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La Sardegna difende la supertassa

di Giovanni Maria Bellu

CAGLIARI - Nella regione sarda informatizzata di Renato Soru, gli umori popolari arrivano via e mail. Ce n’è anche uno di Giulia Maria Crespi che incita: "Andiamo avanti così, anche per le coste". Ce n’è un altro, entusiastico, di una giovane fan: "Lei è un mito". La Casa delle libertà, che subito dopo l’approvazione della "tassa sul lusso" aveva paventato "danni per il turismo", non ha insistito nella polemica. Forse perché gli stessi operatori del settore non la pensano così. Il più importante di tutti, Tom Barrack, il padrone della Costa Smeralda, già da tempo si è detto d’accordo sulla tassa con la sola condizione che il ricavato sia investito per la valorizzazione del territorio. Ed è quanto la nuova legge prevede.

Il favore con cui il provvedimento è stato accolto in Sardegna non deriva solo dal fatto che gli isolani sono esclusi dalla tassazione. Ci sono ragioni più antiche e profonde che connettono la "tassa sul lusso" con altre iniziative della giunta Soru: la chiusura della base americana della Maddalena, il divieto di edificare nella fascia costiera a due chilometri dal mare, l’ingresso della lingua sarda negli atti amministrativi della Regione, l’avvio della realizzazione della biblioteca digitale della cultura sarda, dove sono state già inserite 50.000 pagine di documenti. Il "nuovo sardismo" dell’ex patron di Tiscali continua a tirare: nelle elezioni politiche il centrosinistra ha aggiunto 75.000 voti a quelli conquistati alle regionali di due anni fa.

E’ da verificare quanto la "tassa sul lusso" porterà nelle esangui casse della Regione sarda. Stime non ufficiali parlano di circa 150 milioni di euro l’anno, somma rilevante a fronte di un bilancio complessivo di 4,5 miliardi di euro ma insufficiente a coprire i mancati introiti (circa 400 milioni l’anno) causati, secondo l’amministrazione isolana, dal mancato versamento da parte dello Stato di quote dell’Irpef e dell’Iva riscosse in Sardegna. I conti economici, insomma, non sono ancora del tutto definiti. Quelli morali, a quanto pare, cominciano a quadrare.

Tutti in Sardegna conoscono l’aneddoto sulla nascita della Costa Smeralda. Era il 1961 quando gli emissari dell’Aga Khan, che avevano appena cominciato a fare incetta dei terreni costieri, offrirono un miliardo a un anziano capraro. "Altro che un miliardo - rispose l’uomo - voglio almeno 800 milioni!" Da molti anni questa storia ha smesso di suscitare ilarità. E’ diventata la sintesi di una regione totalmente incapace di valorizzare le proprie risorse, di aver cura dei propri tesori. C’è anche questo dietro i consensi che il "nuovo sardismo" continua a raccogliere.

Secondo l’assessore al Turismo, Luisanna De Pau (che è a sua volta un imprenditore turistico) la tassazione delle residenze al mare non solo non farà diminuire il numero dei visitatori della Sardegna, ma agevolerà gli imprenditori del settore. Si calcola che a fronte di 160.000 posti letto censiti e regolarmente classificati ce ne siano altri 4/500.000, in nero, nelle seconde case. La stessa stima porta almeno a raddoppiare il numero reale dei turisti che ogni anno visitano la Sardegna: le presenze non sarebbero dieci milioni, che è il dato ufficiale, ma almeno venti milioni. E’, secondo Soru, la principale industria sommersa dell’isola. "Di tutto questo - dice l’assessore al turismo - non ci resta nulla in termini di posti di lavoro e, quando i proprietari non sono sardi, nemmeno di introito fiscale". Sempre secondo le prime stime, appartengono a "continentali" il 30/40 delle seconde case.

Gli amministratori regionali ritengono che non esistano problemi di legittimità per la "tassa sul lusso". "Dal punto di vista formale - spiega Fulvio Dettori, il segretario generale - abbiamo raggiunto la conclusione, confermata per esempio da un costituzionalista come Valerio Onida, che questo provvedimento rientra nei poteri dell’amministrazione". Ma c’è un argomento sostanziale, che riguarda l’equità del provvedimento. "I nostri interventi a tutela dell’ambiente - dice l’assessore alla Programmazione Francesco Pigliaru - e in particolare il blocco dell’edificazione nella fascia costiere, hanno determinato un incremento di valore dell’intero patrimonio abitativo. Il contributo che chiediamo non è affatto esoso". Concetto riassunto da Soru con una battuta: "Non si capisce perché nelle spiagge chi pianta un ombrellone debba pagare dieci euro e invece chi si sistema in uno dei nostri golfi con una barca di cinquanta metri non debba pagare niente. Quanto chiediamo corrisponde a quanto, molto spesso, viene speso in una serata in un locale alla moda".

Soru: "Chi ha di più paga di più

non sono Ghino di Tacco"

di Alberto Statera

Aveva promesso qualche mese fa di far sequestrare a Tremonti la scrivania di Quintino Sella e l’intero palazzo umbertino di via XX Settembre, sede del ministero del Tesoro, per l’inadempienza dello Stato nel versamento delle quote Iva e di imposte spettanti alla Sardegna. Ora Renato Soru, il Robin Hood di Sanluri, il vendicatore del Supramonte o, tout court, di «su populu sardu», dopo aver «cacciato» gli americani dalla Maddalena, ha fatto di peggio. Ha istituito una sorta di tassa sul lusso di terra, di mare e di cielo - ville, yacht e jet - dei non sardi, beccandosi dal centrodestra almeno l’epiteto di «comunista», avanguardista del partito delle tasse che con Prodi spennerà il paese. Figuratevi se qualche miliardario di Porto Rotondo che si vedrà tassare la villa da 5 o da 50 milioni di euro, magari il proprietario dei 2500 metri quadrati coperti di villa «La Certosa» tra un numero sconfinato di ettari, non ricorrerà in tutte le sedi contro l’ignobile balzello marxista.

Forse, governatore Soru, gli incazzati hanno qualche ragione: ponga il caso di un sardo che si compra una casa a Varazze per passare le vacanze. Che direbbe lei se gli mettessero una tassa?

«Guardi che non abbiamo nessuna intenzione di dividere l’Italia a fette o di far pagare diritti di signoraggio. Non sono un Ghino di Tacco sardo. Ma il turismo e le seconde case sono la principale attività della nostra regione, sono ciò che per l’Italia del nord, per il Veneto, sono i capannoni delle piccole industrie».

Le seconde case come il distretto degli occhiali nel Bellunese o quello delle scarpe nel Vicentino? Il distretto sardo delle seconde case e degli gli yacht a Porto Cervo?

«Esattamente, la Sardegna come il distretto delle piastrelle. Ma il reddito delle nostre piastrelle, 250 mila seconde case e migliaia di yacht, non viene qui, va fuori».

Non ci ha risposto sul sardo ipertassato a Varazze.

«La Sardegna è una regione a statuto speciale, con compiti speciali, con responsabilità e competenze in molte aree, con costi diversi dalle altre regioni. Oltre alla partecipazione all’Iva prodotta in Regione, che non ci viene corrisposta dallo Stato per molte centinaia di milioni di euro, abbiamo la possibilità dell’imposizione fiscale per far fronte ai nostri immensi compiti. Secondo lei verso chi dovremmo usare questa potestà? Verso i lavoratori dipendenti che non arrivano alla fine del mese? Verso i disoccupati?».

Supponiamo verso i ricchi, presidente.

«Verso chi fa uso privato e non produttivo di valori ambientali tutelati, di risorse scarse».

Insomma, lei vuole vendere ai ricchi d’Italia e del mondo una sorta di «pacchetto amenità»?

«Non mi sembra di dire un’eresia sostenendo che si partecipa sulla base delle proprie capacità contributive: chi ha di più contribuisce di più, chi ha meno di meno. L’utilizzo delle scarse risorse ambientali deve andare a beneficio della collettività sarda. Bisogna contribuire allo sviluppo delle zone interne, redistribuire il reddito per creare opportunità uguali per tutti, sulle coste e all’interno».

Presidente Soru, redistribuzione è una parolaccia per chi ci ha governato fino a ieri e forse per parte cospicua degli italiani.

«E invece sa io che le dico? Che contrariamente a quel che ho sentito dire da un importante personaggio politico, lei sa chi, penso che i figli dei ricchi e quelli dei poveri debbano avere le stesse opportunità».

Va bene, ma lei non ci sta forse dando un assaggio di autonomismo un po’ troppo spinto? Non farà dei «continentali» dei nemici?

«Per carità, nemici solo per una piccola tassa sui valori immobiliari che si sono incrementati di centinaia di volte e che si valorizzeranno ancora per la politica di tutela ambientale? I continentali sono gli amici più vicini. Chiedano la residenza in Sardegna, li accoglieremo a braccia aperte».

Non andranno in Costa del Sol?

«Una piccola tassa non sposta le preferenze dei turisti e dei proprietari di seconde case diventate uno straordinario investimento».

Fatto sta che, passato Berlusconi che voleva abolire l’Ici, e lei governatore, e non Prodi, che con la super Ici fa l’avanguardista del centrosinistra come partito delle tasse.

«Guardi che il centrosinistra non è il partito del tasse, è il partito delle pari opportunità».

Quindi non pignorerà a Prodi e al suo ministro dell’Economia la scrivania di Quintino Sella?

«Ci sono giuste ragioni da tutte e due le parti, Prodi lo sa, il problema della ripartizione dell’Iva sarà risolto. E Quintino Sella può riposare tranquillo».

Polverizzato. Più letale di una benna il Tar ha demolito il castello di accuse tirato su dal comune di Azrazchena al Piano paesaggistico regionale. Sarò anche una vittoria postuma per la giunta guidata da Renato Soru, ma i giudici pezzo dopo pezzo smontano tutte le osservazioni fatte dal comune culla della Costa Smeralda. La sentenza, che fa scuola, ribadisce la bontò della filosofia del Ppr e mette ordine in un area in cui ogni granello vale oro. Solo se ricoperto da cemento armato. Il muro di eccezioni, che l’amministrazione ha presentato per abbattere il Ppr, viene abbattuto dai giudici. Si spezza il principio portato avanti nel ricorso del Comune. Più cemento-più denaro- più sviluppo. Il Ppr non trasforma il territorio della Costa Smeralda in una riserva integrale, ma dà regole certe. Questo è il principio che sembra ribadire il Tar con questa sentenza. Filosofia applicabile in tutti i centri dell’isola. Tra gli argomenti al centro del ricorso l’istituto delle intese. La procedura per cui il Comune presenta una serie di progetti alla Regione e chiede che vengano approvati. Secondo Arzachena è uno strumento arbitrario che spoglia l’amministrazione del suo potere di decidere. Ma il Tar rovescia il punto di vista. Le intese sono una gentile concessione della Regione alle amministrazioni che non sono state capaci di adeguare il piano urbanistico alle regole del Ppr. La Regione non voleva che tutto si fermasse nei centri costieri in attesa del varo dei nuovi Puc. Per questo ha proposto di portare almeno i progetti più importanti a Cagliari. Per discuterli insieme e trovare una intesa. «I comuni non sono obbligati a chiedere l’attivazione dell’intesa — riporta la sentenza —. Si possono limitare ad adeguare con la dovuta sollecitudine il Puc al piano paesaggistico». Ma già dalle prime righe il Tar comincia l’opera di demolizione. I giudici puntano l’indice contro il comune di Arzachena che nel suo ricorso non avrebbe fatto distinzione tra fascia, e ambito costiero. Per i profani due sinonimi. Per il Ppr due cose diversissime. La fascia è l’area vicina al mare, l’ambito è il territorio nel suo complesso. La fascia costiera è tutelata con maggiore rigidità. Arzachena, che si trova a 5 chilometri dal mare, sosteneva di essere considerata dal Ppr come fascia costiera. Ma il piano paesaggistico la individua come ambito costiero. Un’area che vive di e sul mare. Finezze non solo da giuristi, ma che hanno un peso che si misura in metri cubi di cemento. In ogni caso il Tar affonda questo punto forte del ricorso. «La Gallura costiera nord orientale è stata esaminata nelle sue componenti, non si può tracciare una linea netta di demarcazione che distingua la parte paesaggistica costiera da quella insediativa interna. Tutta l’area è un unicum di cui fanno parte sia i territori sul mare, sia quelli e interni». Un altro paletto il Tar lo fissa anche per la strada Olbia- Santa Teresa. Da sempre Arzachena chiede la quattro corsie. La giunta Soru ne ha programmato una a due corsie. Anche su questo punto i giudici mettono punti fermi. Il Comune si lamentava. «Perché la Regione — riporta il ricorso presentato da Arzachena — con la ricomprensione in ambito costiero delle aree interessate alla viabilità a quattro corsie Olbia-Arzachena ha con palese sviamento vietato la realizzazione dell’opera ». Ma anche questo punto viene spazzato via dal tribunale che ribadisce la assoluta discrezionalità della Regione nel dare regole e pianificare lo sviluppo del territorio come meglio crede. In altre parole a decidere deve essere Cagliari.

Nei primi anni ‘90 la Regione decise di vincolare una fascia di 300 mt. dal mare raddoppiando la misura in vigore. Poi i piani paesistici, che accoglievano la norma, sono stati annullati (un primo gruppo già nel ‘98) e da allora la politica, eludendo i tentativi di riaprire il dibattito, ha scelto la strada dell’attesa; conveniente specie per chi non ha mai nascosto l’idea di fare saltare tutto il quadro delle regole.

Il vincolo temporaneo per una fascia di 2 km. dal mare posto dalla giunta regionale è un provvedimento annunciato. In campagna elettorale Soru ha continuamente affermato l’intenzione di ampliare il regime di tutela, giudicato insufficiente. Per salvare il salvabile è un’ accortezza indispensabile.

Ma è la contrarietà degli avversari di questa linea (e la equidistanza di altri) che ne spiegano la giustezza. Una cuccagna l’assenza di regole

che darebbe il tempo di assestare gli ultimi colpi: tante case in libertà, almeno quante se ne faranno comunque, per via di molte concessioni già rilasciate.

Ma le ragioni contro il decreto si ammantano di significati alti: «contrario ai metodi raffinati della pianificazione», «in dispregio all’autonomia dei

comuni», «contro lo sviluppo turistico» ecc. Ed è curioso che chi invoca la certezza del diritto oggi, non lo abbia fatto quando vi erano territori

con e territori senza piano paesistico.

Ma nessuno nega che la sottrazione, per legge regionale ed extra-piano, di parti dei litorali alla trasformazione (la deprecata fascia di rispetto

dei 300 mt.) abbia scongiurato un danno di considerevoli proporzioni.

Non è vero d’altra parte che il ricorso a queste misure sia operazione astratta. Per alcuni beni, a rischio di danni irreversibili, i vincoli si sono ampliati per corrispondere a crescenti riconoscimenti di valori.

Grandi parti delle città italiane sono sostanzialmente immodificabili, aldilà di dettagliate analisi urbanistiche (non solo i profili delle più note piazze e strade delle città storiche ma gli assetti di una miriade di paesaggi urbani minori sono vincolati). Appunto nelle città d’arte - care ai turisti più delle spiagge sarde - un metro cubo in più varrebbe una fortuna e tanti metri cubi sarebbero una disgrazia. La tesi secondo cui i vincoli aumentano la rendita delle preesistenze lascia il tempo che trova.

Verso i paesaggi naturali il processo di affezione avviene con più lentezza. Le misure di rispetto non sono che il riconoscimento a siti dove le sensazioni

di chi si guarda attorno sono più forti, che aumentano quanto più ci si avvicina alla riva del mare, come al nucleo di un bosco, alla cima di un

monte, a un nuraghe. Difficili da definire esattamente e variabili («tu chiamale se vuoi emozioni», semplificava Lucio Battisti).

E il grado elevato di intensità emotiva di questi ambiti, che si può alterare con poco, è confermato guarda caso dal valore di mercato - qui la rendita

immobiliare è molto alta - che si spiega con le ricorrenti richieste di possesso esclusivo.

È così irragionevole ipotizzare di allontanare l’edificazione in modo da lasciare intatti quei luoghi - e quelle emozioni - a vantaggio di molti? Chi può affermare che i turisti, per esempio quelli che hanno cominciato a disertare la Sardegna, non apprezzino questo riguardo verso il carattere

dei luoghi, anche oltre i 300 metri dal mare?

È cresciuta l’esigenza di tutela dei litorali sardi, oltre quella linea credo. La soglia di sopportazione verso le alterazioni dei siti più delicati è stata ampiamente superata, e i sardi - non solo quelli residenti nei comuni marini - e i forestieri guardano con indignazione ai danni, questi si pregiudizievoli

per il turismo. Fermarsi un anno a fronte di scelte che si trasferiranno nel tempo lunghissimo è opportuno: si scoprirà che non servono altre residenze sparse ma al più qualche buona (e vera) attrezzatura ricettiva meglio se localizzata all’interno dei preesistenti insediamenti.

Potrà riflettere quel sindaco che ha fretta di avere villaggi sulla costa con un centro storico mezzo vuoto, e convenire che una estensione del regime

di tutela, cioè piani paesistici più rigorosi di quelli annullati, potrà avvantaggiare il suo comune.

La Regione ha il compito di continuare nella strada intrapresa perchè tra l’altro ha molto più consenso di quanto si vuole fare apparire. Se ne dovrebbero

convincere gli alleati di Soru, quelli titubanti e che si collocano in quelle zone grigie, né di qua né di là, in attesa di vedere come andranno le cose.

“Abbiamo fatto parlare tutti quelli che si sono iscritti a parlare e alla fine della giornata ce ne andremo da qui avendo più ascoltato che parlato. Ci sono stati più di 25 interventi e io ringrazio tutti singolarmente, da ciascuno di questi interventi c’è qualcosa di prezioso da cogliere, importante, anche quando magari il gioco delle parti ha avuto un ruolo troppo importante e anche quando la polemica forse poteva essere stemperata.

I temi sul tappeto sono moltissimi, contagiati da tante cose, le considero tutte, cercherò di far tesoro di tutte, partendo da quella che sottolinea che forse non abbiamo rispettato troppo il cerimoniale con il presidente della Provincia, il sindaco del Comune, però francamente mi sembrano questioni ridicole. Abbiamo fatto in fretta questo incontro di lavoro perché dobbiamo lavorare in fretta per i motivi che voi ci avete sottolineato, senza troppi cerimoniali, incontrandoci da pari come voi avete detto perché c’è da fare. Rappresentiamo istituzioni diverse con responsabilità diverse che tutte assieme collaborano, secondo il principio di equanimità al Governo di questa Regione. Non abbiamo pensato di fare troppe cerimonie, abbiamo fatto le cose in fretta spendendo poco denaro pubblico ma cercando di essere più efficienti possibile.

Ringrazio comunque il sindaco del comune di Alghero per averci ospitato, non l’abbiamo voluta disturbare perché non cercavamo nulla di particolare, cercavamo una sala dove incontrarci e parlare un po’. Però le devo riferire i complimenti che sono già stati fatti per la sua città, perché sono venuto ieri sera e ho passato una bella serata passeggiando per i Bastioni, e mi devo complimentare per la piacevolezza di passare una serata in questa città. Capisco il successo di questa città, per la piacevolezza di far turismo qui e basta una serata ad Alghero per capire che differenza c’è tra visitare una lottizzazione costiera o un villaggio inventato o uno nuovo, o una specie di presepio di cartapesta, un paese vissuto dalla gente, un posto vero che attiri la gente, che l’attiri tutto l’anno e che non si monti e smonti come un presepio che dura solo 20 giorni di architetture di venti anni, un progetto che ci costa sempre un sacco di soldi e che ogni anno dobbiamo ricomprare. Questa è la differenza tra diversi tipi di turismo: fra un luogo di cartapesta e un luogo vero. Suggerisco a tutti una serata ad Alghero, a tutti quelli che hanno responsabilità per programmare il turismo nel loro territorio.

Ho detto che faccio tesoro di tutti gli interventi. Anche se volessi riassumere un pochino gli interventi ne viene fuori che ho sentito poche autocritiche oggi. Parliamoci francamente, ho sentito veramente poche autocritiche da parte degli amici, eppure tutti saranno immagino amministratori pro tempore come lo sono io e quindi non hanno magari responsabilità del passato. Sembrerebbe che tutto va bene, tutto va benissimo. L’ambiente della Sardegna è stato sempre salvaguardato dalle amministrazioni locali, quello che abbiamo realizzato è tutto bellissimo, come dicono, e ciò che stiamo facendo è tutto buonissimo. Il turismo anche quest’anno sta esplodendo e ci sta portando una montagna di lavoro, gli operatori turistici sono tutti contenti, va tutto bene, per cortesia lasciateci lavorare, non disturbateci.

Questo è un pochino il riassunto brutale degli interventi, però non credo sia così perché, se chiediamo a tanta gente che va in giro per la Sardegna, che va in giro per le coste della Sardegna, non tutto quello che è stato costruito è buono, anzi molto di quello che è stato costruito non è buono affatto, anzi ci induce anche a vergognarci un pochino per quello che è stato fatto. E non è neanche vero che il turismo sta andando bene in Sardegna, a parte rarissime situazioni, il turismo sta andando piuttosto male quest’anno, in Sardegna come in altri luoghi d’Italia, colpito dalla nuova competizione, da mercati nuovi che si offrono al mercato del turismo europeo e mondiale con professionalità nuove, prezzi più bassi, prezzi molto più bassi e a volte molto spesso servizi migliori. Il turismo non sta andando bene in Sardegna e allora forse vale la pena di continuare a parlare senza pregiudizi.

Un tema importante che è emerso: non siamo più il modello di uno Stato gerarchizzato, dove certamente si decide in piena autonomia facendo poi subire le decisioni centrali alle regioni alle province poi ai comuni. E d’altronde noi, come amministrazione regionale che combatte quello che sta accadendo in questi giorni in Parlamento, a livello centralistico statale, con il programma addirittura di modificare l’autonomia regionale di regioni che hanno carattere atipico, non possiamo pensare a decisioni centralistiche per territori, comuni, province che hanno caratteri di complementarietà e di pari valore con l’amministrazione regionale. Non ci può essere una Regione senza comuni ma non ci può essere una regione neanche senza amministrazione regionale. Tutti siamo stati votati a scrutinio segreto, come è stato ricordato stamattina, e a ciascuno di noi è stata data una responsabilità diversa, ai sindaci dei comuni costieri, agli altri trecento sindaci che oggi non sono rappresentati in questa sala e che io devo rappresentare e anche alla Regione che sicuramente ha un ruolo importante, diverso da quello dei sindaci.

Abbiamo il ruolo di programmare, abbiamo il ruolo di coordinare, fissare gli indirizzi, di guidare la politica, le diverse politiche della Regione, in questo caso la politica del turismo, le politiche urbanistiche, le politiche dello sviluppo; quindi dobbiamo lavorare assieme e stiamo cercando di imparare a farlo. Comunque esserci incontrati oggi credo sia stato importante per tutti ed è un segno di questa nostra volontà del cambiamento. C’è stato detto che forse lo potevamo fare prima, io continuo a pensare che è stato importante prima farlo e poi discutere e sentire la volontà di questa Giunta regionale, non solo di discutere ma di far le cose. E comunque abbiamo avviato questa discussione che inizia oggi, e andrà avanti e vedrà il vostro contributo attivo da qui ai mesi prossimi e ci porterà alla stesura di un Piano Territoriale Paesistico Regionale.

Programmazione dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, non credo che dobbiamo attenerci a delle formule ma sicuramente siamo tutti chiaramente consapevoli che abbiamo bisogno sia di assistenza tecnica sia di competenze esterne, ma abbiamo anche bisogno di riconoscere le competenze locali, delle amministrazioni locali, di chi conosce il territorio. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro e nessuna parte può fare a meno dell’altra parte; il singolo comune non può fare a meno dell’amministrazione e l’amministrazione regionale non può fare affatto a meno dei singoli comuni. Dobbiamo imparare a lavorare assieme, a rispettarci, e a rispettare la responsabilità diversa che ciascuno di noi ha; è stato detto: “Lei dovrebbe essere il sindaco di tutti i sindaci”, non lo so, non lo so cosa devo essere. Io devo, dovrei, rappresentare tutti i sindaci, devo rappresentare tutti i cittadini sardi, devo sapere di rappresentare gli interessi di tutti i cittadini sardi, di tutti, non solamente dei cittadini dei comuni costieri, ma anche gli interessi dei cittadini di Sanluri, tanto per fare un esempio, che non hanno il mare nel loro comune però hanno conosciuto Torre dei Corsari nel comune di Arbus, hanno conosciuto Marceddì nel comune di Terralba, hanno conosciuto San Giovanni di Silis nel comune di Cabras, e sono portatori d’interesse in quei posti, direi quanto i cittadini di queste sono portatori di interessi altrettanto importanti e altrettanto meritevoli di tutela verso quei luoghi.

E rappresento, vorrei rappresentare, in questa Giunta, gli interessi di tutti i cittadini sardi; non solo, vorrei rappresentare gli interessi di tutti i cittadini sardi, di oggi e quelli che non conosciamo ancora. Sono assolutamente conscio che dobbiamo rappresentare gli interessi di chi non è ancora nato e non nascerà prima di 20, 30 anni. Sono altrettanto importanti quegli interessi, non ci siamo solamente noi, il mondo non finirà e abbiamo il dovere di controllare e di far trovare ai nostri nipoti almeno qualcosa di quello che abbiamo conosciuto noi, e se è possibile dobbiamo fargli conoscere meglio tutto quello che di buono abbiamo conosciuto noi e qualcosa di migliorato e niente di compromesso e di cancellato per sempre: questi sono gli interessi di cui io sono portatore, io e la Giunta.

“C’era urgenza di provvedere?” mi è stato chiesto dal sindaco di Sassari. Accidenti se c’era urgenza, c’era molta urgenza per dei provvedimenti, per dei vincoli caduti, che il passato Consiglio regionale non era riuscito a riproporre, per cui questa nuova amministrazione regionale si è trovata in una situazione di caos normativo sulla fascia costiera che, come è stato ricordato, rappresenta una parte importante dei presupposti di sviluppo turistico e quindi di sviluppo di tutta la Regione sarda. C’era assolutamente l’urgenza di prendere dei provvedimenti. I 2000 metri fanno parte della storia dei precedenti PTP: la programmazione costiera è andata ad esaminare e a studiare la fascia dei 2 chilometri. C’era urgenza e abbiamo prudentemente, e con rispetto anche per quello che hanno fatto gli altri, limitato l’oggetto della nostra attenzione a difendere 2 chilometri di costa che erano stati oggetto dell’attenzione di chi ci ha preceduto. C’era assolutamente urgenza di farlo e l’abbiamo fatto.

Io vorrei cercare di chiarire, scusatemi, però ho ascoltato parecchio e poi corro il rischio di farvi perdere qualche minuto, comunque vi ringrazio di richiamare la vostra attenzione per qualche minuto in più, però è stata preziosa per voi questa mattinata ma è preziosa anche per me per farmi sentire direttamente da voi su questo argomento.

E vorrei provare ad inquadrare questa cosa in un insieme un pochino più generale che appunto è la responsabilità che io ho. E’ chiaro che quando si parla di norme generali poi colpiscono il singolo comune che aveva il suo problema particolare, un altro ne aveva ancora un altro, un altro comune non ha costruito nulla per cui è inutile che venga penalizzato come quello che ha costruito tantissimo, un altro ha nei suoi 200 metri caso unico rarissimo un importante presenza di industria zootecnica, ci sono cento particolari che avremo modo di analizzare e vi chiediamo di aiutarci a comprendere ed eventualmente a correggere. Ma quando c’è fretta è chiaro che nelle pagine si tagliano delle cose che non si vorrebbe tagliare, ma è comunque prezioso, importante, prendere delle note generali.

Comunque, quale è in realtà l’inquadramento generale che la Giunta deve fare, diversamente dai sindaci, che devono pensare all’interesse del loro singolo territorio? Innanzitutto parliamo di sviluppo economico per questa regione, di possibili modelli di sviluppo economico, di possibilità di sviluppo economico.

E’stato ricordato che l’altro giorno c’era il centenario dei fatti di Buggerru, una Sardegna all’epoca certamente più povera di oggi con un reddito pro-capite che era pari al 40% del reddito pro-capite della media nazionale. Oggi il reddito in Sardegna è sicuramente più alto. La Sardegna è più ricca di 100 anni fa, ma il reddito pro capite dei sardi è ancora pari a meno il 65% della media nazionale, dal 40% siamo passati al 65%: questo è il risultato.

Per altre cose la crescita è stata molto più importante, ad esempio per l’istruzione: il 75% delle coppie che si sposavano all’epoca firmavano con una croce i documenti del loro matrimonio; oggi direi che non c’è più nessuno che, delle nostre giovani coppie, firma con una croce. All’epoca, le donne non votavano per nulla, è stato ricordato, c’erano forse circa 15 mila frati che erano iscritti nelle liste elettorali, c’erano trecento studenti all’Università, c’erano 50 ragazzi all’anno laureati, 30 avvocati e 20 medici. La Sardegna ha fatto passi avanti da giganti, però la Sardegna non ha fatto altrettanti passi da gigante nel recupero dello sviluppo economico, dal 40% è passata al 65%. Credo che magari ci saremmo aspettati un risultato migliore e questo ritardo di sviluppo deve essere ancora la priorità del Governo della Regione, insieme alle altre cose. Un ritardo di sviluppo che si sposa con un altro dato importantissimo: la Sardegna ha probabilmente il tasso di disoccupazione più grave di tutta l’Italia. Abbiamo detto che siamo vicini al 20% e in certe regioni, in certe aree della Sardegna, e soprattutto per i giovani e per le donne, questo tasso supera il 35%, in alcune occasioni si avvicina anche al 50%; un reddito più basso del 35%, tassi di disoccupazione cha vanno dal 18, 20, 35%.

Come dare lavoro, come superare questo ritardo di sviluppo? Dando lavoro alla gente. Che modello di sviluppo per i sardi? Sono stati tentati altri modelli in precedenza, quello delle monoculture, quello del mettere tutti i soldi in unica scommessa. Questa Regione non può puntare su una nuova monocultura. C’è un dibattito anche a livello nazionale in cui si pensa che l’Italia, che vede cadere le industrie piano piano, che vede processi di deindustrializzazione, di fuga dagli investimenti industriali verso altri paesi, debba puntare in maniera massiccia verso il turismo, anche a livello nazionale. Noi in Sardegna non possiamo immaginare una nuova monocultura, quella del turismo, vogliamo un’economia ordinata, fatta di un pezzo importante dell’agricoltura, dell’industria, che già al 13% è ai livelli più bassi di tutta Italia. Vogliamo l’agricoltura, vogliamo l’industria, vogliamo anche quello che resta della grande industria, vogliamo l’artigianato, vogliamo i servizi, vogliamo i servizi anche di tecnologia, vogliamo il turismo, all’interno di un processo ordinario, non puntando unicamente adesso su una nuova unica scommessa.

Puntiamo sul turismo e allora, innanzitutto, cos’è il turismo? Prima di parlare di metri cubi, di stanze, metri quadri, stiamo parlando di posti di lavoro, di sviluppo economico, di sviluppo economico nel turismo che deve avere un ruolo importantissimo in Sardegna. E quindi cos’è il turismo? E allora direi che innanzitutto non possiamo far finta tra di noi di pensare che il turismo sia vendere la terra, perché a volte c’è la pressione della gente, ci sono delle necessità, c’è bisogno di uno stipendio oggi, questo mese, c’è bisogno di arrivare al mese prossimo o all’anno prossimo, qualche volta c’è anche il bisogno di guadagnare tanto e subito, fregandosene degli altri e del futuro. Però il turismo non è vendere la terra, non possiamo come Regione pensare di risolvere i problemi come fanno tante volte le cattive famiglie, dove piuttosto che utilizzare questi strumenti che hanno, questa eredità che hanno ricevuto, vendono qualcosa oggi, qualcosa domani, pensando che questo qualcosa da vendere rimanga per sempre; poi alla fine si accorgono che le cose da vendere sono finite, pure il valore di quelle che stavano vendendo man mano è scemato; nel frattempo i figli non sono andati a scuola o ci sono andati poco, nel frattempo quelle cose che avevano avuto in eredità erano diventati strumenti di lavoro veri. E si ritrovano spesso senza futuro e senza possibilità. Allora turismo non è vendere la terra. Il turismo non è vendere le coste, non è nemmeno venderle qualche volta anche a decine di ettari, se rendono qualcosa anche pochissimo, se rendono tanto di più a chi le valorizza, se rendono tanto di più a chi le lottizza e poi le rivende al dettaglio. Il turismo non è quello. Quello non è turismo, quello è altro. Il turismo non è neanche vendere la terra al dettaglio o vendere la terra quando, dopo le lottizzazioni, si iniziano a costruire le casette tutte uguali di questi villaggi che rimangono aperti un mese, un mese e mezzo e raramente rimangono aperti due mesi.

E’ stato ricordato ampiamente in questi giorni che io ho frequentato Villasimius, che vado a Villasimius. Lì ci sono dei posti anche bellissimi, delle calette, delle cale, dei luoghi importanti dove la cala è sparita completamente, il luogo non esiste più e esistono molte decine di case che quest’anno erano per la stragrande maggioranza vuote. E allora quelle lì evidentemente non erano investimento del turismo, sono state terra venduta, venduta con delle casettine sopra. Quello non è turismo. Il turismo non è quindi vendere la terra, terra che poi non ci sarà più a disposizione nostra e delle prossime generazioni, per tentare lo sviluppo economico possibile che ci faccia superare questo ritardo di sviluppo. Il turismo non è nemmeno attività di edilizia e in queste settimane, quando si è detto “Questo decreto uccide il turismo, questo decreto blocca il turismo, questo decreto rovina il turismo”, quasi che avessimo cancellato qualche volo aereo, bloccato la gente fuori, quasi che avessimo bloccato l’accesso alle spiagge, quasi che avessimo chiuso gli alberghi, avessimo chiuso i tour operator, non abbiamo fatto nulla per uccidere il turismo, abbiamo fatto qualcosa che ha limitato l’attività edile. Non credo che questo significhi uccidere il turismo.

Il turismo quindi non è attività edilizia, è uso attento del territorio per l’offerta dei servizi, il turismo non è cose, il turismo sono servizi, il turismo non è la casa o l’albergo, il turismo sono i servizi che possono essere fatti, sono servizi immateriali soprattutto, questo è il turismo e noi ancora ci siamo occupati di turismo nei nostri provvedimenti; è l’uso attento del territorio, è stato giustamente correttamente ricordato, l’uso attento del territorio che vuol dire la costa, la spiaggia, il terreno circostante, ma vuol dire anche il paesaggio, la storia, la cultura, i suoi abitanti, tutto quello che c’è attorno, i mestieri che si sanno fare e altre attività economiche; il turismo è l’uso attento del territorio, che vuol dire di tutta la Sardegna, di tutto quello che su questo territorio esiste, paesaggio, chiese, storia, nuraghi, cultura, conoscenze. Questo è il turismo, non attività edilizia; questo per capire qual è l’oggetto del nostro dibattito e noi dobbiamo a questo mirare, a capire cos’è l’attuale offerta di servizi e che tipo di servizi turistici sostenibili possiamo offrire, non oggi e domani e basta ma nel lungo periodo.

Cos’è il turismo e cos’è il progetto della politica regionale. Voi sindaci avete una responsabilità che è quella del vostro territorio, programmate per quello, cercate di rispondere alle esigenze, cercate di dare risposta a quelli che vengono alla vostra porta ogni mattina. Noi abbiamo come oggetto la politica regionale, la responsabilità che abbiamo di programmazione della politica regionale, all’interno della quale altre politiche regionali devono essere portate avanti. Ma l’oggetto è quello della politica regionale, la politica di sviluppo regionale, la politica turistica regionale riguarda un milione e seicento mila sardi e non solamente quelli delle zone costiere, e non può essere considerato un grazioso regalo per le zone costiere dare un posto di lavoro a quelli delle zone interne e non c’è molto da vantarsi del fatto che a volte le zone costiere danno lavoro a quelli delle zone interne, non ne abbiamo alcun merito.

Il nostro interesse, la nostra responsabilità è quella di tutelare gli interessi complessivi di lungo periodo di tutta la Regione, di lungo periodo e dell’intera Regione, delle zone costiere e delle zone interne e anche degli altri trecento sindaci che oggi non sono rappresentati e di tutta l’economia regionale, perché appunto l’ambiente riguarda tutta l’economia regionale, riguarda l’agricoltura, l’artigianato, la piccola-media industria, tutto quello che deve essere utile al turismo e che deve essere aiutato dall’operazione turistica. E allora vedete che dobbiamo darci innanzitutto, ancora prima di parlare di altri metri cubi, di altri metri quadri, di distanze, di cose, ancora prima di parlare di PTP, dobbiamo capire qual è la nostra strategia sul turismo. Noi siamo alla Regione da pochi mesi ma io la strategia del turismo della Regione sarda non l’ho trovata nei cassetti dell’assessorato al Turismo, se qualcuno sa dove posso andarla a trovare me lo dica e magari se ci va bene la riprendiamo assieme. Non esiste, non è esistita, è stato anche detto, l’hanno fatta gli imprenditori locali e i sindaci, gli imprenditori privati e i sindaci, ma non può essere così, altrimenti vuol dire che la Regione non sta facendo il suo lavoro. Il turismo deve essere programmato dalla Regione, assieme dobbiamo fare questa programmazione, ma ci dobbiamo dare una strategia del turismo, altrimenti siamo delle cicale che stanno sciupando e distruggendo e pregiudicando il futuro di lungo periodo di sviluppo vero e di turismo di questa Regione. E allora per darsi una strategia occorre innanzitutto capire qual è la nostra attuale offerta, la dimensione dell’offerta. E’ stato detto che nella provincia di Oristano ci sono oltre 1500 posti letto. Un buon dato di partenza per capire l’oferta ricettiva, ma quanti sono i posti letto esistenti in Sardegna oggi? Chi lo sa dire con precisione e quanti sono questi posti letto che ci saranno in Sardegna tra 3 mesi, chi lo sa dire con precisione? E tra 12 mesi, e tra 24 mesi? Sulla base delle concessioni edilizie già date, non sulla base di quelle che abbiamo sospeso, di quelle che avrebbero dovuto essere, ma solo sulla base di quello che è stato già concesso, già in fase di costruzione, quanti posti letto abbiamo in Sardegna? Se qualcuno lo sa me lo dica, quanti a breve, quanti sono in costruzione? Voglio dire che mancano i dati sulla dimensione dell’offerta e non credo che possiamo continuare a costruire se non sappiamo i dati dell’offerta. Non sappiamo quello che è in fase di realizzazione, non sappiamo quanto è in fase di realizzazione, non sappiamo quanto è in programma, non sappiamo quanto è la dimensione dell’offerta. Alla fine dobbiamo costruire case o vendere servizi turistici? Se dobbiamo costruire case, va tutto bene fintanto che si vende, credo che ci sia anche un po’ di difficoltà. Ma se dobbiamo offrire servizi, forse la quantità e la qualità della nostra offerta la dobbiamo capire bene, soprattutto alla fine di una stagione come questa dove gli alberghi hanno segnato, credo, dei risultati molto più modesti rispetto al passato; soprattutto alla fine di una stagione come questa dove chi era abituato ad affittare la propria casa, magari in nero, forse ha visto deluse le proprie aspettative, molto di più del passato.

Qual è l’offerta, qual è la domanda, che tipo di turismo vuole la gente, siamo sicuri che lo sappiamo? A quale tipo di domanda di turismo ci vogliamo rivolgere, a quello di massa, a quello delle discoteche, a quello di Rimini, tutti buoni per carità, ma l’importante è che sappiamo che cosa dobbiamo fare, a che tipo di turismo ci vogliamo rivolgere. Qual è la domanda e l’offerta, che tipo di modifiche sta avendo questa domanda, 30 anni fa avevamo timore dei villaggi turistici, forse anche 20-15 anni fa, adesso iniziano ad andare un pochino meno di allora. Gli stessi operatori dei villaggi turistici adesso dicono “Ah, se invece di un villaggio da 1500 posti, ne avessi 5 posti da trecento posti”. La Regione fa bene a capire questa domanda.

Qual è l’offerta, qual è la domanda, come sta evolvendosi questa domanda in giro per l’Europa, cosa possiamo fare per catturare questa domanda, a che tipo di domanda vogliamo puntare e quali sono i vantaggi competitivi di questa regione. Che cosa offriamo? Qual è il vantaggio che pensiamo di avere rispetto agli altri per cui anche in futuro la gente verrà da noi? Perché la gente sta iniziando ad andare in Croazia, o perché va alle Maldive, o perché vanno di più sul Mar Rosso, perché vanno in Tunisia, come ci poniamo in competizione verso questi paesi, qual è il nostro vantaggio competitivo? Il vantaggio non è sicuramente una stagione diciamo di caldo, non è nemmeno la facilità di trasporto che abbiamo no, come vantaggio competitivo, non abbiamo la Germania dietro di noi che incombe a poche ore di macchina in autostrada sempre pronta e a costo basso, non è il trasporto che ci aiuta per la nostra capacità di competere. E credo che non sia nemmeno il basso costo del lavoro che ci aiuti come possibilità di competere. E in un mercato che sta diventando sempre più globale e completo, dove arrivano Croazia, Tunisia, Egitto, iniziano ad arrivare anche i paesi dell’Africa tra poco, paesi dove il costo del lavoro è il 10% del nostro, dove ci sono 5 camerieri attenti per ogni turista che costano pochissimo, diversamente da un cameriere distratto, come capita da noi qualche volta, non è quello il vantaggio competitivo; e allora perché dovrebbero continuare a venire da noi, perché il costo del lavoro alto porta ad un’offerta dei servizi che non è particolarmente vantaggiosa. Non sentiamo molti turisti che vanno via dicendo la Sardegna costa poco e anche noi quando andiamo fuori all’estero, o andiamo da altre parti, ce ne torniamo a casa pensando che la Sardegna costi poco o stupendoci per quanto costa tanto dalle altre parti rispetto a noi. Noi stessi sappiamo, diciamocelo tra di noi, che la Sardegna costa cara, che i ristoranti in Sardegna costano spesso tantissimo, che gli alberghi costano tanto per la qualità dei servizi che danno. E allora quale è il vantaggio competitivo della Sardegna? Se non sono i trasporti, se non è la massa di persone che vive a fianco a noi, a distanza di automobile, se non è la qualità dei servizi, se non è il costo del lavoro, quale è il vantaggio competitivo che abbiamo? L’unico vantaggio competitivo che abbiamo è l’ambiente, l’unico vantaggio competitivo che abbiamo oggi e che possiamo sostenere nel futuro è l’ambiente, un ambiente ancora sufficientemente integro, ancora bellissimo, ancora straordinariamente intatto in molte regioni, un ambiente fantastico, in mezzo all’Europa, in un contesto di sicurezza non vicinissimo a problemi di grande emergenza, diciamo di sicurezza internazionale, con una coscienza ambientale magari ormai superiore a quella dei paesi che si affacciano ex-novo al turismo. L’ambiente, la qualità dell’ambiente, l’importanza che possiamo dare all’ambiente in mezzo all’Europa, in un contesto di sicurezza sociale. Un’altra cosa abbiamo, come dice uno che, questa estate, dopo essere stato un amante pazzesco della Sardegna, un milanese che amava la Sardegna più di me, ma questo anno non è venuto in Sardegna, è andato da un’altra parte a farsi le vacanze, ha preso la sua barca ed è andato nel Nord Africa. Ha visitato un paese che tradizionalmente era chiuso, ha incontrato dieci vacche in quindici giorni, ha trovato chilometri di coste libere, l’acqua meno trasparente fortunatamente, molto vento, disagi; fortunatamente dietro alla costa non c’era niente, certo non c’era una cultura, non c’era una storia, non c’era una tradizione di ospitalità, non c’erano tutte quelle altre cose che compongono il contesto ambientale della Sardegna e che la rendono preziosa: nuraghi, chiese romaniche, muretti a secco, centri storici, antichi mestieri, tradizioni, musica, cultura, letteratura. Questo rende prezioso il nostro ambiente: questi sono i vantaggi competitivi dai quali possiamo partire per programmare il turismo in Sardegna.

La qualità ambientale è un concetto di ambiente sufficientemente espresso; la qualità ambientale quindi deve essere il nostro pensiero ricorrente, importantissimo, tutto quello che possiamo fare per proteggere l’ambiente è importante, perché è quello l’unico vantaggio competitivo che abbiamo e che possiamo mantenere nel futuro. Dobbiamo partire dal presupposto che l’ambiente ha un costo e una priorità altissima, che una volta consumato non è che avremo ripensamenti, non esiste più, quello che c’era non ci sarà più, e quando si sbaglia nei territori è per sempre e allora non una volta ci dobbiamo pensare ma 2, 3, 4. Gli sbagli che facciamo oggi non sono per 3 mesi o per 3 anni, sono per sempre. E allora la massima attenzione al valore ambientale, al concetto di ambiente sufficientemente esteso, perché questo è l’unico vantaggio competitivo che avremo,abbiamo qui in Sardegna, non ne vedo altri, se qualcuno ne vede altri ce lo faccia sapere e condivideremo questa impostazione e magari riusciremo a fare qualcosa.

Poi vi faccio anch’io una domanda: chi devono essere i protagonisti del turismo in Sardegna? Per ora è stato detto che sono stati gli imprenditori privati e sono stati i sindaci, abbiamo detto che un ruolo importante ce l’ha la Regione e la programmazione, ma vorrei sapere chi sono questi imprenditori privati. Scusate io sarò all’antica, ho un’educazione assolutamente occidentale, capisco il valore dei mercati ma capisco anche che i mercati vanno regolamentati, capisco anche che i mercati non vanno lasciati da soli e capisco anche che ci sono mercati diversi e occorre sapere chi devono essere i protagonisti.

L’altro giorno, lo ripeto ancora, eravamo a Buggerru per ricordare i tempi della miniera. Abbiamo ricordato incidenti gravi, fatti, una tragedia importantissima la quale poi ha contribuito in maniera importantissima a far nascere la coscienza sociale e politica dei sardi. Ha permesso di essere individui, singoli che si ribellavano singolarmente ma hanno posto la loro ribellione all’interno di un discorso generale; erano operai, minatori, che lavoravano per una miniera francese con un direttore turco che il 3 di settembre gli ricordava che l’estate era finita a Buggeru e che quindi bisognava tornare all’orario invernale e la pausa per il pranzo s’interrompeva all’una del pomeriggio. Qualcuno - lo voglio ripetere perché mi sembra un’immagine bellissima - ha detto che la società a capo dell’estrazione del minerale aveva un sistema colonialistico e della Sardegna non gliene importava niente, tantomeno dello sviluppo anche sociale della Sardegna. Aveva un totale disinteresse, anzi viveva della quasi schiavitù delle persone che occupava: gli dava uno stipendio piccolo e li costringeva a spendere i loro soldi dentro la cantina della miniera per cui pagavano il martello, pagavano il tugurio in cui dormivano, pagavano l’unico market dove consumavano e così vivevano. Erano nel colonialismo dell’estrazione mineraria. Qualcuno con una felice frase ha detto che poi siamo passati all’estrazione del pecorino romano. La Sardegna è stata usata come miniera per estrarre il pecorino romano come decenni fa. Ancora una volta, il lavoro dei pastori, il valore del latte, il valore di quello che producevano, è valorizzato pochissimo: tutto viene “estratto” e portato fuori.

Oggi ci sono dei villaggi turistici in Sardegna, io ne conosco molti, in uno sono anche andato a prendere un mio amico che era lì e l’ho poi portato a casa per passare un pomeriggio assieme. Era lì da dieci giorni e naturalmente non sapeva neanche dov’era; abitava in un villaggio turistico dove naturalmente si sente quasi come un diritto imprescindibile che il demanio regionale dia la spiaggia a 4 euro all’anno dove mettere gli ombrelloni e le sdraio. Non accontentandosi di questo, c’è il proprietario del villaggio che è riuscito anche a ritagliarsi uno spazio pari a qualche decina di metri, recintato con le canne, dove anziché metterci le sdraio, ci mette la sua sdraio, quelle dei suoi amici, …sempre a 4 euro all’anno del demanio regionale.

Una fetta importante, una spiaggia importante in un luogo del territorio della Sardegna: in quel villaggio i sardi naturalmente sono impiegati, qualcuno a fare il giardiniere, altri a sistemare le camere. Tutto è chiuso, non c’è un signore che esce e che va almeno a comprare due cose nel paese che è a quattro chilometri di distanza. Ora ditemi se questo non è estrazione di turismo della Sardegna, questo è, in maniera molto più civile e moderna, un’altra forma di estrazione di valore dalla Sardegna. Ci può essere anche un po’ di questo, ma non può essere questo in prevalenza, non ci può essere estrazione di turismo dalla Sardegna e allora, se non può essere estrazione di turismo dalla Sardegna, vuol dire che la politica deve cercare per quanto possibile di privilegiare il turismo che renda attiva l’impresa sarda, che la renda attiva, per quanto possibile. Forse abbiamo un problema politico, ovvero capire che anche il turismo non deve essere solo estrazione di turismo dalla Sardegna, ma deve essere luogo di creazione di turismo in Sardegna da parte dei sardi che ci devono abitare; e allora ci sono modelli diversi da quelli di svendere il proprio territorio ad un prezzo che comunque, per quanto ci sembri caro, sarà sempre poco visto tra dieci anni o visto tra 20 anni, sarà sempre nulla in prospettiva, quando si tratta della terra. Perché su un automobile si può guadagnare poco o tanto, su un mobile poco o tanto, su un vestito poco o tanto, quando si tratta della terra di una Regione in prospettiva sarà sempre poco e ce ne accorgeremo. Chiunque, tutti noi ci rendiamo conto che è stato troppo poco il prezzo a cui è stato venduto in precedenza. Allora gli imprenditori sardi devono essere protagonisti e per essere protagonisti non possono essere lasciati soli. Il sistema deve essere in qualche maniera regolamentato, o meglio l’Amministrazione non può sempre lasciare le porte aperte, agevolare l’occupazione chi viene ad estrarre turismo in Sardegna che non produce quanto potrebbe produrre. Un turismo prodotto in Sardegna e non estratto dalla Sardegna.

Tutti noi abbiamo figli, io adesso ne ho uno di dodici anni neanche. Se deve giocare a pallone, io voglio che giochi con persone della sua classe, voglio che partecipi al campionato dei ragazzi e al massimo si confronti con quelli di tredici, quattordici quindici anni, non lo metto a giocare a pallone con quelli di venti anni, perché quelli vincono di sicuro, non lo metto a giocare al pallone con gli adulti perché quelli vincono di sicuro. E allora nel pallone non c’è la libera competizione: i piccoli con i piccoli, i medi con i medi, i grandi con i grandi; se lasciamo la libera competizione i campi da calcio saranno occupati solamente dai grandi, i piccoli non giocheranno mai a pallone perché i grandi sono più forti di loro, sono più veloci, hanno spalle più larghe, sono anche più potenti e non lasciano spazio ai piccoli. I campi di calcio noi non li regolamentiamo per i nostri figli, forse dobbiamo stare attenti anche a regolamentare la possibilità di fare impresa per quelle aziende che sono più piccole e hanno meno capitale, meno esperienza. Non c’è bisogno di fare tutto subito oggi, perché altrimenti casca il mondo.

Allora il turismo non è vendere la terra, il turismo non è costruire quello che abbiamo costruito fino adesso, perché abbiamo già venduto molta terra e abbiamo già costruito tanto che resta vuoto. E allora dobbiamo innanzitutto risistemare quello che rimane vuoto, riqualificarlo, migliorarlo, modificarlo anche in maniera sostanziale in virtù delle mutate esigenze dei turisti di oggi; aiutare i comuni che non hanno la fortuna di avere i bastioni di Alghero, ma che comunque sono comuni costieri da valorizzare e aiutare a diventare luoghi belli, luoghi piacevoli. Intervenire dove c’è un turismo che vuole ritrovarsi in contesti normali e, se c’è la possibilità, può venire a novembre, a dicembre, a febbraio, quando i paesi rimangono comunque aperti e i villaggi sono chiusi e le lottizzazioni sono chiuse e solamente qualche volta hanno la seconda casa chiusa. Dobbiamo riqualificare l’esistente per quello che è possibile, dobbiamo invertire questa idea totalmente diversa dal modello di turismo, per cui il turismo balneare debba essere necessariamente e solamente quello, senza che venga offerto altro, tutto ciò che c’è intorno. Siamo sicuri che abbiamo fatto una riflessione attenta? Siamo sicuri che sia solamente questo? Siamo sicuri che, come ancora succede oggi, dobbiamo fare i parcheggi asfaltando a fianco a un palazzo con il cornicione alto 20-30 centimetri, accanto alle spiagge incantate che ancora abbiamo. Probabilmente non è questo.

E allora riqualificazione, spremerci le meningi, usare le intelligenze, le risorse, l’entusiasmo e ritrasformare questi paesi e questa marea di seconde case o di case vuote nei paesi. A Villanova Monteleone ci sono delle case che costano 30,80,40 milioni di lire, si comprano le case per 20 mila euro non c’è dubbio, dobbiamo solamente aspettare, le compreranno tutte come hanno comprato la Toscana. Le spiagge a Villanova Monteleone c’è il vantaggio che è vicino all’aeroporto di Alghero, se le compreranno tutte.

C’è un modello, c’è una domanda turistica in giro per il mondo che chiedi di trovare una natura incontaminata. Riqualifichiamo, investiamo nei paesi, costruiamo anche tanto, ma per riqualificare e per rendere bello ciò che c’è, valutiamo caso per caso, incontriamoci, innanzitutto sapendo che cos’è il turismo, che non è vendere i territori, ma avere ben chiaro che strategia abbiamo per il turismo e che cosa vogliamo per il nostro futuro. E poi parliamo di metri cubi e di metri quadri, quello è tutto dopo, con questo provvedimento si arriva innanzitutto a fare in modo che non ci siano comuni di serie A e comuni di serie B, comuni più forti dove le tubature sono poche e comuni invece magari più attenti alle norme, che hanno approvato il PUC da tempo, dove le tubature sono la metà di quelle di altri comuni. Ecco questo non può esistere, davvero in Sardegna solo le tubature; serve ai comuni e agli imprenditori avere certezza di diritto, per avere certezza di diritto bisogna fare delle leggi, per fare delle leggi bisogna analizzare, per analizzare bisogna avere voce ferma, per analizzare bisogna avere un quadro fermo, non si può analizzare, programmare quindi normare quando tutto è in movimento. Noi chiediamo al Consiglio regionale che ci approvi questo disegno di legge, se sarà il caso potranno essere precisate meglio delle cose, e ci impegniamo entro 12 mesi a portare a casa il Piano Territoriale Paesistico Regionale, che non sia solamente metri cubi e metri quadri, ma che sostenga un modello di turismo, che sappia che l’ambiente è in realtà l’obiettivo più importante della Sardegna nei prossimi decenni e che ogni ferita all’ambiente ha un costo comparato enorme, ha un costo enorme per la possibilità di sviluppo turistico e sappiamo anche che l’ambiente ha mantenuto un’accezione più alta di quella che magari ogni tanto si ripresenta. Non è solamente mettere a posto la spiaggia, ma è tutto quanto, e sappiamo che la Sardegna è una, è fatta di 1 milione e 600 mila persone, di paesi che vivono all’interno, che fanno magari mestieri e che ancora oggi portano avanti quelle tradizioni per cui noi poi ci battiamo, ci impegniamo anche nei paesi delle zone costiere e sarà un dono prezioso la possibilità di lavoro per questi paesi. Noi chiediamo al Consiglio regionale che ci approvi questo disegno di legge, nella consapevolezza che questo è un aspetto fondamentale dei prossimi 5 anni dell’amministrazione regionale. E’ uno dei temi fondamentali della mia campagna elettorale, della maggioranza che mi ha sostenuto. Verremmo valutati in un momento veramente di importanza fondamentale per la Sardegna, quando è ora di ripensare il turismo e l’utilizzo del suo territorio. Ci incontreremo per farlo insieme.

Grazie

Sull'argomento vedi anche l'Eddytoriale 53 e i link in calce

CHI può dissentire, in buona fede e in tutta onestà, da una norma che serva effettivamente a difendere il territorio e il paesaggio di un paradiso come la Sardegna? E chi può contestare, dunque, la decisione della nuova giunta regionale guidata da Renato Soru di fermare l´avanzata del cemento selvaggio, per impedire lo scempio urbanistico nella "perla del Mediterraneo"?

Con la delibera che sospende per tre mesi qualsiasi attività di costruzione in una fascia di due chilometri dal mare, in attesa di un Piano paesistico da adottare entro un anno, la Regione ha emanato un provvedimento d´emergenza contro l´anarchia edilizia, contro il vuoto legislativo e il conseguente caos che ormai minacciavano di compromettere irreversibilmente i tratti più incontaminati delle coste sarde.

Ma come mai si era arrivati a questa situazione estrema e perché? Nell’ottobre del 2003 molti avevano accolto con entusiasmo la sentenza con cui il Tribunale amministrativo, su ricorso delle principali associazioni ecologiste, respinse ben tredici piani paesistici approvati dalla precedente amministrazione di centrodestra. Se il Tar li ha bocciati, vuol dire evidentemente che non erano legittimi, che non rispettavano la legge urbanistica regionale, che non tutelavano adeguatamente l´assetto del territorio. Eppure, come riconoscono gli ambientalisti più consapevoli, quella fu in realtà una vittoria di Pirro: vale a dire un boomerang che, facendo tabula rasa dei vincoli previsti, ha dato via libera alla lottizzazione più sfrenata.

Una volta di più, insomma, l´esperienza insegna che non sempre l´estremismo (in questo caso, verde) paga. E la lezione può essere utile anche ora, per la stessa giunta di centrosinistra e per i suoi sostenitori, in preparazione del Piano paesistico regionale che dovrà riempire appunto il vuoto legislativo e definire una nuova fascia protetta, oltre i trecento metri dal mare stabiliti dalla vecchia legge Galasso. In questa prospettiva, per un´isola frastagliata come la Sardegna, due chilometri possono anche essere troppi o troppo pochi. Dipende, tratto per tratto, dalla configurazione della costa. Sarà opportuno perciò verificare in concreto, comune per comune, le caratteristiche particolari di questo o quel territorio per decidere di conseguenza. Sul piano del metodo, un confronto aperto e democratico con le amministrazioni locali comunque s´impone.

Altrimenti, magari al di là delle migliori intenzioni, c´è il rischio di favorire gli interessi forti, quelli di chi già possiede abitazioni, residence, ville o alberghi sulle coste sarde. O peggio ancora, di alimentare involontariamente una bolla speculativa, come quella finanziaria ai tempi d´oro di Internet. Né si può ridurre tutto all´effetto annuncio, a una campagna mediatica fine a se stessa, all´insegna della demagogia, dell´isolazionismo o del protezionismo autarchico.

Per crescere e prosperare, alla Sardegna serve un modello di sviluppo economico-sociale, moderno, compatibile con la difesa dell´ambiente e con la valorizzazione di tutte le sue risorse, a cominciare proprio da un turismo sostenibile. Ha ragione il governatore Soru a dire che questo non si può identificare con l´attività edilizia. Ma è pur vero che non deve ispirarsi a un paradigma "cavernicolo", fatto esclusivamente di campeggi, tende, roulotte e caravan. La "perla del Mediterraneo" ha bisogno di essere protetta dai nuovi barbari, non di essere blindata e diventare un´isola "off limits".

Postilla

Ha ragione Valentini quando dice che “due chilometri possono anche essere troppi o troppo pochi”, non solo per la Sardegna. Proprio a questo serve un piano paesistico. Un vincolo temporaneo di salvaguardia non può che essere una sciabolata, cui dovrà seguire (come correttamente la delibera regionale prevede)il cesello di un vero e proprio piano paesaggistico, che, adeguandosi alle caratteristiche proprie delle diverse porzioni di costa, potrà stabilire la tutela rigorosa e la non trasformabilità su fasce che potranno essere inferiori, e anche superiori, ai 2000 metri del vincolo di salvaguardia. È su questo piano che dovrà esercitarsi il confronto, con el amministrazioni locali ma con i cittadini e con le espressioni associative degli interessi diffusi. Solo che il vincolo dovrebbe durare fino all'adozione del piano. (es)

DAL NOSTRO INVIATO CAGLIARI — Non più cemento sulle coste, Renato Soru è stato di parola: da ieri la Sardegna ha una legge che proibisce di costruire sui litorali e il limite è persino più dei due chilometri che due anni fa, fra polemiche e minacce di rivolte nei comuni a più alto sviluppo turistico, il governatore aveva imposto provvisoriamente. Ora quel limite è flessibile: va da un minimo di 300 metri, ma in pochissimi siti, a un massimo che in località di particolare pregio ambientale supera i 5 chilometri. Soru riassume: «Tutto ciò che è scampato all'assalto in corso da decenni rimarrà intatto. Le bellezze naturali sono un patrimonio che può essere messo a frutto solo se non viene stravolto. Ci eravamo impegnati a voltare pagina, lo abbiamo fatto».

A un prezzo carissimo, protestano l'opposizione di centrodestra che ha occupato l'aula del consiglio regionale con bavagli, transenne e cartelli di divieto di transito («Sarà la paralisi dell'edilizia, migliaia di disoccupati») e gli imprenditori più danneggiati. Fra i quali la famiglia Berlusconi, che dovrà rinunciare definitivamente a realizzare Costa Turchese, mega villaggio a sud di Olbia, ville e alberghi su 500 ettari e porto turistico per 2 mila imbarcazioni. A Costa Turchese e nella fascia intorno a Capo Ceraso, di fronte all'isola di Tavolara, non si potrà erigere un solo metro cubo: la salvaguardia è totale, anche per la vicinanza di una riserva marina protetta che va dal golfo di Olbia fino a San Teodoro.

La legge è tassativa: si potrà costruire esclusivamente nelle città, ma solo se dotate di un piano urbanistico, e compiere interventi di riqualificazione in insediamenti turistici esistenti, ma con l'assenso di Regione, Provincia e Comune. Un esempio: a Porto Cervo il finanziere californiano Tom Barrack potrà compiere ristrutturazioni (è previsto l'abbattimento del cantiere nautico: al suo posto hotel a 5 stelle e centri commerciali) ma la Costa Smeralda nel complesso rimarrà com'è; nei 2500 ettari fra Cala di Volpe e Portisco non si potrà tirar su neanche un muro. Stop a Sergio Zuncheddu, importante imprenditore immobiliare ed editore del quotidiano Unione Sarda, e agli insediamenti a Cala Giunco (costa sud). Niente cemento nell'incantevole golfo di Orosei (Cala Luna, Sisine, Mariolu, Goloritzè), nella baia di Porto Conte vicino ad Alghero. Nel Sulcis Iglesiente invece le miniere dimesse saranno trasformate in siti di interesse turistico con il recupero degli edifici esistenti, ma nelle decine di migliaia di ettari fronte mare non si potrà erigere nulla. Così pure all'Asinara: nell'ex isola- prigione, ora parco nazionale, via libera ad imprenditori internazionali che però dovranno trasformare gli edifici carcerari in residenze per turisti.

Alt anche alle ville «camuffate» da fattorie: nei terreni agricoli si potranno costruire solo alloggi per chi conduce l'azienda ed è prevista un'estensione minima di 3 ettari. «E' la fine del Far West», tira dritto Soru. «Ora ci sono regole certe, forse addirittura abbiamo fatto meno di ciò che la gente chiedeva. Abbiamo visto paesini sulle coste diventare città, senza lo straccio di un progetto né un piano regolatore. Si procedeva colpi di piano di risanamento urbano, ben 18 in un solo comune. Adesso non accadrà più».

Per il partito del cemento è una disfatta. La giunta regionale sarda ha approvato ieri il cosiddetto piano paesaggistico. Costruire sulle coste devastando paesaggio e ambiente non sarà più possibile. Le nuove regole impongono una tutela rigorosa. Vietato costruire entro una fascia che si estende mediamente (un po' meno in alcune zone, un po' più in altre) per due km dal mare. Tutti i comuni dovranno dotarsi di un piano urbanistico, che dovrà essere sottoposto a una verifica di coerenza con il piano affidata alla Regione. Nelle zone di insediamento turistico saranno consentite esclusivamente opere di riqualificazione urbanistica, ad esempio la trasformazione di villaggi turistici in alberghi oppure la ristrutturazione di strutture abbandonate o in rovina. E il piano tutela anche le campagne, dove si potrà costruire solo in terreni estesi per almeno tre ettari e solo se si dimostra che chi edifica esercita su quel pezzo di terra un'attività di imprenditore agricolo. E' insomma un'inversione di tendenza netta rispetto al passato. L'obiettivo del piano, firmato da Edoardo Salzano, urbanista da sempre impegnato sul fronte ambientale, è quello di dare uno stop a un modello basato sulle seconde case e sui villaggi turistici. Ora dove non c'è niente non si potrà più costruire, e dove già è stato costruito si potrà soltanto riqualificare, eliminare gli scempi. La filosofia di fondo del piano è conservare le zone ancora intatte, indirizzando lo sviluppo turistico verso i centri urbani, con progetti di riconversione urbanistica degli insediamenti già esistenti. Per il presidente della giunta sarda, Renato Soru, non è stato semplice ottenere il consenso della sua maggioranza all'approvazione del piano paesaggistico. Le resistenze maggiori sono arrivate da una parte dei Ds, quella più legata a settori imprenditoriali che dal vecchio modello di sviluppo turistico hanno ricavato per anni utili sostanziosi. Alla fine di un lungo braccio di ferro Soru è riuscito a far passare la sua linea. La battaglia, però, non è ancora terminata. Raggiunto l'accordo di maggioranza che ha consentito all'esecutivo presieduto da Soru di approvare il piano, ora si apre la fase di definizione dei piani urbanistici comunali. Molti sindaci di centrodestra hanno già annunciato che faranno ostruzionismo. Tra le reazioni, quella di Roberto Della Seta, presidente di Legambiente: «Quello sardo è uno dei piani paesaggistici più avanzati e innovativi, in grado di proporre tutela e valorizzazione». A sostegno del piano anche Antonello Licheri, capogruppo Prc in consiglio regionale: «E' una bellissima notizia per la Sardegna e un pessimo affare per palazzinari senza scrupoli». E quanto pesante sia la sconfitta per i palazzinari lo dimostra la reazione rabbiosa del centrodestra. Ieri mattina alcuni consiglieri regionali hanno bloccato l'ingresso all'aula, transennando le porte con nastri di plastica con su scritto: «Vergogna!».

Precisazione

Il Piano paesaggistico regionale non è “firmato da Edoardo Salzano”. Il piano è il piano dell’amministrazione regionale, è stato redatto dall’Ufficio regionale diretto dall’ing. Paola Cannas, alla sua redazione hanno concorso alcune decine di tecnici e amministrativi, nonché (con i suoi consigli e documenti, e l’impegno personale di alcuni suoi membri) il Comitato scientifico. Salzano è stato il coordinatore del Comitato, ed è orgoglioso di aver partecipato a questo titolo alla formazione del più positivo documento di pianificazione redatto in questi anni, così difficili per quanti credono che il territorio sia un bene comune e che, per governarlo nell’interesse delle generazioni attuali e di quelle future, sia necessario amministrarlo con parsimonia e avvedutezza.

Alla fine i falchi di Forza Italia hanno dovuto cedere e il consiglio regionale della Sardegna ha approvato l'articolo del decreto salva coste, il numero 3, che impedisce di costruire entro una fascia di due chilometri dal mare. Per bloccare la decisione della giunta presieduta da Renato Soru l'opposizione aveva presentato 3.800 emendamenti. Guidata da Mauro Pili, ex presidente della Regione, alter ego in Sardegna del presidente del Consiglio, il centrodestra puntava a bloccare i lavori del consiglio e a impedire l'approvazione della legge finanziaria regionale entro la fine dell'anno. Ma le cose sono andate storte. Pili, alla fine, è rimasto isolato all'interno della stessa minoranza. Il braccio di ferro è finito a favore del centrosinistra. Alleanza nazionale si è sfilata, lasciando Pili solo a sostenere la linea dello scontro istituzionale. Al partito di Fini si è accodato quasi tutto il resto dell'opposizione, che ha deciso di rinunciare all'ostruzionismo e di discutere la legge in consiglio a termini di regolamento. In sostanza, il centrodestra ha riconosciuto alla maggioranza il diritto di legiferare, senza per questo rinunciare a modificare il decreto in aula. Dopo l'intesa tra centrosinistra e centrodestra Pili ha reagito con dichiarazioni molto polemiche, accusando i partner della coalizione di centrodestra di fare «un'opposizione morbida e in pantofole». Puntuale la replica del capogruppo di Alleanza nazionale in consiglio, Mario Diana: «Ma quali pantofole. Alleanza nazionale farà un'opposizione dura, ma nei limiti della democrazia. L'accordo sul disegno di legge esiste, ma riguarda solo i tempi e non i contenuti». E poi, una puntualizzazione che è anche una «frecciata» al leader di Forza Italia: «Non siamo noi ad aver perso le ultime elezioni, ma Pili». Nel confronto con Soru, Pili ha perso con un distacco nettissimo a favore del leader del centrosinistra (un centrosinistra allargato, in Sardegna, ai movimenti e a Rifondazione Comunista). Il contrasto tra Pili e An riflette a livello locale le tensioni che a Roma agitano la Casa delle libertà. Dopo l'accordo con l'opposizione, la discussione del disegno di legge sulle coste è ripresa a ritmi normali. L'articolo cardine, il 3, è già passato. Ed è un vero e proprio mutamento di paradigma. Il divieto di costruire entro la fascia di due chilometri ferma tutti i progetti speculativi e tutti i piani immobiliari che molti comuni avevano fatto passare, nei cinque anni di governo del centrodestra, con il sostanziale appoggio della giunta regionale. Il saccheggio indiscriminato viene bloccato. Il disegno di legge fissa i criteri generali di una programmazione che mette al centro la tutela dell'ambiente.

Gli interessi che vengono colpiti sono enormi. Tra i progetti bloccati quello di Costa Turchese, a sud di Olbia, dove una società di Marina Berlusconi, figlia del presidente del Consiglio, vorrebbe realizzare un maga villaggio turistico. Ma viene bloccato anche il progetto di raddoppio della Costa Smeralda messo in cantiere da Tom Barrack, il miliardario texano che ha acquistato il paradiso sardo delle vacanze per vip da Karim Aga Khan. Così come vengono fermate colate di cemento già pronte a deturpare le coste di Bosa, di Alghero, del Sulcis e dell'Ogliastra. Interventi che, considerati tutti insieme, prefigurano una sorta di città lineare, fatta di seconde case, di villaggi turistici e di alberghi, che si estenderebbe su tutto il perimetro delle coste sarde. Interessi imprenditoriali, quelli toccati dal decreto, che si appoggiano soprattutto a Forza Italia. Anche per questo An ha deciso di mollare Pili e di lasciarlo solo a sostenere la linea dell'ostruzionismo a oltranza. Ora il fronte della protesta dura si è spostato dal consiglio regionale ai Comuni ed è guidato da sindaci di centrodestra. In prima fila il sindaco di Olbia, Settimio Nizzi, e quello di Arzachena, Pasquale Ragnedda. Il più intransigente è Nizzi, che sui progetti di cementificazione delle coste ha puntato tutta la sua campagna elettorale, sostenuta in prima persona dal Cavaliere.

Salve prof. Salzano, sono, ancor prima che studente di architettura nella facoltà di Firenze, un giovane ragazzo sardo. In quanto studente di architettura, ho avuto modo di conoscerla, senza interloquire, in una lezione frontale, di qualche anno fa, che tenne, nelle ore di lezione del prof. Morandi. In quegli anni ho avuto modo di conoscere lei e le sue opere, compreso la bellissima e sempre aggiornata pagina web. Poi, lei diventa protagonista della mia Terra, grazie alla sua collaborazione per la stesura del nostro PPR. Niente mi ha reso più orgoglioso in questi anni, ma sopratutto quando ho letto il suo nome, non ho avuto dubbi che il lavoro di quel Piano, fosse al di sopra di ogni sospetto. In questi giorni, lei, come noi sardi, avrà appreso della sconfitta del presidente Soru, il quale ha deciso di combattere all'opposizione, grazie all'appoggio dei molti giovani che lo hanno sostenuto in questi giorni drammatici. Ecco, questa mia mail, la scrivo, per iniziare a difendere il lavoro, di quella giunta che è stata appena bocciata, da quelle persone mal informate, sull'indispensabile e rivoluzionario PPR sardo. Avendo appreso, dai giornali, che uno dei primi provvedimenti, riguarderà proprio il PPR, le chiedo, in che modo potranno intervenire sul lavoro fatto finora. Cosa possiamo fare, quali azioni possiamo intraprendere, affinché quel Piano non venga toccato? Quali strumenti abbiamo, noi, gente comune, per difendere a spada tratta, l'operato del PPR? A livello universitario, si potrebbero creare dei comitati, a sostegno del vostro lavoro, affinchè la nuova giunta sarda, non possa agire liberamente a causa del disinteresse e l'ignoranza, totale degli abitanti? Chiedo consigli a Lei, in quanto penso, sia la persona più adatta ad indirizzarmi nelle strade più importanti e giuste, per difendere, ancor prima che il PPR sardo, quei principi fondamentali ed imprescindibili, alla base di quel lavoro. La ringrazio anticipatamente della sua collaborazione e posticipatamente per essere stato attore del nostro più importante strumento di governo del Territorio Sardo

Caro Omar, non sono protagonista del piano paesaggistico della Sardegna, ma solo uno dei membri del Comitato scientifico che ha aiutato il presidente Soru, la Giunta e, soprattutto, l’ufficio diretto dall’ingegner Paola Cannas a redigere il piano. È un lavoro al quale sono molto orgoglioso di aver collaborato, e che ritengo espressione di una politica di tutela del patrimonio comune eccezionale: vorrei dire unica in Italia. Ma il merito maggiore va indubbiamente a Renato Soru, alla sua determinata volontà e alla fedeltà all’impostazione di base che caratterizza la sua cultura. Devo dire che anche Soru ha i suoi difetti: per esempio, non ero affatto d’accordo con la legge urbanistica che la sua Giunta aveva predisposto, e non ho mancato di fargli conoscere le mie ragioni critiche. Ma non abbiamo bisogno di santi (seppure ce ne fossero), invece di parsone che sappiano fare ciò che i tempi e le occasioni chiedono loro, e che nel farlo siano migliori degli altri. Ora non ho dubbi sul fatto che, oggi, in Italia, per quel lavoro di tutela del patrimonio collettivo costituito dal paesaggio (e dalla cultura che esso esprime), Soru abbia fatto il meglio che si potesse fare.

Credo che dobbiamo domandarci perché il popolo sardo non lo abbia compreso. Le ragioni sono certamente molteplici: il “pensiero unico” che negli ultimi decenni ha pervaso tutte le teste, e che ha portato in primo piano l’illusione che difendendo i propri interessi economici immediati contro tutto e tutti si serve la propria felicità; la sterminata potenza di fuoco mediatico messo in campo di quel macroscopico “errore politico” che è Silvio Berlusconi; le piccole, meschine furberie autolesioniste nelle quali si è espresso il fastidio degli “alleati” di Soru per le asprezze del suo carattere e, soprattutto, per qualche “pulizia” che ha fatto. Ma io credo che ci siano stati anche errori suoi: forse ha lasciato appannare la forza del suo messaggio, ha cercato mediazioni che si sono rivelate illusorie, non ha saputo coniugare il carattere “aristocratico” del suo messaggio con la ricerca di una base popolare abbastanza larga, costruita sui principi che sono alla base del suo agire.

Scusami questo lungo sproloquio, ma la tua lettera mi spinge a riflettere su una vicenda che continua ad appassionarmi. Una vicenda che non è chiusa, a mio parere. Lo sarebbe stato se Soru, dopo la sconfitta, av esse abbandonato. Così fortunatamente non è. I voti che ha preso per la sua politica (che sono più di quelli che ha preso la coaliizione costruita per appoggiarlo) sono una ricchezza che va spesa: in primo luogo per accrescerla e farla diventare di nuovo maggioritaria e, nel frattempo, per difendere ciò che la Sardegna, grazie a lui, ha conquistato. Come? Tu lo chiedi, e dai alcune prime risposte.

Sarà certamente utile utilizzare le università, a condizione che i miei colleghi sappiano abbandonare gli atteggiamenti accademici, sappiano chinarsi sulle cose, comprendere e far comprendere, impegnarsi in una battaglia politica che deve consistere in primo luogo nel far condividere agli altri ciò che ci sembra giusto: al popolo, ai cittadini che non parlano né conoscono le parole difficili. E sarà utile aggregare tutti quei cittadini che hanno fiducia in Soru e, soprattutto, nei principi e nelle qualità del territorio che lui difende. Sarà utile rafforzare quei comuni che non pensano che il bene collettivo consista nello svendere i patrimoni che ci sono stati consegnati dagli avi, e conquistare i comuni oggi diretti da chi ha venduto l’anima pubblica al mercato immobiliare. Sarà utile coinvolgere tutti quegli intellettuali che hanno compreso che la politica avviata da Soru è quella necessaria, ma che non riescono se non con fatica a uscire dalle loro torri d’avorio. Sarà utile cercare i canali mediante i quali si possa allargare all’Italia, all’Eutropoa e al mondo la denuncia dei tentativi di distruggere ciò che nel quinquennio di Renato Soru si è costruito.

Eddyburg è pronto a fare la sua parte

INVIATO A CAGLIARI E’ una partita a poker che vale due miliardi di euro, in cui ognuno gioca per conto suo, quasi tutti indossano gli occhiali scuri per non far vedere lo sguardo, e tutti hanno un interesse, non sempre coniugabile col bene comune. Dietro le dimissioni di Renato Soru c’è la sfida di una lobby del cemento, le mire, a volte indecenti a volte no, di imprenditori e palazzinari, le faide dentro il Pd, persino la villetta del piccolo consigliere locale, che magari vota contro il piano paesaggistico del governatore. Se ci fosse Rosi potrebbe girare «Le mani sull’isola ». La città è troppo poco. Certo, siamo a Cagliari, da dove tutto è cominciato, e nelle cui vicinanze si combattono due delle contese che più hanno lavorato ai fianchi il governatore. Ma non è solo Cagliari. Passeggiando per le rovine archeologiche di Tuvixeddu, per esempio, la scritta che blocca i lavori dell’ingegner Gualtiero Cualbu è ancora affissa, «sito sottoposto a blocco cautelativo dall’autorità giudiziaria». Cualbu, il più noto costruttore edile della città, oggi anche albergatore di lusso col Thotel, voto (esplicito) a destra, aveva presentato un progetto di utilizzo di un’area degradata di 50 ettari dove fino agli Anni Sessanta la gente viveva incastrata come nei Sassi di Matera, 38 dei quali da destinare a parco urbano, e dieci a residenze. Un business da 260 mila metri quadri di nuovi volumi, investimento tra i 150 e i 200 milioni di euro. La Regione ha stoppato tutto, Soru spiega che «quella è un’area archeologica tra le più belle della nostra terra, e non sopporta volumi di queste dimensioni». Cualbu ha fatto ricorso, e adesso racconta: «Sono la vittima predestinata, il costruttore che gli serve per fare bella figura sui media, ma avevo tutte le autorizzazioni. Una cosa è certa, noi il 5 dicembre riprendiamo i lavori». Bisogna dunque, come sempre, se- guire dove va il fiume di danari che scorre - o potrebbe scorrere - nell’isola, per cominciare a capire cosa c’è alla radice delle (tante) ansie di rivincita che si coalizzano contro Soru. E risalire un po’ la costa orientale da Cagliari a Cala di Giunco, Villasimius - dove anche in questa mattinata variabile è possibile vedere i fenicotteri. Un sindaco di sinistra, Salvatore Sanna detto Tore, che ostenta familiarità con Walter Veltroni (il segretario democratico ha semplicemente fatto vacanza da quelle parti), aveva inizialmente benedetto il progetto di Sergio Zuncheddu, altro grande costruttore, editore dell’Unione Sarda, nemicissima di Soru: villaggi per 140 mila metri cubi di nuovi volumi, investimento di 90 milioni di euro, stop a tutto, e il Tar che ha appena dato ragione a Soru. Come andrà a finire? Zuncheddu è tenace, «noi andiamo avanti, ricorreremo ancora». Tra parentesi: lui ha l’Unione, e ora anche La Sardegna si è spostata a destra. Prima l’editore era Nicki Grauso, ora una compagine di imprenditori legati a Marcello Dell’Utri. La mappa del potere muta, a urne ancora chiuse. A Cagliari il sindaco forzista Emilio Floris è sul piede di guerra perché sono fermi lavori sul lungomare Poetto, sul porticciolo di Marina Piccola, sul campus universitario. Vuole candidarsi? Alla Maddalena, che Soldati chiamava «la piccola Parigi», dopo il G8 del 2009 si farà un bando per il polo turistico, è assodato che concorreranno il riabilitato Aga Khan (pronto a spendere 150 milioni), una società monegasca (la Giee, collegata col gruppo Rodriguez, che fa yacht d’altura, ne sborserebbe 70), e anche Tom Barrack, se al quartier generale confermano: siamo interessati anche noi. Ma è una partita da giocare. Altre si stanno giocando. Negli ultimi due anni, per dire, i fratelli Toti e Benetton sono arrivati sull’isola più volte per proporre un progetto nella zona di Capo Teulada, all’inizio si sono fatti precedere da una telefonata di Francesco Rutelli. La regione ha controproposto: impegnatevi invece nel tratto di miniere dismesse di Sant’Antioco, dove urge una riqualificazione. Risposta: fossimo matti. Stessa sorte è toccata a Domenico Bonifaci, che voleva operare su un’area intorno a Porto San Paolo, edificando tra l’altro nuove residenze nell’agro, cosa vietatissima dalla filosofia- Soru (i tre chilometri dalle coste sono inespugnabili, e oggetto, appunto, della legge contestata). Lì i lavori non sono neanche mai partiti. Alcune porte però si aprono, Soru le cita per dire «è falso che io sia contro l’impresa tout court». Colaninno sta riqualificando un vecchio albergo a Is Molas (progetto di Massimiliano Fuksas), i Marcegaglia hanno acquisito il Forte Village (Tronchetti aveva visitato le miniere dismesse di Ingurtosu, poi ha scelto di non investire), Barrack sta facendo semplici lavori di ristrutturazione dei suoi alberghi della Costa Smeralda, Ligresti ha visto approvare il suo Tankka Village (sempre a Villasimius). Perché loro sì? La regione ritiene che non sfondano il territorio con nuovi volumi, anzi razionalizzano strutture obsolete. Paolo Fresu, jazzista veltroniano, ha lanciato per mail una petizione pro Soru coi suoi amici intellettuali, Salvatore Niffoi, l’attrice Caterina Murino. Ma magari pesa di più l’ira dei sindacati, che strepitano perché l’ex mago del bilancio di Soru, Franceso Pigliaru, il Giavazzi sardo, ha rimesso in sesto il bilancio anche tagliando 98 milioni di euro per la formazione: prima se li pappava la triplice. La circostanza che i seguaci di Cabras, il senatore amico di Fassino capo degli anti-Soru, votino contro il piano paesaggistico è, in questo mare, la semplice goccia. Peserà questa, o il fatto che la somma di tutti gli investimenti bloccati è vicina al miliardo, e - accusa Silvio Berlusconi - «Soru penalizza l’economia »? No, replicano in regione, gli occupati nel settore edile crescono del 18 per cento. E secondo l’assessore all’Urbanistica Gian Valerio Sanna, il miliardo bloccato è compensato da un altro miliardo virtuoso: 500 milioni investiti in tre anni dalla regione per centri storici, campagne, agricoltura, e altri 500 dai progetti approvati ai privati. Ci sono mani e mani, sull’isola della lotta al potere del cemento.

La legge vigente in Sardegna e quella in corso di approvazione da parte del Consiglio regionale prevedono entrambe che il Piano paesaggistico regionale sia approvato dalla Giunta e redatto sulla base di un documento di indirizzo del Consiglio.

E’ stata approvata soltanto la prima parte del Piano paesaggistico, quella relativa alle coste, la seconda parte, relativa alle zone interne, è stata elaborata ma non ha ancora concluso il suo iter. Obiettivo della giunta Soru è di completare il piano entro il mandato amministrativo, quindi approvare nei prossimi mesi anche la seconda parte del piano.

La discussione che è esplosa in Consiglio regionale riguarda la volontà da parte di alcuni, comprese alcune componenti della maggioranza, di utilizzare per la formazione della parte residua del Piano paesaggistico, le nuove norme anziché quelle precedenti. In sostanza significa che lo stesso Consiglio che ha approvato il documento di indirizzi sulla cui base è stato fatto il Piano paesaggistico, vuole adesso approvare un nuovo documento di indirizzi sulla base del quale ricominciare la pianificazione delle zone interne.

Soru e la Giunta, da quello che si capisce dalla lettura dei giornali, sembrano invece determinati ad approvare il più presto possibile il Piano nella sua interezza. Rimettere le cose in discussione significherebbe ritardare di un consistente numero di mesi il procedimento e quindi non arrivare all’approvazione completa del piano entro il mandato amministrativo. Bisogna considerare che da tempo, da parte della maggioranza, c’erano malumori nei confronti di Soru e quindi questa, più che l’occasione, è stata il pretesto per tentare di commissionarlo

CAGLIARI - Alla fine Renato Soru non ce l´ha fatta più. E all´ennesimo sgambetto della sua maggioranza ha dato le dimissioni. È accaduto ieri a tarda sera in consiglio regionale durante le votazioni sulla legge urbanistica, il caposaldo della sua attività di governo. Quando è stato bocciato a voto palese (55 no, 21 sì e un astenuto) un emendamento della giunta regionale il governatore della Sardegna si è alzato e insieme agli assessori ha abbandonato l´aula. Dopo un´ora e mezza di attesa Soru si è ripresentato in aula e ha annunciato le dimissioni. «Ma non lascerò la politica», ha detto dopo.

Il provvedimento respinto avrebbe dovuto sostituire la vecchia normativa del 1989 per completare il programma di governo del territorio, cominciato con la legge «salvacoste» del 2004 e proseguito con il Piano paesaggistico. Per il governatore era una «parte fondamentale della legislatura», quella che avrebbe consentito di puntare ad una pianificazione legata a uno sviluppo ambientalmente sostenibile per l´isola, con una serie di vincoli tra cui il divieto di inedificabilità assoluta nella fascia dei 300 metri dal mare.

Soru aveva messo in guardia la maggioranza in mattinata nel suo primo intervento dall´inizio dell´esame della nuova legge urbanistica. «Il Piano paesaggistico regionale è stato parte fondamentale di questa legislatura. Disconoscerlo, in qualunque modo, è un fatto grave, che dovrà essere preso nella giusta considerazione da parte di tutti noi», aveva dichiarato, invitando a votare per l´emendamento di sintesi della Giunta che avrebbe consentito alla Regione di approvare la seconda parte del Piano paesaggistico regionale con le nuove procedure previste dalla legge in discussione.

L'avvertimento non è stato colto e Soru stanco di mesi di guerriglia, a cominciare dalla continua messa in discussione della sua ricandidatura alle elezioni regionali del prossimo giugno, ha deciso di andare sino in fondo e di non farsi logorare sino allo sfinimento, come nelle ultime legislature è accaduto agli altri presidenti della Regione, sia di sinistra che di destra, in prossimità della scadenza del mandato, in piena lotta per le candidature.

«Non è un dissenso solo sul merito della legge urbanistica ma ancora più una mancanza di fiducia forte fra il presidente e la sua maggioranza», ha spiegato Soru in consiglio regionale annunciando le dimissioni. «Ho riflettuto sul fatto di essere un presidente eletto direttamente dai sardi. Ma non si può governare senza una forte maggioranza in consiglio regionale, tanto più che abbiamo davanti la discussione della finanziaria, l´ultima della legislatura. Mi sono riletto la legge statutaria e ho riflettuto su cosa sia più utile per la Sardegna e non più utile per me».

Il portavoce nazionale del Pd, Andrea Orlando, ha annunciato che il partito lavorerà per scongiurare la fine anticipata della legislatura.

«La notizia delle dimissioni di Soru ci preoccupa e giunge in un momento delicato e importante del governo riformista della giunta regionale. Lavoreremo nelle prossime ore per ricomporre il quadro politico e fare in modo che non si apra la strada della fine anticipata della legislatura consentire di proseguire un´azione di trasformazione della Sardegna che riteniamo importante e decisiva». Soru presenterà le dimissioni formalmente questa mattina e avrà un mese di tempo per ritirarle. Se non ci saranno ripensamenti il consiglio regionale sarà sciolto e le prossime elezioni dovranno tenersi entro sessanta giorni.

Ex miniere, nessuno va alla gara

di Giampaolo Meloni

IGLESIAS. Masua resterà come è: «Un museo naturale, e ne sono ben felice», dice Renato Soru. Il destino di questo tassello della storia mineraria abbarbicata sul mare è segnato dall’esito del bando internazionale per il recupero e la valorizzazione turistica dei siti minerari dimessi del Sulcis Iglesiente e dell’area Ingurtosu: la gara, in scadenza a fine marzo dopo la proroga di un mese, è andata deserta, nessuna proposta è arrivata sul tavolo della Regione. Dunque la procedura è approdata a formale compimento. Ma il bando sarà riformulato, Masua esclusa.

Ci sarà però un aggiustamento nella struttura del bando “Luxi” (così era stato denominato), al quale la giunta pensa di poter cominciare a lavorare in tempi brevi. Il punto sul quale si corregge la rotta è nella prospettiva che l’esecutivo aveva previsto attraverso la modulazione del testo e che aveva innescato una sequenza di polemiche: «La nostra attenzione rimane intatta per i centri della fascia più interna che avevano mostrato interesse e auspicio per lo sviluppo turistico», ha osservato Soru. La parte del bando che riguarda Ingurtosu e le zone di Buggerru saranno tutte destinate a interventi di valorizzazione. La modifica sostanziale nella nuova formula della gara internazionale sarà nell’assegnazione dei siti: i “gioielli” del patrimonio minerario dismesso finiranno sul mercato non con la formula della vendita ma attraverso la “concessione”, come dire, in affitto per un periodo determinato.

La sostanza del bando cambia, ma l’indirizzo politico della giunta trova conferma come era stato in realtà già delineato. Proprio Soru e l’assessore dell’Urbanisitca Gianvalerio Sanna lo avevano dichiarato alla Nuova in una intervista congiunta a fine dello scorso giugno: «Lavoreremo per la concessione». Una strategia maturata anche per rispettare le osservazioni (in qualche caso anche polemiche forti) che sull’argomento avevano preso corpo da diversi ambienti, sia sindacali (con le manifestazioni della Cisl in piena estate), sia politiche (il centrodestra in consiglio regionale: vogliono svendere le aree minerarie) e alcune associazioni culturali.

«Dirotteremo gli investimenti previsti per Masua verso i centri abitati di Nebida e Buggerru, previo accordo con i rispettivi amministratori locali - ribadisce il presidente della Regione Renato Soru -. Per Ingurtosu verrà rifatto il bando tenendo conto della spinta e delle sollecitazioni arrivate negli ultimi mesi per evitare la vendita e a prevedere invece la formula della concessione dei siti».

Le tre società che avevano presentato una manifestazione di interesse per Masua e avevano anche visitato il sito minerario dismesso (Pirelli Real Estate, Immobiliare Lombarda e il fondo immobiliare Hines Italia, mentre una cordata sarda era rimasta esclusa fin dall’inizio per inghippi procedurali), non si sono presentate all’appuntamento fissato l’ultimo giorno di marzo, dopo la proroga di un mese che era stata chiesta dalle stesse società che avevano inizialmente mostrato interesse e quindi a fine febbraio chiesto di potere ancora pensare all’iniziativa. Ma al traguardo nessuno si è presentato.

Soru non accoglie il fatto con amarezza. Anzi, appare ben lieto di poter assecondare la sollecitazioni a non costruire sulla costa, anche in questo caso, perchè, spiega, «si tratta di una richiesta che proviene dalle sensibilità del territorio». E di quelle obiezioni si è tenuto conto: «Non abbiamo più lavorato al bando che oltre ad essere stato contestato da parte sindacale - ha chiarito Soru - ha avuto critiche per la mutata sensibilità ambientale. La consapevolezza della tutela della costa è cresciuta e non solo sono d’accordo, ma ne sono felice».

La gara interessava due compendi, quello dell’area di Masua e Monte Agruxau, su una superficie di circa 318 ettari, dove sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 120mila metri cubi per Masua e 40mila per Monte Agruxau, per un totale massimo di 160mila metri cubi. Il secondo riguardava Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli, per una superficie di circa 329 ettari. In questo sito sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 30mila metri cubi per Ingurtosu e 70mila per Pitzinurri e Naracauli, per un totale non superiore a 100.000 metri cubi. L’importo a base d’asta era di 32 milioni e 520mila euro per Masua e Monte Agruxau e di 11 milioni di euro per Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli.

Nelle procedure del bando internazionale si è innescato il contenzioso sulle bonifiche delle aree inquinate dall’industria mineraria: gli interventi sarebbero stati curati con il controllo regionale attraverso le società Igea e Ati-Ifras (dove operano i cinquecento ex minatori), o affidati agli acquirenti privati (con il conseguente prevedibile licenziamento dei lavoratori). La Regione aveva previsto nel bando sia la garanzia di interventi per i primi e sia il compito parziale di avrebbe acquistato. Ma sindacati e lavoratori non sin sono fidati troppo e hanno innescato una vertenza sofferta a tutela del proprio impiego.

Anche su questo fronte il presidente Soru nella tarda serata di ieri, con riferimento alle due società Igea e Ati-Ifras, ha voluto rassicurare le comunità locali: «Le bonifiche si faranno e saranno realizzate attraverso gli strumenti di cui disponiamo». Ma c’è di più. L’argomento non sarà liquidato facendo ricorso alle casse pubbliche, che pure dovranno intervenire, ma si aprirà probabilmente un confronto (se non anche un contenzioso) con chi ha la responsabilità dell’inquinamento, ovvero le società minerarie che hanno esercitato l’attività abbandonando poi i luoghi con il carico dei veleni. Tra queste primeggia l’Eni, che nel 1993 chiuse le miniere e fece le valige lasciando sul posto (in verità con molti consensi) le ferite dell’inquinamento senza nulla risarcire. Prospettiva che si potrebbe aprire in un futuro non troppo lontano.

Quel sogno non è svanito

di p.p.

IGLESIAS. Far sorgere fiorenti attività turistiche dove un tempo c’erano le miniere: che idea! Più che un progetto è stato un sogno coltivato per molto tempo. Sembrava una sorta di parabola evangelica: nei luoghi che furono un inferno di fatiche durissime sotto terra finalmente c’era la possibilità fare il salto. Quasi una redenzione. Dalle tenebre alla luce. Quella del sole e dell’aria aperta e mare pulito che può accogliere vacanzieri spensierati in quell’angolo di paradiso.

L’idea circolava già nel tempo in cui Mauro Pili era sindaco di Iglesias. Chiuse le miniere bisognava capire che cosa fare e come farlo. In sostanza bisognava trasformare quel sogno in progetto reale. Lo ha fatto l’amministrazione regionale guidata da Soru preparando le carte necessarie a far partire un bando d’asta internazionale.

Attenzione. Non un progetto per cementificare ma per impiegare al meglio il 60% delle volumetrie esistenti. E già solo la notizia (era l’aprile del 2006), dell’asta internazionale per il recupero e la valorizzazione dei beni minerari dismessi di Ingurtosu, Naracauli e Pitzinurri ha creato subito un clima di euforia tra gli amministratori comunali della zona. Ma anche qualche problema: il centro destra ha accusato Soru di svendere i pezzi migliori dell’isola ai suoi amici. I sindacati hanno posto il problema degli ex minatori: potevano, per esempio, essere loro a bonificare quei siti?

Le aree interessate dal bando nel territorio di Arbus appartengono al compendio ex minerario di Ingurtosu e hanno una vastità di 329 mila ettari, con una possibilità di intervento di recupero, ristrutturazione e adeguamento fino a un limite massimo di 100 mila metri cubi di volumetria, di cui trentamila a Ingurtosu e settantamila a Pitzinurri. Tutto quel bendiddio, spalmato su 47 chiloetri di costa di grande pregio ambientale, poteva finire al migliore offerente attraverso una gara che aveva base d’asta di undici milioni di euro.

La speranza di tutti era che a scendere in campo fossero nomi di prima grandezza della finanza e del turismo internazionale. A nessuno (Soru lo aveva dichiarato in maniera perentoria) interessava avere a che fare con mariuoli più o meno cammuffati. Quel bando poteva essere l’occasione per trasformare in paradiso un angolo di Sardegna sottoutilizzato sebbene apprezzato da un un crescente numero di ambientalisti e amanti delle aspre bellezze di quelle coste. E quel sogno non è ancora svanito.

p.p.

CAGLIARI. Zack. Il referendum per dire no al Ppr non si farà. Richesta bocciata per la seconda volta. Piange, la Cdl, furiosa contro i vincoli del piano urbanistico. «E’ inammissibile», decreta l’Ufficio regionale che deve valutare se è il caso di ricorrere alla consultazione popolare per cancellare una legge. Vanno in fumo 24.139 firme: tante ne aveva raccolte in un paio di settimane il centrodestra capitanato da Mauro Pili che proprio ieri sera - sentendo odore di bruciato - si è autoconsegnato al direttore del carcere di Buoncammino per protestare contro quello che lo stesso deputato definisce «il bavaglio dei sardi». Renato Soru non commenta, neanche sotto tortura, ma non è peregrino ipotizzare che ieri sera il governatore abbia brindato.

La ghigliottina sulla seconda richiesta di referendum sul Piano paesaggistico è stata azionata ieri pomeriggio, poco prima delle cinque.

Sotto la presidenza di Gian Luigi Ferrero, i componenti Vincenzo Amato, Silvio Ignazio Silvestri, Enrico Passeroni e Fulvio Dettori, con l’assistenza del segretario Carlo Sanna, l’Ufficio regionale ha ritenuto di non dover ammettere la richiesta di referendum abrogativo della delibera varata dalla giunta regionale il 5 settembre dell’anno passato, quella con cui è diventato operativo il Piano paesaggistico regionale.

Da che cosa è originata l’inammissibilità? La spiegazione è contenuta in una decina di pagine in cui si fa un diretto riferimento a un orientamento della giurisprudenza in materia di referendum. Senza usare termini giuridici, la sostanza del rifiuto è abbastanza semplice. Si parte dall’assunto che il Piano paesaggistico «è un atto particolarmente articolato, che contiene disposizioni eterogenee e in gran parte differenziate, senz’altro non riconducibili a un unico principio ispiratore».

Ebbene, secondo le argomentazioni dell’Ufficio regionale, «la richiesta di referendum non può essere ammessa in quanto essa si ricollega alla delibera della giunta nella sua totalità, fatta attraverso un quesito unitario nonostante la pluralità e non omogeneità della materia in discussione». E ancora: «Il cittadino si troverebbe nell’impossibilità di esprimere liberamente il suo voto su argomenti e disposizioni del tutto diversi». Insomma, i componenti dell’Ufficio sono convinti che non si possa - con un «sì» o con un «no» (queste sono le uniche opzioni) - valutare nel suo complesso una normativa così complessa e articolata come il Piano paesaggistico.

«Il quesito - si argomenta ancora da parte dell’Ufficio del referendum - non consente di differenziare la valutazione sull’abrogazione o la conservazione della disciplina sulla fascia costiera, sulle aree naturali, sulle aree agro-forestali, sul sistema dei parchi» e via elencando.

A corredo del parere negativo, l’Ufficio presieduto da Gian Luigi Ferrato infine precisa che «l’accertata inammissibilità della richiesta referendaria comporta che non si deve provvedere agli ulteriori adempimenti imposti dalla legge regionale nuero 20».

Quest’ultima, ha tutta l’aria di un’ulteriore mazzata nei confronti del centrodestra che, all’inizio del 2007, per impulso di Mauro Pili ma anche dell’intero gotha della Cdl sarda, aveva deciso di riorganizzare una raccolta di firme per abolire la legge sul Ppr, definito a più riprese uno strumento che «blocca lo sviluppo della Sardegna, e favorisce importanti speculazioni immobiliari». Pili e soci avevano comunciato a girare la Sardegna e in un paio di settimane avevano raccolto oltre 24mila firme. Il numero minimo era di diecimila, ma, dopo la bocciatura di una prima richiesta di referendum, la Cdl aveva pensato bene di prendersi il sicuro, anche in previsione di quanto poi avrebbe previsto la Statutaria che ha innalzato il tetto a 15mila firme. Lo scorso 6 febbraio, poi, una folta delegazione dei partiti d’opposizione aveva depositato nella cancelleria della Corte d’Appello di Cagliari 24 faldoni azzurri contenenti ognuno mille firme. Subito dopo, in una conferenza stampa, gli esponenti dell’opposizione non si erano risparmiati nel contestare in maniera ancora più feroce la politica urbanistica, caratterizzata da vincoli bloccasviluppo, della giunta.

Non è azzardato, dopo quest’altra bocciatura, prevedere che da oggi, convinta che il referendum avrebbe cassato il Ppr, si mobiliti un’altra volta. E magari segua l’esempio di Mauro Pili, autorinchiusosi a Buoncammino.

CAGLIARI. «La tutela del territorio non blocca le attività economiche e, anzi, garantisce sviluppo e occupazione». Lo ha detto il vice premier Francesco Rutelli nel firmare ieri, con Renato Soru, il protocollo d’intesa sul Piano paesaggistico. Nella sua qualità di ministro dei Beni culturali Rutelli ha assicurato «collaborazione con lealtà e amicizia». E come ministro del Turismo ha affermato che è la strada giusta «per allungare la stagione». Prima di inaugurare a Villanovaforru la mostra precolombiana, Rutelli ha anche «approvato» le scelte della Regione su Tuvixeddu.

Accompagnato dal deputato Paolo Fadda e perennemente circondato dai dirigenti e consiglieri regionali della Margherita, Rutelli è stato protagonista di cinque ore sarde particolarmente intense prima di rientrare nella capitale per l’incontro del governo Prodi con la Chiesa. Proprio in vista del delicatissimo appuntamento, il vicepremier, pur con cortesia, ha accuratamente evitato di rispondere alle domande dei giornalisti sulla situazione politica italiana: «Oggi, per fortuna, qui parliamo di cultura».

L’arrivo poco prima delle 10 nella presidenza della Regione, dove ad attenderlo c’erano Renato Soru e gli assessori Gian Valerio Sanna e Luisanna Depau. Dopo un breve incontro nell’ufficio del presidente, la cerimonia della firma si è svolta davanti a giornalisti e telecamere, in sala giunta. Il protocollo d’intesa ha diversi obiettivi: semplificare le procedure di cui sono responsabili gli uffici nazionali e quelli regionali (non più semplicemente delegati dallo Stato), prevedere forme di collaborazione attiva, programmare verifiche e aggiustamenti alle normative.

Il presidente Soru ha sottolineato «con orgoglio» che la Regione sarda «è la prima ad avere approvato il Piano paesaggistico e quindi la prima a firmare l’intesa». Rutelli non ha certo faticato a dargli atto di un lavoro «denso e importante che ha impresso una svolta nella tutela del paesaggio». E’ «una sfida straordinaria e coraggiosa», anche «per situazioni pregresse che hanno compromesso lunghi tratti di costa». A questo proposito, auspicando che la svolta avvenga anche nelle altre zone del Paese, Rutelli ha affermato che «in Italia si discute molto di opere pubbliche per la grande viabilità, mentre su quelle dovremmo essere più veloci per essere più cauti sulla cementificazione».

Che non riguarda solo le coste, come ha fatto notare lo stesso Soru citando il caso cagliaritano dei colli di Tuvixeddu e Tuvumannu. Rispondendo una domanda su dilemma tutela-lavoro a proposito del rischio licenziamenti per il blocco dei cantieri edili, Rutelli ha detto che «si possono trovare giuste soluzioni con espropri e compensazioni». E ha citato la storia dei «sassi» di Matera: «Quarant’anni fa erano il simbolo di un’arretratezza millenaria, tanto da essere scelti da Pier Paolo Pasolini come scenario fedele della Palestina di Gesù Cristo, oggi quelle case salvate e risanate valgono quattromila euro a metro quadro e nel centro abitato ci sono ancora i residenti, che hanno trovato occasioni di lavoro». Per dire che «la tutela porta anche vantaggi economici». Soru ha quindi voluto chiarire: «La necropoli punica è come la reggia di Barumini: non si può consentire che venga coperta da palazzi. E poi non blocchiamo tutto, i lavori nella vasta area riprendono, abbiamo detto no solo alla costruzione di alcuni edifici».

Il passo al programma sul turismo è stato breve: «L’Italia non è solo Roma, Firenze e Venezia, diciamo no al turisdotto che collega frettolosamente e superficialmente questi tre centri per vedere pochi monumenti e andare via. L’Italia, e la Sardegna in particolare, ha enormi potenzialità nei suoi edifici, nei suoi monumenti e nel suo territorio». Quindi «tutela e valorizzazione» sapendo che «si può trasformare il territorio con interventi mirati».

Prima del trasferimento a Villanovaforru, Rutelli ha dedicato dieci minuti alle associazioni ambientaliste sul caso Tuvixeddu-Tuvumannu. Particolarmente felice Vincenzo Tiana (Legambiente), che ha consegnato un dossier al vicepremier. «Il suo sostegno - ha detto Tiana - può essere decisivo».

Nel Museo del Territorio, tra Villanovaforru e Villaurbana, dove ha inaugurato una mostra precolombiana di grande suggestione, Rutelli ha detto di essere rimasto «affascinato dalle colline delle Marmilla». Dove hanno messo gli occhi operatori italiani (tra cui l’ex dirigente Fiat Paolo Fresco) e irlandesi vogliono realizzare centinaia di residenze di lusso e campi da golf. L’occasione ha consentito al vicepremier e ministro di sottolineare l’importante del rapporto tra il turismo e la cultura: «L’Italia e la Sardegna - ha ribadito - non possono non puntare sulla qualità». L’accento è stato messo non solo sul Museo (volàno autentico dello sviluppo di questa zona) ma anche sul recupero dei centri storici avviato venticinque anni fa da quattro sindaci-pionieri, tra i quali soprattutto Giovanni Pusceddu, del Consorzio Sa Corona Arrubia.

A Villanovaforru Rutelli è stato raggiunto dai parlamentari nuoresi Antonello Soro, che per primo gli aveva parlato del Museo del Territorio, e Salvatore Ladu. C’era anche tutto il gruppo della Margherita in Consiglio regionale, convocato da Antonio Biancu per una riunione con il leader nazionale. L’appuntamento politico, in vista dei congressi, è invece saltato a causa del poco tempo a disposizione.

Ed è stato parzialmente sacrificato anche il pranzo ufficiale nel rifugio della seggiovia. Rutelli ha fatto appena in tempo ad assegiare gli antipasti e un primo di «lorighittas» perché a un certo punto è stato prelevato dall’infaticabile Paolo Fadda: «Ci aspettano qui vicino, a Collinas, per farti vedere il presepio artistico. E’ bellissimo, non l’hanno disfatto per te. Ci vorranno cinque minuti in tutto». Rutelli, che da buon romano ha la passione del presepe, non si è fatto pregare. La visita nel piccolo paese in festa è durata un po’ di più. Quindi la frettolosa partenza per Roma, a parlare (purtroppo o per fortuna) di politica.

Postilla

È utile precisare il protocollo firmato dal Ministro e dal Presidente non ha ancora gli effetti di quello di cui all’articolo 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e in particolare non provoca gli snellimenti procedurali annunciati da Rutelli. Infatti l’intesa di cui alla legge deve essere firmata anche dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e gli snellimenti procedurali vi saranno quando i comuni avranno adeguato i loro strumenti al PPR, esteso all’intero territorio regionale. Una intesa, quindi, eminentemente politica, come quelle firmate con la Toscana e con il Friuli – Venezia giulia.

Con una sola differenza, peraltro rilevante: in Sardegna il PPR c’è, ed è vigente: per ora, almeno per gli ambiti costieri. E la sua tutela è immediatamente operante.

CAGLIARI. Dopo la strada da 31 milioni di euro che doveva attraversare il valico nella necropoli di Tuvixeddu sull’asse ovest-est e arrivare fino alla sopralevata per l’aeroporto, la Regione cancella con una delibera un filare di palazzi di cinque piani progettati lungo la via Is Maglias per un totale di 75 mila metri cubi. Lo strumento per arrivare al risultato di lasciare a Cagliari quel che resta della sua caratteristica di «città di pietra e di acqua» saranno gli espropri, possibili secondo l’articolo 96 del codice per i beni culturali varato dal ministro Urbani. I soldi per l’operazione verranno ricavati dalla Finanziaria di quest’anno dove, annuncia l’assessore ai Lavori pubblici Carlo Mannoni, sarà previsto un fondo «per gli oneri relativi agli espropri ex articolo 96». Inoltre «al momento della contrattazione, la giunta può proporre degli scambi». Dalla lettura della delibera si comprende che non è un intervento cieco: la difesa dal cemento del costone sopra la via Is Maglias e del varco conosciuto come canyon, suggestiva risultanza dell’attività di cava, è uno dei tasselli del «parco di Karalis», l’operazione ambientalista promossa con il piano paesistico regionale. La delibera mette ancora una volta in chiaro la volontà della giunta regionale di rileggere l’accordo di programma firmato nel 2000 tra Coimpresa (la ditta titolare della lottizzazione), il Comune e la Regione secondo la formula del piano integrato d’area (pia) «Cagliari 17 - Sistema dei colli». Come è noto, la giunta è andata oltre ogni aspettativa ecologista: finora le costanti polemiche sulle costruzioni a bordo di necropoli contestavano la quantità di volumetrie e in qualche caso la loro posizione ma sempre in relazione alla presenza di tombe. Mai l’estetica e, men che meno, i 23 ettari di parco. Nella delibera varata in questi giorni si rintracciano accenti perfino appassionati nel descrivere l’immenso torto che verrebbe arrecato alla straordinaria necropoli di Tuvixeddu se il parco sarà quello attualmente in cantiere e le costruzioni quelle progettate. Gli espropri possibili con la delibera 5/23 del 7 febbraio 2007 intendono impedire quel che è successo giù sul lato della necropoli che degrada verso Sant’Avendrace: l’accesso naturale della città bassa è ormai sigillato dal cemento. La delibera cerca di rimediare anche a questo suggerendo l’acquisizione di una porzione del viale Sant’Avendrace, dal numero civico 35 al 55. Nella fascia alta l’accesso a Tuvixeddu, adesso, è quasi tutto libero. Salvo la cresta delle palazzine dei Punici costruite in cima al costone su viale Merello via Is Maglias a un passo dal ripetitore, il versante del colle su quest’ultima via è libero: secondo la giunta regionale deve restarlo perché «è tuttora l’accesso all’antica e ancora possibile percezione panoramica che dal colle guarda verso Santa Gilla, il mare, i monti del Basso Sulcis fino ad abbracciare la dimensione spaziale del Golfo degli Angeli...». Lunedì prossimo la commissione regionale del paesaggio si riunisce per decidere l’estensione del vincolo paesaggistico: si dirà nel dettaglio ciò che si può fare e ciò che sarà vietato. Ma la delibera della giunta fa proprie alcune osservazioni degli esperti (citandoli) della stessa commissione. In sostanza, secondo archeologi e paesaggisti nei 23 ettari del parco in cantiere «il sistema ambientale preesistente a seguito dei lavori oggi sospesi risulta del tutto stravolto». La sommità del colle è più alta di tre metri; la vegetazione originaria è quasi scomparsa; le strade interne sarebbero sproporzionate; aiuole e robusti muri di contenimento, anche se ospiteranno essenze mediterranee, «artificializzano un luogo in gran parte naturale o seminaturale», in favore di «uno scenario da giardino pubblico, gradevole, attraente, consumabile... a detta degli esperti l’impressione è che alla base vi sia un’idea non condivisibile: quella di bonificare e abbellire il contesto della necropoli, come se lo si ritenesse inespressivo, difettoso sul piano formale ed estetico».

Il soprintendente ai beni archeologici di Cagliari e Oristano, Vincenzo Santoni, in viaggio tra Sassari e Cagliari ieri ancora non conosceva la delibera e ha tagliato corto: «Vedremo». La situazione è delicata anche per il suo ufficio, visto che l’accordo del 2000 aveva il benestare della sua soprintendenza e difatti avrebbe chiesto un parere legale sulle indicazioni della Regione.

Plauso incondizionato da Gruppo di intervento giuridico e Amici della Terra che, per mano del presidente Stefano Deliperi, scrivono: «finalmente viene messa in primo piano la salvaguardia della più importante area sepolcrale punico-romana del Mediterraneo».

Il giornale mi mandò in Sardegna, per una inchiesta sui porti, nel 1960. Avevo 24 anni, l’Italia appariva ancora, in tanti posti, integra e bellissima. Non ero facile agli stupori. Tuttavia quella terra segreta e intatta, quei paesaggi antichi e quasi del tutto intoccati mi emozionarono, mi entrarono dentro in modo tutto speciale. Certo, il sottosviluppo lo si respirava. A Sassari non c’erano neppure dei veri taxi alla stazione, ma soltanto moto-taxi. Andando verso Cagliari, sulla Carlo Felice, incontrammo qualche rara vettura e pochi camion. A Macomer c’erano donne in costume tradizionale in strada e certo non aspettavano noi, sparuti turisti di passo. Poi è successo quello che è successo, travolgendo spesso piani e tutele.

“Abbiamo costruito villaggi fantasma e reso fantasmi i nostri paesi”, ha commentato amaro il governatore Renato Soru lanciando una sorta di nuovo “manifesto” programmatico per la sua isola. In base al quale si vuole dare precedenza assoluta alla salvaguardia delle coste e al restauro, recupero, riqualificazione di quanto già stato costruito.

“C’è qualcosa di molto triste e perfino drammatico nei villaggi vacanze”, osserva un fine intellettuale sardo, Giorgio Todde, “c’è qualcosa che lascia inebetiti nella vita sintetica del villaggio dove si mangia si dorme, si balla, si nuota in piscine irreali, poi si mangia di nuovo, si dorme di nuovo in un ciclo rotondo e animale di cibo, deiezione e sonno”. Dal quale la Sardegna vera è esclusa, là, fuori dal recinto..

A questo punto dovrei indicare le zone dell’isola che ancora si presentano integre a chi vi risiede o a chi vi si reca in viaggio, in vacanza. Il ventaglio della scelta, nonostante tutto, è ampio. Volete, miracolosamente, una grande area a pochi minuti dal traffico di una città come Cagliari? C’è il promontorio di Sant’Elia. Oppure, ad un passo dalla città, il parco della laguna di Molentargius e quello della Sella del Diavolo. Natura, storia, archeologia, lì c’è tutto, in modo affascinante. Anche il Sinis vanta ambienti e paesaggi strepitosi, come del resto la zona attorno a Bosa. All’interno poi ci sono il Gennargentu o il Supramonte. Ma, se vogliamo restare sul mare, scegliamo allora la Costa Verde nell’Iglesiente, detta anche il Sahara d’Italia per l’ampiezza inusitata degli arenili e delle dune che li proteggono. Anche 3.000 ettari ininterrotti.

Sulla Costa Verde si possono meglio capire quante risorse conservi questa grande isola (in passato molto spesso colonizzata da questo o quel popolo e però rimasta fieramente se stessa) e quanti rischi essa corra tuttora. Siamo in un distretto minerario che nell’Ottocento ha attratto, fra Montevecchio, Ingortosu, Funtanazza, Piscinas, Naracauli, Scivu, Pistis, investitori da mezza Europa, per il piombo e per lo zinco (oggi esauriti). Investitori professionali, francesi, belgi, inglesi come lord Brassey, a lungo titolare della “Pertusola”. O improvvisati come uno dei romanzieri europei più amati, Honoré de Balzac, sempre in caccia di febbrili speculazioni regolarmente finite male.

In questa costa sud-occidentale dell’isola, che si apre con la località, anch’essa mineraria, di Arbus, ci sono dune di una vastità e di una bellezza abbaglianti, dune le quali penetrano anche per 2 chilometri nel retroterra dove vigoreggia la macchia mediterranea, col lentischio, il corbezzolo, il ginepro, il cisto. E poi, dovunque, pini e pinastri. Migliaia di ettari di dune, altrove distrutte e cementificate. Chilometri e chilometri di arenili incontaminati da interventi dell’uomo.

Dietro il mare verde, dietro queste dune imponenti, dietro la macchia mediterranea, regno del cervo sardo, nell’interno i villaggi dei minatori, le ville liberty, spesso in granito, dei dirigenti, tutto ciò che ha fatto di questi luoghi una comunità di lavoro, con l’epos unico delle miniere. A Montevecchio le gallerie si inoltrano per un centinaio di chilometri, con pozzi fino a 350 metri di profondità. Altre gallerie perfino a picco sul mare, a Porto Flavia, una costa di roccia alta e accidentata. Su tutto domina il Monte Arcuentu che è come una fortificazione naturale di basalto dovuta a remote eruzioni vulcaniche.

Ne parlo con una certa apprensione. Nella Sardegna investita dal “boom” del cemento turistico si è molto costruito – prima del decreto salva-coste votato dalla Giunta Soru nel 2005 e che preservava una fascia di 2 chilometri – e si è costruito, “normalmente”, a 200 o 300 metri dal mare. Con prezzi d’acquisto che nella scorsa stagione oscillavano fra i 1.300-1.600 euro al mq di Muravera, entrata da poco nel business, e i 2.500-4.000 di Golfo Aranci. Anche se nella prima località c’erano ancora – e risultavano gradite – non poche case del vecchio paese. Ecco tornare il discorso iniziale del governatore-imprenditore Renato Soru e del Piano Paesistico Regionale (di cui si parla qui sotto): non più villaggi turistici aperti pochi mesi l’anno, e che intanto si “mangiano” natura e paesaggio, ma paesi antichi o vecchi che siano sempre più intensamente vissuti. Da tutti.

IL PIANO SALVACOSTE

Renato Soru, presidente della Regione Sardegna, è balzato agli onori della cronaca per la polemica sulla tassa sul lusso (megayacht, seconde case) con Flavio Briatore, manager della scuderia Renault in FormulaUno, proprietario del Billionaire di Porto Cervo. Al governatore sardo si deve il più grande piano paesaggistico mai disegnato in Italia: tutelerà 1.731 Km di coste e il loro entroterra. Un piano impostato, nelle linee-guida, da un comitato di esperti coordinati da Edoardo Salzano (titolare, fra l’altro, dell’utilissimo sito di paesaggio e ambiente, eddyburg.it) e realizzato però dagli uffici tecnici regionali. “Conservare e gestire responsabilmente il paesaggio, prodotto del millenario lavoro dell’uomo su una natura difficile, significa conservare l’identità di chi lo abita. Un popolo senza paesaggio è un popolo senza identità né memoria”. Ecco la filosofia del PPR.

Di qui le linee-guida: priorità alla preservazione delle risorse paesaggistiche, al loro ruolo strategico sul piano culturale, alla riqualificazione e al recupero dell’esistente, a forme di sviluppo fondate su di una nuova cultura dell’ospitalità “sottratta alle ipoteche dello sfruttamento immobiliare ed agli effetti devastanti della proliferazione delle seconde case e dei villaggi turistici isolati”.

Una precisazione

Le linee guida per il Piano paesaggistico regionale sono state elaborate dalla Giunta regional; ad esse il Comitato scientifico ha suggerito alcune limitate integrazioni, collaborando poi al lavoro dell’Ufficio di piano (e.s.).

Firmato il provvedimento di sospensione dei lavori in corso nel colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, che inibisce l'inizio di qualsiasi attività e sospende quelle in corso. La necropoli fenicio-punica più importante del Mediterraneo protetta dal Piano paesaggistico.

Cagliari, 12 gennaio 2007 - Ieri sera il direttore del servizio dei Beni culturali dell'assessorato alla Pubblica istruzione ha firmato un provvedimento che inibisce "tutti i lavori, riferibili ad opere pubbliche o opere a carattere privato, comunque capaci di recare pregiudizio al paesaggio nella zona del colle di Tuvixeddu – Tuvumannu nel Comune di Cagliari".

L'area è quella delimitata dalla deliberazione assunta nella seduta del 16 ottobre di dieci anni fa, 1997, della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari e che va dal viale Sant' Avendrace, all'altezza della via Montello, si prosegue lungo lo stesso viale sino all'incrocio tra viale Trento e viale Trieste, si segue in viale Trento e quindi svolta in viale Merello che si percorre sino a piazza D'Armi. Dalla piazza D'Armi, si scende lungo via Is Mirrionis sino all'incrocio con via

Timavo che si percorre sino alla via Monte Santo, si segue la via in direzione Est sino a via Argonne, si prosegue quindi lungo la via Argonne in direzione Sud, si svolta a destra in via Col

d'Echele che si percorre per un brevissimo tratto per svoltare a sinistra e immettersi nella via Is Maglias all'altezza del distributore, si segue la via Is Maglias per un breve tratto e si svolta in via Asiago, si percorre questa via, quindi la via Montello, sino a incrociare il viale Sant'Avendrace nel punto di partenza.

Nella determinazione del direttore di servizio è scritto che "sono fatti salvi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria regolarmente autorizzati dalle autorità competenti ed insistenti sulla stessa area".

Il provvedimento, ai sensi del comma 3 dell'art. 150 del D. Lgs 22.1.2004 n. 42, ha efficacia per il periodo di novanta giorni a decorrere dalla data di notifica al Comune di Cagliari, che provvederà per quanto di competenza.

L'atto firmato dal direttore di servizio e trasmesso all'assessore ad interim Carlo Mannoni, fa riferimento in particolare al Piano paesaggistico regionale, le cui norme tecniche di attuazione "al fine di tutelare e valorizzare il territorio della Regione, individua alcuni sistemi storico-culturali che rappresentano le più significative relazioni sussistenti tra viabilità storica, archeologia ed altre componenti di paesaggio aventi valenza storico culturale". Nel contesto di tali sistemi storico culturali trova collocazione quello relativo al "Sistema dei Colli" di Cagliari, comprendente, tra l’altro, il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu ritenuto dallo stesso Ppr area di notevole interesse pubblico e perciò "funzionale alla predisposizione di programmi di conservazione e valorizzazione paesaggistica" e che la scheda d'ambito "Ambito n. 1 Golfo di Cagliari" dà gli indirizzi per la predisposizione dei programmi di conservazione e valorizzazione paesaggistica del colle di Tuvixeddu-Tuvumannu.

Il lavori in corso a Tuvixeddu-Tuvumannu, "cospicui interventi, sia a carattere pubblico che privato, per l'incidenza sulla morfologia del sito e per la loro collocazione a ridosso della necropoli fenicio-punica e della vasta area storica e monumentale del colle, sono capaci di pregiudicare il bene paesaggistico tutelato dal Ppr, limitando la possibilità della Regione di intervenire con le previste misure di recupero e riqualificazione".


Nell’articolo di Simonetta Sotgiu (dell’11 ottobre) sembra che si voglia affermare che la tutela del piano paesaggistico regionale «non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale», ciò perché in contrasto con l’articolo 136.

Se è così, allora la signora Simonetta Sotgiu, che è Consigliere di cassazione, ha considerato solo alcuni articoli del Codice del paesaggio. Ha considerato solo l’articolo 136, che definisce beni paesaggistici i beni già vincolati ai sensi della legge del 1939. Ha dimenticato che esiste anche l’articolo 143, che inserisce tra i beni da tutelare anche quelli appartenenti alle categorie enumerate fin dalla legge Galasso (1985). E ha dimenticato di riflettere sull’articolo 143 che detta i contenuti del piano paesaggistico. Quindi ignora che la legge prescrive che il piano provveda: alla «tipizzazione e individuazione [...] di immobili o di aree diversi da quelli indicati dagli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e utilizzazione». Così come ignora che il medesimo articolo prescrive che il piano è tenuto alla «individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione».

Simonetta Sotgiu sostiene inoltre che è sbagliato il divieto delle «costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà», poiché “le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico” la «presenza dell’uomo sulla terra». Se così fosse, allora la Regione, avendo legittimamente considerato (articolo 143) il territorio agricolo un bene paesaggistico, avrebbe dovuto vietare ogni edificabilità, e non solo quella collegata alla coltura dei fondi.

Le incongruenze dell’articolo non si fermano qui, ma il ragionamento condurrebbe a debordare dallo spazio riservato a una pur lunga chiosa.

Nei giorni di sciopero dei giornalisti, ho appreso da un telegiornale locale che a Cagliari era in corso di svolgimento un convegno sulla pianificazione urbanistica, la tutela dell’ambiente e il riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed enti Locali, organizzato dalla Regione e dal Tar Sardegna. Fra i partecipanti e relatori, oltre ai magistrati del Tar di Cagliari e di altri Tar, anche il presidente del Consiglio di Stato, alcuni professori di diritto amministrativo e, naturalmente il presidente Soru e il suo assessore all’Urbanistica.

Poiché mi è parso singolare che, in pendenza dei termini di impugnazione del Piano paesaggistico regionale (che scadranno ai primi di novembre) il Tar Sardegna, che potrebbe essere chiamato a decidere eventuali ricorsi, sieda allo stesso tavolo di una delle (eventuali) parti in causa - la Regione, finanziatrice del convegno - e non conoscendo peraltro gli esiti di tale convegno al quale i molti interessati (Comuni e Province in primo luogo) non erano presenti, vorrei fare qualche osservazione tecnica sul contenuto del Piano, perché sia chiaro che non è tutto oro quello che luce.

Ho già avuto modo di dire che le leggi regionali, anche se emanate da Regioni a statuto speciale e con competenza primaria in alcune materie, non debbono infrangere i principi posti dalle leggi-quadro dello Stato. E infatti la legge regionale sarda n. 8 del 2004, con cui è stato avviato il Piano paesaggistico, si è correttamente richiamata all’art. 135 del Codice Urbani sui beni culturali e del paesaggio, affermando di voler attuare quanto in esso disposto.

Ma il risultato mi sembra che si discosti in parte dall’impianto e dalla «ratio» della legislazione nazionale. Infatti l’art. 136 del Codice Urbani dispone, oltre alla protezione dei beni archeologici e culturali in senso stretto, nonché delle bellezze panoramiche tali da poter costituire «un quadro», anche (lett. a), la tutela «di cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale e di singolarità geologica»: tale unico paragrafo può quindi richiamarsi la salvaguardia delle coste stabilita dal Piano paesaggistico sardo.

Tale norma tuttavia, stante l’inciso «cospicui caratteri di bellezza naturale», non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale, perché, se la «bellezza naturale» da ammirare è ammissibile a distanza ravvicinata dal mare, non sembra in ogni e qualunque caso ravvisabile per la profondità di due chilometri dalla costa (e addirittura fino a cinque), cioè per zone di anonima campagna dalle quali il mare non è visibile forse neppure con potentissimi cannocchiali. La tutela del paesaggio, nello spirito dell’art. 136 della legge statale, non sembra dunque possa essere indiscriminatamente esteso, in sede locale, soltanto in funzione dei chilometri, al di fuori di qualsivoglia coinvolgimento «estetico» del territorio vincolato, che deve piuttosto essere valutato caso per caso, e non con una irragionevole fascia unica.

Il piano afferma poi enfaticamente di voler tutelare le colture storiche e tradizionali, e, in questo contesto, vieta la costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà.

Ciò sarebbe ragionevole se la Sardegna fosse costellata, come la pianura padana, di fattorie e campi intensamente coltivati, che richiedono la presenza dell’uomo sulla terra. Ma le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico, tale presenza.

In particolare la coltura dell’ulivo, prevalente nel sassarese, ha necessità di poche giornate lavorative, di solito una ventina al massimo fra aratura, spollonatura, irrorazioni medicinali, raccolta; analogamente nessuna presenza colonica è richiesta per i sughereti galluresi, sfruttabili ogni sette-dieci anni, ma tutti i proprietari di appezzamenti grandi e piccoli hanno sempre cercato di avere una casa nella loro terra per l’uscita di fine settimana. Quanto a pastori e allevatori, gli stessi vengono relegati entro muretti a secco - luoghi ideali di aggressioni - e su strade polverose (vietatissimo l’asfalto), allorché è notorio che solo la intensificazione e il miglioramento del sistema viario è fonte di civiltà e di ricchezza. Non a caso l’Impero Romano ha costruito strade e strade, che ancora esistono.

Le incongruenze non si fermano qui, ma lascio ad altri rilevarle. Mi limito ad osservare che la minacciata espropriazione di terreni costieri comunque vincolati non mi sembra prospettabile, perché la relativa previsione contenuta nella legislazione nazionale riguarda esclusivamente i beni considerati nella prima parte del Codice (archeologici o culturali in senso stretto), alla cui miglior fruizione da parte del pubblico è finalizzata, mentre la stessa previsione non è riportata per i beni paesaggistici considerati nella seconda parte, per espropriare i quali dovrebbe comunque essere progettata un’opera pubblica (l’espropriazione di un bene privato è sempre finalizzata alla costruzione di un’opera pubblica), e ciò sarebbe incompatibile con l’assoluta inedificabilità degli stessi, per i quali non può essere certamente ipotizzata la destinazione ad usi civici, cioè a una sorta di diritti parafeudali per la cui «liquidazione» lavorano appositi commissari, proprio con il fine di estinguerli definitivamente. E non certo di crearne di nuovi.

Postilla

Meglio la legge leggerla tutta

Nell’articolo sembra che si voglia affermare che la tutela del piano paesaggistico regionale “non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale”, ciò perché in contrasto con l’articolo 136.

Se è così, allora la signora Simonetta Sotgiu, che è Consigliere di cassazione, ha considerato solo alcuni articoli del Codice del paesaggio. Ha considerato solo l’articolo 136, che definisce beni paesaggistici i beni già vincolati ai sensi della legge del 1939. Ha dimenticato che esiste anche l’articolo 143, che inserisce tra i beni da tutelare anche quelli appartenenti alle categorie enumerate fin dalla legge Galasso (1985). E ha dimenticato di riflettere sull’articolo 143 che detta i contenuti del piano paesaggistico. Quindi ignora che la legge prescrive che il piano provveda: alla “tipizzazione e individuazione […] di immobili o di aree diversi da quelli indicati dagli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e utilizzazione”. Così come ignora che il medesimo articolo prescrive che il piano è tenuto alla “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione”.

Simonetta Sotgiu sostiene inoltre che è sbagliato il divieto delle “costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà”, poiché “le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico” la “presenza dell’uomo sulla terra”. Se così fosse, allora la Regione, avendo legittimamente considerato (articolo 143) il territorio agricolo un bene paesaggistico, avrebbe dovuto vietare ogni edificabilità, e non solo quella collegata alla coltura dei fondi.

Le incongruenze dell’articolo non si fermano qui, ma il ragionamento condurrebbe a debordare dallo spazio riservato a una pur lunga postilla.

Sono state le straordinarie note di Elena Ledda e Lino Canavacciuolo, inedito duo artistico legato dall’anima mediterranea, a chiudere al Teatro delle Saline di Cagliari la seconda edizione del Coast Day, la settimana di eventi dedicati alla giornata internazionale della costa, celebrata in tutto il Mediterraneo e organizzata in Sardegna dall’agenzia regionale Conservatoria delle Coste della Sardegna, in collaborazione con l’Agenzia Sardegna promozione, il Parco naturale regionale Molentargius ¡V Saline, il Comune di Quartu Sant’Elena e il supporto tecnico delle Associazioni Akroama e Backstage.

La Sardegna, dal 25 ottobre al 2 novembre, ha ospitato l’evento in rappresentanza dell’Italia, anche per l’evidente ruolo che la nostra Regione si è ritagliata negli ultimi anni, con politiche all’avanguardia nella tutela del paesaggio costiero, che partono dalla legge salva coste dell’agosto 2004, al Piano Paesaggistico, alla nascita nel 2007 dell’Agenzia regionale “Conservatoria delle Coste”, sul modello della Conservatoire du littoral francese. Ne ha parlato a lungo il direttore della Conservatoria in Sardegna Alessio Satta che ha aperto e chiuso i lavori.

Una settimana di appuntamenti in tutta la Sardegna, che hanno coinvolto le Università, le aree marine protette, le associazioni ambientaliste in seminari, laboratori didattici, escursioni il tutto all’insegna della sensibilizzazione alla salvaguardia delle coste e della promozione di uno sviluppo sostenibile. Il clou degli eventi a Cagliari, dal 28 ottobre al 1 novembre, nel Parco del Molentargius e al Teatro delle Saline, dove si sono svolti i seminari scientifici, i dibattiti e gli appuntamenti culturali.

Michela Murgia, Marcello Fois, Giorgio Todde e Francesco Pigliaru si sono confrontati sul futuro del turismo in Sardegna, mentre Antonietta Mazzette, docente di Sociologia urbana all’Università di Sassari, ha spiegato la difficoltà di introdurre pratiche di governance nella vita politica italiana e ha segnalato, con efficace metafora, come in Italia ci sia una “erosione non soltanto delle coste, ma della stessa democrazia” e ha segnalato l’anomalia della Sardegna “in cui si stabiliscono regole, nella pianificazione come nella amministrazione”.

Coste sarde patrimonio d’Europa

Non solo ambiente, turismo, pianificazione, ma anche politica, gestione delle risorse e del territorio, sono stati i temi dominanti del Coast Day e che si sono sviluppati in uno degli incontri più attesi, il faccia a faccia tra l’urbanista Edoardo Salzano, vero maitre a penser delle pianificazione territoriale, e il presidente della Regione Sardegna, Renato Soru.

Salzano conosce bene la realtà della Sardegna, perché è stato il coordinatore del comitato scientifico che ha redatto il Piano paesaggistico regionale ed è intervenuto in molti articoli e interviste sulle vicende isolane, non ultime quelle sul colle di Tuvixeddu e sul disastro di Capoterra.

Coordinati dall’architetto Sandro Roggio, incalzati dai giornalisti Giancarlo Ghirra e Costantino Cossu e affiancati dall’assessore all’Urbanistica Gian Valerio Sanna, i due protagonisti hanno mostrato molti punti in comune, ma anche alcune divergenze di fondo sul ruolo e sul bilanciamento dei poteri esecutivo e legislativo. Renato Soru ha difeso alcune sue scelte impopolari, anche davanti alle richieste degli enti locali e ha rivendicato il ruolo della sua Giunta. “Alcuni aspetti tecnici legati all’Urbanistica, non possono essere in capo al Consiglio regionale. L’assemblea ha altri e importanti compiti, come quello di legiferare. Non è chiamato a co-amministrare, come troppo spesso è accaduto in passato”.

Salzano ha spiegato di non condividere la posizione del presidente della Regione, ma di comprenderla: “Io sono convinto che l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa dia sempre più forza ai provvedimenti. Questo discorso è condivisibile e mi sta bene se al governo c’è la Giunta guidata da Renato Soru, ma se al suo posto ci fosse Mauro Pili? Che garanzie avremmo?”.

Il dibattito ha lasciato ampio spazio alla questione dell’informazione, centrale anche nell’orientare l’opinione pubblica sulle scelte della politica. Secondo Edoardo Salzano “L’ideologia dominante non vuole attenzione ai problemi se non c’è un consenso immediato e questi temi raramente lo ottengono. La cura del territorio, la bellezza delle città sono argomenti scomparsi dall’agenda politica. Forse a sinistra meno che a destra, ma comunque non ci sono. A scomparire è stato l’interesse per il bene comune”

Sulla comunicazione e sull’informazione è arrivato un inconsueto mea culpa di Renato Soru, che ha detto di essersene occupato poco e male. “Se questi temi non sono diventati di attualità nazionale è colpa nostra. Questa è la società della comunicazione e se una cosa è fatta e non è comunicata, semplicemente non esiste. Bisogna comunicarla bene anche per difenderla. A questo va aggiunta anche l’immagine, che purtroppo noi stessi alimentiamo, della Sardegna all’esterno. Non piace dire che i sardi sono capaci di autodeterminarsi. È più facile commiserare che apprezzare. Noi oggi, sui temi della tutela del paesaggio e della pianificazione, siamo un esempio per l’Italia e lo abbiamo fatto da soli”.

Visioni sulla Costa

Collegato all’edizione 2008 del Coast Day anche il concorso video fotografico “Visioni sulla costa”, la cui giuria era presieduta dal regista Gianfranco Cabiddu. Tre i vincitori: per la sezione cortometraggi, ha vinto Marcello Pilia di Cagliari. La fotografia più suggestiva si intitola invece «Guardia costiera» e porta la firma di Roberta Filippelli, artista multimediale di Alghero: l’immagine raffigura una donna anziana che raccoglie piccoli rifiuti da una spiaggia. Nella categoria dei video realizzati con il cellulare il premio è andato a Stefano Deffenu di Sassari. Ognuno di loro ha ricevuto un premio di trecento euro.

I vincitori sono stati scelti fra più di ottanta, arrivati anche dalla Penisola.

Il tema era aperto: si poteva scegliere fra storia, natura, società, lavoro e tradizioni a un passo dal mare, fra le rocce e le spiagge che disegnano i contorni della Sardegna. I lavori premiati, insieme ad alcuni altri segnalati dalla Giuria, faranno parte di una esposizione che farà il giro della Sardegna per sensibilizzare sui temi dell’ambiente, della cura e dello sviluppo sostenibile del nostro patrimonio costiero.

S’è parlato troppo poco del Piano Paesaggistico Sardo approvato dalla giunta regionale la notte del 5 settembre. Un evento straordinario a dir poco. Tra le notizie più belle degli ultimi tempi.

Firmato da Edoardo Salzano (di lui s’è parlato giorni addietro a proposito della battaglia urbanistica ingaggiata sul sito eddyburg. it all’insegna del «territorio inteso come bene comune»), quel Piano prescrive: l’inedificabilità totale della fascia costiera per profondità variabili tra i due e i tre chilometri; l’inedificabilità in zone agricole per i poderi inferiori ai tre ettari; l’obbligo per i Comuni litoranei di dotarsi di Piani Regolatori come condizione per poter attuare ristrutturazioni e rinnovi nelle aree già edificate. Il che significa porre finalmente un argine a quel dilagare di costruzioni che ha già tanto malamente alterato gran parte delle coste isolane (fortunatamente non tutte) e porre le premesse per la riqualificazione di quanto s’è costruito finora. Avanzamenti civili di tutto rispetto.

Non sono i soli. Già ai primi di maggio avevano fatto scalpore le nuove tasse varate da Soru sulle case per vacanze entro tre chilometri dal mare, sugli scali di aerei privati e sugli attracchi di barche extralusso lunghe più di 14 metri... Ricorderete che contro quest’ultimo provvedimento si scatenarono le ire di Flavio Briatore (quello della “Formula Uno”) che minacciò il boicottaggio dei porti sardi da parte dei Vip suoi compari... Ecco: a me sembra che stia proprio qui una conferma importante della bontà della linea adottata da Soru (e appoggiata da Rifondazione, ovviamente).

Così infatti non viene raggiunto soltanto l’obiettivo di trarre un giusto tornaconto dalle presenze estive dei villeggianti più danarosi a favore della comunità isolana nel suo complesso. Viene anche avviato a soluzione il problema (assai poco sentito in Italia finora) di porre limiti alle quantità esorbitanti di presenze turistiche nei mesi di punta, prima che sovraffollamento e degrado arrivino a uccidere la gallina delle uova d’oro dequalificando ancor più profondamente la stupenda natura di quelle fasce costiere (dovrebbe far testo l’esempio di Capri: al top della moda internazionale negli Anni 50, poi declassato - per gli eccessi di nuove cubature edificate e di frequentazioni estive - a mèta turistica di Serie B).

Vedete quanti problemi ha avviato a soluzione il coraggio che ha saputo dimostrare la Giunta Soru: tutela delle coste, delle acque marine, delle bellezze dell’isola, delle attrattive turistiche, e al tempo stesso risorse da destinare alle attrezzature civili... E in più l’esercizio della difficilissima saggezza del “ne quid nimis” (niente di troppo). Dell’arginare i processi di crescita prima che cambino segno e assumano valenze di più in più negative.

…Tanto che viene da domandarci: ma perché non prendere esempio dalla Sardegna per quel che ci sarebbe da fare per tutto il paese?

D’accordo, qualcosa di nuovo in quella direzione si comincia a vedere qua e là: dalla demolizione barese di Punta Perotti (il grande affare edilizio-abusivo di quel Matarrese oggi eletto a risanatore morale del mondo del calcio) all’impegno del Presidente della Regione Calabria Agazio Loiero di rimettere in sesto cento depuratori mal-funzionanti per ripulire almeno in parte le acque costiere... Ma la tendenza al degrado prevale ancora in misura assai larga. Ne fanno fede gli allarmi dell’Unesco (vedi La Repubblica, 13/9) sui rischi che corrono i 41 siti italiani dichiarati “patrimonio dell’umanità” e vittime in gran parte di incuria, degrado per sovraffollamento, speculazioni edilizie e quant’altro.

Per questo l’esempio Sardegna a me sembra di grande valore. Se lì certe cose si riesce a farle, perché non cercare di estenderle a tutto il paese? Perché non fare dell’isola la punta avanzata di un processo controcorrente che coinvolga man mano le altre Regioni?

Che dite? «Ma allora perché non mettere Soru direttamente al governo?» …Ma no, quello adesso sta facendo il miracolo di far penetrare certe idee in certe dure cervici isolane che non ne avevano mai voluto sapere... Lasciamolo fare il suo buon lavoro. Ma che la coalizione di maggioranza della quale come sinistre e come ambientalisti facciamo parte arrivi a imboccare la stessa strada di Soru - di far pagare più tasse a chi più ingombra e guasta l’ambiente, di salvaguardare i valori naturalistici e storici ancora superstiti, di imporre il ricorso a una disciplina del territorio inteso come “bene comune”... Ecco: del perseguimento di questi obiettivi dovremmo proprio deciderci a fare un impegno assai più serio di quanto si sia fatto finora.

Postilla

Il piano paesaggistico non è stato “firmato” da Edoardo Salzano, non solo perché i piani sono “firmati” dall’amministrazione (e mai come in questo caso ciò è vero), ma perché Salzano è stato solo membro di un Comitato scientifico (Giulio Angioni, Ignazio Camarda, Filippo Ciccone, Enrico Corti, Roberto Gambino, Vanni Macciocco, Antonello Sanna, Helmar Schenk, Paolo Urbani, Raimondo Zucca), che, assieme a una struttura di coordinamento con altri assessorati, ha affiancato un agguerritissimo Ufficio regionale, al quale hanno lavorato decine di tecnici diretti dall’ing.Paola Cannas.

Da qualche anno si assiste a un risveglio culturale sardo, a un nuovo rapporto con la tradizione e il territorio. Lontano dal “continente”, vecchio e nuovo sembrano intrecciarsi meglio che altrove. Come giudica questo processo dall’interno della Regione? E che spazio ha o può avere la Regione, in quanto istituzione, in questo risveglio?

È andata maturando una consapevolezza dei pericoli degli effetti della globalizzazione, che se produce molti vantaggi – nella conoscenza, nel miglioramento della qualità della vita, nella crescita della relazioni – porta anche con sé il pericolo dell’omologazione alle culture dominanti, con la possibile scomparsa della bellezza delle differenze. E quindi, come spesso ci capita di accorgerci delle cose quando si rischia di perderle, anche in Sardegna mentre è emerso questo pericolo ci siamo accorti della importanza che hanno la lingua dei nostri padri, i racconti, la musica, la bellezza del paesaggio, la semplicità delle architetture tradizionali, la ricchezza dei valori comunitari che hanno resistito sino a oggi. Oggi tutti ne parlano nell’ansia di perderli, con la volontà di mantenerli non come il passato ma come una parte della modernità.

Qualcuno ha detto che i sardi hanno il vantaggio di vivere a contatto con la preistoria: con testimonianze così antiche come i nuraghi, le domus de janas, le tombe dei giganti. E anche la presenza così importante del mestiere più antico, quello del pastore, l’uomo che passa gran parte del suo tempo da solo in campagna, ha fatto sì che siano arrivati fino ai nostri giorni valori che consideriamo antichi. Il pastore che ha fatto sì che si sedimentasse un atteggiamento filosofico naturale che ancora oggi riconosciamo quando cogliamo la differenza tra i nostri vecchi e l’invecchiare di oggi. Questi elementi hanno fatto sì che alle soglie della modernità, o alla modernità, forse ci arriviamo coi valori quali la famiglia, la comunità, l’amicizia, il rispetto, la festa, la tavola. E la scommessa è cercare di portare nella modernità una parte di questo atteggiamento per molti versi ancora arcaico.

Due mosse della sua presidenza hanno avuto un forte impatto nazionale: la battaglia della Maddalena, per un futuro non militare dell’isola, e la salvaguardia delle coste contro i mille abusivismi. C’è un filo sotterraneo che congiunge i due interventi? È possibile parlare di “bellezza”, di “paesaggio” e di “coste” senza limitare l’intervento della politica al solo ambito turistico?

Avevamo detto che c’erano innanzitutto delle questioni di dignità che andavano poste e che le servitù militari erano un problema di sviluppo economico, ma erano anche un problema di dignità. E non è dignitoso che in Sardegna si sparino circa l’80% di tutte le bombe che vengono esplose in Italia in tempo di pace. È una questione di equilibrio, è una questione di giustizia, è una questione di dignità, pretendere che anche la nostra terra sia rispettata e venga utilizzata anche agli scopi militari in maniera equilibrata rispetto alle altre terre, le altre regioni d’Italia. Questo punto credo che sia stato messo in maniera decisa da noi e credo che dei passi avanti siano stati fatti, e credo che dei passi avanti altrettanto più importanti verranno fatti nei mesi futuri.

Poi noi siamo partiti dalla considerazione che per colmare il ritardo di sviluppo della Sardegna abbiamo bisogno di tutte le nostre risorse a disposizione. Tra le risorse a disposizione, che dovrebbero essere a disposizione della nostra regione, per lo sviluppo, c’è Capo Teulada, c’è l’arcipelago della Maddalena. Alla Maddalena ci sono 180 lavoratori che lavorano, da civili, presso la base americana, ma ci sono oltre 2000 disoccupati, a cui evidentemente l’attività militare non è stata in grado di garantire un lavoro. Io credo che la restituzione agli usi civili di questi tratti importantissimi di territorio, dalla Maddalena fino a Capo Teulada, sarà capace di garantire un lavoro a un numero molto maggiore di maddalenini e di sardi, e anche questa quindi è un’attività che la Regione fa per la crescita del lavoro. E sono entrambe zone bellissime della Sardegna, che l’ultima cosa che verrebbe in mente poer loro è quella di tenerle vincolate per gli usi militari. Servono allo sviluppo di quei territori e di quelle comunità, innanzitutto, e poi è un fatto di giustizia.

Avevamo detto che attorno all’ambiente si può creare lavoro. Nell’uso sapiente dell’ambiente, non nel suo consumo. E il lavoro duraturo non è quello dell’edilizia, che ogni giorno consuma una fetta nuova d’ambiente, che non è paga magari di aver costruito 400.000 seconde case nelle coste della Sardegna, e ne vorrebbe costruire altre 300.000 o altre 400.000, in una specie di cantiere che non finisce mai, che però porta pochissima ricchezza alla nostra regione. Abbiamo capito, anche in materia d’entrate, che non porta quasi nessuna ricchezza fiscale. Non lascia lavoro stabile, perché appena si finisce una casa bisogna costruirne un’altra e prima o poi bisognerà smettere di costruirne. Si costruiscono cubature che non portano lavoro durante tutti i mesi dell’anno.

Abbiamo fatto una legge per cercare di riqualificare queste coste, queste cubature, trasformare seconde case in industria turistica-alberghiera. E stiamo facendo tutto quello che si può fare per la riqualificazione e per il riuso di cubature esistenti, che erano sciupate e inutilizzate da tanti anni. Credo dopo vent’anni di inattività, è stato fatto il bando per il riuso dei siti minerari dismessi: di Masua, di Ingurtosu e di Piscinas. Allo stesso modo, non è ancora uscito il bando, ma stiamo lavorando e nei prossimi mesi uscirà il bando per Monteponi. Allo stesso modo si sta lavorando per riutilizzare il sito di Campo Pisano, vicino a Iglesias. Si sta ricreando lavoro, laddove il lavoro c’era stato, era stato dismesso da decenni e per decenni non si era riusciti a far nulla.

Fare il “governatore”, anche in una regione a statuto speciale, vuol dire scontrarsi con il peso delle burocrazie. Come risponde alle accuse di “decisionismo”?

Il peso delle burocrazie deve essere indubbiamente limitato all’indispensabile e la pubblica amministrazione deve essere più snella, più leggera, in modo che sia il più possibile efficiente, chiara e trasparente per chi vi si rivolge. E in maniera che costi il meno possibile al sistema sociale. Questa è la nostra battaglia, nota a tutti dall’inizio. Una prima cosa di cui ci siamo occupati è la semplificazione della amministrazione regionale. È inoltre in fase di ultimazione il processo di cancellazione di 18 Comunità montane e la cancellazione di 12 Consorzi industriali. In agricoltura ci sono nove enti: stanno diventando due agenzie. E potrei continuare. Insomma, la Giunta regionale ha fatto la sua parte. Abbiamo fatto i disegni di legge necessari di riforma, alcune leggi abbiamo iniziato finalmente ad approvarle, molte di queste attività di moralizzazione, di miglioramento della pubblica amministrazione stanno andando in porto. E i partiti, devo dire con lungimiranza e generosità, stanno assecondando, per quanto possibile, questo processo.

Detto questo, vorrei anche aggiungere che io non ho mai fatto un distinguo tra il personale della pubblica amministrazione e la politica, e i politici. I cittadini, per primi, non distinguono quando dicono: “La Regione funziona male”. Non pensano che c’è un presidente bravo e un’amministrazione cattiva, o viceversa. Siamo nella stessa barca, questa è la verità: siamo uguali, siamo lo stesso corpo agli occhi dei cittadini, e a ragione.

E allora, portare avanti un cambiamento, dal mio punto di vista, dal punto di vista della Giunta regionale, significa riuscire a fare un percorso comune di cambiamento, e provare a essere migliori. Migliori noi politici nella capacità di ascolto e di guida, nella capacità anche di stimolo, e migliore il personale nella capacità di essere esecutore delle politiche della pubblica amministrazione e nella capacità anche di incoraggiarla, qualche volta, a una politica migliore. Quindi un percorso assieme, perché questa “storia” la si vince o la si perde assieme: non ci può essere buona politica senza buona amministrazione e non ci può essere una buona amministrazione senza buona politica.

Quanto al “decisionismo”... Da un lato è vero che in politica devi decidere: ad un certo punto è necessario fare sintesi e decidere. Però è una decisione che deve essere necessariamente una decisione per tutti: deve ascoltare e tener conto di tutti. Quindi è una decisione totalmente diversa da quella dell’imprenditore. La decisione dell’imprenditore di per sé è immediata, sapendo che i risultati, nel bene e nel male, saranno per sé o per la sua azienda. La decisione del politico, ha lo stesso nome, è sempre una “decisione”, ma una decisione opposta, direi, di segno opposto: è per gli altri e, nel bene e nel male, rappresenta le ragioni degli altri, non le ragioni tue. Questa è quella che si chiama democrazia. Una democrazia matura non si confronta muro contro muro. Non c’è uno che vince e uno che perde, il quale si aspetta poi che venga ribaltato un risultato elettorale per sostituirsi. Una democrazia matura ha qualcuno che detiene la responsabilità del governo, questo sì. Ha qualcuno che ha maggiormente la responsabilità del risultato di un’assemblea, ma chiama in ogni caso, sempre, tutte e due le parti, a collaborare al risultato complessivo dell’assemblea. Una democrazia matura non può essere separazione, non può essere solo “una parte”, ma è necessariamente la possibilità di prendere il meglio del tutto. Questo è quello che questa Giunta regionale intende fare e portare avanti.

Per un anno, tra la metà del 2005 e la metà del 2006, i governatori di centrosinistra sono stati forse il più importante argine istituzionale al berlusconismo senescente. Con il governo dell’Unione si apre una nuova fase?

Io credo che questo Governo si comporterà in maniera leale, avrà la capacità di ascolto e, per quanto ci riguarda, comprenderà che la questione sarda merita attenzione. E quindi abbiamo un’occasione molto importante per portare a casa dei risultati che sono stati attesi per tanti anni.

Ma vorrei dire anche questa cosa: la politica divide, e l’Italia in questo momento è estremamente divisa, purtroppo. E anche, direi, colpevolmente divisa. E a volte stacchiamo anche la riflessione, o riflettiamo poco, e vediamo solo “destra” e “sinistra”. È chiaro che ci sono differenze, è chiaro che le idee di un governo di centro-sinistra sono diverse da un governo di centro-destra, in tanti casi. Ma ci sono un sacco di altri casi in cui sono le stesse idee. E quindi si può lavorare insieme, e si può riflettere, e si può guardare a tutto quello che ci unisce invece che a quello che ci divide. E si può anche evitare di farci del male da soli: specialmente quando i sardi che pensano di far male al governo di centro-sinistra magari qualche volta stanno facendo male alla Sardegna stessa, più che al governo di centro-sinistra. E viceversa naturalmente. Quindi vale per il Paese, vale per la regione, vale a ogni livello: dobbiamo veramente avere la capacità di guardare al di là di queste cose, sapere che ci sono delle differenze, competere nel momento della competizione elettorale, però poi lavorare assieme. Perché è per tutti: e spero che si riesca a fare di più in futuro.

Come ha vissuto il passaggio da Tiscali alla politica? Tra la richiesta di nuove infrastrutture e quella di “autostrade digitali”, tra vecchia e nuova imprenditoria, vecchia e nuova finanza, qual è il futuro postmoderno della Sardegna?

Dal mio ingresso in politica sono passati due anni, ho avuto modo di parlarne in varie occasioni. Io, intanto, mi sono dimenticato di essere stato imprenditore. Oggi mi sento un cittadino che ha rappresentato il ruolo politico e lo vivo in maniera totale: e mi sento un politico, non più un imprenditore; ragiono da politico e non da imprenditore; e cerco di vivere quest’esperienza politica per le cose di cui sono capace. Naturalmente porto con me un bagaglio di conoscenza e di esperienza che può essere diverso da uno che invece ha fatto il professore universitario di lettere antiche oppure il magistrato, l’avvocato, l’artista o altre cose. Ci sono diverse esperienze che ci può capitare di fare prima di avere il ruolo di responsabilità, il ruolo politico, e nessuna è più o meno importante dell’altra. Fare l’imprenditore non è necessariamente un valore più importante rispetto ad altri per fare politica. Io credo in questa possibilità, nella necessità di fare politica, nel dovere di farla, e che ci sia spazio per tutti.

Per quanto riguarda il futuro della Sardegna tra vecchio e nuovo, come dice lei, riassumerei la questione in questo: modernità e maggior equità. Mi capita di dire: innovazione e giustizia sociale. Se potessi attuare qualcosa, riuscire a realizzare qualcosa, effettivamente, in questi anni di governo, mi piacerebbe che fosse esattamente questo: contribuire ad aumentare la capacità e il livello di innovazione di questa regione e aumentare la giustizia sociale. Questi sono i due punti, ai quali aggiungo la bellezza.

Abbiamo fatto di tutto per difendere l’industria, la grande industria esistente. Per difendere l’occupazione, per crescere e per dare sollievo a chi oggi ancora un lavoro non ce l’ha. Per sanare delle partite storiche di lavoratori socialmente utili, aziende storicamente in crisi che oggi hanno un nuovo futuro, come la Carbosulcis, i lavoratori dell’ex cartiera di Arbatax.

Cosa mi aspetto? Continuare su questa strada, una strada d’innovazione. Questa è una regione che vuole essere innovativa, che punta molto sulla capacità d’innovazione e di crescita della conoscenza e del sapere, quindi continuiamo a puntare sull’innovazione.

Mi aspetto molto nel campo della creatività e della bellezza. E quindi maggiore attenzione alla bellezza, alla pulizia, all’ordine, alla cura, all’attenzione che dedichiamo alla nostra Regione, ai nostri uffici, ai nostri paesi, alle nostre architetture, a tutto quanto. Credo che continueremo a lavorare su questi filoni: dell’innovazione, della giustizia e della bellezza.

Quello che esiste, in termini di lavoro, di imprese, di diritti, noi lo difendiamo con molta determinazione. La Regione sta giocando un ruolo di attenzione, sta facendo tutto quello che può e lo fa con il massimo impegno e la massima determinazione, affinché tutto il lavoro che il sindacato ha fatto negli anni per il piano per la chimica sia rispettato, affinché tutti gli investimenti promessi sulla chimica siano rispettati, e non ci sia un ulteriore impoverimento della Sardegna.

Facciamo questo, però ci diciamo che forse per il futuro e la nuova occupazione dobbiamo puntare sulle piccole e medie imprese che esistono in Sardegna e che devono aumentare nella nostra regione. La Regione ha fatto uscire un bando di 700 milioni di euro che è dedicato proprio a loro. Quindi va oltre le parole e per la prima volta mette in campo delle risorse di dimensioni straordinarie votate proprio a questo: far nascere delle piccole e medie imprese in Sardegna e far crescer le piccole e medie imprese che già esistono. Non ci saranno più partecipazioni statali. È difficile che attrarremo ancora un’impresa che si metta a fare alluminio laddove questo costa di meno 200 km più a sud e il lavoro costa molto meno. Ma sicuramente attrarremo nuova impresa se avremo le infrastrutture informatiche necessarie, quelle che lei ha chiamato “autostrade digitali”. E a questo stiamo lavorando da due anni e ormai siamo anche a buon punto. La prima cosa che è stata fatta: ci siamo dotati di una strategia. Una strategia che parte innanzitutto dalla rete. Per funzionare, l’informatica ha bisogno di una rete di telecomunicazioni. La Sardegna non ne era dotata, tanto meno ne era dotata l’amministrazione regionale. È stata fatta, è stato fatto un bando importante, è in fase di implementazione e completamento in questi mesi, la rete della pubblica amministrazione regionale, al quale potranno partecipare tutti.

Sono state fatte delle azioni importanti: ad esempio fare in modo che ci sia l’Adsl nel proprio Comune, e ci sono ancora oggi oltre 200 comuni della Sardegna che non hanno l’Adsl. Ora noi ci aspettiamo che in tempi brevissimi, assolutamente meno di un anno, la nostra regione sia la prima in Italia dove la banda larga sia accessibile per il cento per cento della popolazione, in tutti i comuni della Sardegna, fino al più piccolo, di poche centinaia di abitanti. E poi, fatta la rete per la pubblica amministrazione, resa la rete accessibile a tutti i comuni, tutti i cittadini, tutte le imprese della regione.

Il vero motore dell’economia al giorno d’oggi, nel mondo contemporaneo, è la conoscenza, il sapere, il livello di istruzione delle persone.

LA MADDALENA - Mazzata sul mercato privato dei paradisi naturali ceduti al miglior offerente. La Regione Sardegna comprerà le isole di Budelli e Mal di Ventre. L’annuncio è stato ieri mattina dal governatore Renato Soru mentre, a Villasimius, riceveva le Cinque Vele di Goletta verde e Legambiente per l’efficacia della sua politica di tutela ambientale.

La notizia è stata confermata dal sindaco di Cabras, Efisio Trincas. Nel suo territorio comunale ricade Mal di Ventre, cinque miglia a ovest delle coste dell’Oristanese. «Ad acquistare l’isola dal suo attuale proprietario, il lord inglese Rex Miller, sarà la Conservatoria regionale per i beni paesaggistici sardi da salvaguardare», ha chiarito il primo cittadino, visibilmente contento del positivo sviluppo creatosi in una faccenda che rischiava diversamente di attirare speculatori senza scrupoli. «La gestione concreta - ha poi proseguito Trincas - continuerà a venire affidata alla nostra amministrazione tramite l’oasi marina».

Soddisfatto della svolta anche l’assessore regionale per la Difesa dell’ambiente, Cicito Morittu: «Nel caso di Mal di Ventre, così come per Budelli e per tutte le altre situazioni nelle quali si ritenga indispensabile provvedere, è questa la soluzione più opportuna - ha spiegato con convinzione l’amministratore - Nello stesso ambito d’intervento, un domani, potrebbero rientrare molte pinete lungo le coste oggi ancora private e in un prossimo futuro destinate a diventare pubbliche».

Trattative già avviate, quindi. Prima di tutto con il nobile britannico proprietario di Mal di Ventre. Si tratta di un ingegnere che vive sull’isola di Jersey, tra Gran Bretagna e Francia, nel canale della Manica. E che nei giorni scorsi aveva fatto pubblicare un annuncio di vendita sull’ International Herald Tribune: "isola in vendita". E’ sttao proprio quell’annuncio a suscitare vasta eco in tutt’Italia e, probabilmente, a determinare la rapidissima decisione della Regione Sardegna.

Grande 81 ettari, l’isola di Mal di Ventre è un gioiello d’inestimabile valore anche sotto il profilo geologico e storico. In passato tra cale e spiagge sono stati trovati, fra l’altro, i resti di un insediamento nuragico e oltre a preziosissime testimonianze risalenti all’epoca romana.

Negoziato finora super segreto, invece, con gli attuali proprietari di Budelli, un chilometro e mezzo quadrato di litorali e baie magnifiche, tra cui la Spiaggia Rosa resa celebre dal film con di Lina Wertmuller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. L’isola, uno dei gioielli dell’arcipelago della Maddalena e del parco nazionale recentemente costituito da quelle parti, appartiene da oltre vent’anni a una società a responsabilità limitata, la Nuova Gallura. La rappresenta sul piano legale un avvocato elvetico, Vittorio Peer.

Per sapere come si svilupperanno le trattative, adesso, non resta che attendere. L’intera questione è infatti seguita con particolare interesse alla Maddalena, dove di recente è nato un braccio di ferro tra Comune e Parco. Al centro del contendere, i criteri di gestione dell’area protetta. Ma a suscitare contrasti è anche l’affidamento d’importanti beni pubblici che, una volta smilitarizzati dagli americani della base dei sommergibili nucleari e dalla stessa Marina italiana, entreranno a far del patrimonio della comunità civile.


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