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In una calda estate di fine Ottocento, nei porti del Mediterraneo iniziano a venir segnalati casi di colera. Come recita un testo medico, “La malattia, dopo un periodo di incubazione di 1-5 giorni, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. La trasmissione si verifica perchè il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto, per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell'acqua, per cui può arrivare all'uomo sano, attraverso gli alimenti e le bevande”.

Ad alcune settimane di distanza dalle prime segnalazioni, l’esplosione dell’epidemia in alcuni quartieri popolari di Napoli, dove non solo i sistemi di “ depurazione e potabilizzazione delle acque” risultano assai primitivi, se non inesistenti, ma dove le condizioni urbanistiche generali rasentano l’impossibile: casamenti che dal livello suolo si inerpicano disordinati per scale e cunicoli, a costruire ambienti spesso privi di luce e aria diretta, e con densità di popolazione che in alcune parti della zona Porto raggiungono i 2.600 abitanti ettaro. A questo si aggiunge anche il sistema socioeconomico, con una “economia del vicolo” entro cui si mescolano la residenza, le attività produttive anche di carattere microindustriale con l’uso di sostanze tossiche, il commercio anche alimentare e all’ingrosso con un confuso sistema di depositi e relativa rete di approvvigionamento e distribuzione.

Gli spaventosi livelli di mortalità provocano un dibattito nazionale, che sfocerà tra l’altro nella legge speciale per il Risanamento di Napoli, nel relativo piano regolatore della città, e successivamente nell’estensione a scala nazionale di alcuni provvedimenti, ritenuti utili per intervenire in casi di condizioni urbane igienico-sanitarie gravi.

I testi inseriti di seguito vogliono restituire in parte sia il clima culturale nazionale entro cui matura l’intervento per Napoli, sia alcuni caratteri dell’ambiente locale, sociale e urbanistico. Ne emerge un quadro sicuramente più complesso di quello, spesso soltanto legato ad alcune innovazioni normative, che di solito caratterizza le ricostruzioni della “Legge di Napoli”.

Il primo documento, Il dibattito politico sulla Legge di Napoli(estratto da: Camera dei Deputati, Segretariato generale, Ricerca sull’Urbanistica. Parte prima, Servizio studi legislazione e inchieste parlamentari, Roma 1961) costituisce una sorta di introduzione generale all'argomento.

Esso è poi raccontato, nel quadro delle problematiche e delle visioni contemporanee, da alcuni scritti di Carlo Carozzi ed Alberto Mioni, Le condizioni urbanistico-sociali di Napoli e la Legge Speciale(da L’Italia in formazione. Lo sviluppo urbanistico del territorio nazionale: antologia critica, De Donato, Bari 1980), Cesare De Seta. Le vicende locali nel quadro nazionale (da Napoli, Laterza, Bari 1981), Guido Zucconi, Igiene, Città, Urbanistica (da La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, Milano 1989) e Giancarlo Alisio, Presupposti e soluzioni urbanistiche al colera (da Napoli nell’Ottocento, Electa Napoli, 1992)

I due testi successivi descrivono il "ventre di Napoli" dall'interno e nell'immediato, per la penna di due famosi giornalisti di quegli anni: Pietro Ferrigni detto Yorick, Il degrado della città (brevi brani del 1877, estratti da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960) e alcune pagine del celeberrimo pamphlet di Matilde Serao, Bisogna Sventrare Napoli! (da Il Ventre di Napoli, Treves, Milano 1884)

Conclude, per il momento, Il Piano di Risanamento di Napoli (da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960)

A complemento e completamento della documentazione si uniscono una Galleria di immagini, e una presentazione powerpoint suddivisa in cinque file allegati

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Si giunge così al 10 ottobre [1884], data nella quale il cav. Adolfo Giambarba, ingegnere capo, reggente la 1° direzione tecnica del Municipio di Napoli, presenta al Sindaco il lavoro disposto per la bonifica della città; lavoro che, come fa notare nella nota di accompagnamento, ha portato a termine “in soli quindici giorni, attesa l’urgenza giustamente addimostrata” mercé l’attivo concorso degli egregi ingegneri della sua direzione. “Il grave lavoro compiuto – fa rilevare il Giambarba – non avrebbe potuto recarsi ad effetto, senza il corredo di tutti gli studi parziali, che le successive Amministrazioni municipali hanno sempre preparato, tanto mercé pubblici concorsi che per opera di questa 1° Direzione tecnica”. L’opera, che tende alla soluzione del problema del risanamento radicale di Napoli bassa e alla edificazione di un nuovo quartiere, comprende la relazione, il computo metrico e la stima. Nello stesso giorno, con altra nota, il Giambarba presentava al Sindaco una “relazione aggiunta”, per fornire notizie e dati d’Ingegneria Statistica e Sanitaria [...]. Anche a chi non conosca la tragica situazione dei fondaci e dei bassi, anche a chi non conosca la costituzione composita della maggior parte delle strade napoletane – ove, spesso, addossati al apalazzo magnatizio, o da esso ricavati, sono gli abituri dei miseri, mentre nello stesso edificio coesistono le case dei borghesi benestanti e quelle del povero – appare evidente il rapporto tra il numero degli abitanti e la superficie abitata, nei quartieri che furono più colpiti dal colera (Mercato, Pendino, Porto, Vicaria: mq 0,75 per ab.) ed in quelli che furono meno colpiti (S. Ferdinando, Montecalvario, Chiaia, Avvocata: mq 0,98 per ab.)e sorge spontanea l’idea di un diradamento. Come subito si pensa alle superfici, allora esuberanti, di Chiaia, S. Carlo all’Arena, Vicaria e Vomero per destinarle ad una immediata espansione della città.

[...]

Era corretto o non il concorso dello Stato? La cifra proposta era sufficiente a raggiungere lo scopo? Quali garanzie erano necessarie ad evitare che il danaro fosse distratto dall’opera di risanamento? Lo Stato era garantito dal debito che il Comune avrebbe avuto verso di esso, per il pagamento dell’annualità di 50 milioni? Era possibile modificare, ed dentro quali limiti, la legge sulle espropriazioni per la pubblica utilità? Era possibile ottenere, con speciale disposizione, che la edificazione di nuove case precedesse l’abbattimento di quelle vecchie destinate ad essere demolite? Poteva essere lasciata, al Governo ed al Municipio, ampia facoltà di regolare le dichiarazioni di insalubrità, lesive del diritto di proprietà? Si poteva, in contrasto con tutti i precedenti legislativi, obbligare il proprietario a fornire di una determinata acqua la sua casa ed a pagarla secondo una tariffa municipale prestabilita?

[...]

Il progetto generale del 1884 che costituì, indubbiamente, l’elemento centrale per le previsioni della legge pel risanamento di Napoli (15 gennaio 1885, n. 2892) – dalla quale trassero poi vita i numerosi provvedimenti, relativi ai piani di risanamento ed ingrandimento della città di Napoli - si articolò ben presto in tre gruppi di progetti dei quali il primo, ed il più importante, è quello che si riferisce al risanamento dei quartieri bassi, seguono quello relativo alle fognature e quelli relativi ai rioni di ampliamento (Arenaccia, S. Efremo Vecchio, Otto Calli, Ponti Rossi, Miradois, Materdei, Vomero-Arenella, Belvedere, prolungamento Principe Amedeo), nonché quelli relativi alla sistemazioen di S. Lucia e S. Brigida. Il Piano generale pel risanamento delle sezioni Porto, Pendino, Mercato e Vicaria, deliberato dal Consiglio Comunale nelle sedute del 10 e 11 febbraio 1885, ed approvato dopo infinite vicissitudini, pur con qualche condizione di riserva, dai RR.DD. 7 gennaio e 22 luglio 1886, verrà reso esecutivo con la deliberazione della Giunta Municipale approvata dal Consiglio Comunale nel febbraio del 1888: il R.D. 17 marzo 1889, n. 6024, vi apporrà il suggello definitivo.

[...]

le opere comprese nel piano di risanamento vengono così suddivise:

1) Opere di bonifica per colmata e demolizione di fabbricato su larga scala, nonché formazione di rete stradale allacciata alla creazione di una unica arteria principale con limitata edificazione sulle aree disponibili. Queste costituiscono un insieme di opere, coordinate ad un’unica sorgente di risanamento e di edilizia insieme.

2) Opere di bonifica per demolizioni parziali con rete stradale sparsa, allacciata a diverse arterie esistenti, con limitata edificazione sulle aree disponibili. Queste rappresentano un complesso di bonifiche parziali usufruendo delle sorgenti di salubrità esistenti.

3) Opere di ampliamento nei terreni contigui alle zone bonificande con nuova costruzione di fabbricato, le quali sono una illazione necessaria delle prime e delle seconde.

[...] Si prevede lo spostamento di 87.447 abitanti, dei quali in modo definitivo: 4.693 della classe agiata; 25.151 della classe media; 39.354 della classe povera.

[...]

Sul significato e sul valore di questa urbanistica ottocentesca, di queste trasformazioni della città nel sec. XIX, non pochi sono gli studiosi che hanno espresso il loro avviso discorde, ma non v’è dubbio che la maggioranza di essi ne accoglie sempre più positivamente le conclusioni. [...] Le trasformazioni delle zone inurbate, procedenti “per sventramenti di forza, operati da arterie nuove di traffico che s’aprivano un varco nel vecchio tessuto”; la urbanizzazione delle zone verdi circostanti fatta per mezzo di distinti quartieri residenziali per i più abbienti e per i meno abbienti; l’apertura di “lunghe strade rettilinee di sezione molto ampia, per solito alberate alla moda del tempo, coordinate a piazze secondo un andamento assiale”; il coordinamento del vecchio centro cittadino con le nuove zone di trasformazione; la monumentalità degli edifici pubblici; la tecnica risolutrice dei problemi relativi all’acqua potabile ed alle fognature: costituiscono già, all’epoca nella quale si pone mano al risanamento ed all’ampliamento di Napoli, una riconosciuta ed affermata tradizione della tecnica urbanistica dell’ottocento europeo.

L’irruzione dei precetti dell’igiene nel quadro delle trasformazioni urbane cambia radicalmente gli orientamenti ideologici dei tecnici intellettuali preposti alla redazione dei piani edilizi. Attraverso l’igiene vengono introdotti nuovi strumenti di intervento e di indagine, ma soprattutto tecniche collaudate da tempo subiscono una sorta di forzatura ideologica: operazioni di ordinaria amministrazione come rettifiche o allargamenti stradali vengono ora definite con un’espressione attinta al vocabolario di una chirurgia spicciola: sventramento. Analogamente, demolizioni e ricostruzioni, coordinate con i nuovi servizi a rete, assumono il nome di risanamenti o di sanificazioni. Il mutamento del significante, più che del significato, sottintende il senso, tutto ideologico, di una battaglia per il progresso contro le tenebre di un passato sudicio e oscurantista, del puro contro l’impuro. “Avanti, avanti colla fiaccola in mano e colla scure a sventrare le città, a regolarizzarle, ad ampliarle, a fognarle convenientemente, a dotarle di buona acqua potabile”, esorta l’ingegner Zannoni dalle pagine de L’Ingegneria Sanitaria (n. 5, 1896). Nell’indicare un atto di violenta chirurgia, il termine sventramento rivela l’attitudine degli igienisti a ricorrere a metafore attinte alla fisiologia del corpo umano. Sventrare significa attaccare il male nel suo epicentro, secondo procedure che nulla hanno di vistoso o di appariscente, che anzi si ammantano di intenti disinteressatamente missionari. “Nella vita materiale di una città, un buon sistema di fogne dà l’idea di quel complesso di virtù modeste e nascoste, perciò più rare e stimabili, che fa retta e pregevole la vita di alcuni individui” (E. Zabban, “Napoli e l’Esposizione d’Igiene”, Nuova Antologia n. 171, 1900, p. 161).

[...]

Attraverso indagini a tappeto, da condursi con zelo missionario sul corpo malato della città, l’igiene rivoluziona gli strumenti della conoscenza: se per l’ingegneria del territorio il problema centrale era quello di rappresentare lo spazio ed i flussi in modo geometricamente esatto, per l’ingegnere igienista il problema è quello di organizzare la conoscenza attraverso strumenti che si addentrino nelle zone d’ombra, nel sottosuolo, nelle parti più recondite, in un parola nel ventre della città: si tratterà perciò di elaborare strumenti, che a partire dalle scienze positive rivelino ciò che non è visibile all’occhio umano. Prelievi di campioni d’acqua potabile, ispezioni nei pozzi neri, sopralluoghi nelle abitazioni più sordide sono i tasselli di una conoscenza degli aspetti materiali che riorganizza i dati secondo quadri e tabelle statistiche. Un metodo analogo a quello che, sul piano letterario, impiegano gli “scrittori-palombari”: coloro che, come Valera a Milano o Carbone a Firenze si addentrano nei labirinti della città, coloro che, sulla scorta dei successi letterari di Zola e della Serao, titolano i propri romanzi veristi con ventri, sotterranei e misteri. Lo schema del romanzo riproduce i metodi dell’indagine sanitaria: la vita che si svolge nelle viscere brulicanti della città è di norma prima rilevata, poi organizzata secondo capitoli relativi agli aspetti materiali [...] L’indagine collegata al risanamento di Napoli rappresenta il caso-campione, il modello che la legge del 1885 estende a tutti i comuni italiani che intendano intraprendere operazioni di risanamento.

[...]

Così come il centro dell’indagine è costituito dal ventre della città, l’epicentro dell’azione è individuato nel sottosuolo: il piano di risanamento dovrà trasformare la città di superficie solo dopo aver profondamente modificato la città sotterranea. La progettazione delle reti per l’afflusso e il deflusso delle acque diviene lo strumento fondamentale per progettare le trasformazioni e le linee di espansione della città. Questo ruolo assunto dalla rete di fognatura appare ancora più evidente nella generalità dei centri minori, dove essa costituisce l’unico strumento di pianificazione urbana.

Il quartiere Porto, assieme al Pendino ed al Mercato, costituiva i “quartieri bassi”, edificati a partire dall’età altomedioevale, sull’antica spiaggia della città; [...] Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, l’area fu coinvolta in due massicci interventi, i più radicali per quanto riguarda la trasformazione della città: l’ampliamento del porto ed il risanamento dei quartieri bassi.

[...]

I lunghi anni trascorsi tra il sorgere dell’epidemia di colera e l’inizio dei lavori furono densi di difficoltà e di impegnative battaglie politiche che interferirono, ovviamente, su un più rapido esame dei procedimenti amministrativi da adottare in proposito. Il piano del 1884 fu articolato in tre gruppi di progetti che corrispondevano, in effetti, ai criteri generali di scelta: risanamento dei quartieri bassi, sistema fognario e rioni di ampliamento (Arenaccia, S. Efremo Vecchio, Ottocalli, Ponti Rossi, Miradois, Materdei, Vomero-Arenella, Belvedere, prolungamento rione Principe Amedeo). Il “Rettifilo”, strada principale e asse attorno a cui ruotava tutta l’operazione di sventramento, presentava un percorso diverso rispetto a quello del piano del 1884. Esso, infatti, partendo sempre da uno degli angoli della piazza della Stazione centrale, giungeva fino alla piazza Mercato di Porto, dove era prevista una grande piazza rettangolare (l’attuale piazza della Borsa); qui, biforcandosi in due strade anch’esse in rettifilo (le attuali via Depretis e via Guglielmo Sanfelice), raggiungeva piazza Municipio e via Medina. Una piazza ottagonale (piazza Nicola Amore) si apriva all’incrocio di via Duomo con il “Rettifilo”, al quale afferivano 14 strade invece delle 16 previste; di minor numero erano anche le vie longitudinali che completavano la nuova trama viaria.

Il 22 luglio 1886 il piano fu definitivamente approvato, tuttavia non vi era alcuna intenzione da parte del Municipio di assumere direttamente l’esecuzione dell’opera richiedendo essa un impegno assoluto, a discapito degli altri problemi cittadini, coinvolgendo tutti i suoi organi tecnici, i quali sarebbero rimasti assorbiti da un cospicuo lavoro da condurre in tempi brevissimi. Si preferiva che un unico concessionario assumesse, dunque, i tre punti essenziali dell’opera: espropriazione, proprietà dei suoli e nuove costruzioni, con i relativi rischi. La scelta fondamentale era costituita dal risanamento delle zone insalubri della città mediante sventramento e diradamento dell’abitato, il che comportava, come diretta conseguenza, l’ampliamento urbano da effettuarsi ancor prima delle demolizioni dei vecchi fabbricati. Elemento amministrativo prioritario, per conseguire questi obiettivi, era il coordinamento della legge e dei mezzi finanziari ad essa assegnati, tutelando, al tempo stesso, gli interessi pubblici e privati coinvolti nella realizzazione dell’opera.

La superficie interessata dal piano di risanamento si estendeva su di un’area di 980.686,76 mq (durante la messa a punto dei progetti essa era notevolmente aumentata rispetto agli 802.459,27 mq del progetto del 1884), di cui 800.153,95 era coperta di fabbricati da demolire e strade da abolire, 95.625, 09 da fabbricati soggetti a colmata e 84.907,72 mq da strade da innalzarsi al nuovo livello.

La riuscita del piano era in parte condizionata dalla necessità di procedere rapidamente alla costruzione dei rioni d’ampliamento. Si prevedeva, infatti, il graduale spostamento dai vecchi quartieri di ben 87.447 abitanti, dei quali, una parte vi avrebbe fatto ritorno, occupando i fabbricati loro destinati ed un’altra avrebbe invece trovato stabile residenza nei rioni appena creati.

Soltanto quando, con decreto regio del 26 luglio 1886, furono approvati i piani parcellari relativi alle zone espropriabili ed alle opere da eseguire, la I Divisione tecnica iniziò la stesura degli estimativi di spesa, approssimativamente già compilati nel piano di massima.

Un rilievo delle aree interessate al risanamento in scala al 200 fu ritenuto indispensabile per individuare, nel dettaglio, le proprietà e definirne l’entità, per studiare, inoltre, le modifiche che si sarebbero verificate per i tagli parziali e, quindi, passare al progetto esecutivo.

Il 15 giugno 1888, il Giambarba era finalmente in grado di fornire tutti gli elementi necessari che, approvati dal Consiglio comunale nel marzo 1889, furono resi esecutivi con Regio Decreto del 17 marzo 1889 n. 6024. Dopo anni di attesa la bonifica dei quartieri bassi entrava, dunque, nella sua fase operativa. La gara d’appalto indetta nel frattempo fu vinta dalla Società per il Risanamento di Napoli, appositamente creata il 15 dicembre 1888, con un capitale di 30.000.000 di lire, da gruppi finanziari non napoletani. Il “Rettifilo”, oltre a svolgere la precipua funzione di collegamento est-ovest, all’altezza di piazza Nicola Amore, s’innestava a via Duomo, che finalmente veniva completata, proseguendo oltre il detto incrocio. Era così realizzata quella rapida comunicazione fra via Foria e via Marina, inutilmente tentata per tanti anni, e si otteneva, tra le colline ed il mare, un percorso alternativo a via Toledo, mentre il corso Garibaldi ed il suo prolungamento oltre piazza della Stazione e via Foria garantivano il collegamento fra l’entroterra ed il porto.

Il termine di dieci anni preventivato per la conclusione dei lavori non venne rispettato [...] il 25 luglio 1912 fu necessaria una nuova legge per il completamento delle opere residue che furono terminate alcuni anni più tardi.

Da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960

“Un fondaco è una specie di falansterio, un’agglomerazione di inquilini miserabili, entro un vecchio palazzo costruito intorno alla più lurida corte. Si entra per un andito obliquo, dalle cui pareti l’intonaco casca a pezzi e scuopre la muratura, marmorizzata di placche giallognole e verdastre che puzzano di mucido un miglio lontano. Lungo il muro e negli angoli stanno le prove che la colonia, nell’ultime ventiquattr’ore, ha mangiato e bevuto grazie alla Provvidenza divina e alla carità napoletana, che ha gli occhi acuti e le braccia lunghe e le mani sempre aperte. In fondo all’angolo si apre quella cloaca del cortile, quadrato o triangolare, chiuso fra le pareti altissime, come nel fondo di un pozzo dal quale il cielo non si vede se non a rischio di un torcicollo. Cinque, sei, sette ordini di balconi, in muratura, sospesi su negri mensoloni di legno tarlato, dividono il piano terreno dal tetto, e accolgono un nuvolo di donne e di bimbi schiamazzanti. Raggio di sole non penetra mai nel tubo intestinale ... Tutti i muri sudano l’umidità e piangono la loja; tutte le pietre si vestono di quel verde marcio che – non so come – mi dà l’idea del veleno, della putredine, dell’interno di un sepolcro ... Lì, dentro ai mille bugigattoli oscuri e crollanti, stanno fino a quattrocento famiglie ammonticchiate, mescolate, confuse, perdute in que’ labirinti; lì nascono vivono muoiono migliaia di individui, che non hanno mai veduto Capodimonte né il Vomero;e che non usciranno né per amore né per forza, finché il piccone dei demolitori municipali non riduca il topaio in un mucchio di ruine” (Yorick, pseudonimo di Pietro Ferrigni, Vedi Napoli e poi ..., Napoli 1877).

Nei quartieri Porto, Pendino, Vicaria e Mercato, posti a ridosso del mare e nella zona bassa della città, viveva una popolazione di circa duecentomila abitanti e si raggiungevano densità dell’ordine di 1.200 abitanti per ettaro, con punte fino a 2.600 in alcuni rioni. Le abitazioni erano spesso ricavate nei fondaci, “in quei covi, nei quali non si può entrare per il puzzo che tramandano immondizie ammassate da tempi immemorabili, si vede spesso solamente un mucchio di paglia, destinata a far dormire un’intera famiglia, maschi e femmine tutti insieme. Di cessi non se ne parla, perchè a ciò bastano le strade vicine ed i cortili” (Pasquale Villari, Discorso al Senato del 10 gennaio 1885). I problemi creati da questo spaventoso addensamento erano aggravati dall’assenza quasi totale di una efficiente rete di fognature (la maggior parte delle abitazioni era dotata di semplici pozzi perdenti, e dalla scarsa estensione degli allacciamenti alla rete idrica. [...]. Un rapporto diretto, infine esisteva fra sovraffollamento e sottosviluppo socio-economico della popolazione. Sottosviluppo testimoniato dai bassissimi redditi derivanti da un lavoro saltuario e svolto per la massima parte a domicilio, con largo impiego di bambini e di vecchi; dall’alto indice di mortalità infantile; dalla diffusione dell’analfabetismo e, non ultimo, dalla assenza di una qualche coscienza delle cause della propria condizione, se è vero che “la plebe della città di Napoli era notevole per la cordialità delle sue relazioni con la borghesia, erto maggiore che in qualunque altra città italiana, salvo forse Palermo” (intervento del senatore Brosetti durante la discussione).

Nella sostanza la legge del 1885 impegnava lo Stato ad un intervento straordinario (100 milioni ottenuti mediante emissione di titoli speciali di rendita), per l’esecuzione di tutte le opere contenute in un piano di risanamento elaborato dal Comune. In ultima analisi, è proprio nell’insufficiente esame dello stato di fatto e nell’assenza di obiettivi a lunga scadenza di questo piano (tutto teso alla realizzazione di operazioni di primo intervento e di emergenza, condotte senza un quadro unitario di riferimento) che vanno fatte risalire le cause del modesto successo dell’operazione, proprio nei riguardi del miglioramento delle condizioni insediative. [...] È incontestabile che l’esecuzione del piano servì a dotare la città di alcune attrezzature che prima esistevano solo allo stato embrionale (ad esempio la fognatura), a promuovere sostanziali miglioramenti nelle condizioni di vita specie dei ceti borghesi, ad aprire mercati alle grandi imprese edilizie (in particolare a quelle settentrionali) e ad imprimere un volto “occidentale” ad una parte della città; servì meno a risolvere il problema del sovraffollamento delle zone più povere, né promosse un sostanziale spostamento di popolazione verso i nuovi settori di espansione. [...] Infine, da un punto di vista urbanistico, e cioè delle relazioni funzionali fra le diverse parti della città, la legge dell’85 provocò un addensarsi di attività “direzionali” nelle zone centrali ed una espulsione verso le aree periferiche della residenza più povera e quindi incapace di reggere, quando in seguito se ne presentò la necessità, una organizzazione urbana decentrata.

Le vicende dell’amministrazione si trascinarono confusamente fino all’elezione a sindaco di Nicola Amore, nel maggio del 1884. L’alacrità di questo amministratore, i suoi onesti intendimenti, la capacità di divenire interlocutore privilegiato del presidente del Consiglio Depretis, sembrava dovessero sortire alcuni effetti; ma nell’estate del 1884 scoppiava l’epidemia di colera che si diffuse rapidissima nella città e in gran parte della provincia. Tutte le denunce che avevano preceduto questo drammatico evento - che solo a Napoli fece 7000 vittime – ebbero larga eco in tutto il paese suscitando forte emozione. Finalmente il governo Depretis nel gennaio del 1885 varò una legge speciale per il Risanamento della città di Napoli. Ancora una volta le vicende amministrative della città si succedettero con colpi di scena che non contribuirono certo a che una così imponente impresa fosse gestita e guidata nel migliore dei modi. Lo scontro maggiore, tra i sostenitori di Amore e il gruppo cattolico-moderato, riguardava proprio la questione dei lavori programmati: essi si fondavano soprattutto sulla bonifica edilizia dei quartieri di Porto, Mercato, Pendino e Vicaria, sull’ampliamento per nuovi quartieri residenziali e per il completamento dell’acquedotto del Serino. [...] Il piano per il Risanamento di Napoli, dopo i lavori del Viceré don Pedro de Toledo, è il più vasto programma urbanistico che abbia avuto Napoli nella sua storia moderna e contemporanea.

[...]

Il progetto per il risanamento di Napoli nasceva da una lunga sedimentazione di piani e programmi vari che almeno a partire dal 1870 erano stati elaborati da privati professionisti, da associazioni di tecnici o da uffici pubblici senza alcun concreto esito; ma essi costituirono un innegabile patrimonio di idee e di operative indicazioni di cui la Società per il Risanamento si servì. [...] Questi progetti vertevano sulla necessità di collegare il centro antico – attraverso trafori nelle colline – con il settore occidentale; di collegare la parte bassa – mediante funicolari – con il Vomero e Posillipo; di rendere più spediti i collegamenti tra i due versanti della città attraverso l’ampliamento della Riviera di Chiaia o la creazione di una litoranea. Puntavano sulla necessità di realizzare un quartiere operaio ad oriente che fosse di supporto alle attività dell’industria siderurgica, a quelle commerciali e portuali; prevedevano massicci interventi di sventramento [...] nell’ottica del grand travaux alla Haussmann, secondo il fortunato e celeberrimo modello parigino. Tema privilegiato – poi reso operativo dal Risanamento – fu quello del collegamento del centro con la piazza della Ferrovia.

[...]

Adolfo Giambarba, in qualità di ingegnere capo della Prima divisione tecnica del Comune, fu l’estensore del progetto: esso prevedeva il risanamento dei quartieri Porto, Mercato, Pendino – con uno sconfinamento nella sezione Vicaria – l’ampliamento della fascia costiera e la ristrutturazione della rete delle fogne e dell’approvvigionamento idrico del nuovo acquedotto del Serino. [...] Il progetto s’articolava in diversi interventi retti dalla stessa logica dello sventramento dei quartieri più malsani; un’ampia strada, partendo da via Medina, giungeva alla stazione di piazza Garibaldi, un sistema di assi ad essa perpendicolari – ma poco profondi generalmente, tanto da non intaccare a nord il complesso monastico di S. Marcellino – in numero di sedici s’aprivano nel corpo dell’edilizia preesistente, ed altre parallele s’aprivano all’altezza del quartiere Mercato. [...] da piazza Garibaldi la via omonima veniva prolungata a nord fino a piazza Ottocalli, prospiciente l’imponente mole dell’Albergo dei Poveri ove, con massicce demolizioni, si creava il disegno del tridente. L’intervento residenziale più esteso era previsto proprio in quest’area del vecchio quartiere di S. Antonio Abate. Edera questa l’area orientale destinata ai quartieri operai. [...] Dopo un esame abbastanza rapido del Comune il progetto passò al governo che, dopo discussioni nei due rami del Parlamento, il 15 gennaio 1885 varò la Legge per il risanamento della città di Napoli. [...] l’amministrazione comunale non trovò concordia d’intenti, le giunte si susseguirono al governo della città, sicché il fatidico primo colpo di piccone ufficialmente fu dato dopo ben quattro anni dall’approvazione della legge, precisamente il 15 giugno 1889.

[...]

Tra le poche voci precocemente ostili all’operazione va ricordata quella di Pasquale Villari che, dal 1885 al 1910, seguì con permanente attenzione le vicende della città. Egli rimproverava al Risanamento d’essersi risolto in una operazione speculativa, di non aver offerto alloggio agli abitanti dei quartieri sgombrati e di averli ridotti ai margini della città in condizioni non migliori di quelle che avevano abbandonato; di aver goduto dei pubblici provvedimenti legislativi per fini sociali e di averli manifestamente disattesi o, peggio, d’averli adoperati a fini speculativi. [...] Ritornando alla distruzione del patrimonio artistico va ricordata l’opinione del Ceci che poteva scrivere “la grande opera del Risanamento dei vecchi quartieri napoletani, invocata da igienisti e da filantropi, ordinata, ad impulso e con concorso dello Stato dal nostro Comune, avrà i suoi errori, ma tra questi non si dovrà annoverare la distruzione di chiese notevoli per importanza artistica” (G. Ceci, Ricordi della vecchia Napoli. Notizie delle chiese comprese nel piano di Risanamento della città, Napoli 1982).

[...]

l’operazione Risanamento ha caratteri inequivocabilmente e smaccatamente speculativi che le fonti di studio più accreditate hanno cercato invano di celare: il sol fatto che il risanamento dei fondaci proceda con esasperante lentezza e con impudente disinteresse per la sorte dei destinatari, ne è una ben palmare conferma. Accade che la massiccia immissione sul mercato di case signorili e di edilizia borghese nei quartieri di ampliamento sortisca il duplice risultato di far impazzire il mercato immobiliare e di ridurre nei più sordidi tuguri, posti alle spalle dei boulevards parte della stessa popolazione residente nelle aree sventrate che non poté certo accedere alle nuove abitazioni rese disponibili. [...] l’operazione del Risanamento costruì assai più case signorili di quanto il mercato immobiliare potesse assorbire e assai meno case economiche e popolari di quante sarebbero state necessarie. Basti ricordare che nei primi tre anni di lavori ci furono nei quartieri bassi 20.000 espulsi e sicuramente più di 10.000 arretrarono nelle povere case, fondaci e bassi alle spalle del Rettifilo, facendo precipitare ulteriormente le condizioni igienico-edilizie di questa area urbana.

[...]

Quantunque manchino delle ricerche analitiche sull’andamento demografico della popolazione in questo periodo [1861-1901], si legge con chiarezza una prima fase di tendenza alla stagnazione ed una seconda di netta ripresa: confermata da un andamento positivo del tasso di natalità rispetto a quello della mortalità che è un indice abbastanza chiaro per dire che il nuovo sistema fognario e gli stessi lavori del Risanamento, nonostante i caratteri speculativi da esso assunto, contribuirono in qualche misura a rendere meno precarie le condizioni igienico-edilizie di taluni settori urbani.

Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perchè voi siete il Governo e il Governodeve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie. Ma il Governo doveva sapere l' altra parte; il Governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il Governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il Governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri [...] Vi avranno fatto vedere una, due, tre strade dei quartieri bassi e ne avrete avuto orrore. Ma non avete visto tutto; i napoletani istessi che vi conducevano non conoscono tutti i quartieri bassi. La strada dei Mercanti, l’avete percorsa tutta? Sarà larga quattro metri, tanto che le carrozze non vi possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello; le case altissime la immergono durante le più belle giornate, in una luce scialba e smorta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato, è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce. In questa strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, v’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio. Da questa via partono tante altre viottole [...] molto più strette dei Mercanti, ma egualmente sporche e oscure; e ognuna puzza in modo diverso: di cuoio vecchio, di piombo fuso, di acido nitrico, di acido solforico.

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Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studi, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare.

Voi non potrete sicuramente lasciare in piedi le case che si sono lesionate dalla umidità, dove al pianterreno vi è il fango e all’ultimo piano si brucia nell’estate e si gela nell’inverno; dove le strade sono ricettacoli d’immondizie, nei cui pozzi, da cui si attinge acqua così penosamente, vanno a cadere tutti i rifiuti umani e tutti gli animali morti [...] il cui sistema di latrine, quando ci sono, resiste a qualunque disinfezione.

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Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnare loro come si vive – essi sanno morire, come avete visto! – per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla.

La legge 15 gennaio 1884, n. 2892, nota con il titolo di “legge per il risanamento della città di Napoli”, fu ispirata e determinata dai luttuosi eventi dell’estate del 1884, allorché il colera causò in quella città migliaia di morti. Lo stesso titolo del disegno di legge presentato dal presidente del Consiglio dei ministri, Depretis, il 27 novembre 1884, alla Camera dei Deputati (ove prese il n. 261), è chiaramente indicativo delle finalità perseguite: “Disposizioni per provvedere alla pubblica igiene della città di Napoli”. Del resto le considerazioni illustrative del disegno di legge e le ripetute dichiarazioni dello stesso Depretis non lasciano dubbi in proposito. Si sottolinea nelle prime l’esigenza, di fronte al frequente ripetersi di invasioni coleriche in Napoli, di provvedere “non tanto al riparo delle sventure singole e locali, quanto a prevenire e impedire le nuove e generali che potrebbero colpirci”. Durante la discussione al Senato, inoltre, nella seduta del 10 gennaio 1885, Depretis affermò che il disegno di legge in discussione doveva essere considerato nel suo vero carattere, precisando: “Esso è principalmente, anzi esclusivamente, un provvedimento igienico. Tuttavia i fini di igiene pubblica della legge non impedirono, come del resto era necessario, che l’attenzione si rivolgesse anche a problemi essenzialmente urbanistici. L’esatta individuazione delle cause del colera non poteva non suggerire interventi intesi a predisporre più razionali strutture cittadine e con l’occasione non si mancò di indicare gli strumenti procedurali e tecnici, oltre ai mezzi finanziari, dell’intervento pubblico nella sistemazione dell’insediamento urbano. Nella presentazione del disegno di legge si afferma: “Le cause principali della recente sventura furono accertate con sollecita cura dal Municipio di Napoli e da uomini competentissimi, e consistono nelle condizioni deplorabili delle fogne e del sottosuolo dove si sprofondano e pullulano migliaia di pozzi e sorgenti di acqua cattiva, naturale veicolo di infezione; nell’agglomerazione delle classi più misere del popolo in tuguri e sotterranei immondi; nella generale insalubrità delle abitazioni in parecchie sezioni di Napoli”. La discussione in Parlamento si polarizzò intorno a soluzioni di coraggiosa modernità e chiara tecnica urbanistica: costruzioni di una grande e larga strada centrale con numerose alte vie ad essa perpendicolari, costruzione di nuovi quartieri, espropriazione per pubblica utilità di zone “laterali alle nuove strade” ecc., elementi questi che portarono gli avversari della legge ad affermare, in polemica, che tutto un altro scopo era così perseguito, uno “scopo puramente edilizio ed estetico” e che non si vedeva quale relazione potesse trovarsi “fra un problema così complesso come è quello dell’igiene ed un bel rettilineo”. È evidente, pertanto, come la rilevanza della legge in esame trascenda le contingenze specifiche che la originarono: alcune norme in essa contenute rappresentano un momento essenziale del processo evolutivo della legislazione urbanistica italiana.

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Dalla discussione dei singoli articoli è da ricordare l’intervento del deputato Nervo il quale aveva presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’art. 1: “Il sottoscritto propone di aggiungere le seguenti disposizioni all’art. 1: il piano dovrà essere concepito in modo che i nuovi fabbricati, che saranno costruiti in sostituzione delle case malsane, contengano abitazioni la cui distribuzione interna si presti anche all’esercizio di piccole industrie a domicilio, e il cui valore locativo possa essere accessibile alle classi meno abbienti che ora abitano i quartieri malsani”. [...] Furono proposti (ed accettati dal Governo) i due seguenti: “L’indennità dovuta ai proprietari degli immobili espropriati sarà determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente al rispettivo anno di locazione. In difetto di tali fitti accertati, l’indennità sarà fissata sull’imponibile netto, agli effetti delle imposte sui terreni e su fabbricati”.

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Durante la discussione generale da parte del senatore Brioschi furono analiticamente esaminate le varie possibili iniziative di opere pubbliche in Napoli e fu affrontato poi un più generale problema d’indole sociologica per i riflessi che sulle varie progettate soluzioni urbanistiche avrebbero avuto le specifiche condizioni della popolazione napoletana: “non pare a Lei, onorevole Presidente del Consiglio, non pare al Senato, che questo clima, questa plebe, queste abitudini, esigano considerazioni e studi speciali, anche dal punto di vista della questione edilizia; e che il partito di abbattere case malsane per costruirne altre salubri in altra località, partito che pure può ritenersi in generale opportuno, non lo possa diventare meno in quelle circostanze locali? Quei due nuovi rioni ideati a costruirsi, denominato l’uno rione operaio, l’altro rione industriale, sembra a Voi possano albergare quella parte della popolazione di Napoli intorno la quale hanno scritto così belle pagine il Villari, il Turiello, il De Zerbi, la Mario, il Fucini e molti altri? Non vi è qui un problema sociale che si complica con l’edilizio e con l’igiene e del quale, a mio avviso, non si è tenuto alcun conto?”.

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