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È accaduto un fatto nuovo nel mondo dei media: il Tg 1, la nave ammiraglia del presidente del Consiglio, dedica buona parte delle sue edizioni delle ore 13 e delle ore 20 del giorno 12 maggio per negare, svilire e smentire una notizia che non ha mai dato la sera prima. Si tratta delle dichiarazioni della vedova Bruno (il marito, maresciallo dei Carabinieri è morto nell’attentato di Nassiriya) in cui la signora riporta frasi agghiaccianti su ciò che il marito vedeva e raccontava del carcere di quella città: una folla di uomini nudi stipati in spazi angusti con i corpi segnati da evidenti sevizie. L’intervista era in apertura del Tg 3. E poiché si tratta di verità (lo ha confermato il giorno dopo sul «Corriere della sera» il colonnello Burgio, comandante del Tuscania, che ha aggiunto altri tremendi episodi) ha scatenato l’ira dell’intero schieramento detto “di centro destra”. Persino il bravo Follini, che fino ad un momento prima aveva bollato con parole di fuoco le torture americane, ha negato che possa essere vero ciò che ha narrato la signora Bruno. Si è scatenata una persecuzione che è continuata fino a «Porta a Porta», dove la signora è stata interrogata (è l’unico modo di definire l’intervista che le hanno fatto) ha avuto un trattamento assai più inquisitorio della non dimenticata mamma di Cogne tuttora accusata di infanticidio.

Per questo governo e questa maggioranza, purtroppo del tutto succube anche quando si discute di gravi questioni morali, ogni spiraglio di verità è un affronto insopportabile che scatena gli insulti. Il ministro Giovanardi, per esempio, ritiene cher la signora Bruno, prima italiana a dire la verità su un carcere e su torture finora sconosciute (mostrandoci in che modo si onora un caduto) sia responsabile di eventuali conseguenze che potrebbero toccare agli ostaggi italiani. Lo dice per far capire ben chiaro quanto sia importante per lui non interrompere mai il gioco del silenzio.

Quel gioco, in tutta la sua imbarazzante mancanza di pudore, è stato giocato alla Camera dal ministro della Difesa Antonio Martino.

È un ministro che non sa niente, un adulto che nega tutto, un alleato a cui non giunge alcuna missiva, uno statista che non è in contatto con il mondo. Dato il governo marginale di cui è parte, tutto è possibile, e lo si constata dalla nostra ormai totale assenza di immagine e prestigio presso l’opinione pubblica del mondo. Ma chi andrebbe a confessarlo, in un modo così imbarazzante persino per chi non ama e non sostiene questo governo? Chi andrebbe in giro a far sapere di essere un ministro all’oscuro di tutto?

Martino ha ripetutamente e candidamente confermato che la Croce Rossa Internazionale non ha detto nulla all’Italia. Ci ha fatto tranquillamente sapere che gli Stati Uniti, che conducono l’inchiesta sulle torture da mesi, non hanno detto una parola sul grave problema al grande amico italiano. Mentre il ministro della Difesa stava sostenendo la sua affermazione incoraggiato dalle grida da stadio della sua maggioranza, mentre gli veniva l’idea, alquanto stonata, alquanto infantile («adesso ti faccio vedere io!») data la gravità delle circostanze, di chiamare in causa Fidel Castro, per spaventare il suo oppositore Diliberto, le agenzie battevano le dichiarazioni del collega di Martino, il ministro della Difesa australiano. Ha ammesso, al suo Parlamento, di sapere tutto. L’Australia ha inviato in Iraq solo poche centinaia di soldati. Ma la Croce Rossa Internazionale ha sentito il bisogno di informare quel governo e quel ministro dell’inchiesta sulle torture e delle gravissime accuse contro i comandi e la “intelligence” americani.

Nonostante le rassicuranti parole di Martino, accolte da appassionati applausi dei suoi nelle stesse ore in cui il generale Taguba ha già raccontato al suo Paese e al mondo tutto ciò che sa fino ad ora degli orrori nella prigione di Abu Grahib, mentre a Londra arrivano notizie sempre più dettagliate sulle torture inglesi (alle cui carceri affluiscono gli iracheni arrestati dagli italiani)i collaboratori di Berlusconi sparsi dovunque, fra la Rai e la politica, non hanno perso il filo della persecuzione alla signora Bruno, intorno a cui si è creato un vero e proprio “mobbing”, un ostracismo che che un giorno, passati questi tempi luttuosi e di morte in diretta, ispirerà un bel film.

Per questo il Tg 3 ha deciso di approfondire la questione mandando un’inviata a Nassiriya. Lo scopo? Vedere finalmente il carcere descritto dalla moglie del maresciallo Bruno. A Nassiriya ci sono, come sappiamo, i nostri soldati. E c’è, come governatore nominato dagli americani l’allegra dottoressa Contini, che appare dotata di un solido “positive thinking” (pensare positivo) in ogni occasione, in ogni telegiornale. Infatti la positiva dottoressa Contini ha prontamente accompagnato l’inviata del Tg 3 al “nuovo carcere” (che non vediamo). Ma il nuovo carcere non serve al dibattito in corso perché è vuoto. La giornalista insiste per vedere il “vecchio carcere” (traduzione: il vero carcere). In questo caso la dottoressa Contini, che pure è il capo di tutto, non sembra in grado di darle una mano. A differenza dei colleghi americani a Baghdad, qui la troupe del Tg 3 non filma niente. Non si sa chi, con più autorità della Contini e dei nostri comandanti, si sia opposto. Ma non si vedrà niente. Usando la minicamera di un computer da uno spazio buio, la giornalista ci narra di un cercare orrendo, ce lo descrive con bravura, ma immagini niente.

Intanto, fin dalla notte di ieri era comparso il video agghiacciante del giovane Berg decapitato, una scena spaventosa quasi identica all’assassinio di un altro giovane ebreo, Daniel Pearl, ricordate? Le bugie dei macellai sono sempre squallide e vane. I fantasmi di Al Qaeda, insediati a Baghdad, fanno sapere che vendicano le torture degli iracheni. Dal Pakistan avevano dichiarato che stavano vendicando le uccisioni dei palestinesi. Ma le due serie di immagini di tutte le vittime non si oppongono, si sommano. Sono dallo stesso lato orrido della vita. Teste mozzate, stragi di combattimenti casa per casa, corpi straziati dalle umiliazioni e dalle torture, un bagno di sangue tonifica l’altro e tutto si rovescia nel tumulto dei combattimenti senza fine. Per questo tutta l’opposizione oggi si è alzata in Parlamento e ha detto: «Basta. Adesso dobbiamo dire che si deve andar via. Subito».

Il portavoce di Forza Italia ha avuto questo da dire: «È una opposizione formata da pericolosi cialtroni». Il pover’uomo, come forma di rieducazione, andrebbe condotto nello studio di una Tv americana e costretto a vedere tutta la registrazione della seduta della Commissione Difesa di Washington, che ha avuto luogo nel pomeriggio di venerdì 7 maggio (dalle 15 alle 21). In quella commissione il presidente, il repubblicano Werner, ha chiamato a co-presiedere il più anziano dei membri democratici (opposizione), il senatore Carl Levin. Difficile dire chi dei due è stato più severo con il segretario alla Difesa Rumsfeld ogni volta che cercava di non rispondere. Ma quando Rumsfeld invece di dire un sì o un no sulle torture ha chiesto al suo capo di Stato maggiore di rispondere in sua vece, il senatore Werner, che pure è ritenuto grande amico di Bush padre, gli ha intimato: «La domanda è stata rivolta a lei, e lei avrà la buona creanza di rispondermi». Ecco la lezione che il povero Bondi ignora: una democrazia esiste quando fa spazio alla opposizione, non quando la maggioranza urla e grida e impedisce ogni dibattito. In questo caso è un regime.

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