazio che possano essere complementari alle politiche urbanistiche delle città e regionali. Si dovrebbe prendere in considerazione anche una collaborazione pubblico/privato. I principi generali di questa azione dovrebbero comprendere: la posizione nel mercato; il sostegno della comunità; sviluppo di una visione e di un piano; mettere i risultati prima delle regole; massimizzare il coordinamento di funzioni; adottare di norma il mixed-use; aumentare le attività e spazi di dimensione umana, le densità, le caratteristiche particolari di tipo architettonico e di ambiente. La presenza di mezzi di trasporto pubblici e realizzazione di percorsi pedonali sono esempi di interconnettività, ma è certamente di ordine superiore la sfida per realizzare un centro vitale di scala regionale.

Il commercio Big Box

Le strutture commerciali big box (di grande scala) sono ampi edifici tipo magazzino, con dimensioni che variano da 2.000 a 20.000 metri quadrati. Dimensioni che cambiano a seconda del tipo di prodotti commercializzati (libri, merci assortite, materiali per l’edilizia, farmaceutici, ecc.). “ Power Center” è il termine utilizzato per descrivere varie forme di raggruppamenti di questi edifici big box, con superfici complessive che vanno da 25.000 a 100.000 metri quadrati. Gli insediamenti di dimensioni maggior tendono a localizzarsi verso le zone metropolitane con popolazione superiore a 50.000 abitanti, anche se possono esserci eccezioni.

Le ricerche indicano impatti sia positivi che negativi del commercio big box. Le questioni esaminate sono la possibilità di scelta del consumatore e i prezzi, la produzione o sottrazione di ricchezza locale, benefici e svantaggi in termini di occupazione, incrementi iniziali delle vendite al dettaglio, chiusura delle attività commerciali più piccole nei pressi dei big box. Egualmente importante è come questo insediamento di ampie dimensioni si adatti o meno a una città, considerando le politiche locali e regionali, le caratteristiche urbane, architetture, dimensioni, disponibilità di spazi e consumo di suolo, traffico, quadro ambientale.

[...]

Ai nuovi insediamenti commerciali si applicano le seguenti politiche

L’intensità dell’insediamento commerciale deve essere coerente alle caratteristiche del luogo e dell’area circostante. Nel caso di shopping centers, nei villaggi sono adatti quelli piccoli per i bisogni quotidiani, e i centri urbani possono ospitare quelli di scala cittadina o regionale (vedi le definizioni riportate sopra), in generale i centri commerciali non sono adatti alle zone rurali.

Shopping Centers e costruzione dello spazio. Occorre migliorare diversificazione e connessione di questi isolati nodi commerciali, entro un’integrata e attrattiva massa critica di attività, a rafforzare i centri città regionali. Occorre sostenere la collaborazione pubblico/privato per sviluppare strategie che assicurino la vitalità di tutte le concentrazioni commerciali, attraverso le funzioni miste.

Sostenere i negozi big box di dimensioni fra i 2.000 e gli 8.000 metri quadrati, con una progettazione adeguata dal punto di vista architettonico, di rapporto col sito, o che si aggiungano a zone commerciali esistenti. Questo non significa scoraggiare qualunque aumento di superficie, purché sia coerente a quanto affermato al punto 7.1. [non compreso in questo estratto].

I progetti devono anche mirare a: mescolare ed equilibrare le funzioni; ottimizzare il rapporto col sito compresa l’organizzazione complessiva compatta degli edifici, e parcheggi sottostanti gli edifici, o sopra, o sul retro; utilizzo della progettazione architettonica per rapportarsi all’ambienta stradale; comprendere scelte di mobilità, come il trasporto pubblico, marciapiedi e percorsi pedonali. Ridurre al minimo il traffico di automobili e camion di fornitori, tenendo in conto anche la realizzazione della prevista New Highway.

Gli insediamenti commerciali devono comprendere un progetto architettonico e di arredo a verde adeguato all’ambiente circostante.

Devono essere offerti, o richiesti come condizione di approvazione dei progetti, spazi e strutture pubblici (p. es., percorsi e sentieri pedonali, aree verdi con panchine, rastrelliere per biciclette, spazi per la sosta).

Deve essere ridotta al minimo la quantità di rumore, aloni, interferenza luminosa percepibile dall’esterno del complesso.

Parcheggi e aree di carico/scarico devono essere adeguatamente schermati ed efficacemente arredati a verde per miglioramento estetico, in particolare verso le strade e le aree residenziali circostanti.

Devono essere realizzate entrate ed uscite efficienti e sicure, ed evitare immissione su strade ove esista accesso in pendenza a distanza minore di 120 metri dai principali incroci. I complessi commerciali adiacenti devono utilizzare accessi comuni e parcheggi combinati ovunque possibile.

Si devono realizzare strutture comode e sicure per la circolazione pedonale, verificabili in sede di progetto.

Si devono evitare funzioni commerciali tali da generare deviazioni di traffico, su tratti di strada che non hanno caratteristiche adatte.

[...]

Nota: la presente relazione di Regional Plan è disponibile integralmente (in formato Word) al sito della Bennington County; si veda anche, a proposito dei big-box, l’articolo riportato da Eddyburg sul referendum cittadino contro la limitazione alle dimensioni massime stabilite per regolamento (f.b.)

City of Santa Rosa, Department of Community Development, Design Guidelines, Allegate al General Plan 2020(2002); Estratti a traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Centri e Distretti Commerciali



Scopo delle linee guida per il commercio

A. Incoraggiare una “progettazione di qualità superiore” dei centri commerciali e dei nuovi edifici nei distretti commerciali.

B. Assicurare che centri e distretti commerciali si integrino coi quartieri, tutelando questi ultimi da impatti ambientali negativi come rumore, traffico, inquinamento luminoso.

C. Assicurare che, nei casi in cui le residenze sono inserite nei distretti o insediamenti commerciali, esse siano compatibili in termini di circolazione pedonale e veicolare, rumori, odori, parcheggi, illuminazione degli spazi pubblici e altre questioni di progetto.

D. Incoraggiare i centri commerciali a integrarsi vantaggiosamente con le caratteristiche del sito.

E. Promuovere un’edilizia pensata specificamente per gli spazi che intende occupare.

F. Promuovere edifici pensati specificamente per la città di Santa Rosa.

G. Offrire comunicazione veicolare e pedonale diretta e sicura fra i centri commerciali e gli spazi residenziali adiacenti.

H. Offrire accessi veicolari chiari ed evidenti agli automobilisti, eliminando le incertezze e facilitando l’ingresso.

I. Creare ambienti pedonali gradevoli nei centri commerciali.

J. Promuovere l’arte pubblica nei maggiori centri commerciali.

K. Promuovere una progettazione a basso consumo di energia.

L. Sostenere quei centri e distretti commerciali che si dimostrano più sicuri, promuovere la sicurezza, sostenere gli sforzi di Polizia e Vigili del Fuoco per promuovere la sicurezza pubblica.

Linee guida per l’organizzazione urbanistica

A. CONDIZIONI LOCALI E VINCOLI DEL SITO

1. Incorporare nel progetto urbanistico le caratteristiche naturali, come gli alberi, gli elementi topografici, corsi d’acqua e vegetazione di sponda. Questi e altri elementi di carattere naturale devono essere considerati nella redazione del progetto generale. Deve essere fatto ogni tentativo ad esempio per conservare alcuni caratteri dominanti, come ad esempio gli alberi adulti. Nel caso in cui essi debbano venir rimossi, possono essere imposti interventi di mitigazione. Per quanto riguarda questi aspetti specifici, si veda l’Appendice ai paragrafi 17-24 del City Code che regola la rimozione e sostituzione di alberi.

2. Integrare i nuovi interventi entro il contesto preesistente.

3. Attenuare i rumori già in fase di progettazione generale e organizzazione degli edifici e barriere antirumore, in particolare quando nei pressi di quartieri residenziali. Il riferimento per i limiti acustici è al paragrafo 17-16 (Rumore) del City Code.

4. Attenuare i rumori degli impianti di refrigerazione, dei mezzi per la consegna merci e rimozione e compattamento dei rifiuti, e altre attività e macchinari che generano impatti acustici.

B. IL QUARTIERE E IL SISTEMA STRADALE

1. Quando i centri commerciali sono localizzati nei pressi di un quartiere residenziale, devono offrire negozi e altri servizi, quali: attrezzature di quartiere, uffici, abitazioni, e se necessario uffici municipali.

Questo tipo di intervento si integrerà meglio con l’area residenziale, costituirà un punto focale del quartiere, e offrirà tempi di attività più prolungati garantendo maggior sicurezza.

2. Quando i centri commerciali sono localizzati nei pressi di spazi pubblici, come i parchi, se ne orienti l’organizzazione generale verso questi spazi pubblici.

Si deve scoraggiare la realizzazione di pareti cieche posteriori degli insediamenti commerciali verso spazi pubblici.

3. Uno spazio commerciale deve essere facilmente accessibile agli abitanti della zona. Di conseguenza vanno realizzati percorsi di accesso diretto pedonale, dove legalmente possibile, dal quartiere circostante verso il centro, per ridurre il bisogno di usare l’automobile.

4. Quando gli spazi commerciali sono localizzati nei pressi di quartieri residenziali, offrire accesso diretto veicolare da quartiere. Evitare un sistema di circolazione che incoraggi l’uso dei parcheggi come scorciatoia d’accesso.

L’accesso diretto veicolare consente agli abitanti di entrare attraverso strade di rango locale, senza immettere traffico su quelle urbane o di comunicazione regionale.

5. Quando gli spazi commerciali sono localizzati nei pressi di quartieri residenziali, collocare gli ingressi di servizio in modo da ridurre al minimo il traffico veicolare attraverso la zona abitata.

6. Nei casi in cui siano comprese abitazioni entro il complesso commerciale, si consideri la possibilità di collocarle in modo che fungano da separazione fra le funzioni commerciali e gli spazi residenziali circostanti, esistenti o in progetto.

In generale, collocare residenze in fronte ad altre residenze risulta di maggior compatibilità che non collocare spazi commerciali o a parcheggio.

7. Negli insediamenti con grandi piazzali a parcheggio, definirne chiaramente gli accessi. Nei casi in cui ci sia alta densità di traffico, realizzare un numero di ingressi e uscite sufficiente a evitare strozzature.

8. Migliorare l’ambiente stradale, creando un’attraente spazio pedonale lungo i marciapiedi sul fronte del progetto, collocando alcuni edifici vicino al bordo stradale in modo da segnare l’allineamento e mascherare i parcheggi.

C. CONSIDERAZIONI GENERALI SUL SITO

Anche se centri e distretti commerciali sono utilizzati principalmente con l’automobile, devono essere presi in considerazione anche pedoni, ciclisti, utenti del trasporto pubblico.

1. Realizzare marciapiedi e zone piantumate che servano da separatore fra pedoni e veicoli. Piantare alberi per l’ombra e vegetazione più bassa ad attenuare l’impatto di corsie e parcheggi.

2. Dove esistono fermate del trasporto pubblico nelle vicinanze di un centro commerciale, offrire un percorso pedonale dalla fermata ai negozi.

Gli utenti del trasporto pubblico non devono essere obbligati ad attraversare spazi verdi, pieni di automobili, o parcheggi, per andare e venire dai negozi.

3. Offrire un’area ombreggiata dove i frequentatori del centro possano sedersi ad aspettare il passaggio del mezzo, o riposarsi durante lo shopping. La progettazione di questa zona deve essere coerente col resto del complesso o distretto.

4. Realizzare almeno un percorso pedonale che passi attraverso il parcheggio, nei centri commerciali di scala urbana e regionale. Dotarlo di un forte segno verticale che ne identifichi la localizzazione [...].

5. La sicurezza è un concetto molto importante nella progettazione dei parcheggi di complessi commerciali. A tale scopo, devono essere realizzate:

a. Entrate e uscite che offrano comunicazione sicura da e verso la strada. Vanno realizzate adeguate linee di corsia e distanziatori.

b. Nei centri di maggiori dimensioni (Community e Regional Shopping Centers) le aree a parcheggio non devono essere localizzate direttamente sul fronte dell’anchor store.

c. Non vanno collocati posti a parcheggio lungo le corsie di entrata e uscita ai piazzali di sosta, per una distanza minima di m. 4,5 dal filo interno del marciapiede, o di m. 7,5 dal filo interno del margine stradale, nel caso non esista marciapiede.

6. Nel caso in cui due spazi affiancati vengano occupati da complessi commerciali, prendere in considerazione l’ipotesi di un ingresso comune a entrambi.

7. Nel caso in cui le leggi statali richiedano un centro di riciclaggio, interno o meno al centro commerciale, inserire il progetto da subito all’interno del complesso, in modo da risolvere problemi come la circolazione, le schermature, l’uso di materiali coerenti alle altre strutture.

Come anche nel caso di altre attrezzature, è sconsigliato semplicemente tentare di aggiungerle in una fase successiva, in spazi residui.

8. Si faccia anche riferimento alla sezione 4.2 delle Parking guidelines per quanto riguarda i parcheggi su piazzale.

D. FUNZIONI MISTE

1. Quando coesistono funzioni commerciali e residenziali, si deve accuratamente accertarne la compatibilità.

Per esempio, gli appartamenti posti sopra studi professionali o negozi di piccole dimensioni, in genere sono usi misti compatibili perché i livelli relativamente bassi di attività delle funzioni commerciali non hanno impatti negativi sui residenti. D’altra parte, appartamenti posti sopra una funzione commerciale con alti volumi di attività, come un ristorante fast-food, in genere non costituisce una miscela di funzioni compatibile perché il traffico di clienti, il rumore, gli odori, protratti per lunghe ore del giorno e della notte possono interferire con la tranquillità delle residenze.

2. Considerare il principio generale di “Simile di fronte a Simile” nella progettazione di complessi a funzioni miste.

Quando nei complessi a usi misti si inseriscono diverse funzioni in diversi edifici (misto orizzontale contro misto verticale) il retro dei fabbricati è spesso il punto ideale per costruire una transizione da un uso all’altro. Collocando commercio al di là della strada di fronte ad altro commercio, e residenza di fronte a residenza, non si verificano sulla via i conflitti associati alla compresenza di diverse funzioni. I conflitti connessi a usi differenti, come orari sfalsati, rumori, odori e via dicendo, risultano meno problematici quando si verificano nel vicolo secondario di servizio.

3. I macchinari generatori di rumore, come i condizionatori d’aria, ventilatori, impianti di refrigerazione ecc., devono essere collocati (e dove necessario alloggiati) in modo da ridurre il livello di rumore percepibile da terzi, come residenti o passanti. Va tenuto in considerazione che sia il Regolamento di zoning che le leggi statali fissano un massimo di rumore tollerabile per le zone residenziali.

È possibile venga richiesto uno studio preventivo sui livelli di rumore, come parte della documentazione di progetto. A questo proposito va consultato per i particolari il personale del Department of Community Development.

4. Quando si combinano le funzioni commerciali con quelle residenziali, si tragga vantaggio dall’uso comune dei parcheggi, così come consentito dallo Zoning Code cittadino. Oltre ai parcheggi condivisi, va considerato come avverrà, questa condivisione. Ci saranno spazi riservati ai residenti? In alcuni complessi mixed use ad alta densità, può essere utile richiedere una modifica degli standards per i parcheggi coperti.

E. IL VERDE

1. Il tipo preferito dall’amministrazione per i grandi piazzali di sosta è il cosiddetto “Parcheggio a Frutteto”. Il riferimento è alla sezione 4.2 delle Design Guidelines [non compresa in questo estratto, che riguarda esclusivamente il punto 3 n.d.T.].

2. Realizzare una striscia di terreno che sarà piantumata a cespugli e alberatura stradale lungo le vie di affaccio. Quando esiste la possibilità di parcheggio lungo la strada, si realizzeranno marciapiedi alberati. Si vedano le sezioni 1.2 e 1.3 delle Design Guidelines per ulteriori informazioni sulla configurazione di strade e marciapiedi.

3. La progettazione degli arredi stradali, degli accessori e impianti di illuminazione deve essere uniforme e coerente.

4. Oltre all’arredo a verde, i grandi centri commerciali devono prendere in considerazione l’inserimento di elementi di arte pubblica.

5. Si faccia riferimento alla sezione 4.1- Landscaping, per informazioni generali su questi punti.

6. La progettazione delle pareti esterne lungo il perimetro dei complessi commerciali deve essere coerente all’architettura dell’edificio.

F. ILLUMINAZIONE

1. Realizzare un livello di illuminazione uniforme, che offra sicurezza nelle ore notturne.

2. Utilizzare sostegni o pali di altezza non superiore ai 5 metri.

3. Si faccia attenzione a collocare strutture particolari, come gli sportelli per il prelievo di denaro, zone di vendita ecc., in modo che il livello di illuminazione più alto non disturbi i vicini.

4. L’invasione luminosa delle proprietà adiacenti non deve essere significativa. Per assicurare ciò, gli elementi illuminanti vanno schermati e dotati di ottiche limitate.

5. I percorsi pedonali devono essere illuminati da sorgenti di luce più vicine a terra di quelle dei piazzali a parcheggio. Tali fonti di luce devono essere poste a un’altezza non superiore a 3,5 metri. La collocazione delle fonti di luca va coordinata con quella degli alberature, per offrire distanze regolari e illuminazione, riducendo al minimo il fogliame che può impedire alla luce di raggiungere il percorso pedonale.

6. È raccomandato l’uso di illuminazione mirata per sottolineare le forme architettoniche degli edifici. Si sconsiglia comunque l’uso della luce come forma di pubblicità, in particolare con illuminazioni eccessivamente brillanti.

Oltre ad essere una forma inappropriata di pubblicità, l’illuminazione eccessiva di notte è pericolosa per gli automobilisti, dato che la luce intensa dilata le pupille e, una volta superata, causa un offuscamento della visuale.

[...]

Nota: al sito del Department of Community Development di Santa Rosa, il testo originale e integrale di queste Design Guidelines, e gli altri documenti di pianificazione cittadina; in questa sezione di Eddyburg, si veda almeno la regolamentazione commerciale nel piano della Sonoma County, di cui la città di Santa Rosa è capoluogo (f.b.)

Sonoma County General Plan 2020 (versione adottata dal Consiglio di Contea nel 2005)– Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini



POLITICHE PER L’INSEDIAMENTO COMMERCIALE

Il piano prevede tre categorie di funzioni commerciali: “Commercio Generale” consente tutti i tipi di destinazione commerciale ed è prevista sole nei terreni compresi nell’area dei servizi urbani.

”Commercio Limitato” consente un gruppo più ristretto di attività, e si applica alla zona sia interna che esterna a quella dei servizi urbani. Nelle zone rurali, questa categoria può limitare il commercio alle funzioni di servizio locale. In quelle rurali prive di servizi di acqua e fogne, ci possono essere ulteriori limitazioni all’attività commerciale.

La destinazione a “Commercio Generale” o “Commercio Limitato” consente la presenza di una miscela di funzioni sia commerciali che residenziali, dove la compresenza sia compatibile. È auspicata l’integrazione degli usi misti, e sono inserite norme che assicurano opzioni per un eventuale futuro uso commerciale.

La categoria “Tempo libero e attività per non residenti” consente attività rivolte ai visitatori, come ristoranti, alberghi, campeggi attrezzati, strutture turistiche, marine, campi da golf, e altre funzioni simili.

Altre norme saranno incluse nelle ordinanze di zoning e per le lottizzazioni. In alcune zone della contea, altre precisazioni potranno essere contenute nelle politiche di area, in piani particolari per la zona, in linee guida alla progettazione di zona.

Alcune aree destinate alle categorie degli usi commerciali, contengono anche previsioni per progetti di edilizia convenzionata. Alcune zone nelle Urban Service Area sono classificate Affordable Housing Combining District, per offrire ulteriori spazi a progetti che siano al 100% orientati a famiglie con reddito molto basso, basso, o modesto.

Politiche per le zone a “Commercio Generale”



Scopo e descrizione. La classificazione Commercio Generale si riferisce a spazi a uso commerciale intensivo a servizio di una miscela di attività, residenze, uffici di scala urbana anziché di solo quartiere. Si tratta di funzioni come il commercio qualificato e i servizi non su base quotidiana.

Questa categoria offre anche gli spazi misti di residenza e commercio nelle zone classificate urban service area.

Funzioni consentite. Sono consentite tutte le funzioni commerciali, con l’eccezione degli shopping centers di scala regionale. Gli usi principali vanno da grandi magazzini e negozi specializzati, ad attività con grande consumo di spazio quali il commercio di vernici, pneumatici, tappezzeria, legname, materiali per la casa, alimentari. Sono compresi anche il commercio all’ingrosso e altri usi e servizi ingombranti. Ricadono in questa classificazione gli uffici professionali, amministrativi, finanziari, medici e altre attività simili, che occupano una superficie lorda di pavimento superiore ai 500 metri quadrati. Funzioni residenziali e commerciali possono essere comprese in un singolo complesso edilizio quando siano chiaramente compatibili, e venga offerta una qualità di progettazione superiore, tale da consentire un ambiente vivibile e integrato. In queste zone si può considerare anche l’introduzione di abitazioni unifamiliari, invece delle funzioni commerciali, se ammesse dall’azzonamento. Nell’ordinanza di zoning dovranno essere più precisamente definiti gli usi consentiti e le relative dimensioni, altezze, rapporti di copertura e altri standards che definiscono il tipo di insediamento.

Densità consentite e criteri generali. In generale le strutture edilizie non dovrebbero superare più del 50% della superficie totale e l’altezza di 10 metri. Può essere presa in considerazione un’altezza superiore, se una conseguente riduzione della copertura impedisce un aumento della densità edilizia generale. Gli spazi commerciali sono sottoposti alle procedure di approvazione correnti dei progetti, e devono essere forniti di parcheggi propri.

Può essere presa in considerazione una miscela di funzioni commerciali e residenziali nei casi in cui sono disponibili servizi urbani, e nell’ambito di un piano urbanistico di area. Le proporzioni più adeguate fra residenza e attività non residenziali saranno specificate nell’Ordinanza di Zoning, e la funzione residenziale dovrà essere secondaria rispetto a quella commerciale, a meno che le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato.

Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:

(1) I terreni devono essere localizzati entro l’area dei servizi urbani.

(2) Le attrezzature pubbliche devono essere disponibili, o previste dal piano.

(3) I terreni devono essere direttamente o facilmente accessibili da arterie principali di comunicazione, o ad esse collegate.

(4) I terreni devono essere nei pressi di altre funzioni commerciali, ma non devono formare fasce continue lungo le strade.

(5) I terreni non devono essere localizzati in aree di sensibilità ambientale, o di rischio rispetto a frane o esondazioni.

(6) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.

Politiche per le zone a “Commercio Limitato”



Scopo e descrizione. La classificazione “Commercio Limitato” si riferisce a spazi in cui sono limitate le funzioni ammesse. Limitazioni particolari possono essere specificate nelle indicazioni per ciascuna zona. Le aree a commercio limitato sono intese ad ospitare commercio e servizi per l’autosufficienza quotidiana dei quartieri urbani o insediamenti rurali. Questa categoria può anche offrire opportunità all’insediamento di funzioni miste residenziali e commerciali nelle zone classificate urban service area e quando consentito dall’ordinanza di zoning anche abitazioni unifamiliari in luogo degli usi commerciali.

Funzioni consentite.La gamma e dimensioni degli usi consentiti possono variare da luogo a luogo, ed essere stabilite da piani di zona. L’ordinanza di zoning può anche specificare ulteriormente le funzioni consentite e le dimensioni, altezze, rapporti di copertura e altri standards di questo tipo di insediamento. È possibile combinare usi commerciali e residenziali entro un singolo complesso entro le zone urban service area, posto che una superiore qualità progettuale consenta un ambiente integrato e vivibile.

Densità consentite e criteri generali. I lotti non possono avere dimensioni inferiori a 6.000 mq in caso di pozzi d’acqua e sistemi di smaltimento individuali, e di 4.000 mq in caso di allacciamento alle reti cittadine. Le strutture edilizie in genere non dovrebbero coprire più del 50% della superficie, e superare i 10 metri d’altezza. Può essere presa in considerazione un’altezza superiore, se una conseguente riduzione della copertura impedisce un aumento della densità edilizia generale. Gli edifici delle funzioni commerciali, e delle strutture Single Room Occupancy Units devono essere approvati secondo le procedure correnti, ed essere dotati di parcheggi propri. Le Single Room Occupancy Units devono essere di dimensioni limitate, per contenere i costi.

Si possono prendere in considerazione compresenze di funzioni residenziali e commerciali dove sono disponibili servizi urbani, e come parte di un piano urbanistico d’area. L’ordinanza di zoning specificherà le quote di funzioni residenziali e non-residenziali, stabilendo quella residenziale come secondaria, salvo nei casi in cui le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato.

Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:

(1) I terreni devono essere direttamente o facilmente accessibili da arterie principali di comunicazione, o ad esse collegate.

(2) La quantità di aree destinata a funzione di commercio limitato dovrà essere coerente alla crescita di popolazione prevista per il bacino di mercato locale. Si prevedono quantità molto limitate di questo tipo di aree al di fuori della zone dei servizi urbani.

(3) Nelle zone non comprese all’interno di municipi [ unincorporated] ..., queste zone dovranno essere vicine ad altre funzioni commerciali, o ad aree locali di popolazione concentrata.

(4) Non sono consentiti, nelle zone unincorporated, insediamenti a “commercio limitato” al di fuori delle zone descritte al punto precedente.

(5) I terreni non devono essere localizzati all’interno di corridoi panoramici, eccetto nei casi delle zone unincorporated.

(6) Nelle aree rurali, questi spazi possono essere limitati ad un solo lotto edificabile, che possa essere servito da un singolo pozzo e sistema di smaltimento.

(7) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.



Politiche per le zone a “Commercio Limitato” – Aree con problemi di traffico



Scopo e descrizione. Questa destinazione riguarda località simili a quelle a “Commerico Limitato”, ma che sono interessata da gravi problemi di congestione del traffico. Particolari sugli impatti del traffico possono essere specificati nelle norme per ciascuna zona, o nell’ordinanza di zoning.

Funzioni consentite. La gamma e/o dimensioni delle funzioni consentite variano a seconda delle località e dei problemi di traffico, in modo simile alla categoria “Commercio Limitato”. Il traffico medio prodotto quotidianamente da alcune aree a commercio limitato, è calcolato dallo Institute of Transportation Engineers, e viene pubblicato periodicamente nel manuale tecnico Trip Generation.

Densità consentite e criteri generali. Vale quanto stabilito per le aree “Commercio Limitato”, con ulteriori vincoli riguardo al traffico da specificarsi nell’ordinanza di zoning. Si utilizzeranno i particolari livelli di traffico quotidiano, insieme al manuale Trip Generation, pubblicato dallo Institute of Transportation Engineers, per determinare le densità e tipi di funzioni consentite.

Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:

(1) Quelli elencati per le zone a “Commercio Limitato”.

(2) I terreni devono essere localizzati in un’area soggetta a grave congestione da traffico, nei pressi di un’arteria o svincolo, previsti da questo o da altri piani per la zona.



Politiche per zone a “Tempo libero e attività per non residenti”



Scopo e descrizione. Questa classificazione riguarda gli spazi per il tempo libero all’aperto e i relativi servizi di tipo commerciale necessari ai visitatori di passaggio. Lo scopo è quello di limitare questo tipo di insediamenti alle località più appropriate. Questa categoria offre anche opportunità di mescolare funzioni residenziali e commerciali nelle aree dei servizi urbani.

Funzioni consentite.Gli usi principali sono il tempo libero all’aperto e le funzioni commerciali legate al turismo, come i campi da golf, da tennis, marine, per le corse, poligoni di tiro e simili, di proprietà privata. Altre funzioni includono campeggi, parchi veicoli connessi al tempo libero, alloggi per turisti, strutture per il tempo libero al coperto, centri di informazione turistica, musei, ristoranti e altri usi rivolti ai visitatori. Le funzioni residenziali, e quelle commerciali per il tempo libero rivolte ai visitatori, possono essere combinate entro un singolo insediamento quando la residenza sia evidentemente compatibile con gli altri usi, e quando un livello progettuale superiore consenta un ambiente integrato e vivibile. Nei modi specificati eventualmente da piani di zona, entro questa categoria possono essere collocate anche abitazioni unifamiliari in luogo di funzioni commerciali. Altrimenti, la funzione residenziale è limitata all’abitazione del custode di ciascun complesso commerciale o per il tempo libero; oppure, all’occupazione di lungo termine a scopo residenziale di veicoli a traino negli spazi riservati, che hanno ottenuto apposita approvazione statale. L’ordinanza di zoning può specificare ulteriormente le funzioni consentite in questa categoria, e le quantità, altezze, rapporti di copertura e altri standards relativi a questo tipo di insediamento.

Densità consentite e criteri generali. I lotti non possono avere dimensioni inferiori a 6.000 mq in caso di pozzi d’acqua e sistemi di smaltimento individuali, e di 4.000 mq in caso di allacciamento alle reti cittadine. Le strutture edilizie e parcheggi in genere non dovrebbero coprire più del 50% della superficie, e l’altezza massima non dovrebbe superare i 10 metri. È possibile prendere in considerazione un aumento delle altezze se si accompagna a una riduzione della copertura, e quindi non aumenta in generale la densità edilizia. Le strutture di alloggio non possono superare le 50 stanze per complesso nelle zone rurali, e le 200 per le localizzazioni urbane. Possono essere autorizzate strutture fino a 100 stanze nelle zone rurali, se servite dalla rete fognaria, a condizione che questi usi siano compatibili e non interferiscano negativamente con le circostanti funzioni agricole, residenziali, l’ambiente. Le single room occupancy units e le altre strutture commerciali e per il tempo libero devono essere approvate tramite la procedura di revisione dei progetti. Le single room occupancy units dovranno essere di dimensioni limitate per assicurare bassi costi. La Zoning Ordinance dovrà stabilire le particolari proporzioni di usi residenziali e non-residenziali stabilendo che la funzione residenziale sia secondaria rispetto a quella commerciale, salvo nei casi in cui cui le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato. Per consentire l’uso a funzioni residenziali di lungo periodo degli spazi a parcheggio veicoli nelle zone ad attrezzature per il tempo libero, sono necessarie procedure di autorizzazione urbanistica e edilizia; le norme di zoning dovranno in questo caso specificare i criteri di approvazione, inclusi i permessi statali, le verifiche di sovraffollamento, tutela dei minori, la collocazione al di fuori delle aree di esondazione, accertata disponibilità di acqua potabile e scarichi, servizi privati, accessibilità e parcheggi, mascherature, arredo a verde, recinzioni, gestione dei rifiuti, manutenzione ordinaria, aspetto esteriore.

Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:

(1) I terreni devono essere accessibili da una strada di contea o statale, preferibilmente di grande comunicazione o connessione.

(2) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.

(3) La destinazione deve essere coerente alla parte del piano denominata Agricultural Resources Element e agli scopi e obiettivi di tutela delle terre agricole della parte Land Use Element.

(4) La località deve essere interna o vicina a una Urban Service Area.

(5) L’uso della località per i servizi ai visitatori e le funzioni di tempo libero deve essere compatibile con gli usi circostanti e le caratteristiche della zona.

(6) Il traffico potenzialmente generato dall’uso del sito deve essere inserito nel capitolo “Level of Service Objectives and Road Standards” del Circulation and Transit Element.

(7) La destinazione a questi usi non deve risultare in una diminuzione delle abitazioni di edilizia convenzionata, né entrare in conflitto con scopi, obiettivi e politiche generali della parte di piano denominata Housing Element.

(8) L’uso commerciale, di servizi al visitatore, per il tempo libero, deve essere compatibile con le attività agricole circostanti, e non deve impedire o limitare usi agricoli presenti o futuri.

Nota: qui tutta la documentazione del General Plan 2020, al sito della Sonoma County; per una precisazione a scala cittadina, possono essere utili le Design Guidelines del capoluogo di contea, Santa Rosa, disponibili qui in italiano; nella sezione di Eddyburg Urbanistica/"Esperienze d'Oltralpe e Oltre Oceano" , anche alcuni testi che spiegano il meccanismo di pianificazione californiano e l'articolazione per "Elements" dei documenti (f.b.)

Titolo originale: Vt. Residents Reject Big-Box Restrictions – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

In una seguitissima consultazione, gli abitanti hanno votato contro i limiti alle dimensioni dei negozi big-box, fissati ad un massimo di 7.500 metri quadrati per cercare di fermare l’ampliamento di un complesso Wal-Mart.

”Voglio un Wal-Mart più grande”, dice Jessica Caron, ventiseienne mamma di tre figli impiegata alla stazione di servizio Mobil di fronte all’attuale magazzino.

Si pensava che il regolamento, approvato in dicembre, dividesse la città più o mneo in due, ma il limite alla dimensioni dei big-box è stato bocciato con ben 2.189 voti contro 1.724. La partecipazione è stata del 40% sui 9.650 elettori registrati: piuttosto grossa, per una consultazione del genere.

Militanti hanno distribuito migliaia di volantini chiedendo agli abitanti di sostenere il limite massimo, e impedire i progetti di Wal-Mart di portare la superficie a oltre 10.000 metri quadri. La campagna anti-limiti ha diffuso messaggi radiofonici a sostegno della sua causa.

La vittoria della Wal-Mart Stores Inc. arriva a seguito di una martellante campagna sostenuta dal costruttore dell’Ohio Redstone Investments.

”Sono molto contento per la gente di Bennington, Vermont”, dice il socio della Redstone, Jonathan Levy. “Sono andati al Comune, e hanno dimostrato quello che pensavano dell’intera faccenda”.

La Planning Commission cittadina e il Select Board avevano esaminato a lungo la questione, e sostenevano in modo unanime il regolamento sui limiti. Allora gli oppositori hanno raccolto più di 1.000 firme e hanno promosso un referendum alla città.

Alicia Romac del gruppo a favore dei limiti Citizens for a Greater Bennington, afferma che avrebbe voluto lasciar decidere al consiglio comunale. “Si tratta di interessi particolari che si intrecciano con quelli generali della città, non mi pare il modo di gestire una questione di politica locale”.

La battaglia politica che ha portato al voto ha sollevato molti degli abituali argomenti sul commercio big-box, con qualcuno a dire che un Wal-Mart più grande avrebbe fatto fallire i negozi del centro. E altri a dire che quei negozi avevano bisogno di concorrenza.

Wal-Mart è sotto osservazione in tutto il paese per i suoi effetti su cose che vanno dal suo rapporto coi lavoratori, a quelli con gli altri esercizi commerciali, al traffico che generano i suoi negozi. Lo scorso mese la compagnia ha dovuto pagare la somma record di 11 milioni di dollari per aver usata centinaia di immigrati illegali a pulire i pavimenti dei negozi, in 21 stati.

Nel 1993, due anni prima che aprisse il Wal-Mart di Bennington, il National Trust For Historic Preservation aveva inserito l’intero stato del Vermont nella sua lista delle “10 località più in pericolo” dichiarando che il pericolo si chiamava “ Sprawl-Mart”.

Vermont è rientrato nella lista l’anno scorso, quando il National Trust ha affermato che la sua “magia particolare” di villaggi storici e paesaggi bucolici era minacciata da “un’invasione di mostruosi negozi che potrebbero distruggere quello che rende Vermont il Vermont”.

Il voto di Bennington, una cittadina di 16.000 abitanti nel sud-ovest dello stato, è stato seguito con attenzione dai legislatori di Montpelier, dove un progetto di legge vorrebbe limitare in tutto lo stato i negozi a 5.000 metri quadrati.

Uno dei principali sostenitori del progetto, il senatore repubblicano Vincent Illuzzi, ha detto che sta rivedendo le sue posizioni, e iniziando a credere che la questioni dovrebbe essere lasciata alle singole amministrazioni locali.

”Sono certo che ci sono negozi a Bennington che non esisteranno più fra tre o quattro anni” dice. “Tanto di cappello a Wal-Mart e al costruttore ... Questo dimostra che la compagnia intende investire il dovuto per costruire un negozio, quando vuole costruire un negozio”.

Nota: qui il testo originale sul sito di Forbes; per confronto e maggior completezza (la notizia è stata ripresa quasi subito fino a Honolulu) si veda almeno la notizia come riportata dal sito New Rules il 7 aprile, con links a vari documenti; qui su Eddyburg, qualche precedente del caso Vermont/Wal-Mart riassunto mesi fa dal sottoscritto (f.b.)

Titolo originale:The Mall Goes Undercover. It now looks like a city street – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

I centri commerciali, come adolescenti insicuri, cambiano look di continuo. Si strappano via tetti e corridoi di pareti lisce; aggiungono piazze all’aperto, marciapiedi, parcheggi sui lati della strada; e si ribattezzano, “ lifestyle centers”. Questo nuovo aspetto ricorda qualcosa: una vibrante strade urbana. Ma anche se questi nuovi centri commerciali possono sembrare spazi pubblici, non lo sono per niente, almeno se si vuole fare qualunque cosa diversa dallo shopping. Rappresentano un altro dei soliti cambi di aspetto per attirare il cliente da parte dei costruttori, che stavolta confonde lo spazio commerciale con quello pubblico. Hanno anche un enorme successo: l’ultimo conteggio da’ circa 130 lifestyle centers sparpagliati per tutto il paese. Nel 2006, New York City inaugurerà il primo in città.

Un sabato di recente, in cerca di futuro, sono stato a un lifestyle center fuori Phoenix chiamato Desert Ridge Marketplace. Dopo aver parcheggiato la mia Chevrolet a noleggio di fronte a un emporio big-box chiamato Barbeques Galore, sono entrato nei portali ad arco che decorano l’ingresso dello spazio commerciale. Dentro, ristoranti e negozi allineati lungo un serpeggiante e stretto percorso pedonale all’esterno, aperto su una serie di piccole piazze. C’erano sedie di vimini imbottite sparse attorno in modo casualmente studiato, e un enorme camino in pietra con delle panche sistemate attorno, per via di queste notti fredde nel deserto. Un posto ideale per gustarsi un Frappuccino.

Poi, ho guidato solo una ventina di chilometri lungo la strada, fino a un altro lifestyle center, Kierland Commons, con un atmosfera più residenziale. Da subito sembra un vero quartiere, pieno di attività. I marciapiedi sono ombreggiati da pergolati in fiore, e le strade ristrette agli angoli, per dare tacita precedenza ai pedoni. Una piazza urbana con un buon caffè e un palco per l’orchestra offre uno spazio centrale di incontro. Gli opuscoli promozionali di Kierland Commons vantano un “villaggio urbano unico” e un “piacevole e vivace spazio dove prende forma la città e si svolge la vita collettiva”. A dire il vero mentre stavo lì in piedi a guardare, c’era un cantante jazz che attirava attenzione, chinandosi a far la serenata a un bichon frisé di passaggio. La folla fa ooh! E poi, ci sono anche le ragazze Phoenix Suns!

Questa è la vita civica dell’America, più o meno nel 2005, e si sta diffondendo. Lo International Council of Shopping Centers stima che verranno aperti altri 17 lifestyle centers entro quest’anno. Il costruttore di Memphis Poag & McEwen ha coniato in termine a fine anni ’80, ma la maggior parte di questi centri sono stati realizzati negli ultimi due anni, di solito nei pressi di sobborghi ricchi. Sono grandi aree commerciali all’aperto progettate per sembrare strade di città, con particolare enfasi su ristoranti e altri spazi per guardare la gente. C’è anche quello che gli urbanisti chiamano mixed-use: un po’ di residenza, qualche ufficio e, occasionalmente, vere persone che abitano in appartamenti sopra i negozi. Alcuni – come il Santana Row a San Jose, California – sono così curati nei dettagli, concepiti con attenzione, pieni di gente nelle sere di fine settimana, che si giurerebbe di stare a Barcellona, Firenze, o nella zona nord di Broadway.

I costruttori di centri commerciali pensano che i lifestyle centers miglioreranno le fortune dei malls di medie dimensioni, che hanno perso clientela a favore dei megamalls. Sin da quando Vicotr Gruen ha realizzato il suo primo centro commerciale chiuso in un sobborgo di Minneapolis nel 1956, le dimensioni sono andate via via crescendo. Con gli anni, i centri sono diventati mostri che servono intere regioni, come il King of Prussia Mall in Pennsylvania o il Mall of America in Minnesota. Tutti questi centri commerciali girano le spalle a quanto gli sta attorno e concentrano la propria attività su, e all’interno di, se stessi. Al contrario, i lifestyle centers fanno un gesto di apertura verso il proprio ambiente. Con le loro reti stradali e marciapiedi, comunicano la sensazione di star fuori, in giro per il mondo. I costruttori sperano che, puntando su comodità e attrazioni di tempo libero, la gente verrà più spesso, e si fermerà più a lungo.

A differenza delle precedete reinvenzione del centro commerciale, come “festival marketplace”, i lifestyle centers non tentano di evocare un passato idilliaco. Faneuil Hall a Boston, aperto nel 1976, e South Street Seaport a New York, inaugurato nel 1983, innestavano l’idea del centro commerciale sul mercato storico, sperando di rendere lo shopping simile al turismo. Nei lifestyle centers, il tema più evidente è la città stessa. Gli ideatori riconoscono che “shopping” è solo uno dei tanti passatempi urbani, come mangiare nei ristoranti, guardare la gente, i concerti all’aria aperta, ammirare opere d’arte. La cosa più incredibile è che i lifestyle centers fanno tutte le cose che gli urbanisti hanno chiesto per anni come strumento per contrastare lo sprawl: sistemare più cose in meno spazio, combinare una miscela di funzioni, utilizzare un sistema stradale progettato nei dettagli per creare un ambiente pubblico: il “ballo del marciapiede”, nell’affascinante descrizione di Jane Jacobs. L’ironia è che tutto sembra troppo perfetto: ora i centri commerciali sono progettati per sembrare i centri città commerciali che hanno sostituito. Che dolce vendetta, per i raffinati cittadini!

Macché. I lifestyle centers sono spazi di proprietà privata, accuratamente isolati dal disordine della vita pubblica. Desert Ridge, per esempio, ha un rigoroso codice di comportamento, stampato sotto le guide. L’elenco delle cose vietate comprende “attività espressive non commerciali”, per non parlare del “fissare in modo eccessivo” o “scattare foto” filmare o fare registrazioni audio di qualunque negozio, prodotto, dipendente, cliente o funzionario”. Sono comunque consentite “foto delel feste commerciali con addobbi commerciali come sfondo”.

È questo il nostro spazio pubblico? I lifestyle centers non sono peggio dei centri commerciali come luogo di incontro; in effetti sono progettati molto meglio, e riescono a catturare molti dei piaceri del passeggio su una strada urbana. Ma se pensate per un momento che, in quanto società, stiamo diventando un po’ confusi per quanto riguarda il nostro diritto di libera espressione, allora il lifestyle centers sono un ottimo bersaglio. C’è qualcosa di lievemente malsano negli spazi pubblici artatamente progettati per attirare gente ricca e farla sentire a suo agio (almeno il centro commerciale tradizionale non tentava di nascondere il fatto di essere un centro commerciale). Il lifestyle center è un bizzarro prodotto collaterale della mentalità suburbana: la gente vuole spazio pubblico, anche se l’unico modo di ottenerlo è renderlo privato.

Nel 2006, il Ridge Hill Village Center, un “ enhanced lifestyle center” progettato dal noto architetto Hugh Hardy, aprirà a Yonkers, N.Y. Oltre ai negozi e ai cinema, ci saranno spazi per uffici, un albergo e un centro congressi, e 800 abitazioni da affittare, il 10% delle quali si adegua addirittura all’ordinanza di Yonkers sulle case a prezzi concordati. Al centro ci sarà Town Square, uno spazio “pubblico” modellato su Gramercy Park. Sarà bellissimo. Solo: non tentate di dire il contrario.

Nota: la stessa opinione di questo articolo è sostenuta da una nota del 17 febbraio 2005, nientemeno che sul sito dello International Council for Shopping Centers: i cosiddetti lifestyle centers stanno transustanziando in mall, e viceversa. Anche su Eddyburg è già disponibile un articolo su questo modello commerciale di retailtainment. Qui, infine, il testo originale al sito di Slate, che tra l’altro contiene i links ai progetti citati nel testo, con altre informazioni e immagini (f.b.)

Nota: i due testi che seguono provengono da fonti diverse. Sono comunque complementari, e vale la pena riportarli insieme: prima un articolo di giornale che descrive brevemente il dibattito sul documento, poi lo stesso documento (f.b.)

Judith Davidoff, La città fissa regole per il commercio big-box, The Capital Times, 30 marzo 2005; Titolo originale: City Sets Rules For Big Box Stores – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Dopo quattro anni di discussione, Madison ha approvato un’ordinanza relativa alla progettazione di insediamenti commerciali “ big box”.

Sollecitando quello che sarebbe stato l’ultimo passaggio istituzionale di questa revisione normativa, l’assessore Ken Golden ha detto che le nuove regole serviranno a “rendere più urbano il big box”.

”Migliorano molto i requisiti estetici” ha dichiarato. Golden aggiunge che l’ordinanza migliorerà anche l’accessibilità pedonale.

”Sto tentando di proporre qualcosa su cui chi realizza questi negozi possa lavorare. Credo che cambierà il loro modo di presentarsi, e che se ne continueranno a realizzare, a Madison”.

Gli oppositori dei big box gridano contro il mare d’asfalto che circonda questi insediamenti superstore. Dicono che questi dilaganti e anonimi negozi sono brutti, ambientalmente dannosi, e probabile bacio della morte per il piccolo commercio esistente, che altrimenti prospererebbe nelle città e cittadine.

Approvando la sua ordinanza sui big box, Madison si aggiunge ad altre città del paese che hanno cercato di regolamentare questo tipo di insediamenti per alleviare alcuni degli impatti negativi.

Golden ha presentato l’ultima stesura dell’ordinanza al Consiglio giovedì, dopo aver utilizzato un rinvio di 60 giorni per consultare costruttori e funzionari comunali riguardo ai problemi economici connessi.

Il consigliere Robbie Webber e il presidente del consiglio Brenda Konkel, entrambi sostenitori della prima ora dell’ordinanza sui big box, hanno cercato di aggiornare la riunione. Volevano sollecitare una maggiore partecipazione pubblica ed ampliare le potenzialità dell’ordinanza richiedendo studi di impatto economico-fiscale per i nuovi insediamenti big box.

Ma la mozione è stata respinta, così come parecchi altri tentativi di rendere più rigidi i requisiti dell’ordinanza.

La presidente Konkel dopo il consiglio ha dichiarato di aver votato comunque a favore, perché pensa che qualunque regolamentazione di progetto per i big box sia un passo nella direzione giusta.

”Sono lieta che ci sia qualcosa di scritto e approvato, in grado di orientare un po’ l’ambiente delle costruzioni”.

L’ordinanza fissa regole progettuali e urbanistiche per insediamenti di superficie maggiore a 4.000 metri quadri su singola proprietà, e limita la superficie degli edifici commerciali a un massimo di 10.000 mq.

Versioni precedenti dell’ordinanza proibivano di collocare il parcheggio sul fronte degli edifici; il testo approvato ne consente in alcuni casi due strisce davanti ai big box.

Consente anche ai costruttori alcune flessibilità riguardo ai parcheggi, se vengono utilizzate certe cautele ambientali.

IL TESTO DELL’ORDINANZA

Nota preliminare: questa versione tradotta non è integrale; mancano due articoli finali che non mi parevano rilevanti, e soprattutto per ovvi motivi di leggibilità ho cancellato dalla minuta disponibile le parti di testo originale emendate, lasciando solo la versione definitiva; le misure in sistema decimale sono, come d’abitudine (mia) lievemente arrotondate per semplicità di lettura (f.b.)

Emendamenti all’ordinanza relativa ai Grandi Insediamenti Commerciali, approvata dalla Commissione Urbanistica il 24 gennaio 2005.

Dichiarazione di intenti

Scopo di questo documento è quello di offrire un quadro di regole per assicurare che i grandi insediamenti commerciali promuovano un uso efficiente del suolo e conservino e valorizzino il tessuto urbano attraverso un’attenta progettazione urbanistica ed edilizia. Nell’applicazione della presente ordinanza alla riedificazione, ampliamento, ristrutturazione di complessi esistenti, l’obiettivo è quello di perseguire migliorie, riconoscendo comunque che le costrizioni esistenti probabilmente renderanno difficile o impossibile il pieno adeguamento alle sue indicazioni.

La sottosezione (f)8.e., è sostituita da:

e. Gestione Domanda di Mobilità. Ogni singolo insediamento commerciale con superficie superiore a 4.000 metri quadrati o con più di cento (100) dipendenti o equivalenti a tempo pieno, deve predisporre una piano di Transportation Demand Management (TDM), o partecipare ad una Transportation Management Association (TMA), quando essa sia disponibile nell’area geografica dell’insediamento. Questo requisito si applica anche nel caso di qualunque attività commerciale esistente che proponga modifiche o ampliamenti, o che superi i cento (100) dipendenti o equivalenti a tempo pieno.

I. Il piano TDM descrive in generale le intenzioni del richiedente riguardo alla riduzione del numero di spostamenti automobilistici con un solo occupante, ed elenca i metodi che si intendono usare a questo scopo. Tali metodi saranno basati sulle scelte di trasporto disponibili e si deve indicare se il richiedente intenda coprire interamente il costo di acquisto di un abbonamento al servizio autobus per l’area metropolitana di Madison, od offrire a tutti i propri dipendenti tre (3) o più delle seguenti opzioni: car-pooling; parcheggi riservati per chi viaggia in car-pooling; parcheggio cicli custodito e copoerto, con servizio docce e armadi; sostegni o rimborsi per gli spostamenti; programma di trasporto a casa d’emergenza; tessera di autobus a contributo dell’impresa; offerta di informazioni in tempo rale sulle opportunità di trasporto; altre possibilità proposte dalle imprese a scoraggiare l’uso di veicoli con un solo occupante, e approvate dall’amministrazione municipale.

II. Il datore di lavoro deve rendere disponibili le previsioni del proprio Piano a tutti i dipendenti.

III. Il Piano descriverà gli impatti del traffico e del parcheggio legati al proprio insediamento e fornirà dettagli sull emisure utilizzate per monitorarli.

IV. Il Piano verrà periodicamente aggiornato, a scadenze non superiori ai due anni.

V. Il Piano verrà sottoposto all’esame dell’Ingegnere del Traffico, di concerto con il Direttore dell’Ufficio Urbanistica. L’Ingegnere del Traffico dovrà esprimere commenti e suggerimenti di eventuale modifica e miglioramento.

[...]

Il Consiglio municipale della Città di Madison ordina quanto segue:

1. Viene inserita una nuova Suddivisione (f) dal titolo “ Grandi Insediamenti Commerciali”, della Sottosezione (4) titolata “ Poteri e Funzioni”, della Sezione 33.02 dal titolo “ Commissione per il Progetto Urbano” dell’Ordinanza Generale di Madison, e che recita come segue:

“(f) Grandi Insediamenti Commerciali.

1 - Applicabilità. Sono soggetti alla presente ordinanza tutti i nuovi insediamenti commerciali su singolo lotto e con una superficie lorda di pavimento totale ( Gross Floor Area, GFA) superiore a 4.000 metri quadrati. La GFA sarà calcolata sommando le GFA di tutti gli edifici su un singolo lotto omogeneo di zoning, che facciano parte di un solo complesso commerciale. Nell’esaminare quanto segue, le Commissioni per la Progettazione Urbana e per il Piano regolatore, e i funzionari tecnici, dovranno tener presenti le principali raccomandazioni progettuali del Master Plan cittadino, o di altri piani adottati dall’amministrazione.

a. Ciascun insediamento commerciale con una GFA superiore a 4.000 metri quadrati è soggetto a quanto previsto dai seguenti paragrafi, da 2 a 13.

b. Tutti gli insediamenti su un unico lotto di zoning sono soggetti a quanto previsto dai seguenti paragrafi ca 6 a 13.

c. La Commissione di Piano può concedere deroga relativamente ad uno o più requisiti dei paragrafi da 3 a 13, se giudica che particolari circostanze meritino soluzioni di progetto tali da ottenere risultati di qualità superiore.

d. Le proposte di ampliamento, modifiche esterne all’edificio o all’insediamento, di strutture effettivamente utilizzate, o originariamente progettate per, contenere attività commerciali con una GFA superiore a 4.000 metri quasrati, saranno approvate secondo le regole previste per quanto riguarda i progetti di trasformazione di strutture esistenti, e dovranno rispettare il più possibile le presenti norme, nei limiti consentiti dagli spazi ed edifici esistenti.

e. Le proposte di modifica dei complessi esistenti, che superino o intendano superare attraverso la modifica la superficie massima descritta al successivo par. 2, saranno approvate secondo le regole previste per quanto riguarda i progetti di trasformazione di strutture esistenti, e dovranno rispettare il più possibile le presenti norme, nei limiti consentiti dagli spazi ed edifici esistenti.

2 - Superficie massima dell’edificio. Nessun nuovo complesso commerciale deve superare la superficie coperta di diecimila (10.000) metri quadrati, deifinita dalle pareti esterne. Altre strutture commerciali, per uffici, il tempo libero, di diversa proprietà, o funzioni residenziali, non connessi a questo progettato complesso, non saranno conteggiati entro il limite dei diecimila (10.000) metri quadrati.

a. Fermo restando quanto sopra, la Commissione di Piano può prendere in considerazione la possibilità di un complesso comerciale che superi i diecimila (10.000) metri quadrati, se il progetto comprende una o più delle seguenti caratteristiche:

I. Insediamento multipiano.

II. Insediamento multifunzionale.

III. Basato sui parcheggi sotterranei.

b. Altre caratteristiche progettuali che la Commissione Progetto Urbano e/o la Commissione di Piano possono prendere in considerazione per autorizzare un complesso commerciale che superi i diecimila (10.000) metri quadrati, sono:

I. Gestione delle acque di scarico con impianto proprio di depurazione e vasca di contenimento.

II. Progettazione energeticamente efficiente.

III. Progettazione edilizia ecologica.

IV. Coperture a verde.

3. Facciate e pareti esterne. Le carateristiche di questa sezione si applicano a tutti i complessi commerciali di superficie superiore a quattromila (4.000) metri quadrati. Riguardano le facciate che siano visibili dalla pubblica via, dalle proprietà confinanti, da fasce laterali.

a. Le facciate con sviluppo orizzontale superiore a ventitre (23) metri, devono comprendere sporgenze o rientranze aventi una profondità almeno del 3% della lunghezza totale della facciata, ed estese lungo almeno il 20% del suo sviluppo. Nessuna superficie priva di interruzioni può superare i ventitre (23) metri.

b. La parti delle facciate al pianterreno o sulla pubblica via con accesso pedonale o veicolare devono comprendere le seguenti caratteristiche su non meno del 60% dello sviluppo orizzontale, secondo modalità considerate sufficienti dalla Commissione di Piano:

I. Arcate.

II. Aperture/finestre per visione, esposizione, illuminazione.

III. Entrate clienti, oltre a quelle richieste al seguente par. 6.

IV. Tende da sole, pensiline, o portici.

V. Patios esterni, o elementi di spazio comune come quelli descritti al par. 11a.

c. Le facciate degli edifici devono comprendere a uno schema ripetuto che contenga almeno tre (3) dei seguenti elementi:

I. Cambio di colore.

II. Cambio di aspetto dei materiali.

III. Cambio di moduli costruttivi.

IV. Qualche genere di evidenza strutturale o architettonica tramite sporgenza larga non meno di 60 cm, sfalsamento, mazzetta o nervatura sporgente.

d. Almeno uno (1) degli elementi citati sopra sarà ripetuto orizzontalmente. Tutti gli elementi si devono ripetere ad intervalli non superiori ai nove (9) metri, sia in senso orizzontale che verticale.

4. Tetti. I requisiti di questa sezione si applicano a tutti i complessi commerciali con una GFA superiore ai 4.000 metri quadrati.

a. Le linee delle coperture devono essere variate da cambi di altezza ogni ventitre (23) metri lineari lungo il perimetro dell’edificio.

b. I tetti dovranno avere caratteristiche quali:

I. Parapetti, abbaini a falde, coperture a padiglione, o altri elementi utilizzati a nascondere le attrezzature tecniche dalla pubblica vista. L’altezza media dei parapetti non potrà essere superiore al quindici per cento (15%) dell’altezza delle pareti sottostanti, e in nessun punto superare un terzo dell’altezza della parete. I parapetti saranno trattati a definire una cornice tridimensionale.

II. Cornicioni sporgenti non meno di 1 metro dalle pareti sottostanti.

III. Tre (3) o più piani di falda, con dimensioni e aspetto vari.

5. Materiali e colori. Le caratteristiche di questa sezione si applicano alle facciate visibili dalla pubblica via, proprietà confinanti o fasce laterali di qualunque complesso commerciale con GFA superiore ai quattromila (4.000) metri quadrati. I materiali esterni dominanti saranno di alta qualità, come (ma non solo) mattoni; legno; pietra; elementi murari colorati e trattati. Isolamenti esterni e altre finiture simili non potranno essere utilizzati sul metro inferiore delle facciate.

6. Ingresso clienti.

a. Ogni edificio principale costituente il complesso dovrà avere un ingresso clienti chiaramente definito e visibile, che possieda non meno di tre (3) delle seguenti caratteristiche:

I. Pensiline o portici

II. Coperture

III. Rientranze/sporgenze

IV. Arcate

V. Parapetti incorniciati sopra la porta

VI. Vetrine

VII. Forme di copertura a cuspide

VIII. Archi

IX. Patios esterni

X. Particolari architettonici come ceramiche o bassorilievi inseriti nel corpo dell’edificio

XI. Piantumazioni in terra o ali laterali con inserite piante e/o spazi a sedere.

b. Tutti i lati degli edifici che si affacciano direttamente su un passaggio pubblico o privato di accesso pedonale o veicolare al complesso commerciale, devono essere dotati di almeno un (1) ingresso clienti. Tale entrata può utilizzare una piazza pedonale, portico di ingresso o altro spazio comune, come descritto al successivo par. 11, posto fra l’edificio e il marciapiede. Quando l’edificio si affaccia su due (2) o più passaggi pubblici o privati, questa caratteristica si applica almeno al lato sul passaggio più trafficato, che offre accesso pedonale o veicolare al complesso. Per ottenere questo risultato possono essere utilizzati ingressi d’angolo.

7. Progettazione del sito. Le seguenti caratteristiche si applicano all’insieme del lotto omogeneo di zoning.

a. Almeno il 50 per cento (50%) dell’affaccio sulle strade laterali deve essere occupato dalle facciate degli edifici, con un arretramento massimo di sei (6) metri. Questa caratteristica può essere ottenuta utilizzando qualunque organizzazione degli edifici all’interno del lotto. Non sono consentiti parcheggi localizzati tra la facciata(e) e la strada. Nel caso in cui il lotto si affacci su due (2) o più passaggi pubblici o privati, questa caratteristica si applica a uno (1) dei fronti che offre accesso pedonale o veicolare al complesso.

b. Nel caso in cui un fronte sia prospiciente spazi utilizzati o destinati a funzioni residenziali, si dovrà realizzare una spalla in terra o muro di contenimento di altezza non inferiore a m. 1,2. La spalla di terra, o spazio interno al muro di contenimento dovrà essere piantumata, come minimo, con due strisce di piante sempreverdi (o combinazione di decidue e sempreverdi) a intervalli di 4,5 m. o a gruppi o raggruppamenti.

c. Dovrà essere piantato un albero lungo la strada ogni dieci (10) metri lungo la porzione di perimetro del lotto prospiciente un passaggio pubblico. Tali alberi possono essere piantati in gruppi.

d. Le caratteristiche dei sottoparagrafi a. e b. di cui sopra, sono in aggiunta a quelle stabilite in altri punti delle presenti norme.

8. Parcheggi. Le seguenti caratteristiche si applicano all’intero lotto di zoning.

a. Non si può utilizzare più del 50 per cento (50%) di qualunque fronte stradale a parcheggio.

b. L’organizzazione e aspetto delle strutture per il parcheggio deve essere complementare alle strutture servite, e ridurre al minimo l’aspetto utilitaristico utilizzando elementi progettuali come colonnati, arcate, pensiline, arredo stradale o altri elementi a suo pubblico. Dovranno essere utilizzati nelle facciate degli edifici destinati a parcheggio, materiali coordinati, piantumazioni e schermature, colori, illuminazione e insegne appropriati.

c. Qualunque parcheggio che superi le quantità minime previste di oltre il dieci per cento (10%) dovrà comprendere una (1) o più delle caratteristiche seguenti, approvate dalla Commissione di Piano, per compensare in modo sufficiente gli effetti negativi delle ulteriori superfici asfaltate:

I. Un piano per l’infiltrazione delle acque piovane, che includa soluzioni come fasce naturali di assorbimento, o materiali di pavimentazione permeabili.

II. Aree piantumate aggiuntive rispetto agli standards richiesti.

III. Un Piano Gestione Mobilità per i dipendenti.

IV. Parcheggi in edifici appositi.

d. I parcheggi lungo la strada dovranno essere collocati ad ameno tre (3) metri da qualunque linea di confine di proprietà e/o passaggio, e utilizzare elementi di separazione naturali quali alberi, cespugli, siepi, recinzioni decorate, panchine, fioriere, aiuole o altri elementi di buona qualità.

e. Piano Gestione Mobilità. Ogni insediamento commerciale con superficie superiore a quattromila (4.000) metri quadrati, con cento (100) o più dipendenti a tempo pieno o equivalenti, deve dotarsi di un Piano di Gestione Mobilità, o partecipare a una Transportation Management Association (TMA), se disponibile. Questa caratteristica si applica a qualunque attività commerciale già esistente che richieda ampliamenti o trasformazioni, che comportino cento (100) o più dipendenti a tempo pieno o equivalenti.

f. Ogni dodici (12) o quindici (15) posti a parcheggio in linea continua, si richiede un albero da ombra nei piazzali interni, secondo i requisiti della sezione 28.04 delle norme.

9. Depositi esterni, raccolta dei rifiuti, aree di carico/scarico, attrezzature meccaniche. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.

a. Le aree di deposito esterne, parcheggi di camion, raccolta rifiuti, carico/scarico o funzioni simili, non dovranno essere visibili da passaggi pubblici o privati.

b. Non sono consentite aree di deposito esterne, parcheggi di camion, raccolta rifiuti, carico/scarico o funzioni simili, ad una distanza inferiore a sei (6) metri da qualunque strada pubblica o privata, marciapiede o passaggio pedonale interno.

c. Piattaforme di carico, parcheggi di camion, depositi esterni, bilance e altre attrezzature, raccolta rifiuti e compattazione, o altre funzioni di servizio, devono essere incorporate nel progetto generale edilizio, ed utilizzare schermature o elementi naturali in modo che gli impatti visivi e acustici delle funzioni siano del tutto esclusi dalle proprietà adiacenti e dalla pubblica via. I materiali di schermatura non saranno diversi o di qualità inferiore rispetto agli altri utilizzati nell’edificio o negli arredi a verde.

d. Le aree esterne di deposito e vendita degli articoli stagionali dovranno essere organizzate in modo permanente, e schermate con pareti e/o recinzioni. Materiali, colori e progettazione generale delle pareti e/o recinzioni dovranno conformarsi a quelli predominanti dell’edificio. Se si tratta di aree coperte, anche colori e materiali della copertura saranno conformi a quelli predominanti dell’edificio(i).

10. Circolazione pedonale. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.

a. Si realizzeranno su tutti i lati del complesso prospicienti un pubblico passaggio marciapiedi larghi almeno due (2) metri. Per questo scopo possono essere utilizzati anche i marciapiedi pubblici della fascia stradale.

b. Si realizzeranno percorsi pedonali continui larghi almeno due (2) metri, dal marciapiede o passaggio pubblico sino all’ingresso clienti principale di tutti gli edifici del complesso. Come minimo, percorsi pedonali dovranno collegare punti focali quali (ma non solo) fermate del trasporto pubblico, attraversamenti pedonali, ingressi degli edifici e dei negozi. I percorsi dovranno avere proprie aree a verde lungo almeno il cinquanta per cento (50%) della lunghezza. Tali aree devono comprendere alberi, cespugli, panchine, fioriere, aiuole e altri elementi simili.

c. Si realizzeranno marciapiedi larghi almeno 2,5 metri lungo l’intera lunghezza della facciata dell’edificio con un ingresso clienti, e lungo qualunque facciata prospiciente le zone a parcheggio, con uno spazio di almeno 2,5 metri da qualunque ostacolo, chiosco di vendita ecc. Questi marciapiedi saranno realizzati ad almeno 2,5 metri dalla facciata, lasciando spazio a un letto di terra per l’arredo a verde perimetrale, eccetto dove elementi come arcate, ingressi o spazi collettivi, come definiti al par. 11 di seguito, facciano parte della facciata.

d. I percorsi pedonali interni realizzati ai sensi del precedente paragrafo 10.b., saranno dotati di strutture di protezione dalla pioggia, come pensiline o arcate, a nove (9) metri dagli ingressi clienti, e saranno realizzati parallelamente alla facciata dell’edificio, anche se non prolungati verso le corsie di manovra o le aree a parcheggio.

e. Tutti i percorsi e attraversamenti pedonali interni dovranno essere distinti dai percorsi veicolari, per aumentare la sicurezza e comodità dei pedoni, e migliorarne l’aspetto. I materiali dei percorsi saranno materiali di lunga durata e poca necessità di manutenzione, come porfido, mattoni, piastrelle di cemento sagomato. Dovranno essere installati segnali che indichino la destinazione pedonale dei percorsi.

f. I marciapiedi devono collegare le fermate del trasporto pubblico sia al complesso commerciale che ai quartieri residenziali circostanti.

g. Dovranno essere realizzati marciapiedi sull’intera lunghezza di qualunque lato di un edificio su un parcheggio.

11. Luoghi di incontro e spazi collettivi. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.

a. Si dovrà realizzare almeno un luogo di incontro centrali e spazio collettivo, per ogni quattromila (4.000) metri quadrati di GFA entro il lotto commerciale. Se ne richiede un minimo di due (2) e ciascuno dovrà essere di superficie minima di 40 metri quadrati.

I. Patio /are con posti a sedere

II. Spazio pedonale con panchine

III. Spazio connesso ai trasporti pubblici

IV. Percorso pedonale lungo le vetrine

V. Spazio giochi all’aperto

VI. Area per chioschi

VII. Fontana

VIII. Pareti a verde

IX. Altri spazi appositamente progettati e/o struttura o servizio che si aggiungano agli spazi collettivi pubblici.

X. Strutture all’aperto per i dipendenti, come un’area di pausa.

b. Tutte le strutture di cui sopra, eccetto gli spazi all’aperto per i dipendenti, devono essere accessibili dal sistema dei marciapiedi pubblici e devono essere realizzati in materiali di qualità inferiore a quelli principali dell’edificio e arredo a verde.

[...]

Nota: qui il testo originale dell’articolo di cronaca dal Capital Times; qui il sito del Department of Planning and Development di Madison, con vari documenti di piano, incluso il file integrale dell’ordinanza sui complessi commerciali (f.b.)

I Cugini di Campagna: ancora loro.

Nel senso che saranno loro a spargere musica e lustrini sul primo week-end di vita del nuovo centro commerciale Le Acciaierie, che si inaugura il prossimo 16 marzo in località Santa Maria del Sasso, comune di Cortenuova, provincia di Bergamo. E verrebbe da dire che mai gruppo musicale fu più azzeccato per un posto del genere, che di campagna (non saprei se anche di cugini) ne produce certo più del fabbisogno locale.


La Padana Superiore, con i tabelloni promozionali La nuova strada attraverso la pianura

Siamo nella striscia estrema di alta pianura bergamasca orientale, definita grosso modo dai corsi del Serio e dell’Oglio, e dalle direttrici per Brescia: la “Francesca” a nord e la Padana Superiore a sud, che segna irregolarmente i confini con la più grassa piana cremonese. Il paesaggio sa di campagna, come si capisce benissimo anche guardando verso nord dal ciglio della Statale 11: la linea delle Alpi taglia nitida l’orizzonte a diverse decine di chilometri di distanza, e in mezzo campi arati, qualche raro campanile, i riconoscibili e isolati complessi di stalle e silos. Insomma pare proprio il posto ideale perché i Cugini di Campagna facciano il loro bel concerto.

Per gli interessati, resta da capire esattamente dove, si farà lo spettacolo. E qui forse aiuta ad orientarsi qualche dato tecnico sulla “scenografia”: superficie complessiva mq. 555.000; nuova viabilità comunale km. 3,50; nuova viabilità provinciale SP 98, km. 9,00 (la viabilità non è compresa nella superficie); centro commerciale slp. mq. 58.000; complesso multifunzionale “ city park” slp. mq. 15.500; albergo slp. mq. 3.500; brico center slp. mq. 4.000; attività logistiche sc. mq. 240.000. Ecco.


PTCP: infrastrutture PTCP: sistema insediativo

Per ora di tutto questo ben di dio si nota soprattutto la “slp. mq. 58.000” del centro commerciale, che con le sue pareti a specchio lancia riflessi di luce per chilometri. Chilometri di campagna rigorosamente vuota. Salvo il centro commerciale, ovviamente, e la grande strada che gli passa davanti, apparentemente venendo dal nulla, e con le sue quattro corsie tornandoci rapidamente poco dopo. Ma a rasserenare l’animo e a chiarire tutto ci pensano i Fratelli Pedroni. Che non sono un altro gruppo musicale, ma i titolari dell’impresa responsabile di tutto quanto, e che dichiarano in un’intervista alla stampa locale: “La strada darà una svolta essenziale allo sviluppo dell’intera area, non solo nell’ambito locale ma anche come punto di collegamento fra una serie di arterie che sono in arrivo, ad esempio la Brebemi”.


Il centro con la torre del Faro Una delle cupole sulla strada ovest-est

Già, la BreBeMi, contestatissima nuova autostrada Brescia-Bergamo-Milano, a cui proprio in questi primi di marzo 2005 è stato posto un altro virtuale mattoncino, con il parere positivo della commissione speciale di impatto ambientale. La BreBeMi che, affiancata alla striscia dell’alta velocità ferroviaria, dovrebbe scorrere a sud di qui, dalle parti dell’attuale tracciato della Padana Superiore, con svincolo e casello alle porte dell’abitato di Calcio, il “paese dei muri dipinti” che sulle sponde dell’Oglio segna il confine con la provincia di Brescia. Proprio da quello svincolo/casello parte la nuova arteria verso nord, ad affiancare e in parte sostituire gli affaticati (si mormora) collegamenti stradali dalla pianura al pedemonte, all’area più vicina al capoluogo, all’aeroporto, al tracciato della A4. Nel punto in cui la strada incrocia il tracciato della ferrovia, quasi naturalmente si definiscono i famosi 550.000 metri quadrati di commercio, logistica, mixed use ecc. E noi fessacchiotti, che guardavamo solo le mucche e le solitudini campestri! Qui, a spalancare idealmente la strada al futuro serpentone, si materializzano quelle che Aldo Bonomi, considerato da molti decisori politici un esperto di cose territoriali, chiama “infrastrutture e luoghi emblematici che si sono alzati dal territorio e hanno assunto un valore simbolico”.

Il nostro luogo emblematico, che si chiama Acciaierie perché qui c’era davvero un impianto siderurgico, si spera possa in tutto o in parte sostituirne in meglio il ruolo occupazionale, con 7-800 posti fra la grande distribuzione dell’ipermercato, i 135 altri punti vendita, il brico center e il cosiddetto city park (mai denominazione fu più bislacca) con strutture varie per il tempo libero, come un multisala. A questo si deve aggiungere il resto dell’insediamento, ora poco percepibile a prima vista, legato al tracciato ferroviario e dedicato alla logistica, con una superficie di 250.000 metri quadrati. A parte l’innalzamento di luoghi emblematici citato sopra, questo aspetto occupazionale e di sviluppo è ben riassunto da un passaggio del Piano Territoriale di Coordinamento: “La previsione di un insediamento sovracomunale nell’area di Cortenuova, già indicata dal PRG, appare necessaria per la risoluzione parziale del fabbisogno occupazionale da integrare con adeguate aree insediative locali. L’area è servita dal nuovo tracciato della SP 98 – Calciana, oltre che dalla linea ferroviaria corrente a nord dell’area stessa”.


L'ambiente "urbano" La strada nord-sud

Resta la perplessità di una collocazione tanto massiccia di funzioni varie e a enorme bacino di riferimento, in un punto che forse avrebbe meritato qualche attenzione in più dal punto di vista paesistico. Sul versante del servizio commerciale, va aggiunto che cinque chilometri più a sud, nel nodo di Antegnate (fra la Padana Superiore e la Soncinese) si prevede già un altro complesso su un’area complessiva di 80.000 metri quadrati, slp. di 35.800: 23.000 commerciali fra ipermercato e negozi più piccoli, con 400 posti di lavoro. A cinque chilometri: sembra ragionevole?

E sembra del tutto ragionevole, fra mandrie e cow boys (che qui spesso indossano il turbante sikh), pensare come fa il progettista del centro a “creare un insieme urbano complesso, dove le attività e i rapporti sociali siano favoriti dall’acquisto dei beni di consumo e dall’incontro tra le persone, così come in un qualsiasi mercato di quartiere”. Frasi del tutto ragionevoli a prima vista, ma che calate qui, a un chilometro scarso dal pugno di case di Santa Maria del Sasso, suonano vagamente surreali.

Forse, però, surreale è continuare a pensare a quello che ancora si vede, come se fosse reale. In effetti è stato cancellato, e camminiamo già sulla mappa che hanno disegnato per noi. Il serpentone autostradale, con le sue macchine tritatutto, è ancora lontano oltre l’orizzonte di Romano, a ovest, nascosto dietro l’area metropolitana milanese. Qui però ha lanciato le prime uova, a immagine e somiglianza dell’ambiente generale che verrà, o come dicono “si innalzerà sul territorio assumendo valore simbolico”. Per ora, ci sono i Cugini di Campagna, e questo “insieme urbano complesso”. Speriamo di abituarci, o no?

nota sulle fonti citate: i dati quantitativi sulle superfici sono desunti dalla scheda informativa sul centro e i progettisti, del sito Infobuild; due gli articoli da l'Eco di Bergamo: "Cortenuova e Antegnate, 2 centri commerciali" (7.2.05); "La Calciana avanza: apre il tratto per le Acciaierie" (23.2.05); la citazione dal Piano Territoriale Provinciale è dalla Relazione Generale, paragrafo Insediamenti produttivi: Zona produttiva nell’ambito della pianure Serio/Oglio; la frase di Aldo Bonomi è dall'editoriale sulla BreBemi "Grandi opere e politica", sul sito del suo Consorzio AASTER - Per chi volesse guardare meglio le immagini, inserisco di seguito un file PDF scaricabile e una galleriadi scatti nel primo week-end di apertura (f.b.)

Sia, il tema: da un punto di vista formale, in che rapporto si può mettere con le attività di carattere “terziario” il concetto della metropoli come mercato e del territorio come merce?

Nel senso, si badi, che le attività di carattere terziario “possano” (così, tramite la forma) diventare un patrimonio culturale e non siano più intese a livello bruto e schematico, come quantità di servizio non-produttive - che è poi la definizione classica della economia, o anche della geografia - bensì invenendo, codeste attività, un carattere di contenuto culturale che riesca, in certo modo, a bilanciare il mondo della produzione industriale.

Si potrebbe, da ciò, passare a trovar un posto, o per lo meno a ipotizzare un eventuale posto, per gli architetti: non tanto come urbanisti, ma proprio in quanto architetti -cioè come persone le quali, alla fin dei conti, si occupano di forma, urbana o no che sia.

E lo svolgimento (affannoso e anfanante: ma con un suo rigore) concluderà:

io sono persuaso che se noi guardiamo dentro di noi, dentro le cose, mettiamo in crisi il “gigantismo”: mettiamo in crisi il cosiddetto progresso tecnologico. E mi spiace, che troppo spesso le giustificazioni più appariscenti (formalistiche, non formali) di un certo tipo di società sian venute proprio dallo ambiente degli architetti (e degli ingegneri) - da coloro, cioè, che in sede altra che la propria ne son poi, di quella società, gli avversari risoluti.

Non credo che abbia senso idoleggiare Broadacre City, la visione wrightiana di una totale separazione sociale, la città fatta di tanti cubicoli pressocché singoli e incomunicabili; ma nemmeno credo giusta la soluzione di Le Corbusier dove si spende tanta intelligenza “normativa”, e intellettualistica, per fare ingoiar alla gente l’amaro boccone dell’accettazione del “presente”.

Nell’ambito del discorso che avviammo, di pertinenza architettonico-formale, io credo che si possa dire: dal supermercato alla alienazione... E come, l’architetto, può risolvere il problema? credo che la strada vera sia quella dell’esame del territorio come mezzo d’esorcizzazione della città quale essa è diventata. Che il ritorno alla città medioevale ne si può farlo né ha senso ipotizzarlo, ma nel territorio può aver luogo una immensa opera di scoperta del nuovo che si dispieghi (e penetri) quale contatto con la natura umanizzata, simile ai pochi momenti felici (gleba o non) della società medioevale. E chi può svolgere il discorso dal territorio se non gli urbanisti e gli architetti?

Nel momento in cui si cerca un metodo per la ricerca, si cerca anche il contenuto.

Gli architetti tendono, per loro propria malintesa passione, al gigantismo: dovrebbe invece verificarsi un ritorno al “minore”, al piccolo - correlato, formalmente, con tutti gli altri “minori”.

Evvia, tante piccole attività terziarie legate (correlate) a tante piccole attività primarie.

I “GRADI” DELL ‘ APPROCCIO

I “gradi” dell’approccio si svolgono comunque per i punti che qui di seguito offriamo.

1) La città che produce, la metropoli che distribuisce

Per quel che so ci sono studi, nemmeno recentissimi, d’economisti moderni che tendono a reinserire nella città il momento della produzione. A de-terziarizzarla, cioè, preoccupati che in essa si contengano, oggidì, solamente elementi distributivi. Ed è forse indice della arretratezza I di una certa cultura urbanistica il fatto che gli urbanisti, e meglio dirci gli architetti-urbanisti, ancora si balocchino con le zonizzazioni e la cacciata dell’industria dal terreno urbano - eredità evidente dell’approccio igienistico, pressocché eugenetico, che essi mutuarono da filantropi e medici sociali e da cui non riescono ancora a liberarsi: o non sarà che la “città terziaria” meglio si adatta alle elucubrazioni formali dove decade la creatività architettonica?

È questa una prima avvisaglia dei pericoli insiti nello attribuire troppa importanza a elaborazioni d’altre discipline; oppure il segno di una consonanza di comodo tra reperti tecnologici e faciloneria formalistica?

Di certo la città, un tempo, si ornava d’orti e di terreni aperti che la nutrivano “dal di dentro”; ma ben presto cacciò nell’intorno, nella campagna, il momento produttivo dell’agricoltura (o ritagliò in quel momento la sua pausa urbana). È piuttosto la produzione industriale quella che si identifica con la città: tanto di crescita d’abitanti per l’inurbamento dei contadini che si fanno operai, quanto per la pressante presenza degli edifici industriali veri e propri.

Con gli anni, con le decadi, più la città cresce a metropoli e più allontana da se anche il momento della produzione industriale: diventa il monumento della distribuzione, la risonante campana del terziario.

Nella metropoli non sono rimasti che magazzeni, uffici, amministrazioni private e pubbliche, negozi e residenze sempre più dilapidate nel centro. Il territorio, nemmeno trent’anni or sono, decadeva a mero tempo nutritivo della localizzazione urbana. Certo oggi son concetti risibili, quando l’area nutritiva di una metropoli come Roma o come NewYork può essere estesa fino al Nuovo Messico o il Sud-Africa o l’Australia - e la medesima estensione, evidentemente, vige per l’area di rifornimento di prodotti industriali. Semmai potrà aver rilevanza di tecnica ingegneresca (una versione, ahinoi assai appetita, di pianificazione territoriale) la struttura delle comunicazioni e dei trasporti: una “forma” di contenuto infrastrutturale che nelle sue proprie campiture tenderà a soverchiare la forma tradizionale della città, diventata metropoli e praticamente disseccata. Perché vive, oramai, solo se in quanto stia al gioco dell’economia di mercato e non è più il luogo della produzione e consumo ma quello dove si distribuiscono le merci, la formalizzazione tridimensionale, d’architettura e di spazi, della alienazione capitalista. Identicamente, decade a magazzeno, la metropoli, di attività amministrative; luogo di distribuzione di teatro, cinema, letteratura, arti figurative, cultura mercificata quanto la attività politica che si finge di continuar a svolgere “nel suolo urbano”.

2) Lo svuotamento del territorio

Ma il guaio più grosso è che ne consegue la perdita di ogni contenuto autonomo del territorio, destinato esclusivamente a provvedere ciò di cui la metropoli abbisogni (o creda di abbisognare). È a questo punto, orbato d’ogni autonomia decisionale, che il territorio decade a merce. E la maggiore sopraffazione della metropoli (distributiva) sul territorio (mercificato) si ha quando essa gli impone di non “produrre”: di essere mero lago e bosco e disposizione passivamente naturale per le ossigenazioni fasulle del tempo libero. A poco a poco, come un cancro che rode fondo, l’un momento e l’altro, così quello urbano come quello territoriale, si aggrovigliano e soffocano vicendevolmente. Gli architetti-urbanisti decorano, per il piacere dei potenti, edilizia e natura di monumenti tanto più inutili quanto più audaci.

3) Dal negozio al super-mercato

Quando si tratti di “fare una ricerca” sul momento terziario della città, si chiamano di solito a raccolta i geografi urbani (se ne esistono, in Italia, che dubito) gli economisti e i sociologhi. Gli economisti fanno fatica a occuparsene, perché la micro-economia non gli piace e non la capiscono - semmai, la desumeranno dai loro grandi numeri, dalle loro generalizzazioni disumane. I geografi urbani descriveranno: e se mettono in mappa gli allineamenti commerciali, gli sembrerà di essere anche loro urbanisti; che è poi vero, e finora proprio come gli architetti-urbanisti ma, seppure superficialmente, qui cerchiamo di indicare che non sarà vero quando “ritorni” il momento architettonico a far premio su quello (creduto) urbanistico. Quanto ai sociologhi, il loro ambito proprio è quello del “comportamento”: sembrerà che carpiscano il senso della vita, ma in realtà anche loro descrivono, danno il “come” e mai il “perché” delle strutture sociali.

E l’architetto-urbanista... gli sembra che sarà molto importante sapere da dove viene la merce, perché i mezzi di trasporto influiranno sulla forma da dare alla sua città, o al pezzo di città di cui abbia incombenza. E si sente più umano d’ogni altro, perché a valle si preoccuperà anche di coloro che useranno i manufatti terziari, dei consumatori: i loro percorsi, le loro residenze, le loro idiosincrasie, comodità, interrelazioni psicologiche. Ma è prigioniero, anche lui, di quello che gli dicono altri - di quello che crede di sapere mutuandolo non da sé, dal territorio dell’architettura (mi scusi Gregotti se uso in altro senso un suo titolo), ma dal territorio dell’ovvio mistificato. È nei paesi, nelle città-pueblo, nelle frange sgomente delle città che non riescono a diventare metropoli che esiste ancora un rapporto tra venditore e compratore. Per il resto, che è quello che conta (? ), vige il principio delle crescenti agglomerazioni, delle economie esterne in ogni ambito, delle macro-metropoli: in una società basata sul profitto, in una strettoia economica che solo nel profitto riconosce la molla del progresso, anche il momento del terziario ci è succubo.

I supermercati distruggono il piccolo negozio: la gente ci si trova meglio, dicono, e sono economicamente più validi. Il super-mercato distrugge, con le sue ovvie tipizzazioni, la possibilità di invenzioni artigianali, di scoperta rinnovata nell’operare, di produzione diretta, e tutto è meccanizzato, ridotto a merce nel senso più volgare. Nel super-mercato si celebra un tipo di compera dove è finita la gioia di andare scoprendo le cose (surrettiziamente ammiccato nelle programmazioni degli stand), dove persino la musica agisce da condizionatore... entro il contenitore provvisto dall’architetto.

4) La scelta architettonica

Ma l’architetto è questo, un provveditore di contenitori e basta? Ricordo che un po’ d’anni fa, discutendo con giovani architetti, gli sentivo affermare che non si dovessero fare progettazioni le quali non fossero perfettamente congruenti con la loro impostazione globale, la loro visione del mondo... anche quando non va oltre l’arredamento, lo architetto dovrebbe pretendere di esprimere creativamente codesta visione: è lui che crea le cose di cui gli altri si servono, che gli altri ridurranno a merce se non c’è, dentro quelle cose, una difesa attiva (semmai, sarà un poco difficile inserire cariche dirompenti nella progettazione di poltrone per i ricchi, o per i manager: memoria di quando, subito dopo il 1945, Zanuso che pur era uomo di sinistra progettava poltrone - che erano belle, annotiamo - e invece Diotallevi e Marescotti indicavano vani, problemi di edilizia popolare. Lo so, era più architetto, ma “tradizionale” Zanuso... I giovani architetti di oggi a chi vogliono assomigliare?).

Di certo so che l’architetto è colui che interpreta e interviene, nella società. E se si pensa che anche in Italia andiamo verso le tipiche forme dello sviluppo delle società industrializzate, bisognerà bene decidersi a capire che il compito architettonico è quello di aiutar la forma della metropoli occupandosi, soprattutto, di quel momento terziario che in essa metropoli è basilare (mentre il territorio, sostengo, diventa disponibile agli infrastrutturisti, e talvolta agli ecologi). Ci si dedichi francamente alle elucubrazioni alla Victor Gruen, delibando imitazioni di Fort Worth o, più sottili, dei “centri direzionali” delle ultime “nuove città” inglesi che oltraggiosamente subiscono la pressione dell’elaborazione statunitense. Si farà opera buona verso le vittime di quella società, monadi atone la cui unica armonia prestabilita sta nell’intreccio dei commerci, nella liberazione dell’incontro allo shopping-center. È questa la scelta?

Sia pure, ma con la coscienza che significa accettazione della società dei consumi, della società prigioniera della riduzione di qualsiasi sua produzione a merce da consumare, e basta. E senza dubbio la cultura architettonica e urbanistica attuale danno una greve spinta in codesta direzione, travolte dalla gioia di “formar grande”, di monumentalizzare le idiosincrasie della metropoli incombente, di creder di risolvere problemi che sono ben più a monte: e che non sono problemi di spettanza degli amministratori civici, o degli economisti, o dei sociologhi, o dei geografi urbani ma tanto più degli architetti-urbanisti nel momento in cui creano cose che si vedono, cui partecipano più persone, che sono integralmente, organicamente, dentro la società. Si tratta, in parole semplici, di diventare i maggiori corresponsabili della disumanizzazione dei propri simili - e di sé medesimi.

5) La composizione seriale

È possibile dar per ineluttabili attività terziarie a grande scala, senza che ne derivi una congruente struttura della città, del territorio, della vita associata? Sembra evidente che, in tale caso, si ammette che la vita all’interno dei quartieri non è auto-sufficiente, che c’è invece bisogno di un respiro maggiore, e che la città - anzi, la metropoli, che qui traspare - vive ed esiste solo nel momento in cui appaiono codeste strutture terziarie a grande scala. Ammettere tutto ciò significa rinunciare a mettere in discussione se codesto sviluppo sia giusto o meno (ma già! giudizi di valore, che valgon qui?).

Ma anche, sicuramente, rinuncia a un dibattito estetico: si mutuano dall’esterno certe forme, e le si mena per buone scadendo nello stereotipo - l’ambito proprio della architettura non sovviene ne tramuta, ma subisce e rigurgita tristi giochi formalistici.

Io sono persuaso che siccome l’economia e la politica hanno fatto fallimento da molti anni, una tra le poche vie d’uscita per la rielaborazione dei modi di intervenire nella società, di riviverla e ricrearla, stia nella pianificazione fisica, nella pianificazione territoriale, nella progettazione di cui gli architetti sono il momento davvero creativo. È finito il tempo dell’architetto-rivestitore inerme di contenuti a lui alieni: è il tempo della scelta.

Nessuno vuole tornare alla città medioevale. Bensì a una dislocazione sul territorio di una serie di fatti che chiameremo “città-comprensorio”, o comunque si preferisca. Bisogna evitare, per esempio, che come accade nel PIM, nel Piano Intercomunale Milanese, Milano invece di sciogliersi nel territorio - e liberarlo, con la sua cultura di città, dall’essere mera merce - ancora più campisca e domini, motore immobile-distributivo.

È ben vero che oggi molti studiosi concordano sullo scioglimento della città tradizionale nel territorio, ma asseverando che essa permanga lo agglomerato fondamentale della attività terziaria (l’unica cui si prevede futuro) a grande scala. Non è possibile ipotizzare che uno studio di carattere territoriale ci indichi che codeste attività non possono conglomerarsi in quello che è tradizionalmente il centro urbano (nelle sue vesti odierne di centro direzionale) ma che la attività terziaria a grande scala, se proprio ci si tiene, sia il risultato di una rete di comunicazioni che correlano e fanno cosa distinta e unica di punti distanti nel territorio, sicché la città-comprensorio è fatta di tante città, nessuna delle quali ubicata “in qualche luogo” bensì “in nessun luogo”, risultante da una serie di linee?

E questo ha il vantaggio, fondamentale anche per la salvezza del territorio, di battere quel gigantismo che sembra contraddistinguere in modi sempre più palesi (formalizzati) il nostro pseudo-sviluppo.

Cominciamo a usare una composizione seriale: niente dominanti, sono tanti “unici”, tante individualità ma collegate fra loro: nel gioco dei loro collegamenti può nascere qualcosa di diverso da ciò che si vede di solito. Può nascere, e può non nascere: non è per niente vero che il getto dei dadi “non torna”, e comunque non saranno mai i calcolatori a decidere il destino dell’uomo.

Nota: qui una breve NOTA BIOGRAFICA su Carlo Doglio (f.b.)

L’inaugurazione è prevista nell’aprile 2005, ma come succede quasi sempre magari si dovrà rinviarla. Peccato, perché quel centro commerciale da un centinaio di negozi ci voleva proprio, col suo rispettabile investimento di circa 15 milioni di Euro per 25.000 metri quadri di spazio commerciale, parcheggi, servizi, un po’ di verde. Ci sono già le prenotazioni dei futuri inquilini, che saranno un supermarket, tre banche, boutiques di moda, negozi di arredamento, spacci di liquori, ferramenta e articoli per la casa, ottica, e farmacia. All’esterno del complesso, è previsto un fast-food. La superficie principale, che fungerà da anchor per tutto il complesso, sarà della Shoprite-Checkers.

Già: Shoprite-Checkers. Non mi pare proprio di aver comprato niente dalla Shoprite-Checkers, negli ultimi giorni. Il fatto è che il lotto del nuovo shopping mall sta sull’angolo fra la Old Potchefstroom Road e Alekhine Street, a Protea, nella zona sud-ovest di Soweto. Ed è questo, il motivo per cui c’è da essere assolutamente entusiasti, per l’inaugurazione. Un centro commerciale qui, comunque si giudichi in genere questo tipo di insediamento, significa una serie di cose: un investimento sul territorio locale; un’attività strutturata e formalizzata, che da’ posti di lavoro “veri” e paga le tasse; un’urbanizzazione a regola d’arte, con asfaltature, raccordi stradali, servizi vari, allacciamenti e completamento delle reti; infine un’offerta commerciale corrente, in un’area abitata da circa un milione di persone che al momento “esportano” il proprio pur magro reddito verso altre zone più servite dell’area metropolitana di Johannesburg. E potremmo aggiungere, dal punto di vista dell’organizzazione spaziale, che qui effettivamente il mall assomiglia molto da vicino al flusso di passeggio e socialità da cui prende origine il nome, visto che si colloca in un contesto dove fra la bassa qualità delle infrastrutture e la presenza corposa dell’insediamento informale, mancano proprio gli spazi collettivi. Nell’impossibilità di investimenti pubblici, ben vengano quindi quelli privati.


Questo intervento è, ovviamente, una goccia nel mare coi suoi 25.000 metri quadri per un milione di abitanti. Si colloca però – più o meno direttamente – nel contesto dell’intervento pubblico a sostegno dello sviluppo locale, e in particolare nella Soweto Retail Strategy messa a punto dalla municipalità di Johannesburg per le due regioni amministrative (n. 6 e n. 10) in cui è suddivisa l’area delle ex South West Townships, da cui prende il nome. L’amministrazione riconosce come Soweto sia sottoservita dal punto di vista commerciale (in particolare di tipo formalizzato) e nell’ambito dei programmi più generali per lo sviluppo dell’area sostiene l’insediamento di nuove attività del settore.

Alla base dell’intervento c’è uno studio approfondito, condotto da uno studio di consulenza specializzato con l’obiettivo principale di individuare aree tematiche e localizzazioni strategiche in grado di fungere da volani per la crescita di altre attività e imprese locali connesse. Si è anche individuata come strategica la cooperazione coordinata, a regia pubblica, fra gli operatori del commercio piccolo e grande, le altre attività produttive e di servizio, le associazioni, gli abitanti e i vari livelli di governo locale.

Per chiarire il contesto delle azioni di sviluppo, forse aiuta qualche statistica su Soweto.


Area 153km²
Popolazione 1 084921 (Censimento1996)

1 222 119 (altri rilevamenti 2000)

Proiezioni al 2010 1 254 285 (Igoli 2000)

Metà della popolazione con meno di 25 anni

51% femmine, 49% maschi

Disoccupazione L’area ha ancora uno dei tassi più alti di disoccupazione: ± 45% della popolazione (in particolare i giovani)
Reddito familiare Il 76% della popolazione guadagna meno di 1.500 Rand al mese (un Rand vale circa 13 centesimi di €)

Solo il 9% guadagna più di 1.500 Rand

Solo il 2% guadagna oltre 3.500 Rand

Economia Il 66% della popolazione risulta occupato, ma solo il 40,5% dei maggiori di 16 anni lo sono a tempo pieno.

La maggioranza lavora fuori da Soweto, il 24% lavora in Soweto, e l’84% del reddito viene speso al di fuori di Soweto.

Salute Il 17% della popolazione è affetto dal virus Hiv/Aids
Servizi Il 91% delle abitazioni ha l’allacciamento alla rete elettrica.

Il 58% ha l’acqua in casa (cifra approssimata per difetto). Il 37% ha facile accesso all’acqua dall’abitazione, e il 5% usa i rubinetti pubblici. Il 97% della popolazione ha accesso a gabinetti con sciacquone o chimici. Il 76% delle case pubbliche ha un solo gabinetto esterno.

Trasporti L’85% del totale movimenti e verso l’esterno di Soweto. Il mezzo principale è il taxi (60% del totale). Solo il 9% usa la ferrovia.


L’organizzazione spaziale: stato di fatto e piani

Soweto è una grande area urbana a insediamento diffuso. Anche se viene definita come “città dentro la città” per i suoi caratteri peculiari rispetto alla regione di Johannesburg, si tratta di qualcosa di più grande di molte città, anche se ne manca la varietà delle funzioni, dei servizi, della coesione e in parte identità. Le forme fisiche attuali sono anche il risultato di una politica di controllo pubblico che interagendo nel contesto locale ha prodotto usi distorti del suolo. Ad esempio ci sono spazi vuoti potenzialmente edificabili, ma inutilizzati, piccoli e grandi, sparsi dappertutto, che complessivamente interessano circa 900 ettari.

Ci sono pochi punti di accesso all’area, una volta all’interno la circolazione è piuttosto labirintica, in quello che spesso è un groviglio di strade cresciute a scopi locali e con poco coordinamento e chiare gerarchie. Esistono relativamente pochi nodi commerciali, terziari, industriali. I servizi alla popolazione sono distribuiti in modo irregolare, e molti dei siti destinati dalla pianificazione a questo scopo sono tuttora inutilizzati. La maggior parte degli spazi liberi e verdi non sono organizzati né mantenuti, e pongono anche problemi di ordine sanitario. Il corso del fiume offre un importante e potenziale grande sistema di spazi aperti.

Soweto non ha un centro fisico e funzionale identificabile, ma esistono molti nodi significativi che svolgono funzioni di questo tipo, soprattutto in corrispondenza con quelli del trasporto collettivo. Anche se con ruoli di minor entità rispetto a questi nodi, esistono anche fasce lineari di attività, lungo le strade principali. Esistono molte attività commerciali di tipo informale, nelle case ( spaza), ai principali incroci, alle fermate dell’autobus, nei parcheggi dei taxi e stazioni, ovvero nelle zone con alti volumi di traffico pedonale. Alcuni di questi spazi sono organizzati dentro containers o altre strutture improvvisate, di solito collocate illegalmente sulle fasce stradali o aree inedificate ad altra destinazione ma ancora inutilizzate. Anche se si tenta di fare qualcosa per queste attività illegali, occorre stabilire qualche tipo di equilibrio fra una buona pianificazione teorica, e il bisogno urgente di qualunque tipo di sviluppo economico locale.


Le linee generali della pianificazione metropolitana adottate e che riguardano il contesto specifico di Soweto, sono:

1. Contenimento dell’urbanizzazione diffusa, favorendo aumenti di densità locale.

2. Incremento dei collegamenti e trasporti.

3. Uso propulsivo dei collegamenti e trasporti per generare integrazione ed economie interne alla zona, favorendo anche i collegamenti fisici e funzionali con downtown Johannesburg e gli altri settori.

4. Integrare le aree a basso reddito con le altre, tramite trasporti e localizzazioni.

5. Integrare residenza e attività economiche.

6. Tutelare gli spazi liberi e naturali.

7. Favorire lo sviluppo delle zone in declino economico.

8. Sviluppare il potenziale delle zone rurali.

I problemi dello sviluppo commerciale

da un sondaggio su vari gruppi di operatori economici sono emersi tra l’altro questi elementi di debolezza:

- Esistono abitudini di consumo consolidate.

- Manca una vera conoscenza del mercato.

- C’è carenza di promozione.

- Non c’è sufficiente volontà politica e impegno per lo sviluppo di Soweto.

- Permane una mentalità di separazione e chiusura.

- Non esistono sufficienti incentivi finanziari.

- Soweto non è ufficialmente considerata zona prioritaria di promozione per lo sviluppo.

- Manca un adeguato piano complessivo per l’area.

- Ci sono problemi di accesso e circolazione interna.

- C’è poca percezione della crescita di reddito e capitali.

- C’è bisogno di investimenti in capitale fisso per sostenere le attività di mercato.

- Mancano capacità imprenditoriali e di raccolta capitali da investire.

- Persiste un alto livello di criminalità.

Lo sviluppo per nodi

Per Soweto, come in genere per l’area metropolitana, allo sviluppo dei nodi e per nodi si applicano i seguenti principi generali:

- Le dimensioni di ciascun nodo sono determinate dalla sua funzione urbana, e dalla sua vicinanza ad altri nodi. Il suo raggio di influenza dipende sia dalle dimensioni che dai tipi di servizi offerti.

- La densità edilizia di un nodo è determinata dalla miscela di attività, infrastrutture di trasporto, servizi pubblici.

- Uno dei principali elementi che strutturano i singoli nodi (e i loro rapporti reciproci e con la città) è la correlazione fra mobilità e uso dello spazio.

Dal punto di vista della gestione urbana, ciascun singolo nodo si caratterizza per:

- Dimensioni e ruolo

- Organizzazione fisica e posizione gerarchica

- Fase di sviluppo

- Correlazione con la gerarchia stradale

- Integrazione entro il quadro generale dello sviluppo

Alcuni nodi sono stati identificati come potenziali catalizzatori dello sviluppo. Vale a dire che, concentrando gli investimenti in queste aree, la diffusione dei benefici sarà tale da interessare in qualche modo tutta l’area di Soweto.

Nel quadro delle politiche di intervento questi nodi non vanno considerati isolatamente, e devono rappresentare anche in punto di incrocio per le varie politiche di investimento della municipalità a stimolare la crescita. Ad esempio se si realizza una strada si deve attivare anche il settore elettricità perché provveda all’illuminazione, quello responsabile del verde perché inizi ad attrezzare le aree, e poi la rimozione dei veicoli abbandonati, la gestione dei problemi col commercio informale locale danneggiato dai lavoro stradali.

Bastano questi pochi esempi, anche per capire l’entità dei problemi di base, che si danno per scontati in altre città dove l’infrastrutturazione base (materiale e immateriale) ha ben altra storia e solidità.

Una strategia di sviluppo e insediamento commerciale

L’amministrazione pubblica a seguito di un processo anche partecipativo di analisi e concertazione con varie forze locali, ha messo a punto un insieme di azioni tese allo sviluppo del commercio nell’area di Soweto, entro cui i centri commerciali più o meno pianificati e/o coordinati trovino un equilibrio con le altre forme di offerta, dai negozi tradizionali sul fronte strada al sistema delle attività non formalizzate. Fra i vari aspetti di intervento e promozione, anche quello spaziale più legato alla pianificazione urbanistica e alla politica di nodal development accennata sopra.

In generale la strategia spaziale si articola nei punti seguenti:

a) la municipalità di Johannesburg prevede la realizzazione di 70.000 metri quadrati di nuove superfici commerciali a Soweto entro i prossimi cinque anni (2004-2009)

b) quasi la metà di queste superfici sono già in corso di realizzazione (fra cui lo shopping mall di Protea citato in apertura) con qualche tipo di sostegno pubblico

c) dei rimanenti circa 40 000 metri quadrati, almeno 5.000 dovranno essere dedicati ai negozi tradizionali su fronte strada, per offrire sia beni di prima necessità e servizio di quartiere, sia alcune forme di commercio di nicchia e specializzato connesso al turismo

d) gli altri circa 35.000 metri quadrati probabilmente saranno dedicati ad altri centri commerciali, con l’esclusione però di un solo grande shopping mall a bacino di utenza regionale. Ovvero si ritiene che gli investimenti debbano essere maggiormente distribuiti nello spazio, almeno in questa prima fase del programma di sviluppo.

Con queste (piuttosto lunghe, ma ne valeva la pena) premesse sociali, urbanistiche e commerciali, forse si comprende meglio cosa significa davvero la dichiarazione apparentemente banale di un progettista, quando afferma: “Tentiamo di offrire uno spazio di qualità con un bilancio limitato. Abbiamo dovuto abbassare gli affitti per renderlo un po’ più accessibile. Siamo anche riusciti a utilizzare al meglio alcune finiture a buon mercato”.

E basta tornare alla tabella coi dati socioeconomici di questa ex South West Township, per capire quanto ne abbia bisogno, di “finiture”, di posti puliti e illuminati bene. Anche se servono soprattutto a far girare carrelli della spesa. Qui, dalle parti delle case di Nelson Mandela e Desmond Tutu, i centri commerciali sono una cosa fantastica, no? Forse perché gli hanno messo le briglie.

Nota: la maggior parte delle informazioni di questo articolo sono tratte dal sito della municipalità di Johannesburg. In particolare: le informazioni sullo shopping mall di Protea da Thomas Thale, Big Shopping Mall for Soweto, 11 maggio 2004; il quadro socioeconomico e territoriale è desunto da City of Johannesburg, Administrative Region 6 and Region 10 [le due circoscrizioni in cui si divide Soweto], Regional Spatial Development Framework (RSDF), giugno 2003; le strategie generali e il ruolo specifico del commercio da City of Johannesburg, Department of Finance and Economic Development, Soweto Retail Strategy, novembre 2004. I sito municipale è comunque ricchissimo sia di pagine da leggere direttamente, sia di documenti scritti (come questo articolo su un progetto di retailtainment per Soweto) e grafici scaricabili. (f.b.)

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