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«Mentre noi combattiamo per salvare ogni singolo metro quadro di verde, un pezzo del nostro Dna, la Regione sta studiando un’inutile bretella da Vigevano a Malpensa da 200 milioni che distruggerebbe tutto il nostro lavoro passando in mezzo al territorio comunale». La Repubblica, 18 novembre 2014 (m.p.r.)

Cassinetta di Lugagnano (Milano). Superficie: 3,32 chilometri quadrati. Posizione: 45°25’27’’ Nord, 8°54’31’’ Est. Sulla mappa dell’Italia martoriata da alluvioni e frane dove ogni secondo (dati Ispra) spariscono 8 metri quadri di verde, c’è un fazzoletto di terra che — come il villaggio di Asterix in Gallia — resiste all’assedio della speculazione e alla sirena del Bancomat degli oneri di urbanizzazione: Cassinetta di Lugagnano, il primo Comune del Belpaese a consumo di suolo zero. Un borgo con 1.900 abitanti sulle acque limpide del Naviglio Grande, a una trentina di km. da Milano, dove dal 2007 il cemento è off-limits (o quasi) e dove è vietato cambiare la destinazione d’uso dei terreni da agricoli a edificabili. «Con il risultato che da allora — garantisce al bancone del bar della cooperativa locale Angelo Trezzi, simpaticissimo pensionato e volontario della Croce Azzurra — la qualità della vita è migliorata per tutti».

L’arma con cui Cassinetta ha costruito la sua «resistenza virtuosa » (copyright di Paolo Pileri, professore al Politecnico di Milano e membro del Centro ricerca del consumo di suolo nazionale) è semplice: non la bevanda magica di Panoramix, ma un Piano di gestione del Territorio (Pgt) varato sette anni fa dall’allora sindaco Domenico Finiguerra con un approccio rivoluzionario: stop alle nuove costruzioni. E via a un piano di sviluppo sostenibile in cui i campi continuavano a essere utilizzati per l’agricoltura e le case — se mai ne fossero servite di nuove — «sarebbero state ricavate sfruttando il patrimonio inutilizzato», come racconta l’attuale primo cittadino Daniela Accinasio, allora membro della giunta.
Il “se” non è una congiunzione a caso. «Per decenni i Comuni italiani hanno dato via libera a milioni di metri cubi di volumetrie solo per compensare a colpi di oneri di urbanizzazione i tagli dei trasferimenti dello stato», dice Pileri. E l’eredità di questa scelta — oltre a migliaia di villette a schiera, uffici e appartamenti sfitti o abbandonati da costruttori falliti — è il dissesto idrogeologico (un ettaro di suolo non urbanizzato trattiene 3,8 milioni di litri d’acqua) cui ci stiamo drammaticamente abituando in queste settimane. Cassinetta, prima di cementificare a pioggia, ha fatto i compiti a casa: «Abbiamo analizzato il trend della nostra popolazione — ricorda Accinasio — e da subito abbiamo capito che il fabbisogno di nuove case era limitatissimo ». Il Comune ha rinunciato così a faraonici progetti di mini-cattedrali nel deserto destinati a rubare spazio al verde. E per i nuovi arrivati in città ha ricavato 25 appartamenti restaurando la splendida villa settecentesca Clari Monzini e qualche altra unità abitativa sistemando un paio di antichi granai.
«Siamo un paese agricolo, abbiamo un’identità culturale e architettonica importante. Che senso ha costruire se non ne hai la necessità, mettendo a rischio geologicamente il territorio?», spiega il sindaco. Domanda retorica, qui lungo il Naviglio, visto che delle trenta villette a “stecca” costruite in paese negli anni ‘90 «solo dieci, per dire, sono oggi abitate ». Il piano Finiguerra ha fatto bene pure alla campagna: «Le aziende agricole della nostra zona non sono state costrette a cedere i terreni alla speculazione — continua Accinasio — si sono riconvertite al biologico. Così oggi hanno dimensioni che consentono loro di mantenere competitività.
«Cassinetta in questo è una mosca bianca», ammette Pileri. «Viviamo in una nazione che si mangia settanta ettari di verde al giorno (qualcosa come 100 campi da calcio) solo perché pensa che l’edilizia sia l’unico volano di sviluppo». «E la stragrande maggioranza dei Comuni utilizza da decenni il mattone per far cassa, senza pensare alla salvaguardia del territorio» conferma Damiano di Simine di Legambiente Lombardia. La storia di Cassinetta dimostra però che a volte essere virtuosi paghi. «Negli anni d’oro gli oneri di urbanizzazione valevano fino a 700mila euro su 2 milioni di entrate del nostro bilancio», dice Accinasio. Oggi sono solo qualche migliaio di euro. «Per questo abbiamo dovuto imparare a far di necessità virtù, facendo quadrare i conti senza il bonus-villetta ben prima della crisi edilizia che ha colto alla sprovvista molti altri enti locali». Come? Riducendo al minimo le spese (il sindaco ha 460 euro di stipendio, non ci sono consulenze e solo l’ufficio tecnico ha un telefonino a disposizione) e diversificando le entrate: «A esempio organizzando matrimoni e cerimonie nelle ville che abbiamo restaurato recuperando un altro pezzo della nostra identità», spiega il primo cittadino.
Piccoli esempi di pragmatica economia domestica, magari possibili solo in un Comune piccolo come questo. Il risultato è che alla fine — malgrado il “no” al cemento — il bilancio municipale (e non solo quello ambientale) è in attivo. Finiguerra ha lasciato ad Accinasio un conto in banca con diverse decine di migliaia di euro e oggi il saldo è positivo per 600mila. Soldi che «non possia-mo toccare», dice amaro il sindaco, per i tortuosi meccanismi del patto di stabilità.
L’oasi di Cassinetta però — come il villaggio di Asterix — è assediata e non dorme sonni tranquilli. La lobby delle costruzioni nel Belpaese, proprio perché ferita dalla crisi, è più viva che mai. E proprio in queste ore e in una Lombardia che piange le vittime da cementificazione, divampa la polemica sulla nuova legge del consumo del suolo regionale in discussione oggi al Pirellone. «L’obiettivo è il consumo zero come a Cassinetta — dice Di Simine — . Peccato ci sia un interregno di tre anni in cui i costruttori potranno accaparrarsi i progetti già pianificati». «Questa norma è un attacco al paesaggio e spalanca la strada al consumo di altri 55mila ettari di campagna in Lombardia, più dei 47mila bruciati tra il 1999 e il 2012», aggiunge Pileri. «Mentre noi combattiamo per salvare ogni singolo metro quadro di verde, un pezzo del nostro Dna, la Regione sta studiando un’inutile bretella da Vigevano a Malpensa da 200 milioni che distruggerebbe tutto il nostro lavoro passando in mezzo al territorio comunale», commenta preoccupata Accinasio. Soldi che, magari, potrebbero essere utilizzati con più profitto per contenere le piene del Seveso.
Il problema, forse, è che la felicità non fa ancora parte del calcolo del Pil. «Qui in paese il senso di appartenenza e di socialità è molto aumentato con il no al cemento », dice Trezzi nel bar di Cassinetta. «C’è gente che si è trasferita da Milano a qui proprio per questo - assicura Accinasio -. Persone più partecipi e attente ai bisogni di Cassinetta». La “rivoluzione virtuosa” continua. Sperando di non finire soffocata di nuovo nel cemento.
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