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Firenze ha la sventura di essere la patria di auto-adozione del Senatore (di Scandicci) Matteo Renzi e in quanto tale vittima di una serie di leggi «ad civitatem» che purtroppo si estendono come disgrazie all’intera nazione.

Dobbiamo riconoscere che dopo il Dlgs 104 del 2017– che permetteva di modificare le VIA già effettuate in accordo tra proponenti e controllori, pro nuovo aeroporto di Firenze - dopo l’emendamento al Decreto Semplificazioni, sostanziato nell’art 57 che ingloba la VAS nella VIA (sempre pro aeroporto) era difficile fare di peggio. Invece con l’emendamento sugli stadi, approvato anch’esso nel Decreto Semplificazioni, Matteo Renzi ha superato se stesso e portato l’asticella ancora più in alto. L’emendamento è un misto di insipienza architettonica, di totale ignoranza del significato di “conservazione”, di aspetti ridicoli, come la possibilità di trasferire in altro luogo gli elementi di pregio ritenuti non più funzionali; e si conclude con delle bombe finali, che a primo acchito appaiono incostituzionali. Ma su ciò decideranno i giudici, se sarà fatto ricorso alla Corte.

L’emendamento è pensato per lo stadio Franchi di Firenze, realizzato agli inizi negli anni ’30, su progetto di Luigi Nervi, già manipolato a partire degli anni ‘90, con l’abbassamento del manto erboso, l’eliminazione della pista di atletica e incongrue tribune aggiuntive. Ora, è scritto nell’emendamento che a fini testimoniali si può procedere alla conservazione o riproduzione anche in forma e dimensioni diverse da quelle originali dei “soli specifici elementi strutturali, architettonici e visuali”. Che vuole dire che si può trasformare tutto e a piacimento, secondo una nuova categoria concettuale: l’ossimoro di una conservazione basata sulla trasformazione.

Con la ciliegina che elementi di valore, ma non più funzionali, possono essere trasferiti altrove. Ad esempio, l’ingresso monumentale dello stadio potrebbe essere appiccicato a un nuovo centro commerciale e le scale elicoidali potrebbero fare da corredo a qualche grande albergo di lusso come scale di sicurezza. Che ogni architettura di pregio, ogni monumento, sia da conservare nella sua integrità, organicità e nel suo contesto è un’idea certamente non nuova, ma evidentemente sconosciuta al Senatore.

Ci si domanda, poi, come nello stadio Franchi si possano distinguere gli elementi strutturali da quelli che non lo sono. Matteo Renzi, da Sindaco di Firenze, era spesso presente alle partite della Fiorentina. In quelle occasioni ha avuto la possibilità di guardare la struttura dello stadio, ben visibile dall’esterno, e di rendersi conto che tutto il complesso, comprese le tribune che hanno il compito di collegare tra loro i pilastri, ritti e inclinati, svolge un ruolo strutturale. Se vengono demolite le tribune non vi è più solidarietà tra i diversi elementi portanti. Forse si potrebbe, oltre alle già menzionate scale elicoidali, traslocare le torre di Maratona che ha una struttura autonoma e piantarla da qualche altra parte, a concorso.

Infine le due bombe. La prima: se il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali non comunica entro 60 giorni, prorogabili a 90, quali parti siano da conservare (trasformandole per forma e dimensione) e quali da demolire o asportare, il vincolo decade automaticamente. La seconda: “il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali tiene conto che l’esigenza di preservare il valore testimoniale dell’impianto è recessiva rispetto all’esigenza di garantire la funzionalità dell’impianto medesimo ai fini della sicurezza, della salute e della incolumità pubbliche, nonché dell’adeguamento agli standard internazionali e della sostenibilità economico – finanziaria dell’impianto. La predetta esigenza prevalente rileva (?) anche ai fini delle valutazioni di impatto ambientale e di compatibilità paesaggistica dell'intervento.”

In sintesi, nell’emendamento viene reinterpretato l’articolo 9 della Costituzione dove è scritto che la Repubblica tutela il patrimonio storico-artistico della Nazione. Innumerevoli sentenze della Corte di Cassazione hanno ribadito che l’interesse della tutela è prevalente rispetto a interessi economici e funzionali. La recessività della tutela rispetto ad altri interessi non può essere generalizzata, ma deve essere valutata caso per caso, dimostrando che esistono imprescindibili necessità di salvaguardia della salute pubblica, della sicurezza, o altre forti motivazioni; e che non è possibile costruire altrove un manufatto sostituivo di quello che si vuole radicalmente trasformare. Ci si domanda perché l’attuale Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, il buon Dario Franceschini, non abbia niente da eccepire rispetto a questo autentico attentato al “patrimonio storico-artistico della Nazione” e a questa indebita interferenza nelle sue competenze ministeriali.

Una considerazione finale: non si comprende perché l’emendamento eversivo debba riguardare solo gli stadi e non qualsiasi manufatto vincolato. Applicato alle chiese si potrebbero eliminare tutte le pareti e le coperture non portanti. Esteso a Venezia si potrebbero distruggere tutte le facciate che danno sul Canal Grande che, come è noto, non hanno alcuna funzione strutturale. In una parola, l’epidemia fiorentina potrebbe estendersi a tutta l’Italia.

La Repubblica, ed. Firenze, 17 agosto 2016
UN ‘effetto Torino’: quello per cui Piero Fassino ha perso le elezioni pur essendo convinto (in parte non a torto) di aver ‘governato bene’. È quello che rischia Enrico Rossi: almeno a giudicare dalle sue reazioni alla sentenza del Tar toscano sull’ampliamento dell’aeroporto di Firenze.
Proverò a dar conto del sentimento che queste reazioni suscitano in un cittadino che non abbia una posizione definita sulla materia del contendere. Un cittadino, dunque, diverso da me: sono sempre stato contrario a quell’ampliamento, convinto che l’unica scelta sensata sarebbe stata fare del Galilei di Pisa l’aeroporto (anche) di Firenze, con una navetta su monorotaia che lo collegasse in trenta minuti a Santa Maria Novella.

Ma non è di questo che ora si parla. La sentenza del Tar non riguarda, ovviamente, la decisione politica, ma il modo in cui essa si attua. In particolare, essa investe la correttezza delle procedure che dovrebbero accertare la compatibilità di quel progetto con la tutela dell’ambiente, e cioè con la salute di chi vive nella Piana.
Su questo nodo si fronteggiano da tempo due schieramenti: da una parte i governi della Regione e del Comune di Firenze, e ora la Società Toscana Aeroporti presieduta da Marco Carrai, dall’altra un foltissimo gruppo di comitati, singoli cittadini, tecnici, altre amministrazioni e istituzioni (tra le quali anche l’università di Firenze).
Un ‘effetto Torino’: quello per cui Piero Fassino ha perso le elezioni pur essendo convinto (in parte non a torto) di aver ‘governato bene’. È quello che rischia Enrico Rossi: almeno a giudicare dalle sue reazioni alla sentenza del Tar toscano sull’ampliamento dell’aeroporto di Firenze.
Proverò a dar conto del sentimento che queste reazioni suscitano in un cittadino che non abbia una posizione definita sulla materia del contendere. Un cittadino, dunque, diverso da me: sono sempre stato contrario a quell’ampliamento, convinto che l’unica scelta sensata sarebbe stata fare del Galilei di Pisa l’aeroporto (anche) di Firenze, con una navetta su monorotaia che lo collegasse in trenta minuti a Santa Maria Novella.

Ma non è di questo che ora si parla. La sentenza del Tar non riguarda, ovviamente, la decisione politica, ma il modo in cui essa si attua. In particolare, essa investe la correttezza delle procedure che dovrebbero accertare la compatibilità di quel progetto con la tutela dell’ambiente, e cioè con la salute di chi vive nella Piana.

Su questo nodo si fronteggiano da tempo due schieramenti: da una parte i governi della Regione e del Comune di Firenze, e ora la Società Toscana Aeroporti presieduta da Marco Carrai, dall’altra un foltissimo gruppo di comitati, singoli cittadini, tecnici, altre amministrazioni e istituzioni (tra le quali anche l’università di Firenze).

Il discorso mediatico mainstream racconta questa contrapposizione in termini stereotipati: da una parte le ragioni dello sviluppo, dall’altra le ubbìe ambientaliste di una minoranza di fanatici.

Per un osservatore terzo l’unico modo per capire chi ha ragione è potersi fidare delle procedure seguite dal potere pubblico per attuare le sue decisioni. Questa correttezza si basa sull’autonomia intangibile degli organi tecnici: perché la nostra legislazione riconosce che - quando si parla di tutela dell’ambiente e della salute umana non tutto è nella disponibilità della maggioranza politica del momento.

Ebbene, la fiducia di quell’ipotetico (ma concretissimo) osservatore era già stata messa a dura prova: si deve infatti rammentare che la Valutazione strategica della variante al Piano di Indirizzo Territoriale era stata approvata nonostante il parere negativo dell’organo tecnico della Regione (il nucleo di valutazione). E che la conseguente Valutazione di impatto ambientale si è conclusa positivamente nonostante che l’apposito nucleo di valutazione abbia dichiarato di non potersi esprimere perché non aveva ricevuto tutti i documenti necessari. Infatti la società privata che propone l’ampliamento non ha presentato un progetto definitivo, ma solo un masterplan: e cioè un progetto preliminare di massima. Tre irregolarità piuttosto pesanti.

Ma niente in confronto a ciò che ora stabilisce la sentenza del Tar: che dice a chiare lettere che le procedure seguite non garantiscono affatto la tutela dell’ambiente (e dunque della salute dei cittadini).

A questo punto, quel famoso osservatore terzo cosa si aspetterebbe dalle pubbliche autorità? Una dettagliata confutazione delle conclusioni del Tar. Che, invece, non c’è stata. Sia Enrico Rossi che il sindaco di Firenze Dario Nardella hanno preferito parlare di tattica processuale. Non hanno detto che questa sentenza è ingiusta, o incompetente: hanno invece detto che sapranno renderla ininfluente.
E qua i destini si separano. Perché se nemmeno il più neutrale degli osservatori può aspettarsi da Nardella la benché minima autonomia da una società presieduta dall’intimo amico di Matteo Renzi, ben diversa è la posizione di Rossi: che si candida a disputare a Renzi la segreteria del Pd da posizioni che egli stesso definisce «socialiste».

Quel cittadino legge la sentenza del Tar (o almeno l’ampio sunto presente sui giornali). E pensa che se anche solo un decimo delle cose che essa afferma fossero vere, sarebbe evidente che siamo in mano ad una classe dirigente che realizza grandi opere senza curarsi del loro impatto. E poco importa che lo faccia a servizio di alcune lobbies, o perché incapace di affrancarsi dall’idea che lo sviluppo debba prevalere sulla tutela di ambiente e salute.

Quel cittadino si aspetta da Rossi una chiara argomentazione sul merito di ognuno dei punti che la sentenza solleva. Più in generale, l’opinione pubblica si aspetta che la classe politica renda conto delle proprie scelte con umiltà, competenza e trasparenza. Se questo non succede, prima o poi il rapporto di fiducia si rompe, come è successo a Torino: Fassino ha pagato nel modo più pesante l’arroganza di una oligarchia che non credeva di dover perdere tempo a rendere conto delle proprie decisioni.

Le possibilità di conoscenza offerte dalla rete, e la felice saldatura tra saperi tecnici e opinione pubblica che essa consente, mettono la classe politica di fronte ad una responsabilità nuova: spiegare in modo convincente le proprie decisioni in fatto di ambiente. È così che un tema fino a poco tempo fa secondario sta invece ora diventando decisivo: chi non lo capisce rischia di essere travolto. E le reazioni alla sentenza del Tar dimostrano che la Toscana non è affatto immune dall’‘effetto Torino’.

Corriere Fiorentino, 9 luglio 2016
Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una serie di modifiche alla LR 65/2014 sul Governo del territorio. Le modifiche sono state presentate come ‘tagliando di manutenzione’, recepimento di semplificazioni presenti nelle norme nazionali’, ‘rafforzamento della filiera istituzionale’, oltre che finalizzate a rendere l’‘agricoltura più facile’, dichiarando che esse non intaccano comunque i pilastri della legge, che rimane la più avanzata in Italia per quanto riguarda le misure di prevenzione del consumo di suolo.

Convengo su quest’ultima valutazione. Anche a valle delle modifiche intervenute, la legge 65/2014 rimane l’unica legge vigente, in Italia, ad affrontare seriamente il tema del blocco del consumo di suolo. Così seriamente che si è sentita l’esigenza di “alleggerirla”.

Dissento invece sulla comunicazione che si sia trattato di un intervento di sola “manutenzione”. La modifica era stata in effetti avviata con questa intenzione, per correggere alcune incongruenze prodotte da emendamenti approvati all’ultimo minuto, e per recepire nuove norme nazionali in materia di edilizia e appalti.

Strada facendo, tuttavia, le proposte di modifica si sono allargate, ed è passato il segnale, politico, che alcuni interessi potevano ottenere risposta. Mi sembra pertinente ricordare, in proposito, che la legge 65 è stata a suo tempo approvata dall’intera coalizione di centro-sinistra al governo, e con il contributo anche della sinistra esterna alla maggioranza, al termine di un apio processo di consultazione e partecipazione. Questa legislatura è radicalmente diversa, con il PD solo al comando grazie al consistente premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale regionale, che può decidere senza confronto quali interessi soddisfare. Il tutto con una curiosa desistenza del centro-destra, nel voto a queste modifiche, spiegabile soltanto con qualche accordo implicito al riguardo.

Nel merito delle modifiche intervenute: i ‘pilastri’ che reggono l’impianto della legge sono in effetti ancora in piedi, come dichiarato da più esponenti del PD, ma le rosicchiature di fattispecie di trasformazioni e di parti di territorio “liberate” dalla legge sono state numerose, con effetti che potremo concretamente verificare soltanto nel tempo a venire.

Le principali riguardano l’indebolimento della cosiddetta “filiera istituzionale” faticosamente ricostruita dalla LR 65, ovvero la verifica congiunta fra Comuni e Regione delle trasformazioni più rilevanti, con procedure capaci di garantire adeguata informazione ai cittadini, in tempo utile per poter intervenire nei procedimenti.

D’ora in poi (per le modifiche è stata richiesta l’entrata in vigore urgente) una serie di trasformazioni rilevanti saranno sottratte alla conferenza di copianificazione, o comunque approvate con procedure semplificate. Ad esempio, le grandi trasformazioni in territorio rurale presentate dalle aziende agricole, anche con perdita delle destinazioni d’uso rurali, saranno di esclusiva competenza comunale se insistono su un territorio classificato dai Comuni stessi come urbanizzato. Ancora in territorio urbanizzato, si potranno spostare con semplici varianti semplificate nuovi volumi da un quartiere all’altro, da una frazione a un’altra distante anche molti chilometri, senza consultazione preventiva né dei cittadini né della Regione.

Nel territorio rurale, dove la semplificazione degli atti necessari agli agricoltori per esercitare la propria attività era stata una delle innovazioni principali introdotte dalla legge 65, le modifiche ora intervenute consentono la trasformazione dei nuovi annessi agricoli in residenze per gli agricoltori, operazione puramente funzionale a ulteriori cambi di destinazione d’uso, avendo gli agricoltori già diritto per legge a un’abitazione rurale. Perché ora tradire il patto d’onore stretto a suo tempo a questo riguardo con le rappresentanze degli agricoltori?

E così via con altre modifiche che vanno in direzione analoga, come quella di ammettere il frazionamento dei sottotetti recuperati all’uso abitativo senza aumento degli standard urbanistici pubblici, gravando così sugli utenti dei servizi già esistenti.

Infine, le modifiche congiunte alle leggi sul governo del territorio e sulle opere strategiche attribuiscono alla sola regione il potere di decidere gli ampliamenti delle opere esistenti. Questo processo di centralizzazione delle decisioni, per produrre scelte più efficaci, dovrebbe obbligatoriamente essere accompagnato dall’attivazione di azioni partecipative con una approfondita discussione pubblica delle alternative. Purtroppo la non attuazione del dibattito pubblico previsto dalla legge regionale sulla partecipazione per le grandi opere e dallo stesso PIT per quanto riguarda l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze non fa sperare nulla di buono al riguardo.

La beffa, in questo caso, è data dal fatto che sia le misure di contrasto al consumo del suolo che l’introduzione del dibattito pubblico obbligatorio per le grandi opere sono attualmente due temi presenti anche sull’agenda del governo nazionale. Saprà la Toscana non perdere il proprio primato non solo teorico, ma anche d’azione, al riguardo?

Vendita dei beni immobiliari pubblici: laRegione Toscana inverta la rotta. Appello a Enrico Rossi presidente della Regione, del Nodo toscano della Società dei Territorialisti/e. Rivista SdT online, 24 febbraio 2016

Capisaldi sociali e territoriali, garanzia diinclusività e di crescita civile, i beni pubblici presiedono al disegno democraticodi redistribuzione delle risorse, e il loro mantenimento in proprietà contrastai progetti neoliberisti di trasferimento dei beni di molti nelle mani di pochi.Queste ragioni dovrebbero indurre la Regione Toscana a conservare la proprietàdel patrimonio edilizio di sua competenza, a non perseguire politiche di stampoeconomicista nella loro gestione. E a ritirare quindi la delibera che pone invendita molti edifici di proprietà regionale.

La Società dei Territorialisti/e è dalla partedi chi intende mantenere pubblica la proprietà del patrimonio edilizio efondiario della nazione, la cui stessa esistenza favorisce i processi diri-territorializzazione, sia nel territorio aperto che entro il tessuto urbano.Aree ed edifici che Regione, Comuni e Città metropolitana hanno messoall’incanto si sono infatti dimostrati luoghi di enormi potenzialità, in cui siinverano pratiche dal “basso”, esperienze di “costruzione di territorio”,sperimentazioni di nuove forme di autogoverno e di gestione collettiva del benecomune.

Nei centri storici desertificati e nelleperiferie contemporanee, l’esistenza di aree di proprietà pubblica – il piùdelle volte di notevole valore storico-artistico – garantisce l’occasione perl’innesco degli auspicabili processi di rigenerazione urbana e sociale: ilrecupero di edifici o di terreni abbandonati al degrado, la loro fruizionecollettiva e le nuove pratiche di welfare dal basso che possono scaturire dalriutilizzo di spazi pubblici vuoti o in dismissione, costituiscono una nontrascurabile occasione di creazione di nuovi posti di lavoro in autogestione edi pratiche di autocostruzione finalizzate alla residenza per le fasce socialipiù deboli.

Nelle campagne, proprietà e terreni pubblicicontribuiscono a favorire l’occupazione giovanile nella neo-agricoltura autosostenibile,e, attraverso la promozione di parchi agricoli e di filiere alimentari locali,a innescare processi di ripopolamento rurale. Nello scenario attuale dellepratiche di riappropriazione di spazi pubblici condannati alla vendita, il casodella Fattoria di Mondeggi – di proprietà della Provincia – è paradigmatico edovrebbe fungere da esempio per riconfigurare nuove politiche di gestione deibeni statali, regionali, comunali e pubblici in genere.

A fronte della mercificazione che investecittà e territori, la Regione Toscana inverta la rotta e avvii un corsopolitico che impedisca l’introduzione dei beni comuni nel Mercato e che anzivalorizzi l’inveramento di pratiche dal “basso”, esperienze di “costruzione di territorio”,e sperimentazioni di nuove forme di autogoverno e di gestione collettiva delbene comune.

Riferimenti
l,articolo di Antonio Fiorentino, Se la Toscana rinuncia a difendere i propri beni comuni

Il Fatto quotidiano online, blog "Alle porte coi sassi, 18 febbraio 2016

La notizia della svendita di parte del patrimonio pubblico della Regione Toscana, annunciata dal presidente Enrico Rossi nei giorni scorsi, non ci ha colti di sorpresa. Ormai conosciamo le pratiche del centro sinistra, Pd in testa: privatizzare, svendere, controllare il sottogoverno sociale, impedire che i cittadini possano esprimersi attraverso le forme istituzionali loro riconosciute, come nel caso del recente annullamento del referendum sulla Sanità regionale.

Con ostentata indifferenza la Giunta, nella speranza di rimpolpare le casse regionali e di continuare a coprire le proprie incertezze amministrative, vedi, per esempio, il grave ammanco dell’ASL di Massa di 400 milioni, vorrebbe sbarazzarsi di un ingente e prezioso patrimonio storico architettonico del valore di circa 650 milioni. Sono decine e decine di immobili di proprietà della Regione e delle asl. Accanto a un patrimonio minore, che comunque potrebbe essere riutilizzato socialmente con interessanti forme di autorecupero e autocostruzione, troviamo complessi architettonici di indiscutibile valore monumentale e paesaggistico.

La Regione, in perfetto stile managerial-immobiliare, ha anche messo a punto una mappa interattiva del patrimonio pubblico in vendita. Invitiamo a consultarla per rendersi conto della consistenza e della qualità dei beni messi a disposizione del mercato speculativo.

Firenze potrebbe perdere alcuni suoi gioielli tra i quali Villa Fabbricotti con annesso parco sulla collina di Montughi, parte del Parco di San Salvi, l’ex ospedale Meyer, Palazzo Bastogi a due passi da Piazza Duomo, le Poste Nuove di Michelucci, Villa La Quiete, vera e propria Villa Medicea sulle suggestive colline di Careggi, nonché gli ex ospedali di Fiesole e gli ex sanatori sulle colline di Monte Morello.

Pistoia, neo Capitale della cultura 2017, potrebbe rimetterci l’ex Ospedale del Ceppo, vanto della cultura storico architettonica della città. In pericolo è anche l’ex Ospedale psichiatrico delle Ville Sbertoli. Qui si apre un caso interessante, emblematico dei rapporti tra Regione e comunità locali. Il Regolamento urbanistico pistoiese, facendo proprie le conclusioni del percorso partecipativo, ha destinato l’area a funzioni pubbliche escludendo esplicitamente alberghi e residenze speculative.

Cosa pretende Rossi quando afferma che “intendiamo discutere con i Comuni della destinazione d’uso degli immobili”? Imporrà i suoi diktat alle comunità locali? Le amministrazioni comunali e gli abitanti dei luoghi coinvolti saranno in grado di impedire lo scippo del patrimonio collettivo? Questa è una partita che si giocherà nei prossimi mesi e che potrà verificare la tenuta delle autonomie locali.

Un’operazione analoga coinvolgerà Lucca per la quale è prevista la svendita dell’ex Ospedale del Campo di Marte e dell’ex Ospedale psichiatrico di Maggiano, sì, proprio quello delle “Libere donne di Magliano” di Mario Tobino, attuale sede della Fondazione intitolata allo scrittore.

La fallimentare esperienza della costruzione dei quattro nuovi ospedali regionali ha liberato quindi le vecchie sedi che, prontamente, sono state poste in vendita per tentare di ripianare i conti in rosso del project financing ospedaliero. Accade anche a Massa, a Prato, ed anche a Grosseto, a Pisa e ad Arezzo, dove è stato messo in vendita anche l’ex Ospedale psichiatrico, quello in cui Petrella e Basaglia hanno dato vita a interessanti forme di innovazione scientifica e sociale. La svendita degli ex Ospedali psichiatrici toscani è anche segno di una incapacità programmatica assai grave.

L’elenco potrebbe continuare ancora, ci fermiamo per non irritare ulteriormente il lettore. Forse non è ancora chiara la portata dei provvedimenti della Giunta regionale, cui si affiancano anche le alienazioni delle Province e dei Comuni: stanno disarticolando la tenuta del territorio con interventi che da un lato banalizzano e fagocitano la storia collettiva che in questi luoghi si è sedimentata e, dall’altro, ne allontanano le prospettive di riqualificazione urbana.

Ancora una volta questa politica non si smentisce: rinuncia al proprio ruolo di custode dei “beni comuni” e, cinicamente, dilapida un ricco patrimonio collettivo, testimonianza della paziente e profonda trama di relazioni delle comunità locali. L’alienazione di questi beni è quindi un’operazione di distruzione di questa ricchezza territoriale e di ulteriore diffusione di degrado ambientale e sociale.

Parafrasando le dichiarazioni di Rossi, possiamo affermare che è nostra intenzione quindi “procedere ad una chiamata per verificare se c’è interesse” a difendere “l’ampio patrimonio immobiliare” mal utilizzato di cui disponiamo, ed auspichiamo che ad ogni immobile corrisponda un gruppo, una associazione, un centro sociale, un comitato di cittadini in grado di contrastare questi progetti e di affermare un percorso politico centrato sul bene comune.

Non possiamo non sollecitare l’intervento della Rete Toscana dei Comitati, della Società dei Territorialisti, delle Università, a difesa della integrità del patrimonio regionale.

L’auspicio è che la mappa della speculazione, così come proposta da Rossi & C., possa ben presto diventare la mappa della riappropriazione e della cura dei territori in cui le comunità sono insediate.

Come perUnaltracittà daremo il nostro contributo.

Il Tirreno, 12 giugno 2015

Piano del paesaggio. Tutta fatica sprecata? «Ancora è presto per dirlo. Sicuro è però che il governo si sta muovendo purtroppo a prescindere dai piani paesaggistici con la conseguenza di svuotarne almeno in parte l'interesse e l'efficacia», racconta preoccupata l'assessore all'urbanistica uscente Anna Marson. Sembra lontano anni luce l'accordo di co-pianificazione firmato l'aprile scorso dal presidente Rossi assieme al ministro della cultura Franceschini. E le manovre in corso nella capitale e il rallentamento del turnover in Regione potrebbero far evaporare nel nulla le lunghe notti del precedente consiglio regionale, del governatore e dell'assessore Maison per trovare un accordo sull'atto centrale della legislatura.

Più semplice costruire

L'assessore però ci tiene a precisare che «razionalizzare e in parte anche semplificare le procedure di autorizzazione paesaggistica è importante e auspicabile, purché sia condizionato alla presenza di piani paesaggistici elaborati insieme al Ministero peri beni culturali. In assenza dei piani, ben vengano le semplificazioni per i soli interventi privi di rilevanza paesaggistica. Ma potrebbero essere semplificate le procedure perla costruzione di impianti geotermici. La realizzazione della centrale di Casole d'Elsa potrebbe ripartire. E si parla anche di maggiori facilitazioni per realizzare porte-finestre negli edifici dei centri storici.

La modifica dei Titolo V

C'è poi l'altra grana della modifica al Titolo V della Costituzione, arrivata alla terza lettura in Parlamento, dunque a buon punto. «Rendere tutte le leggi regionali- dice Maison - soccombenti rispetto alle norme statali in materia, perché lo Stato torna ad essere l'unico decisore nel governo del territorio scalzando le Regioni.«Si tratta di una prospettiva che, oltretutto, rischia di svilire gli importanti percorsi di concertazione che in Regione Toscana hanno portato ad esempio all'approvazione della legge 65/2014 in materia di governo del territorio, che sul consumo di suolo è l'unica a prevedere finora misure di serio contrasto».

II blocco dei turn-over


Ma è in pericolo anche l'applicazione quotidiana del piano paesaggistico. Molti Comuni hanno in pancia dei regolamenti urbanistici che consentono l'espansione dell'edificabile. Tutti piani che vanno rivisti. Per questo i funzionari comunali dialogano con quelli regionali, ma questo procedimento Ë a rischio. «Nei prossimi mesi - dice l'assessore molti degli attuali dirigenti e funzionari che hanno lavorato alla redazione del piano andranno in pensione. Mi auguro che la Regione intenda garantire un'adeguata dotazione di personale e risorse istituendo finalmente anche l'Osservatorio per il paesaggio». Ma i tagli al personale del piano Rossi e il rallentamento del turnover vanno nella direzione opposta.

Riferimenti:
Per connessione di materia leggi l'articolo de Lucia Tozzi sulle cave e quello di Paolo Baldeschi sull'"intelligenza del PD"

Domenica sera anche in Toscana ci sarà un vincitore e un vinto: ma, a differenza che in tutte le altre regioni in cui si vota, il vincitore e il vinto avranno lo stesso nome, quello di Enrico Rossi. Il quale sarà di nuovo presidente (anche se probabilmente punito da un'astensione record), ma non sarà più lui.

Almeno, non il Rossi in cui avevano sperato gli (ormai ex) elettori Pd che (come me) ritengono la svolta renziana una irreversibile mutazione genetica. Non il Rossi che si era presentato come un'alternativa, e che giorno dopo giorno è invece meno distinguibile dagli imbarazzanti vassalli toscani del premier-segretario.

La spia più impressionante di questa precipitosa omologazione è la trasformazione del linguaggio di Rossi, un tempo gentile e quasi timido, oggi intriso dall'inconfondibile arroganza renziana. Nelle ultime ore questa inedita violenza verbale si è appuntata su Anna Marson: sua attuale assessore e autrice principale di quel Piano del Paesaggio che è uno dei principali risultati della Giunta uscente.

La Marson ha la colpa di aver notato che il programma di Rossi è singolarmente reticente proprio sul paesaggio, e di aver dunque espresso la sua preoccupazione per ciò che succederà al Piano e soprattutto al paesaggio da lunedì in poi. Come spiega la Marson in questa nota diffusa dall'Ansa (ma ignorata dalla stampa toscana di oggi) Rossi avrebbe potuto creare subito l'Osservatorio (aperto anche alle associazioni) previsto dal Piano, ma ha preferito rimandare alla prossima legislatura: un pessimo segnale. Perché è evidente che il Pd toscano neorenziano, che ha provato in tutti i modi ad affondare il Piano (ed ha dovuto mandarlo giù solo perché Rossi avrebbe completamente perso la faccia), si appresta ora a smontarlo pezzo a pezzo. E a livello nazionale, il partito che ha varato lo Sblocca Italia ha fretta di liquidare quell' intralcio 'ambientalista' ereditato da un passato di sinistra che si vuol archiviare più in fretta possibile.

Se le cose non stessero così, Rossi avrebbe fatto di Anna Marson – cioè del suo lavoro, e del suo rapporto con le associazioni e i comitati di cittadini che lottano perché la Repubblica tuteli davvero l'ambiente (come prescrive l'articolo della Costituzione che dà il titolo a questo blog) – una bandiera elettorale. Così non è stato, perché nel frattempo – come è detto in un appello elettorale firmato anche da chi scrive – «il Pd toscano ha subìto una profonda mutazione genetica, ed Enrico Rossi non ha più alcun margine di indipendenza politica dalla linea di Matteo Renzi. Quel modello è finito».

Alla vigilia del voto, le dichiarazioni della Marson rischiano di fornire ai cittadini toscani un prezioso elemento di conoscenza: qualcosa di rivoluzionario, in una campagna elettorale singolarmente vuota di contenuti, sottotono, quasi al cloroformio. Da qui la reazione scomposta del segretario del Pd toscano (il brutale Dario Parrini), il quale si è ben guardato dal rispondere nel merito, ma ha accusato la Marson di «infelici speculazioni elettorali» (e non si capisce a pro' di chi, visto che la Marson non è candidata né sostiene alcuna lista). Ma è stato Enrico Rossi a rilasciare la dichiarazione più inquietante: «Il Piano è mio, Marson può stare tranquilla». No, caro Rossi: il Piano non è tuo. È dei toscani, è degli italiani. E dopo il «ghe pensi mi» berlusconiano, e l'uomo solo al comando renziano, in tanti speravamo proprio di non sentirti mai dire una cosa del genere.

Il programma elettorale del Pd toscano è #paesaggiostaisereno. Toscani avvisati, mezzi salvati

La città invisibile, maggio 2015

Due dispositivi legislativi: la legge regionale toscana per il governo del territorio impugnata dalla presidenza del Consiglio e, da mesi, ferma in palazzo Chigi, e un disegno di legge nazionale per il contenimento del consumo di suolo, in discussione alla Camera. Due leggi che, pur proclamando di perseguire lo stesso obbiettivo – il blocco della cementificazione dei terreni fertili –, hanno opposta natura antropologica.

La legge nazionale

Partiamo dal DdL C 2039 (Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo), che raccoglie in un testo unificato gli undici precedenti disegni depositati alla Camera. Presentato alla comunità scientifica a un convegno organizzato a Milano dall’Ispra (6 maggio 2015), il DdL è frutto del lavoro dei ministeri di agricoltura e ambiente; nei fatti, tuttavia, possiede la fisionomia di una legge urbanistica. Definisce il consumo di suolo come «incremento annuale netto della superficie oggetto di impermeabilizzazione» da ridurre progressivamente fino al consumo zero imposto dall’Europa per il 2050: i tecnicismi sul calcolo incrementale, funzionali forse ad alimentare la ricerca scientifica, ma senza dubbio fuorvianti rispetto agli obbiettivi, non garantiscono alcun risultato a breve nella realtà peninsulare.

«Un testo sbagliato – affermava Vezio De Lucia all’assemblea della Rete dei comitati per la difesa del territorio (Firenze, 9 maggio) – complicatissimo, di ripetute e concatenate scadenze, denso di concerti, di diffide e di labilissimi poteri sostitutivi, di improbabili divieti e incentivazioni di nuove inverosimili nomenclature, anche perché non usa la lingua dell’urbanistica ma quella dell’agricoltura: viene da piangere pensando alla lingua limpida e lucida della legge del 1942».

Si tratta in effetti di una normativa che non promette niente di buono. Innanzitutto per il meccanismo a cascata nel quale il Ministro dell’agricoltura, di concerto con quello dell’ambiente, stabilisce le quote annuali di suolo ancora edificabile («la riduzione progressiva, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale», art. 3, c. 1); tali quote sono poi ripartite tra le regioni, le quali a loro volta le suddividono (come?) tra i comuni. A questo punto sono passati tre anni. E se le regioni non sono riuscite a rendere cogente la «ripartizione» sarà il presidente del consiglio dei ministri a provvedere d’imperio alla spartizione del bottino (art. 3, c. 2).

Ma cosa succede intanto in questi tre anni? Le norme transitorie ricordano lugubremente l’ “anno di moratoria” post Legge Ponte (1967) che costò all’Italia milioni di metri cubi di cemento: l’art. 10 del DdL, pur affermando che non sarà consentito nuovo consumo di suolo, fa salva una serie di interventi, di procedimenti in corso e di strumenti attuativi «adottati» prima dell’entrata in vigore della legge (e un’adozione, si sa, non si nega a nessuno).

Il DdL agro-ambientale si permette continue incursioni in campo urbanistico: la priorità del riuso edilizio è sancita all’art. 4, dove si legge che le regioni si impegnano a dettare disposizioni per orientare i comuni verso strategie di rigenerazione urbana mediante l’individuazione «degli ambiti urbanistici da sottoporre prioritariamente a interventi di ristrutturazione urbanistica e di rinnovo edilizio», ivi compresi (poiché non esclusi) i centri storici. Del resto la presidente dell’INU, al convegno milanese, affermava ambiguamente che il suolo già edificato sarà la «grande risorsa del futuro».

Se non si salvano i centri storici, non va meglio al territorio rurale. I «compendi agricoli neorurali periurbani» (avete letto bene, “compendi”, forse dall’inglese “compound”, recinto), previsti nell’art. 5, sono incentrati sulla trasformazione dell’edilizia rurale (fino alla sua demolizione e ricostruzione) di cui è previsto, in conformità con gli strumenti urbanistici, il cambio di destinazione d’uso (comma 5) in servizi turistico-ricettivi, medici, di cura, ludico-ricreativi etc. Da una legge dei ministeri di agricoltura e ambiente ci si doveva aspettare invece la definizione dell’estensione e dell’uso dei terreni coltivati dal detto “compendio”, di quale tipo di agricoltura vi dovesse essere esercitato. Perché il consumo di suolo si attua anche attraverso la monocoltura agroindustriale, le piscine o i campi da golf, che costituiscono la negazione della neoruralità che l’articolo afferma di perseguire. La neoruralità, l’accesso universale alla terra e il suo uso rispettoso necessitano invece di misure che favoriscono l’agricoltura contadina, e di una sapiente ripartizione del demanio agricolo, non della sua vendita al miglior offerente.

La legge regionale


Unica regione in Italia, la Toscana ha varato viceversa in questo campo una buona normativa grazie alla tenacia di Anna Marson, assessore all’urbanistica. Filosoficamente ecologista, la legge 65/2014 (Norme sul governo del territorio) contrappone la cultura del progetto al calcolo ragionieristico; anziché attardarsi nel quantificare il disastro perpretrato nei confronti del suolo, conferisce dignità al «patrimonio territoriale» da tutelare e di cui garantire e sostenere con norme specifiche la riproduzione. Un patto generazionale evolutivo che evita lo scivolamento nel divieto autoritario centralizzato (vedi supra art. 3, c. 2). Facendo seguito a sperimentazioni internazionali, la L. 65/2014 traccia (per mano dei comuni) una linea rossa tra aree urbanizzate e aree rurali, e ne impedisce il superamento da parte di nuove edificazioni: nessun nuovo edificio residenziale su terreni fertili, né centri commerciali o capannoni che vìolino i principi del grande piano regionale (PIT): violazione o compatibilità saranno certificate da una «conferenza di copianificazione» in cui il parere sfavorevole della Regione è vincolante (art. 25). L’impugnativa governativa afferma che proprio quest’ultima norma contravverrebbe al principio costituzionale di libera concorrenza. Difesa renziana del capitalismo bieco e cieco.

A livello nazionale si ignora o volutamente si trascura l’esempio toscano che, quanto al blocco del consumo di suolo, dimostra una potenziale efficacia, esposta tuttavia al rischio di essere travolta: qualora infatti il DdL agro-ambientale fosse approvato, la ridefinizione in corso dell’art. 117 della Costituzione (e in particolare del terzo comma che norma la competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni) «obbligherà la Toscana al rispetto di quelle inconcludenti e devastanti procedure» (De Lucia).

Solo un colpo di reni da parte della politica potrebbe stavolta smentire il peninsulare destino che fa prevalere, nella molteplicità delle soluzioni

Riferimenti

Vedi qui la snella ed essenziale proposta legislativa di eddyburg.Un più ampio panorama della posizione di eddyburg sull'argomento è in questo articolo.

«All'assemblea della Rete dei comitati per la difesa dell'ambiente, Vezio De Lucia denuncia: "Il governo lavora a una legge che bypassi le normative regionali". A rischio gli innovativi provvedimenti della Regione Toscana. Asor Rosa: "Si restringono gli spazi di democrazia, a tutti i livelli"». Il manifesto, 10 maggio 2015

Quello che è uscito dalla porta può rien­trare dalla fine­stra. E deve pre­oc­cu­pare la pro­spet­tiva che la legge urba­ni­stica e il piano del pae­sag­gio della Toscana, salu­tate da gene­rali apprez­za­menti e segna­late anche da New York Times e New­sweek, rischino di diven­tare let­tera morta. L’allarme arriva da Vezio De Lucia, che all’assemblea della Rete dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio e dell’ambiente avverte del peri­colo: “In com­mis­sione alla Camera c’è una nuova legge sul governo del ter­ri­to­rio che, su input del governo, dovrà essere giu­ri­di­ca­mente sovraor­di­nata alle nor­ma­tive regionali”.

La rive­la­zione dell’esperto urba­ni­sta strappa il velo dell’ipocrisia di un Pd che, fino all’ultimo, aveva cer­cato di ste­ri­liz­zare le pre­scri­zioni adot­tate da Anna Mar­son per tute­lare “dina­mi­ca­mente” la carta d’identità pre­sen­tata dalla Toscana nel mondo. “Noi abbiamo apprez­zato le novità legi­sla­tive appor­tate dalla giunta di Enrico Rossi gra­zie al lavoro dell’assessore Mar­son – tira le somme Alberto Asor Rosa – ma la legge urba­ni­stica in discus­sione a Mon­te­ci­to­rio nega i risul­tati otte­nuti, anche gra­zie al lavoro fatto dai comi­tati, dai prov­ve­di­menti regionali”.

Que­sto basta e avanza, osserva Asor Rosa, per denun­ciare il pro­gres­sivo restrin­gi­mento degli spazi di demo­cra­zia, a tutti i livelli. E per riven­di­care l’importanza del neo ambien­ta­li­smo non di élite intel­let­tuali ma che parte e si svi­luppa “dal basso”. Nelle forze vive di una cit­ta­di­nanza attiva che si mobi­lità, appro­fon­di­sce, segnala le cri­ti­cità, e pro­pone solu­zioni alter­na­tive per una vivi­bi­lità sem­pre da ricon­qui­stare, di fronte alla filo­so­fia delle “grandi opere inu­tili” ter­ri­bil­mente impat­tanti per l’ambiente e per la salute dei cittadini.

A riprova, la Rete con­ti­nua a denun­ciare alcune “cri­ti­cità epo­cali”. Dal nuovo aero­porto inca­strato tra Firenze e altre città come Prato, Sesto Fio­ren­tino e Campi Bisen­zio, impo­sto per com­pia­cere inte­ressi pri­vati e sotto la regia del brac­cio destro di Mat­teo Renzi, Marco Car­rai. Poi un sot­toat­tra­ver­sa­mento fio­ren­tino dell’alta velo­cità “assur­da­mente inu­tile”, dai costi che volano nel silen­zio delle isti­tu­zioni; con rischi ambien­tali altis­simi, e con con­ti­nue tra­ver­sie giu­di­zia­rie che ne evi­den­ziano i limiti. E ancora un’autostrada tir­re­nica che impat­terà pesan­te­mente sul ter­ri­to­rio marem­mano, ancora in equi­li­brio fra ambiente e ope­ro­sità dell’uomo. Infine il maxi ince­ne­ri­tore di Case Pas­se­rini alle porte del capo­luogo, con­te­stato da anni ma sem­pre difeso prima da Ds e Mar­ghe­rita, poi dal Pd.

Gra­zie ai con­tri­buti di Clau­dio Greppi e Alberto Magna­ghi, di Ila­ria Ago­stini e della stessa Anna Mar­son, di Paolo Bal­de­schi, Gian Luca Garetti e Tiziano Car­dosi, l’assemblea della Rete ha offerto una nitida pano­ra­mica dello stato delle cose. Il tutto alla vigi­lia di ele­zioni regio­nali che, osserva Asor Rosa, stanno evi­den­ziando anche fatti sin­go­lari: “Come l’ultimo arti­colo sul mani­fe­sto di Enrico Rossi, che chiama al voto disgiunto”.

La città invisibile, 15 aprile 2015

A dispetto di quanto affermano gli scomposti attacchi del partito unico delle cave e del cemento, che aggrega Forza Italia al PD, siamo dell’opinione che l’assessorato di Anna Marson lascerà di sé, in Toscana, perlomeno un “buon ricordo”: in effetti, per l’intero quinquennio 2010-2015, l’operato dell’assessore regionale all’urbanistica ha fattivamente opposto resistenza al disfacimento che da anni caratterizzava il governo del territorio toscano. Ma quale ne sarà il destino?

Ricordiamo in breve com’è andata. Una corposa percentuale di voti “di protesta” in favore di un partito (ormai defunto) radicalmente diverso dal PD ma ad esso coalizzato, impone a Rossi un personaggio “di rottura” in giunta: Anna Marson, prof di urbanistica allo IUAV, si trova così a prendere – con soddisfazione dei comitati – il posto che fu del piddìno Riccardo Conti (assessore decennale di cui sì, è serbata pessima memoria, basti rammentare l’inqualificabile campagna divulgativa dell’autostrada tirrenica). È un cambio epocale, ma su di esso grava dal primo istante l’ombra lugubre della scissione dell’assessorato contiano: le infrastrutture e i trasporti vanno a Ceccobao (sindaco di Chiusi, comune del senese distintosi allora per non aver redatto il proprio piano strutturale) che, in seguito alle indagini sul Monte dei Paschi, sarà sostituito dall’aretino Ceccarelli; alla prof restano le competenze dell’urbanistica, della pianificazione del territorio e del paesaggio.

Temi – territorio e paesaggio – al centro degli strumenti normativi che la Marson lascia in eredità alla regione: la legge regionale di governo del territorio e il piano paesaggistico.

La Legge regionale 65/2014, Norme per il governo del territorio, assumendo come non più ecologicamente e socialmente sostenibile la crescita dell’urbano, e prendendo atto della disfatta dei sindaci plenipotenziari di fronte alla bolla edilizia, blocca l’espansione urbana e concentra l’attenzione sulla cura della città e del territorio, sull’incremento delle pratiche partecipative alla definizione delle scelte di governo territoriale, sull’interdipendenza delle comunità locali nel quadro della pianificazione sovracomunale. Il contenimento del consumo delle terre fertili è garantito dall’innovativa perimetrazione delle aree urbanizzate che definisce con perentorietà città e campagna: ogni nuova edificazione residenziale al di là della “linea rossa” sarà interdetta, e ulteriori progetti per insediamenti produttivi e per grandi strutture di vendita costituiranno oggetto di verifica di conformità alle previsioni del Piano di Indirizzo Territoriale (art. 25). Attualmente, nell’anno internazionale del suolo, la legge è ferma, impugnata (proprio sull’appena citato articolo che impedirebbe la libera concorrenza commerciale) dalla direzione legislativa della presidenza del consiglio. Ne abbiamo già scritto, ma dovremo tornarci in conclusione.

Il Piano Paesaggistico nasce dalla revisione del precedente piano (firmato Conti) la cui evidente inefficacia fu stigmatizzata dal ministero dei beni culturali che, nel settore paesaggio, copianifica con la Regione: a fine 2010 se ne rende necessaria la riscrittura. Il piano del paesaggio, come prevede il Codice dei Beni Culturali, è sovraordinato alla pianificazione generale: ciò lo rende uno strumento tanto importante quanto temibile. Redatto dalle università toscane con il coordinamento scientifico di Paolo Baldeschi, il nuovo piano avrebbe potuto essere un dispositivo normativo all’avanguardia se la squadra PD-FI non ne avesse stemperato la cogenza a colpi di emendamenti e «imboscate», anche personalmente dirette all’assessore Marson, che rendevano possibile la riapertura delle cave in aree protette sopra i 1200 m, la costruzione edilizia non temporanea sugli arenili, e che rendevano opzionale la prescrittività delle “criticità” (ossia: se il PP segnala come criticità l’edificazione in aree a rischio idraulico, il comune può decidere, oppure no, di seguire la prescrizione regionale a non edificarvi). Il cosiddetto “maxiemendamento” – stilato di gran fretta, a Roma, da Rossi e dal ministro Franceschini – ha riportato il piano, approvato in maniera rocambolesca e all’ultimo tuffo, a un livello di civile qualità pianificatoria seppur abbia perso di incisività ad esempio riguardo all’escavazione industriale del marmo apuano.

Al di là degli indeboliti disposti normativi, si tratta di un atto di pianificazione che, finalmente, non contrappone ambiente a lavoro, ma interessi collettivi a interessi privati «finalizzati al profitto mascherato da occupazione e sviluppo», come afferma l’assessore. Il piano paesaggistico, costituito anche da un apparato conoscitivo ricco e articolato che potrà riversarsi nei piani strutturali, assicura perciò, in futuro, un diffuso incremento qualitativo nella pianificazione comunale. Il documento dà adito inoltre a una progettualità che crediamo sia necessario mettere a frutto localmente (e dal basso, magari) nei prossimi anni.

In entrambi gli atti – la legge e il piano – il superamento dell’idea meccanicista del territorio come supporto inerte risulta compiuto: il paradigma adottato dai due strumenti è di chiara matrice ecologista. L’attribuzione, “territorialista”, di valore culturale all’ambiente rurale è assicurata dalla definizione di «patrimonio territoriale» quale «insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future» (LRT 64/15, art. 3). Il richiamo alla «promozione» e alla «garanzia di riproduzione del patrimonio» e dei paesaggi regionali, quale bene comune territoriale, conferisce un’accezione genetico-evolutiva ai futuri atti di pianificazione.

All’orizzonte, tuttavia, molti sono gli ostacoli. Da una parte, un panorama legislativo nazionale avverso, che mira all’erosione degli spazi democratici nel governo del territorio: basti citare lo “Sblocca Italia” i cui contenuti deformano irrimediabilmente la materia urbanistica che peraltro la riscrittura dell’art. 117 della Costituzione trasferirà in potestà esclusiva allo Stato. Dall’altra, entra invece in gioco l’«asse Firenze-Roma» (l’ombrosa citazione è tratta dal programma elettorale di Nardella). A Roma, Renzi impedisce l’avvio della legge toscana, la prima in Italia contro il consumo di suolo, riconfermando la scelta miope di un’economia nazionale fondata sul mattone e sulla speculazione finanziaria nell’edilizia. Localmente, il partito unico del cemento mira alla privatizzazione dei beni territoriali più rari, Rossi essendo sempre meno autonomo rispetto alla Firenze-Roma e sempre più debole nelle gestione dei suoi (come è stato evidente nella questione paesaggio). E poi: il sottoattraversamento TAV di Firenze, la questione portuale e aeroportuale (l’aeroporto che scardina il progettato Parco della Piana Firenze-Prato), gli inceneritori, la geotermia, i rigassificatori, i quattro ospedali in project financing etc.

Insomma, in mezzo a questa «furia iconoclasta», cui gli assessorati della giunta Rossi (certamente quello all’ambiente) hanno dato il loro valido contributo, i prodotti del quinquennio Marson rappresentano un’importante costruzione civile e disciplinare dal carattere di eccezione; in merito alla loro applicazione o, addirittura, alla loro futura conservazione, tocca tuttavia affidarsi alla buona sorte. O perseverare nel far collettivamente pressione affinché essi restino, appunto, più di un “buon ricordo”.

Riferimenti
La città invisibile, Voci oltre il pensiero unico, è la rivista di PerUnaltracittà, Laboratorio politico - Firenze, è accessibile qui. nella sua bellissima edizione

Il manifesto, 15 aprile 2015

L’Italia è un paese dove non si smette mai di stu­pirsi. In bene, in male. Oppure, più sem­pli­ce­mente, per la sor­presa di accor­gerci all’improvviso di quanto fino a quel momento non ave­vamo nean­che sospettato. Fac­cio due esempi con­creti, che riguar­dano da vicino il mondo dell’ambiente e del ter­ri­to­rio, di cui da qual­che anno ci occupiamo.

Si tratta di Enrico Rossi, pre­si­dente della regione Toscana; e di Gra­ziano Del­rio, sot­to­se­gre­ta­rio alla pre­si­denza del con­si­glio, e ora, da pochi giorni, mini­stro delle Infra­strut­ture, al posto di quel Lupi, defe­ne­strato da una (tutto som­mato) mode­sta intercettazione.

L’uno, si dice, espo­nente della vec­chia guar­dia post­co­mu­ni­sta; l’altro, si dice, espo­nente dell’ala del Pd più vicina a Renzi. Ma que­ste dif­fe­renze, ora, ai fini del nostro discorso, con­tano poco (mi pare).

Poco tempo fa, il mani­fe­sto ha pub­bli­cato (il 2 aprile) un arti­colo, “I naza­reni della Toscana”, in cui rias­su­mevo le vicende rela­tive all’approvazione in quella regione di un fon­da­men­tale Piano pae­sag­gi­stico, con­si­de­ran­dola (ad onta di qual­che atte­nua­zione in corso d’opera) «una grande vit­to­ria». Appena qual­che giorno dopo (5 aprile), inter­viene sul mani­fe­sto Enrico Rossi, appo­si­ta­mente (si direbbe) per con­di­vi­dere que­sto punto deci­sivo: «Anch’io sono d’accordo che la sua ado­zione sia stata una grande vittoria…».

Rossi sor­vola (non a caso, pur­troppo) sul fatto che quell’adozione sia il frutto del lavoro lun­gi­mi­rante e pre­zioso della sua asses­sora all’Urbanistica, Anna Mar­son, e che in seno al Con­si­glio le oppo­si­zioni più feroci a quell’approvazione siano venute da espo­nenti del suo par­tito, il Pd, spesso coa­liz­zati con le forze di oppo­si­zione al suo governo regio­nale. Ma rico­no­sce che una parte non irri­le­vante del merito sia di quelle forze ambien­ta­li­ste, che hanno posto «al cen­tro del dibat­tito e della ‘que­stione demo­cra­tica’ i temi della par­te­ci­pa­zione, della rap­pre­sen­tanza e [addi­rit­tura] dei beni comuni».

Veniamo al secondo caso.

Gra­ziano Del­rio è mini­stro delle Infra­strut­ture da un paio di giorni. Acqui­sto in edi­cola la Repub­blica. In prima pagina uno strillo di note­voli dimen­sioni: «Del­rio: basta Grandi opere. Solo lavori utili». Sospetto che si tratti di una di quelle ampli­fi­ca­zioni gior­na­li­sti­che, che ser­vono solo a lan­ciare improv­vi­da­mente un caso. No: nell’intervista il con­cetto è ripe­tuto più volte, quasi a volerlo sot­to­li­neare, e in maniera ine­qui­voca. Per fare un solo esem­pio: «…la nostra strada [rispetto al pas­sato] è un’altra, con noi fini­sce l’era delle grandi opere e si torna a una con­ce­zione moderna. Dove le opere [non neces­sa­ria­mente grandi, come si vede] sono anche la lotta al dis­se­sto idro­geo­lo­gico, la mobi­lità urbana, le scuole».

Ohibò, che il mini­stro Del­rio si sia iscritto not­te­tempo alla Rete dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio, e io non ne abbia saputo nulla?

Il discorso sarebbe lungo, — mi pia­ce­rebbe, ad esem­pio, sapere quale senso attri­buire alla defi­ni­zione di «con­ce­zione moderna», cui Del­rio si richiama, — ma io mi pro­pongo qui di trac­ciarne solo alcuni linea­menti fondamentali.

La mia prima rea­zione, sulla base di una lunga espe­rienza, sarebbe: chiac­chiere. Tanto più che in Toscana pen­dono sulla testa degli attori poli­tici le immi­nenti ele­zioni regio­nali (31 mag­gio), e si sa che per qual­che voto in più si è dispo­sti a fare le affer­ma­zioni più sfre­nate. Pro­pongo per que­sta volta di seguire la strada opposta.

Pesano sul destino della Toscana (mi limito a que­sto ambito, che cono­sco meglio, ma non sarebbe dif­fi­cile allar­gare la ras­se­gna a una dimen­sione nazio­nale) almeno due “grandi opere”, da inten­dersi nel senso più clas­sico ed ese­crando del ter­mine, esat­ta­mente quello che il mini­stro Del­rio sem­bre­rebbe aver esor­ciz­zato in due parole nel corso della sua inter­vi­sta: e cioè il Sot­toat­tra­ver­sa­mento fer­ro­via­rio di Firenze e la seconda pista dell’aereoporto fio­ren­tino di Peretola.

Ambe­due distrut­tive, inu­tili, dispen­diose, fonte (come già si è dimo­strato, e meglio si potrebbe dimo­strare) di cor­ru­zione e per­sino di pesanti affa­ri­smi poli­tici. La Rete dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio pos­siede le com­pe­tenze per dimo­strare ine­qui­vo­ca­bil­mente tutto que­sto, e per­sino per indi­care, — e in molti casi ci sono, — solu­zioni alter­na­tive. E non ho alcun dub­bio che le altre Asso­cia­zioni ambien­ta­li­ste, a fianco delle quali è stata con­dotta la bat­ta­glia a soste­gno del Piano pae­sag­gi­stico, sareb­bero ben liete di appor­tare il loro con­tri­buto a un’ipotesi del genere.

Invito il mini­stro Del­rio, il pre­si­dente Rossi e, of course, il mini­stro Fran­ce­schini e il sot­to­se­gre­ta­rio ai Beni Cul­tu­rali Bor­letti Bui­toni, ad un con­fronto fac­cia a fac­cia su que­ste tema­ti­che e, più in gene­rale, su que­sto indi­rizzo di governo: natu­ral­mente pre-elettorale, per­ché que­sto gli con­fe­ri­sce un’importanza e un’autorevolezza, che in caso con­tra­rio si perderebbero.

In Toscana (come ovun­que, del resto) le tema­ti­che alter­na­tive sono altret­tanto rile­vanti di quelle due oppo­si­tive, su cui in pre­ce­denza mi sono sof­fer­mato: per esem­pio, il dis­se­sto idro­geo­lo­gico (appunto); una diversa impo­sta­zione della que­stione geo­ter­mica; le con­di­zioni del tra­sporto fer­ro­via­rio locale, che sono penose, e che il Sot­toat­tra­ver­sa­mento di Firenze peg­gio­re­rebbe ancora.

C’è mate­ria non solo per evi­tare errori cla­mo­rosi, anzi cata­stro­fici. Ma anche per ridi­se­gnare le carat­te­ri­sti­che di un diverso svi­luppo regio­nale con “opere” (non neces­sa­ria­mente “grandi”) avve­dute, sen­sate e lungimiranti.

Se è vero, come scrive Rossi, che «al cen­tro della que­stione demo­cra­tica ci sono i temi della par­te­ci­pa­zione e dei beni comuni», è qui ed ora che lo si prova

La Nuova Sardegna, 10 aprile 2015

Il piano paesaggistico della Toscana è stato approvato. Dopo uno scontro che rispecchia lecontrastanti opinioni nel PD su questi temi. In una temperie sfavorevole alla custodia di valori screditati dalla crisi, e da provvedimenti come “SbloccaItalia”. Anna Marson è l'assessore all'urbanistica che si messa in mezzo, per impedire il tiro a segno di emendamenti allo strumento frutto di un lavoro accurato. Con l'obiettivo di non disperdere la ricchezza di una regione speciale, azionista essenziale dell'iconografia italiana celebrata nel Mondo. Il paesaggio conta. E a proposito di ricchezza è normale chiedersi se senza l'armonia che distingue le campagne tra Firenze e Siena ci sarebbero ad esempio quei vini preziosi.

Ci sono analogie con la Sardegna. Anche contro il piano paesaggistico voluto dal governo Soru ci sono state e ci sono ostilità. In fondo pesa il disorientamento nel dibattito a sinistra.
In effetti, in entrambi i casi si è configurato contro il piano un blocco bipartisan. In Sardegna ciò ha provocato addirittura la caduta di Soru. In Toscana sia l'ampia mobilitazione a livello sociale e culturale che l'intervento del Mibact, hanno consentito un recupero in extremis. L'argomento pretestuosamente usato in entrambi i casi è stato quello della contrapposizione tra tutela e sviluppo, mentre anche il caso sardo - raccontato di recente nel bel libro a cura di Edoardo Salzano, «Lezioni di piano» - evidenzia con chiarezza come ciò che si intendeva perseguire bloccando l'ulteriore edificazione della costa fosse un diverso modello di sviluppo, capace di mettere in valore lo straordinario patrimonio insediativo esistente nelle aree interne.

È possibile spiegare in sintesi perché il piano della Toscana può servire a consolidare la ricchezza di una regione già molto fortunata?
Anche la Toscana condivide la situazione di crisi in cui si trova oggi l'Italia, ed è oggetto di diverse acquisizioni da parte di gruppi finanziari globali. Decidere come comunità regionale ciò che si può fare perché qualifica il paesaggio e valorizza il territorio con ricadute positive, è in questo momento fondamentale. E va fatto con le regole e con l'esempio.

Il piano è proporzionato al valore dei luoghi. Eppure nella maggioranza che amministra la Toscana sono emerse ostilità, nello sfondo l'insofferenza di una parte della sinistra ai principi del Codice dei beni culturali.
Sono sempre stata una convinta federalista, ponendo fiducia nei municipi come istituti dell'autogoverno delle comunità. La democrazia rappresentativa in questi anni si è tuttavia fortemente contratta, e in troppi casi le decisioni vengono prese senza interrogarsi pubblicamente su ciò che è utile per la comunità rispetto a ciò che interessa ad alcuni soggetti. In questa situazione l'intervento di chi si appella al principio di tutela è visto con fastidio, sia che esso venga dal basso - le associazioni ambientaliste, i comitati- sia dall'alto -il Ministero dei beni culturali e del paesaggio.

Le richieste di accomodamenti sono sembrate lontane dalla saggezza antica che ha originato il paesaggio toscano - il Buon governo negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti - e pure dal rigore della scuola urbanistica fiorentina.
L'affresco che illustra gli effetti del Buon governo rappresenta in realtà un progetto (a fronte di pratiche che anche allora non sempre erano virtuose), una sorta di "norma figurata", diremmo noi oggi, un progetto retto dai princìpi rappresentati nell'Allegoria: Giustizia, Sapienza, Concordia, Saggezza, Magnanimità ...e così via. Il Comune di Siena è rappresentato come il Bene Comune, dunque l'essenza dell'interesse collettivo. Interrogarsi su ciò dovrebbe essere sforzo costante delle istituzioni pubbliche.

C'è chi ha pensato di influenzare il dibattito per perpetuare privilegi nello sfruttamento di risorse che dovrebbero stare fuori dal mercato. C'è il tema delle cave ma non solo.
Certo, e questo atteggiamento è stato rafforzato dalla prossimità con le elezioni. Però la CGIL si è schierata dalla parte del piano. La CGIL sulle cave si è schierata con il piano condividendo il tentativo di garantire quanto più possibile la lavorazione in loco del materiale estratto, a fronte dell'esportazione di gran parte dei blocchi grezzi. Negli ultimi decenni i rapporti tra quantità estratte e posti di lavoro sono andati divaricandosi. Il tentativo con il piano del paesaggio è stato quello di socializzare almeno parte dei guadagni, riducendo i costi ambientali e paesaggistici. La Fillea ha condiviso l'ipotesi di evitare il consumo di suolo per promuovere la riqualificazione delle aree urbanizzate con interventi capaci di coniugare una maggior qualità dell'abitare con la qualità del lavoro impiegato per realizzare le opere.

Nel PD affiorano posizioni distanti dalla cultura ambientalista. Non è una novità che nella Toscana rossa si manifestino propensioni a ridurre le tutele del territorio, penso alla speculazione Fiat-Fondiaria a Firenze impedita da Occhetto nel 1989. Ecco l'utilità di sguardi vicini e lontani che si intrecciano. In questo caso l'intervento dello Stato attraverso il Mibact è servito a contenere lo stravolgimento del piano.
L'intervento del ministro, e della sottosegretario Borletti Buitoni, è stato decisivo. Nella mia esperienza il fatto che i livelli di decisione siano diversi è fondamentale per dare corpo ai principi di adeguatezza, interesse collettivo e sussidiarietà.



Il manifesto, 5 aprile 2015, con postilla

Ho letto con inte­resse il recente arti­colo di Asor Rosa (I naza­reni della Toscana), che rico­strui­sce le ultime fasi d’approvazione del nostro piano del pae­sag­gio. Anch’io sono certo che la sua ado­zione sia stata una grande vit­to­ria; una scelta lun­gi­mi­rante, che ha messo al sicuro la Toscana e che rap­pre­senta un passo avanti esem­plare nella tutela dei beni cul­tu­rali e pae­sag­gi­stici, in grado di segnare la rotta per il resto del paese.

Asor Rosa inte­sta — con buoni argo­menti — una parte del suc­cesso alla pres­sione media­tica e sociale. Peti­zioni, appelli di auto­re­voli intel­let­tuali, inter­venti sulla grande stampa di asso­cia­zioni come Ita­lia Nostra, Fai, Legam­biente e altri. Tutto vero e utile. Io stesso ho rispo­sta a oltre 5mila let­tere di cit­ta­dini pre­oc­cu­pati, che chie­de­vano garan­zie e ras­si­cu­ra­zioni. Tutto que­sto ha pro­dotto un con­corso di idee e pas­sione civile che ancora una volta pone al cen­tro del dibat­tito e della «que­stione demo­cra­tica» i temi della par­te­ci­pa­zione, della rap­pre­sen­tanza e dei beni comuni.

Tut­ta­via un fatto resta indi­scu­ti­bile: siamo l’unica Regione ad aver appro­vato il piano del pae­sag­gio, in un dibat­tito a tratti aspro, ma con uno sforzo col­let­tivo capace di andare fino in fondo.
E que­sto dopo un lavoro lungo quat­tro anni, che ha visto inte­grarsi uni­ver­sità, uffici regio­nali, poli­tica e rete dei comi­tati, in un ine­dito sforzo di ricom­po­si­zione tra quelli che Gram­sci chia­mava «intel­let­tuali» e «popolo».

Ave­vamo anche il dovere di copia­ni­fi­care tutto con il Mini­stero e non ci siamo sot­tratti. Per me è stato un onore scri­vere un emen­da­mento che è stato con­di­viso dal Mini­stero e votato dal Con­si­glio regio­nale. Quello che sem­brava un cor­to­cir­cuito tra fede­ra­li­smo e cen­tra­li­smo si è rive­lato un suc­cesso isti­tu­zio­nale, rispetto al quale i retro­scena sui ’naza­reni’ e le ’lar­ghe intese’ appa­iono dav­vero irrilevanti.

Il nostro piano rap­pre­senta la con­clu­sione di un per­corso di leggi e inter­venti di governo del ter­ri­to­rio, che hanno reso la Toscana una delle regioni più pro­tette d’Europa. Leggi discusse e appro­vate nello stesso Con­si­glio ingiu­sta­mente messo in ombra dalle cro­na­che. Mi rife­ri­sco allo stop all’edificazione in tutte le aree a rischio idrau­lico, al con­sumo zero di suolo, alla ripub­bli­ciz­za­zione delle cave Apuane, alla messa in sicu­rezza del sistema idrogeologico. Piut­to­sto che «rela­zioni peri­co­lose» tra mag­gio­ranza e oppo­si­zione, nel corso dei mesi ho assi­stito a oppo­sti estre­mi­smi: quello di chi voleva con­ti­nuare ad avere le mani libere e di chi invece quello di chi voleva fre­nare ogni sviluppo.

Un pae­sag­gio che è nato da seco­lare armo­nia tra lavoro e ele­menti natu­rali, vive e si rige­nera solo nella sal­va­guar­dia di que­sta rela­zione, non nella sua scis­sione e sepa­ra­zione. D’altro canto la dia­let­tica e la sin­tesi restano a mio giu­di­zio la prin­ci­pale risorsa della poli­tica. Una Toscana imbal­sa­mata fini­rebbe per per­dere la capa­cità di eman­ci­pa­zione e avan­za­mento sociale, che viene dai distretti pro­dut­tivi, dalle reti infra­strut­tu­rali e dalla valo­riz­za­zione del capi­tale umano.

Nella nostra regione ci sono circa 200 mila disoc­cu­pati e ogni anno 6.500 ragazzi abban­do­nano gli studi. Dob­biamo costruire le con­di­zioni per incen­ti­vare oppor­tu­nità di lavoro e inve­sti­mento pro­dut­tivo. Non si può chie­dere tutto alla ren­dita immo­bi­liare o al turi­smo: sarebbe inso­ste­ni­bile anche sul piano ambien­tale. Occor­rono lavoro, for­ma­zione, ricerca e pro­du­zioni di qua­lità. Come stiamo cer­cando di fare con infra­strut­ture e boni­fi­che sulla costa, da Piom­bino a Livorno fino a Massa.

Seguo e osservo con grande inte­resse quello che accade nella sini­stra ita­liana e sono certo che la crisi dei corpi inter­medi e dei par­titi impone il dovere di allar­gare lo spet­tro della rap­pre­sen­tanza, della discus­sione e della deci­sione poli­tica. Sono grato ai comi­tati di cit­ta­dini impe­gnati da anni nelle bat­ta­glie ambien­tali e civili.

Asor Rosa ha scritto che il voto è uno stru­mento di influenza demo­cra­tica e dovrà essere usato con intel­li­genza, indi­riz­zan­dolo verso i pro­blemi e le solu­zioni con­crete. Credo che con il Piano del Pae­sag­gio anche in Toscana pos­siamo con­tri­buire alla ricom­po­si­zione delle forze pro­gres­si­ste e delle cul­ture della sini­stra. Ci sono tutte le pre­messe. Tra le molte pos­si­bi­lità anche il voto disgiunto, con­sen­tito dalle regole e dall’offerta poli­tica. Esso rap­pre­senta un’opportunità per tutti coloro che sono dispo­sti a supe­rare gli stec­cati davanti alla con­cre­tezza delle sfide.

postilla

Il presidente della Toscana ha indubbiamente svolto un ruolo di eccezionale rilievo nel «percorso di leggi e interventi di governo del ter­ri­to­rio, che hanno reso la Toscana una delle regioni più protette d’Europa», e - secondo le cronache - è stato decisivo nel condurre il piano paesaggistico fuori dalle secche in cui i rappresentanti del "partito unico del cemento" lo avevano condotto. Benché zoppicante e reso più fragile il piano é stato approvato con la sua paziente mediazione. Ha ragione di essere soddisfatto del suo lavoro. Tuttavia il suo intervento contiene una inesattezza e una forzatura. Come "persona informata dei fatti" devo fare due osservazioni. Non è esatto affermare che quello della Toscana è il primo piano paesaggistico approvato. Nel 2006 è entrato in vigore (e lo è tuttora) il piano paesaggistica della Regione Sardegna, grazie all'iniziativa e alla costante azione del suo presidente Renato Soru. Ed è secondo me una forzatura affermare che nella vicenda del piano toscano si siano manifestati due «opposti estremismi», uno dei quali sarebbe «quello di chi voleva fre­nare ogni sviluppo».
Eddyburg ha seguito con molta attenzione la vicenda, ma posizioni che volessero frenare "ogni sviluppo" non le abbiamo trovate. (e.s.)


Il manifesto, 15 marzo 2015

Le vicende che hanno por­tato in Toscana all’approvazione, quanto mai dif­fi­cile e tor­men­tata (nel penul­timo giorno utile della legi­sla­tura!) del cosid­detto Piano pae­sag­gi­stico regio­nale, meri­tano una rifles­sione che tra­va­lica i con­fini del caso spe­ci­fico e s’allarga ine­qui­vo­ca­bil­mente a una dimen­sione nazionale.

In estrema sin­tesi (quindi, anche con qual­che ine­vi­ta­bile impre­ci­sione). Il Piano pae­sag­gi­stico è lo stru­mento che disci­plina il governo del ter­ri­to­rio: pro­teg­gendo più o meno carat­teri e mor­fo­lo­gia del pae­sag­gio e dell’ambiente; disci­pli­nando in forme più o meno chiare e defi­nite il con­sumo del suolo, pro­blema dive­nuto in que­sti anni in Ita­lia dram­ma­tico, anzi, ormai sull’orlo della catastrofe.

Nel governo regio­nale toscano, a mag­gio­ranza Pd, e sotto la pre­si­denza di Enrico Rossi, l’assessorato all’urbanistica, rico­perto da Anna Mar­son, tec­nico di valore, docente nella facoltà di archi­tet­tura di Vene­zia, ha ini­ziato da subito un minu­zioso lavoro di stu­dio e di defi­ni­zione (con l’ausilio anche delle com­pe­tenze espresse dalle prin­ci­pali uni­ver­sità toscane), il quale ha por­tato più o meno nell’estate scorsa ad un testo giu­di­cato una­ni­me­mente di grande valore ed effi­ca­cia. La supre­ma­zia deci­sio­nale della Regione sulle sin­gole rap­pre­sen­tanze locali e un sistema di regole chiare e ine­lu­di­bili ne costi­tui­vano il tes­suto cul­tu­rale e politico.

In que­sta lunga fase i rap­porti fra la pre­si­denza Rossi e le istanze ambien­ta­li­ste sono state gene­ral­mente (anche se non uni­for­me­mente) buoni. La Rete dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio, che allora pre­sie­devo, ha avuto nume­rosi incon­tri con Rossi e la sua Giunta, credo con reci­proco van­tag­gio. Tutto ciò si è allen­tato, fino a scom­pa­rire del tutto, dal momento in cui Rossi si è rican­di­dato alla pre­si­denza della Regione con l’esplicito avallo di Mat­teo Renzi (ma non intendo sta­bi­lire rap­porti troppo stretti da causa ed effetto tra le varie vicende nar­rate, le quali invece, come vedremo, si pre­stano a mol­te­plici e con­trad­dit­to­rie interpretazioni).

Vengo rapi­da­mente al dun­que. Il Piano, dopo aver rice­vuto nume­rosi rico­no­sci­menti e appro­va­zioni da parte delle forze che com­pon­gono l’attuale mag­gio­ranza, entra nella fase di discus­sione con­si­liare e del voto.

Emer­gono a que­sto punto le resi­stenze più acri e sel­vagge. A parte l’ostilità delle oppo­si­zioni in Con­si­glio, Fi e altri, in qual­che modo scon­tate, gli inter­venti più distrut­tivi in mate­ria di disci­plina ambien­tale e regole e tutela del pae­sag­gio, si mani­fe­stano tra le file del Pd. In nume­rose occa­sioni Pd e Fi ragio­nano e votano in maniera sor­pren­den­te­mente identica.

Due con­ce­zioni dell’ambiente e del ter­ri­to­rio, ma ancor più, due modi d’intendere la poli­tica e la società (come ebbe a dire più tardi l’assessore Mar­son) si fron­teg­giano con dura chia­rezza: non , come pre­ten­de­reb­bero gli avver­sari del Piano, fra una “idea di svi­luppo” e “una che rifiuta lo svi­luppo”, facen­dosi carico di un impro­ba­bile ritorno all’indietro; ma fra una poli­tica sfac­cia­ta­mente anco­rata agli inte­ressi pri­vati e una che assume come pro­prio punto di rife­ri­mento gli inte­ressi col­let­tivi e i biso­gni della cit­ta­di­nanza; e dun­que, a ben vedere, tra un modello di svi­luppo ormai ste­rile e auto­di­strut­tivo e un diverso e inno­va­tivo modello di svi­luppo (che è poi ovun­que, e sem­pre di più, la vera posta in gioco dello scontro).

La bat­ta­glia è duris­sima, e a un certo punto sem­bra per­duta. Rossi, ina­spet­ta­ta­mente, la porta a Roma, dove trova un soste­gno nel Mibact, e più pre­ci­sa­mente nelle per­sone del mini­stro Fran­ce­schini e, in modo par­ti­co­lare, del sot­to­se­gre­ta­rio Bor­letti Bui­toni. Ma il Mibact non fa parte del governo di Mat­teo Renzi, i cui pasda­ran nel con­si­glio regio­nale toscano hanno azzan­nato il Piano come lupi affa­mati? Mah… sì. Evi­den­te­mente non tutto cor­ri­sponde ancora a una logica rigi­da­mente for­male (que­sta con­si­de­ra­zione deter­mi­nerà una parte delle conclusioni).

Il Piano, ferito in più punti ma non svuo­tato, viene ripor­tato in Con­si­glio regio­nale e appro­vato. Io la con­si­dero una grande vit­to­ria, e vor­rei che que­sto, nono­stante tutto, sia posto alla base del ragio­na­mento futuro.

Le con­si­de­ra­zioni che vor­rei fare sull’accaduto sono le seguenti.

La mobi­li­ta­zione a difesa del Piano è stata impo­nente. Quando tutte le asso­cia­zioni ambien­ta­li­ste, tal­volta divise da qui­squi­lie o da ragioni di ban­diera, si coa­liz­zano, com’è acca­duto pron­ta­mente que­sta volta, è dif­fi­cile per chiun­que far finta di niente. Que­sta una­ni­mità di pro­po­siti ha tra­sci­nato con sé anche la grande stampa nazio­nale, oltre che i gior­nali amici per defi­ni­zione come il mani­fe­sto. Que­sto spi­rito di coa­li­zione (per restare nel voca­bo­la­rio di que­sti giorni) andrebbe secondo me col­ti­vato sem­pre di più.

Se si mette in campo un fronte come que­sto, nes­suna bat­ta­glia ambien­ta­li­sta può esser con­si­de­rata per­duta in par­tenza. Vale per il pre­sente, ma anche per il futuro. Lo dico per i molti com­pa­gni buoni com­bat­tenti ma troppo scettici.

L’amara lezione della ser­rata discus­sione sul Piano è che il Pd toscano sem­bra per­duto a qual­siasi pos­si­bile moti­va­zione di etica ambien­ta­li­sta e ter­ri­to­riale. Non solo, infatti, sin­goli con­si­glieri regio­nali iscritti a quel par­tito si dedi­ca­vano alle furi­bonde scor­re­rie di cui abbiamo detto. Ma nes­suno degli orga­ni­smi isti­tu­zio­nali di tale par­tito è mai inter­ve­nuto, come avrebbe facil­mente potuto, per impe­dirle o almeno sedarle. Que­sto, di con­se­guenza, rap­pre­senta il prin­ci­pale pro­blema poli­tico oggi in Toscana.

Prima, durante e dopo la fase di discus­sione deli­rante, di cui abbiamo par­lato, il ruolo dell’assessore Mar­son è apparso deci­sivo. Nell’intervento pro­nun­ciato dopo il voto di appro­va­zione, Anna Mar­son ha dimo­strato di essere in grado di tra­sfe­rire la pro­pria sapienza tec­nica e disci­pli­nare in quel che lei stessa ha giu­sta­mente chia­mato un atteg­gia­mento «diver­sa­mente poli­tico». Biso­gna dire fin d’ora, con chia­rezza e one­stà intel­let­tuali e poli­ti­che, che, se l’approvazione del Piano pae­sag­gi­stico ora non è una burla, il ruolo dell’assessore all’urbanistica nella giunta regio­nale di domani, quale che essa sia, non può esser messo in discussione.

Infine. In Toscana si vota per le ele­zioni regio­nali a mag­gio. Dun­que, esi­ste un corto cir­cuito rav­vi­ci­na­tis­simo fra gli avve­ni­menti che hanno riguar­dato l’approvazione del Piano in con­si­glio regio­nale e il voto del pros­simo mag­gio. La Rete dei comi­tati non ha mai preso posi­zione a favore di que­sta o quella for­ma­zione poli­tica in sede di voto, e penso che debba con­ti­nuare a farlo (o non farlo, a seconda dei casi). Ma non riter­rei disdi­ce­vole oggi che essa esprima una pre­fe­renza di mas­sima a favore di tutte quelle for­ma­zioni che oggi si dichia­rino per i valori del ter­ri­to­rio e della sal­va­guar­dia e dello svi­luppo dei beni ambien­tali. Con­stato che c’è in giro, in Toscana, sia a livello regio­nale sia a livello locale, una buona aria di lotta e di riscatto, che va aiu­tata e confortata.

Le que­stioni ancora pen­denti sono del resto nume­rose e tal­volta sull’orlo della cata­strofe. Si pensi, per fare un esem­pio ecla­tante, alla scia­gu­rata intra­presa, per dimen­sioni ed esiti, del sot­toat­tra­ver­sa­mento fer­ro­via­rio di Firenze, risol­vi­bile in tutt’altro modo, come ormai tutti sanno, con spesa infi­ni­ta­mente minore e senza l’inevitabile debito con­tratto con la cor­ru­zione. Si voti per chi è con­tra­rio al sot­toat­tra­ver­sa­mento. O con­tro la seconda pista all’aereoporto di Firenze. O è per la ragio­ne­vole solu­zione dei pro­blemi geo­ter­mici regio­nali, ecc. ecc. ecc.

Invece di chiac­chiere, impe­gni con­creti e facil­mente indi­vi­dua­bili e defi­ni­bili. Se così acca­desse, invece di una cam­pa­gna elet­to­rale a senso unico, — come sem­pre, dall’alto verso il basso, — ce ne sarebbe una bifronte. Si voti per chi s’impegna a fare le cose che noi chie­diamo. Nes­sun impe­gno, niente voto. Così un even­tuale Piano pae­sag­gi­stico, o quant’altro di simile, cor­rerà la pros­sima volta all’approvazione trion­fal­mente, senza gli osta­coli che ora abbiamo cono­sciuto, e come avrebbe meri­tato che anche que­sta volta accadesse.

La Repubblica, Firenze, 1º aprile2015


Anche adesso che è finita, che il Piano del paesaggio è stato approvato, che la polemica si è per forza di cose un po’ attenuata, continua la guerra tra l’assessore all’urbanistica della giunta Rossi e il Pd Toscano. Sul Tirreno il consigliere regionale Ardelio Pellegrinotti accusa Anna Marson di non essere stata un buon amministratore ma soprattutto tira in ballo i costi del Piano: 1 milione e 140 mila euro, di cui 260 mila serviti per pagare «giovani ricercatori universitari ed esperti di livello».

Sul punto Pellegrinotti aveva pure presentato un’interrogazione a cui Marson ora risponde pubblicamente: «La Regione », dice, «non è mai ricorsa a consulenze esterne per il Pit. Il rapporto di collaborazione è stato instaurato con il Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio, che grazie a un accordo tra gli atenei toscani coordinato da Firenze ha attivato 25 assegni di ricerca, quattordici borse di studio e dieci incarichi messi a concorso con bandi pubblici e quattro borse del fondo “GiovaniSì”. I docenti non hanno avuto un soldo. Del milione e 124.400 euro di costi del Piano, oltre 1 milione è andato ai ricercatori».

Oltre che per la faccenda dei soldi Marson ammette di essere «molto amareggiata e affaticata» per la reazione suscitata nel Pd dal suo ultimo intervento in consiglio regionale. «Ho detto e ripeto che mentre noi e i tanti che hanno sostenuto il Piano eravamo impegnati per il bene collettivo chi ha osteggiato il nostro lavoro era mosso da interessi privati. Non è facile approvare un piano alla vigilia di una campagna elettorale, ci sono consensi da raccogliere nei territori e io questo lo capisco».

Lei, al contrario, non vede per se stessa un orizzonte politico. «Per ora nessuno mi ha chiesto niente», confessa. «Ho il mio lavoro di insegnante a cui tornare per fortuna, un lavoro che mi piace». Con Rossi giura che il rapporto si sia chiuso bene. «Si è impegnato molto e mi ha difesa, anche se è stata dura. Io però non credo di avere nulla da rimproverarmi, al di là dei miei difetti ce l’ho messa tutta».

Intervistata da Raffaele Palumbo a Controradio ieri Marson fa un bilancio del Piano “riveduto e corretto”:« Newsweek ha scritto che rispetto alla versione originale le regole sono state “watered”, un po’ annacquate e forse è vero. Ma restano comunque regole e tra pochi giorni arriverà la validazione del ministero dei Beni culturali. E avere regole certe fa comodo a tutti, ai cittadini e agli operatori delle imprese. A questo punto dobbiamo solo monitorare come il Piano sarà applicato. Intanto ringrazio chi lo ha votato anche senza far parte della maggioranza».

A illustrazione dell'articolo di Paolo Baldeschi inseriamo la commovente lamentazione di un autorevole rappresentante del PD toscano. Questa critica da destra dell'operato di Marson ci sembra interessante perché esprime bene l'ideologia (post-berlusconiana, si potrebbe dire) di quella parte politica. Il Tirreno, 31 marzo 2015

La Marson non è stata un buon Assessore. E’ stata artefice in 5 anni di due atti importanti come la modifica della Legge 1/2005 sull’urbanistica, (ora Legge 65 del 2014) e del Piano Paesaggistico. La prima è stata in gran parte modificata e il secondo è proprio lei a riconoscerlo parzialmente. La proposta di legge sull’urbanistica, ex 1/2005 era infarcita di principi ideologici e di complicazioni tali da far impazzire tecnici comunali, professionisti e tutta la gente normale, rendendo quasi impossibili le programmazioni urbanistiche locali e la realizzazione delle cose più semplici. Solo grazie agli emendamenti presentati dal Pd e dalle minoranze in commissione, è stato possibile approvare quel testo, rendendo gestibile nella pratica quella legge, che continua ad avere difetti proprio per l’impostazione con cui era partita. Sulle attività temporanee siamo dovuti ri-intervenire con una proposta di legge di cui io sono stato il primo firmatario, per raddoppiare i tempi delle concessioni e consentire di ampliare le stagione turistica per i balneari, e per le attività turistiche in genere.

La Marson parla di imboscate sul Piano. Il sottoscritto, in rappresentanza del gruppo regionale Pd, è sempre stato sempre disponibile a discutere e trovare soluzioni ai problemi. Sono andato a Firenze di sabato e anche di domenica a cercare intese sulle modifiche con lei e il suo staff. Purtroppo però, più volte abbiamo finito le riunioni, con testi o articoli condivisi che la mattina erano stati cambiati. A domanda sul perché venivano cambiate le cose concordate, rispondevano che loro dovevano rispondere all’assessore, come non esistesse un Consiglio Regionale.
Vogliamo entrare nel merito del Piano proposto? Questo piano redatto Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio è costato alla Regione € 1.140.000. Ha visto coinvolti giovani ricercatori universitari, ma anche esperti di alto livello che ci sono costati € 260.000. Il territorio toscano è stato suddiviso in 20 ambiti e per ognuno è stata scritta una scheda. Gran parte di queste contenevano errori (e se c’è bisogno posso fare degli esempi) che abbiamo cercato di correggere con i nostri emendamenti nati dalle osservazioni presentate.
Sono emersi divieti e incongruenze, come il divieto di costruire i depuratori negli alvei dei fiumi, l’impossibilità di costruire attività artigianali lungo le autostrade, ostacoli per i viticoltori, i vivaisti o le coltivazioni olivicole, blocco di tutte le attività temporanee dei balneari, blocco degli adeguamenti degli alberghi già esistenti vicino al mare ed infine un percorso di chiusura delle cave sulle alpi Apuane. Il nostro lavoro di Commissione è stato di togliere questi impedimenti, trasformando il Piano in un atto condivisibile, votabile e votato.
Certo, i nostri emendamenti sono andati incontro anche agli interessi di chi investe, si mette in gioco e crea lavoro. Per l’Assessore il profitto è il diavolo, l’economia è uno spiacevole disturbo, la gente che lavora crea danni a prescindere. Per noi, no. Lei vede in tutte le attività degli uomini solo criticità. L’unica attività che si salva è quella agrosilvopastorale nella valli montane, non sapendo, o facendo finta di non sapere, che ci sono leggi europee che rendono impossibile economicamente, in quelle aree, macellare una bestia, fare il formaggio o aprire un laboratorio di trasformazione alimentare. Non è stata capace di dialogare e trovare sintesi con il Consiglio Regionale, che ha cambiato le sue proposte ed ha dimostrato anche disprezzo della democrazia, non avendo avuto il coraggio di esporre il proprio pensiero durante il dibattito consiliare alla pari con gli altri, come educazione e regolamenti comandano, ma solo dopo, a bocce ferme.

Ardelio Pellegrinotti è segretario della 6ª Commissione Ambiente Regione Toscana

L'approvazione del Piano paesaggistico della Toscana è stata subita dal Pd, stretto tra l'intervento del Ministro Franceschini e dal Mibact ...>>>

L'approvazione del Piano paesaggistico della Toscana è stata subita dal Pd, stretto tra l'intervento del Ministro Franceschini e dal Mibact e l'impossibilità di sfiduciare Rossi senza bruciarne la candidatura alle prossime elezioni regionali. Che sia stata subita 'obtorto collo', lo dimostra la valanga di recriminazioni, quando non di veri e propri insulti, che hanno seguito la dichiarazione in aula di Anna Marson, (pubblicata da eddyburg). Frasi come «lei sarà solo un brutto ricordo» , o «lei vincerebbe il nobel della stupidità politica» di tal Gianluca Parrini (da non confondersi con l'omonimo Dario) la dicono lunga sull'insofferenza e il rancore che covano nelle file della maggioranza. Sulla stessa linea (anche se con meno volgarità) Dario Parrini, segretario regionale del Pd, che ha imputato all'assessore Marson «accuse infondate e scomposte». In realtà l'intervento finale dell'assessore all'Urbanistica era stato intelligente, preciso e circostanziato quando aveva accusato una parte del Pd di avere continuamente tramato tranelli e imboscate e di avere più spesso tutelato gli interessi privati (aggiungo: i più retrivi) a scapito di quelli collettivi.

Ciò che colpisce nelle - queste sì scomposte - reazioni degli esponenti Pd è il fatto che invece di opporre a quelli dell'assessore argomenti nel merito, si sia scelta la strada delle urla e delle offese. Ma vi è una ragione in tutto ciò. Il Pd, nella sesta commissione regionale aveva sistematicamente, pervicacemente e in perfetto accordo con Forza Italia, demolito il Piano. Basta ricordare solo una delle tante modifiche proposte dalla commissione: «le criticità segnalate nel Piano sono valutazioni scientifiche di cui i Comuni possono non tenere conto». Vale a dire che se il Piano segnalava un'area come esondabile e con alto rischio per gli abitanti, di tale criticità i Comuni potevano infischiarsene, si intende per continuare a urbanizzare e piangere i morti. In effetti è difficile ribattere nel merito e difendere simili enormità, molto più facile la strada delle polemiche e delle invettive, tra cui spicca per originalità l'accusa rivolta agli intellettuali di tutta Italia intervenuti a favore di Marson di essere "ambientalisti in cachemire" e "a difesa del paesaggio cartolina".

Vi è tuttavia un disegno evidente nelle infondate reazioni dei maggiorenti o delle pedine dell'ex partito dei lavoratori, ex almeno in questo caso, come dimostra la 'battaglia' delle Apuane, dove la Cgil si dichiarava a favore del Piano e Ardelio Pellegrinotti (consigliere del Pd) si schierava, senza se e senza ma, con le ditte di escavazione - non un cenno critico sul clima di illegalità in cui queste hanno continuamente operato.

Le intenzioni per il futuro sono, come si evince dalle interviste rilasciate dal segretario Parrini, di nominare una giunta 'renziana', perché «il Pd non è quello di 5 anni fa». Rimane l'incognita di cosa significhi una giunta e un governo 'renziano', al di là della propensione irresistibile degli aspiranti consiglieri di saltare, salvo qualche lodevole eccezione, sul carro del vincitore. L'impressione è che Renzi stia trasformando il Pd in un "catch all party" (come era la vecchia DC), dove le realtà regionali agiranno e si comporteranno non in base a valori , bensì secondo le convenienze e le opportunità del momento e del luogo. Ma, comunque, attente a favorire uno 'sviluppo arretrato', fatto di grandi opere (non importa se inutili o dannose) e di sfruttamento delle 'risorse' qualunque esse siano o siano ritenute tali, dovunque esse siano - anche nei parchi e nelle riserve naturali, vedi appunto le Apuane.

In Toscana significa, oltre a un Rossi messo sotto tutela, ancora un consumo irreversibile di territorio, ma soprattutto, porti e piattaforma turistiche, Tav e sottoattraversamenti, inceneritori e centrali a biomasse che si approvvigionano chissà dove, tanto per citare solo alcuni capisaldi dello 'sviluppo arretrato' ; mentre l'alternativa è un'economia innovativa, in cui paesaggio, ambiente e territorio siano fattori intrinseci e propulsivi di un'occupazione qualificata: molti più investimenti nella scuola, nell'università e nella ricerca pubblica e privata e meno cemento. Ma tant'è, il Pd va avanti guardando indietro; con una prospettiva, quella annunciata dagli esponenti del Pd nel consiglio regionale e fuori, che pone la parola fine all'esperienza toscana come modello di governo del territorio diverso da quello che ha imperversato e imperversa nel paese. In questo ha perfettamente ragione Dario Parrini «il Pd toscano non è quello di 5 anni fa»: è molto peggiore.

«Il Consiglio regionale approva dopo una seduta rovente il provvedimento che regola spiagge, vigneti e territorio. L’accordo raggiunto grazie al ministero dei Beni culturali». La Repubblica, 28 marzo 2015

IL paesaggio toscano ha la sua legge. Il Consiglio regionale ha approvato ieri, in un’aula infuocata, il piano messo a punto dall’assessore Anna Marson, che intervenendo a fine seduta è stata molto dura anche con settori della maggioranza. Non è esattamente il piano che lei voleva, ma il testo finale è più suo di quanto non lo sia di coloro che volevano stravolgerlo. Sulle Alpi Apuane le cave dismesse sopra i 1.200 metri non riapriranno. Niente più cave sui crinali e i circhi glaciali. Una ventina resteranno attive fino alla scadenza della concessione. Altre saranno riaperte per essere riqualificate, ma al massimo per sei anni. Due le eccezioni, una cava a Minucciano e una a Levigliani.

Quello delle cave era il punto esemplare della controversia. Da una parte chi difendeva il paesaggio delle Apuane. Dall’altra chi tutelava gli interessi di imprese e lavoratori che estraggono il marmo (ma la Cgil si è schierata per il piano). Nelle ultime settimane, sostenuti dal Pd e in particolare dall’ala renziana, sono stati approvati emendamenti favorevoli ai cavatori. Il presidente Enrico Rossi ha cercato di mediare, poi la trattativa si è spostata al ministero per i Beni culturali che deve ratificare il piano. Più volte la sottosegretaria Ilaria Borletti, che ha la delega sul paesaggio, ha avvertito i consiglieri toscani: se il piano non è conforme al Codice dei beni culturali, non l’approviamo.

Tre giorni e tre notti di discussione al ministero fra l’assessore, i tecnici regionali e i dirigenti del ministero (il direttore generale Francesco Scoppola, il capo dell’ufficio legislativo Paolo Carpentieri e Ilaria Borletti): ne è sortito un maxi emendamento che ripristinava — in parte — la versione originaria del piano. Oltre le cave un’altra questione controversa: gli interventi sulle coste e sulle spiagge. Alla fine si è stabilito che entro i 300 metri dalla battigia saranno ammissibili solo strutture mobili. Niente piscine («lasciatele alla Riviera romagnola», ha detto Rossi). Nella zona retrostante si potranno ampliare gli edifici esistenti del 10 per cento, solo per servizi alberghieri e turistici.

«Sul piano non c’è stato conflitto fra sviluppo e ambiente», ha detto Marson dopo il voto, suscitando l’ira di molti del Pd, «ma tra interessi collettivi e interessi privati». Marson, che ha denunciato “imboscate” durante il percorso del piano, ha ricordato di essere stata accusata di voler espiantare i vigneti (il piano cerca di limitare le grandi estensioni e tutelare le piccole) e di aver dato una consulenza al marito (Alberto Magnaghi, urbanista di fama, ha collaborato al piano gratuitamente come altri professori di tutte le università toscane). Ma il punto, ha insistito, è che il piano incarna un diverso modo di intendere lo sviluppo, al centro del quale c’è «la valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico nella costruzione di ricchezza durevole per la comunità». Ora il testo torna al ministero per il parere definitivo.

Il manifesto, 28 marzo 2015

Il via libera è arri­vato all’ora di cena. Insieme alla cer­tezza che il Piano del pae­sag­gio della Toscana è tor­nato sui binari ori­gi­nari. Con un impianto all’avanguardia e di esem­pio per l’intero paese, stu­diato con cer­to­sina pazienza in quat­tro lun­ghi anni di lavoro dall’assessora Anna Mar­son, nella con­sa­pe­vo­lezza di dover comun­que gover­nare i fisio­lo­gici cam­bia­menti ope­rati sul ter­ri­to­rio dalla mano dell’uomo. “Il Piano – ha cer­ti­fi­cato Enrico Rossi — intende offrire una cor­nice di regole certe, fina­liz­zate a man­te­nere il valore del pae­sag­gio anche nelle tra­sfor­ma­zioni di cui è con­ti­nua­mente oggetto”. Il con­si­glio regio­nale lo ha appro­vato con il sì dei 32 con­si­glieri di cen­tro e di sini­stra, e il no dei 15 di centrodestra.

Quanta fatica però. Anche se il rican­di­dato pre­si­dente regio­nale del Pd ne ha riven­di­cato la pater­nità (“è il mio piano, non quello del governo”), è fuor di dub­bio che un inter­vento deci­sivo per sbloc­care una situa­zione diven­tata kaf­kiana sia arri­vato dal mini­stero dei beni cul­tu­rali. La cui firma sul prov­ve­di­mento è obbli­ga­to­ria – già una volta il piano era stato rin­viato al mit­tente – e che ha svolto, insieme a Rossi e alla stessa Mar­son, una vera e pro­pria riscrit­tura del Piano. Mossa obbli­gata, dopo lo stra­vol­gi­mento ope­rato in com­mis­sione da parte di un ampio pezzo di Pd che non si ras­se­gnava allo stop di con­sumo del suolo. Uno stop che peral­tro era stato già deciso nel Piano di indi­rizzo ter­ri­to­riale, di cui il Piano pae­sag­gi­stico è una integrazione.

Emen­da­mento su emen­da­mento, le ori­gi­na­rie norme di sal­va­guar­dia ela­bo­rate da Anna Mar­son, docente di tec­nica e pia­ni­fi­ca­zione urba­ni­stica all’ateneo vene­ziano, erano state pro­gres­si­va­mente stra­volte. Su tutti, ave­vano fatto inor­ri­dire gli emen­da­menti che face­vano ripar­tire le esca­va­zioni del marmo sulle Apuane in maniera pesan­tis­sima (via libera alla ria­per­tura di cave dismesse, cave seco­lari, anche cave su vette e cri­nali ancora inte­gri), e quelli che nei fatti ria­pri­vano all’edificazione costiera anche sul lun­go­mare, e per­fino sugli arenili.

Le pole­mi­che che ne sono seguite, e che hanno por­tato il mini­stro Fran­ce­schini a pren­dere pub­bli­ca­mente le difese dell’assessora Mar­son (“lei è stata capace di met­tere d’accordo Asor Rosa e Set­tis, Repub­blica e Cor­riere della Sera…”), hanno ripor­tato il Piano toscano del pae­sag­gio alle sue coor­di­nate ori­gi­na­rie, gra­zie a un super-emendamento coor­di­nato in sede mini­ste­riale. “Il testo che emerge dopo la pre­sen­ta­zione del maxi emen­da­mento è un buon risul­tato – cer­ti­fica Monica Sgherri di Rifon­da­zione — per­ché riporta il piano sostan­zial­mente a quanto adot­tato nel luglio scorso. Quindi can­cel­lando quello stra­vol­gi­mento, soprat­tutto in tema di esca­va­zione sulle Apuane e di sal­va­guar­dia delle coste, per­pe­trato in commissione”.

Il risul­tato è stato l’ok al Piano anche di Sel, Prc e Pcdi, che pure cor­rono alle ele­zioni regio­nali in alter­na­tiva al Pd e a Enrico Rossi, soste­nendo l’ottima can­di­da­tura di Tom­maso Fat­tori. Sul fronte oppo­sto, il ritardo nel via libera è stato pro­vo­cato dall’ostruzionismo di Forza Ita­lia e Fdi, che hanno depo­sto le armi solo dopo aver otte­nuto di veder moni­to­rati gli effetti del Piano sulle atti­vità estrat­tive. A cose fatte, Enrico Rossi ha ricor­dato: “Non è vero che discu­tere col mini­stero è stato umi­liante, il pae­sag­gio è un bene tute­lato dall’articolo 9 della Costi­tu­zione, che rende neces­sa­ria la copia­ni­fi­ca­zione. E’ la nostra iden­tità, il nostro mar­chio nel mondo, bel­lezza che si è pro­dotta anche attra­verso il lavoro. E con il piano siamo riu­sciti a rico­struire l’equilibrio necessario”

1. Il voto di approvazione di un piano paesaggistico ancora definibile tale, intervenuto oggi nel penultimo giorno utile della legislatura dopo un lunghissimo dibattito dentro e fuori le sedi istituzionali, è l’esito di un assai ampio coinvolgimento pubblico nel merito delle scelte che la Regione Toscana si apprestava a compiere, e di una straordinaria mobilitazione culturale e sociale in difesa del Piano paesaggistico.

Le prove che questo piano ha dovuto affrontare, nella sua natura di strumento portatore di innovazione culturale e normativa, non sono state facili.

Anche se la portata storica dell’evento è chiaramente incommensurabile, mi permetto di richiamare le parole di Calamandrei sull’esito della scelta repubblicana dell’Italia (Il Ponte, luglio-agosto 1946), sul cui cammino «non sono mancati i diversivi che miravano a mandare in lungo la partita, i tranelli preordinati a far perdere la serenità al giocatore meno esperto, e qualche svista pericolosa e, purtroppo, qualche tentativo di barare…Proprio di queste vicende bisogna tener conto per comprendere quanta fermezza e quanta resistenza morale sono state necessarie …per conseguire questa vittoria e per apprezzarne il valore... [in questo caso si è] dovuto superare imboscate e tradimenti che l’osservatore superficiale nemmeno sospetta».

Nel caso del piano paesaggistico le “imboscate” non sono derivate da un conflitto fra ambiente e sviluppo, come molti hanno sostenuto, ma tra interessi collettivi e interessi privati.
Ciò è testimoniato dal fatto che chi si è mosso a difesa del piano, come le associazioni ambientali e culturali, e molti autorevoli studiosi, non rappresenta in questa vicenda interessi particolari o privati. Mentre tutti coloro che a vario titolo hanno sollevato richieste di modifiche del piano l’hanno fatto mossi da interessi privati finalizzati al profitto, mascherato da occupazione e sviluppo.

E devo dare atto alle rappresentanze dei lavoratori – alla CGIL in particolare ma anche da alcuni rappresentanti della CISL- di avere individuato con grande chiarezza come ambiente e paesaggio costituiscano oggi, a fronte dei cambiamenti in corso e di quelli che si annunciano, due poste in gioco rilevanti per l’interesse collettivo, a partire dall’interesse dei lavoratori e di chi è in cerca di occupazione.

Ritengo quindi utile ripercorrere, sia pur in grande sintesi, alcuni dei passaggi salienti del percorso di piano che portano ulteriori evidenze a questo riguardo.

2. La procedura del piano e le imboscate subite

Il presidente della Commissione consiliare nel citare gli emendamenti apportati in commissione ha più volte parlato di «grande lavoro rispetto cui non si può tornare indietro».

Che dovremmo allora dire relativamente al lavoro di costruzione del piano, alla lunga e continua contrattazione istituzionale e sociale - anche in un clima di linciaggio personale di cui sono stata ripetutamente oggetto (1) - al lavoro di controdeduzione alle osservazioni presentate per arrivare a un testo equilibrato nel tenere in conto i diversi interessi legittimi?

La formazione del piano e' stato un atto quanto mai collettivo. Il piano cosiddetto “Marson” è infatti frutto:
a) di un atto di indirizzo approvato dal consiglio regionale nel 2011;
b) di una approfondita fase di elaborazione scientifica affidata al Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio delle 5 principali università toscane anziché a una ditta privata o a una elaborazione interna dei soli uffici (che non avevano le forze per condurre un compito di questa portata, anche in seguito alla soppressione del settore paesaggio all’inizio della legislatura e alla sua lenta e faticosa ricostituzione nel corso dei successivi tre anni);
c) di uno straordinario impegno dei funzionari del settore paesaggio, anche con molte ore di lavoro non retribuite, nel costruire la proposta di piano;
d)di numerose assemblee pubbliche di approfondimento e discussione che hanno accompagnato le fasi di formazione del piano nei diversi ambiti del territorio toscano;
e) di una lunga e ripetuta concertazione con attori pubblici (ANCI, Consiglio autonomie, comuni, sovrintendenze, Ministero) e del confronto con attori privati (ordini professionali, associazioni sindacali e imprenditoriali, ecc) ;
f) di una validazione tecnica preliminare da parte del Mibact sul lavoro complessivo (dicembre 2013);
g) di due successive proposte di piano approvate dalla giunta (gennaio e maggio 2014);
h) di un esame in sede di più commissioni consiliari (ne ricordo almeno cinque) che ha portato all’adozione, con emendamenti, il 2 luglio 2014;
i) del lavoro di controdeduzioni che ha portato al voto unanime della Giunta il 4 dicembre 2014.

Sfido tutti coloro che hanno dichiarato in aula, rivolti alla giunta, che «s’è perso tempo», a trovare un esempio di piano paesaggistico regionale copianificato con il Mibact che abbia concluso questo percorso in un tempo più rapido.

E ciò nonostante – per non citare che i due esempi più significativi - una ricerca di regole condivise con i sindaci delle Apuane interessati dalle attività di escavazione durata più mesi, e un tavolo con i rappresentanti di categoria delle associazioni agricole protrattosi con incontri quasi quotidiani per settimane.

Se nel caso delle associazioni agricole ciò a portato, pur con perdite significative dei contenuti del piano (quali la sparizione di gran parte dei riferimenti alla “maglia agraria”, di ogni citazione della parola “vigneti”, e di tutti i riferimenti al “mantenimento delle attività agrosilvopastorali montane per arginare i processi di abbandono”), a una sostanziale condivisione del testo, nel caso delle Apuane sia la modifica della prima proposta di giunta che gli emendamenti introdotti dal consiglio in fase di adozione non hanno sancito la fine delle ostilità né delle interferenze anche pesanti rispetto ai contenuti del piano e alla procedura istituzionalmente definita per la sua approvazione.

Abbiamo così assistito, in commissione consiliare, al voto di emendamenti non coerenti con i contenuti propri di un piano paesaggistico, a diverse e articolate trattative politiche non con le rappresentanze istituzionali delle imprese ma con alcune imprese, alla partecipazione di consulenti delle imprese del marmo alla scrittura degli emendamenti nelle stanze del Consiglio regionale, alla sparizione dal Piano di tutti i riferimenti alle criticità di luoghi specifici che disturbavano qualcuno che aveva modo di far sentire la propria voce, e così via. Tutte le tipologie degli emendamenti proposti in commissione sono state ispirate a un unico principio: depotenziare l’efficacia del piano.

A titolo esemplificativo:

- nelle Apuane sono state cancellate tutte le criticità relative a specifiche aree interessate dalle escavazioni;
- molte criticità paesaggistiche evidenti sono state trasformate in forma dubitativa;
- un emendamento si proponeva addirittura di specificare che le criticità costituivano valutazioni scientifiche delle quali i piani urbanistici “non dovevano tenere conto”;
- nelle spiagge si intendevano ammettere adeguamenti, ampliamenti, addizioni e cambi di destinazione d’uso;
- la dispersione insediativa, anziché da evitare, era al massimo da limitare o armonizzare;
- la salvaguardia dei varchi inedificati nelle conurbazioni andava cancellata, o anch’essa “armonizzata”;
- le relazioni degli insediamenti con i loro intorni agricoli sono state soppresse;
- l’alpinismo in Garfagnana andava soppresso;
- gli ulteriori processi di urbanizzazione diffusa lungo i crinali non erano da evitare bensì da armonizzare;
e così via.

Ciò ha prodotto, come esito del lavoro della commissione consiliare, la riscrittura di molti contenuti sostanziali del piano, rovesciandone in più parti gli obiettivi, depotenziando la valenza anche normativa del piano adottato, e contraddicendo sia il Codice dei beni culturali e del paesaggio che la nuova legge regionale in materia di governo del territorio in vigore dal novembre 2014.

Soltanto la verifica in extremis con il Mibact, con il quale il piano va necessariamente copianificato anche per dare attuazione alle semplificazioni che da esso discendono, dovuta anche alla luce del verdetto ricevuto a suo tempo sull’integrazione paesaggistica del PIT adottata dalla Regione Toscana nel 2009, ha portato con un grande sforzo da parte di tutti i soggetti coinvolti, e del Presidente Rossi in prima persona, a recuperare almeno in parte alcuni dei contenuti essenziali che permettono di qualificare questo piano come “piano paesaggistico”.

Non posso che concordare con chi ha definito questa retromarcia imbarazzante. Lo è senza dubbio per l’immagine arretrata, riflessa da alcuni rappresentanti eletti, della società toscana (smentita invece dalla moltitudine di cittadine e cittadini che si sono espressi in difesa del piano). Lo è per chi, come me, ha creduto nel federalismo, non quello della riforma del Titolo V della Costituzione operata all’inizio del nuovo millennio oggi peraltro ripudiata dagli stessi autori, ma quello auspicato da Carlo Cattaneo e da Silvio Trentin.

In questo caso devo tuttavia riconoscere che l’intervento del Ministero ha contribuito a salvare parti significative del piano.grazie in particolare all’impegno della sottosegretario Borletti Buitoni, oltre a quello del ministro Franceschini intervenuto anch’esso in prima persona.

Al di là di tutto ciò, e alla fine di questo tormentato percorso, credo di dover evidenziare come il conflitto attivatosi intorno al piano - non fra ambiente e sviluppo, ma tra interessi collettivi e interessi privati - sottenda in realtà due diverse accezioni di sviluppo.

3. Due concezioni dello sviluppo contrapposte. Chi è passatista?


Gran parte delle modifiche proposte e in parte apportate al piano attraverso gli emendamenti, sono ispirate da una lettura del Piano inteso come insieme di vincoli /f reno allo sviluppo e alla libertà d’impresa: meno vincoli più sviluppo, più vincoli meno sviluppo.
Lo sviluppo è dunque inteso come tutela delle libertà d’uso e sfruttamento del territorio da parte delle imprese economiche, soprattutto da parte delle grandi imprese (multinazionali del vino e del marmo, del turismo, ecc), oltre alla tutela del continuare a fare ognuno “come ci pare”.

I soggetti presi a riferimento non sono certo i viticoltori artigiani di qualità, piuttosto che le botteghe di trasformazione artistica del marmo, per non citare che due esempi fra i molti possibili, in una “compressione della rappresentanza” rispetto alla complessità crescente del mondo produttivo. La rappresentanza dei grandi interessi finanziari, travestiti da interessi per lo sviluppo, è l’unica ad essere di fatto garantita.

Ma questo modello di sviluppo non è forse alla base della crisi economica che stiamo vivendo?

Il tentativo di affossamento del valore normativo del Piano paesaggistico è peraltro coerente con l’ideologia che esalta i processi di privatizzazione e centralizzazione dei processi economici e politici, in molti casi peraltro sostenuti da finanziamenti pubblici, come unica via d’uscita dalla crisi.

In questa monodirezionalità degli emendamenti votati in commissione è stato peraltro negato lo spirito stesso del Codice.

Laddove il Codice richiede che il Piano si interessi di tutto il territorio regionale, si chiede infatti, di conseguenza, un cambio dalla centralità dai vincoli (prescrizioni che riguardano i soli beni paesaggistici formalmente riconosciuti) alle regole di buon governo per tutto il territorio, compresi quindi i paesaggi degradati, le periferie, le infrastrutture, le aree industriali, gli interventi idrogeologici, gli impianti agroindustriali, ecc); dunque regole per indirizzare verso esiti di maggiore qualità le trasformazioni quotidiane del territorio, e non solo preservare i suoi nodi di eccellenza.

La stessa cura a migliorare la qualità paesaggistica di tutto il territorio regionale è richiesta come noto dalla Convenzione europea del paesaggio, che parla di «attenzione ai modi di vita delle popolazioni».

I piani paesaggistici di nuova generazione fanno dunque riferimento a un diverso e innovativo modello di sviluppo che vede la centralità della valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico nella costruzione di ricchezza durevole per le comunità. Non certo per rinunciare al manifatturiero, e nemmeno all’escavazione del marmo, ma per far convivere queste attività con altre possibilità imprenditoriali, a partire da un patrimonio territoriale che ne renda possibile e realisticamente fattibile lo sviluppo.

Come ha scritto recentemente un ex sindaco, Rossano Pazzagli, a proposito delle prospettive dell’attività turistica, «fare turismo…è perseguire un turismo non massificato, di tipo esperienziale…Chi vuole riaprire le coste alla cementificazione…finirà per danneggiare lo stesso turismo balneare, che va in cerca di paesaggio, di spiagge, di pinete e di sole, non di qualche pezzo di periferia urbana in riva al mare».

Non solo le Apuane, uniche al mondo, ma lo stesso marmo apuano, meriterebbe di essere a tutti gli effetti considerato come una risorsa preziosa, e valorizzato di conseguenza restituendo alle comunità locali gran parte del valore aggiunto che va invece ad arricchire singoli individui, distruggendo per sempre le montagne.

Sono soltanto alcuni esempi, che tuttavia testimoniano come il piano ponga le basi per rendere possibile un diverso sviluppo, basato non sulla distruzione del patrimonio regionale ma sulla sua messa in valore sostenibile per la collettività e il suo futuro. Il Presidente Rossi ha dichiarato che sarei “un grande tecnico… che quando esprime giudizi politici compie scivoloni pericolosi”.

Da questo punto di vista io rivendico invece il mio agire “diversamente politico”, in quanto non guidato dal desiderio di mantenere un incarico di assessore, né dall’obbligo di restituire favori e accontentare interessi specifici. In questi anni ho cercato di garantire nel modo più degno possibile, nel ruolo che ho avuto l’onore e l’onere di ricoprire, la straordinaria civiltà tuttora profondamente impressa nel paesaggio toscano, pur nella complessità delle sfide sociali, economiche e politiche che hanno interessato nel passato e interessano ancor più oggi questa regione.

4. Un sentimento contraddittorio

In conclusione è con un sentimento contraddittorio che accolgo questo voto del Consiglio:

-da una parte la soddisfazione per il fatto che il proposito di rendere inefficace un progetto assai avanzatoper la a Toscana futura abbia dovuto in parte rientrare grazie alla forte mobilitazione culturale e sociale in difesa del piano, e per il ravvedimento finale del principale partito di maggioranza;
-dall’altra il rammarico per il fatto che il percorso di questo piano sia stato costellato da cedimenti, contraddizioni, indebolimenti che hanno ovviamente lasciato il segno nel corpo del piano stesso.

Non mi sento pertanto di fare alcuna celebrazione clamorosa, né retorica, di questo esito. Raggiungere questo risultato è stato difficile e aspro, né sono state risolte tutte le contraddizioni.

Spero tuttavia che l’alto livello di mobilitazione attivatosi a livello regionale e nazionale intorno a questo piano e all’allarme sul rischio del suo annullamento, serva a mantenere alta l’attenzione intorno all’interpretazione che quotidianamente, nei giorni e negli anni a venire, sarà data del piano stesso e dei suoi contenuti.

E a favorire la realizzazione di un Osservatorio regionale del paesaggio, già previsto dalla LR65/2014 e da attivare nei prossimi mesi, che sappia garantire una forte partecipazione sociale, facendo entrare il paesaggio a pieno titolo fra gli obiettivi dello sviluppo regionale volti ad aumentare il benessere delle popolazioni presenti sul territorio.


Nota
(1)
Pol Pot in Toscana, l’accusa di voler espiantare i vignetiper rimettere le pecore (messa anche in bocca a sindaci con i quali hocollaborato fattivamente per gran parte della legislatura), i soldi al marito(che ha lavorato gratuitamente con gli altri professori universitari che hannocollaborato al piano), gli insulti per essere straniera in Toscana, essendonata a Treviso, gli ambientalisti in cachemire citati ancora ieri in Consiglioregionale, i professori che vivono nell’agio mentre i consiglieri regionalisoffrono nelle montagne (dimenticando che in Italia i professori universitarisono retribuiti quanto un bidello svizzero ma in questo piano hanno per sceltalavorato gratuitamente, mentre gli assegnisti sono stati retribuiti mille euroal mese) e così via.


a Repubblica, 20 marzo 2015

IL LIMITE di trecento metri dal mare non basterà. Gli ampliamenti degli alberghi lungo le coste non sarà consentito neppure a quella distanza, se oggi passerà a Roma la cosiddetta “linea Marson”, l’assessore toscano che ha firmato la prima versione del Piano del paesaggio che da martedì è in revisione al ministero dei Beni culturali. Per Enrico Rossi oggi sarà il quarto giorno consecutivo a Roma dedicato all’ultimo atto politico della legislatura.

Il governatore chiuso in una stanza del ministero dei Beni culturali con Marson e i tecnici di Dario Franceschini, sta rileggendo ad alta voce punto per punto il Piano che andrà in consiglio regionale per il voto definitivo il 25 marzo. Oggi pomeriggio il governatore tornerà di nuovo dal ministro per gli ultimi aggiustamenti al testo che saranno esaminati nel weekend e confrontati con i vincoli contenuti nel Codice dei beni culturali. Lunedì Franceschini dovrebbe dare il via libera al documento che in consiglio approderà in una versione decisamente “riveduta e corretta” rispetto a quella che era uscita dall’ultima seduta della commissione Ambiente, dove erano stati approvati gli emendamenti firmati da Ardelio Pellegrinotti e Matteo Tortolini del Pd.

Due i punti più controversi su cui Rossi è dovuto intervenire per cercare un compromesso onorevole tra l’impianto rigoroso della Marson e le modifiche dei Democratici, considerate ormai troppo “spinte” anche dallo stato maggiore del Pd toscano. Il primo riguarda le strutture ricettive vicine al mare: se sulle spiagge ogni tipo di allestimento non rimovibile era già vietato, adesso il ministero sembra orientato a bloccare anche eventuali aumenti di volume anche di hotel a trecento metri dalla riva, un limite che interessa in particolare gli operatori della Versilia. E l’altro capitolo in discussione, forse il più delicato, è quello delle cave di marmo sulle Apuane. Sopra i 1.200 metri non saranno permessi ampliamenti delle attività in funzione se non a certe condizioni e sembra difficile che possa passare la novità delle riaperture di miniere dismesse e abbandonate. Su questo le polemiche erano già state molto vivaci in consiglio e l’assessore Marson si era detta contraria alla modifica del Piano.

Rossi continua a inseguire una mediazione. Su twitter spiega che «nessuna cancellazione del lavoro fatto nella commissione » sarebbe stato fatto e parla di una «revisione degli elaborati, una risistemazione delle sue parti e un’ultima verifica di conformità al Codice dei beni culturali. Insomma nessuna smentita per nessuno ma un lavoro serio e collaborativo». Rossi posta anche una foto in cui si vede la stanza in cui il Piano viene letto ad alta voce.

Raccontano che Franceschini abbia fatto pure una battuta su tutta questa mobilitazione sul Piano, rivolgendosi a Marson: «Assessore, lei ha messo d’accordo Settis, Asor Rosa, Repubblica e Corriere della Sera. A questo punto cosa può fare un ministro?», ha detto sorridendo. «Ho le mani legate».

Agenzia ANSA. Firenze, 16 marzo 2015

Non si stravolga il il piano paesaggistico della Toscana che «deve prevedere norme cogenti per le rispettive amministrazioni comunali e deve essere condiviso con il ministero dei Beni Culturali. Le osservazioni tecnico-scientifiche devono rimanere vincolanti nei confronti delle amministrazioni locali, valorizzando ruolo e valore delle competenze specialistiche ed al coinvolgimento dell'intellettualità».

E' quanto chiede la Cgil Toscana che lancia un appello affinché vengano salvaguardate le cave, le coste e le aree di pregio ambientale della regione. «Come Cgil Toscana abbiamo espresso in tutte le sedi di confronto il nostro parere positivo e favorevole al piano con le integrazioni fatte dal presidente Rossi alcune settimane fa - spiega il sindacato in una nota -, punto avanzato di sintesi tra esigenze del lavoro, dell'ambiente e di un concetto alto di paesaggio e di beni culturali, frutto di un impegno di anni che ha coinvolto le migliori intelligenze e passioni sul tema. Siamo di fronte al fondato rischio che gli interessi corporativi rompano tale equilibrio, non a favore del lavoro a fronte dell'ambiente sia chiaro».

Per la Cgil «non si possono più abbattere le vette cimali sopra i 1200 metri. Sotto i 1200 metri non si deve poter aprire una nuova cava senza il parere della commissione regionale. Si deve lavorare una quota significativa del marmo estratto entro tempi certi in loco, valorizzando l'intera filiera, istituendo un distretto del marmo apuo-versiliese dotato di strumenti che rendano effettivo il controllo delle attività ed il rispetto delle norme. Così come è necessario salvaguardare il profilo delle nostre coste e delle aree di rilevante pregio ambientale».


La Repubblica, 16 marzo 2015

Ora il Piano del Paesaggio della Regione Toscana è, anche formalmente, una questione nazionale. Nella sostanza lo era fin dall’inizio: perché esso decide il futuro di un pezzo importantissimo di quello che la Costituzione chiama il «paesaggio della Nazione». Ma anche perché aveva l’ambizione di indicare a tutto il Paese un futuro sostenibile, capace di tenere insieme sviluppo, ambiente e salute. Una via in cui la tutela dell’ambiente non fosse affidata ai vincoli delle soprintendenze (indispensabili, in mancanza di meglio), ma ad un progetto politico responsabile.

A tutto questo serviva il testo voluto dal presidente Enrico Rossi, scaturito dal lavoro di Anna Marson (assessore alla Pianificazione della Regione Toscana) e adottato dal Consiglio regionale nello scorso luglio. Ma dopo l’estate qualcosa è cambiato: il vento dello Sblocca Italia (la legge a favore del cemento scritta dal ministro Lupi, e approvata a novembre) ha cominciato a soffiare anche sulla Toscana, ridando forza e voce ai centri di interesse che Rossi era riuscito a contenere. Così, nelle ultime settimane, il Piano è stato smontato pezzo a pezzo in Commissione, grazie al sistematico voto congiunto di un Pd che ormai non risponde più a Rossi e di una Forza Italia scatenata: una specie di Patto del Nazareno contro il futuro del Paesaggio toscano. Se passasse così com’è stato ridotto, il Piano sarebbe un atroce boomerang. Facciamo solo qualche esempio: nuovi fronti di cava potrebbero essere aperti sulle Alpi Apuane anche sopra i 1200 metri (cambiando per sempre lo skyline della regione); le strutture su tutta la linea di costa potrebbero ampliarsi a piacimento, e si potrebbe costruire perfino nel Parco di San Rossore; case potrebbero sorgere anche negli alvei dei fiumi soggetti ad alluvioni, e lo sprawl urbano potrebbe mangiarsi quel che rimane dei meravigliosi spazi rurali della piana di Lucca.

Di fronte a questo concretissimo rischio (si vota domani), Rossi ha chiesto aiuto al governo: una scelta paradossale, che segnala il coma irreversibile del regionalismo. Ma è il ministero per i Beni culturali l’unico freno di emergenza che può evitare che il paesaggio toscano cappotti in parcheggio.

Il Piano dev’essere, infatti, approvato e condiviso dal ministero: che solo in presenza di forti garanzie può contenere i suoi vincoli. Per questo Rossi incontrerà Dario Franceschini, sperando paradossalmente in un “no”: quel “no” che può permettergli di tornare a Firenze ricacciando nell’angolo gli interessi delle lobby che parlano attraverso i ventriloqui dell’assemblea regionale.

Ma quel “no” arriverà? Come si è capito anche dalle forti dichiarazioni della sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni (che ha la delega al Paesaggio), la struttura tecnica del Mibact considera il Piano irricevibile. Ci auguriamo che i tecnici potranno fare il loro lavoro, e che non prevarrà invece la linea politica di un governo che sembra aver fatto del motto «padroni in casa propria» (parola d’ordine del ventennio berlusconiano) uno slogan positivo.

Dario Franceschini saprà dimostrare di essere diverso da Maurizio Lupi, santo patrono del consumo di suolo? E che ruolo giocherà il toscanissimo Matteo Renzi, che sembra fermo ad un’idea di sviluppo territoriale che era già vecchia negli anni Sessanta?

Da ciò che avverrà nelle prossime ore non capiremo solo se la Toscana dei nostri figli sarà resa simile alla Calabria di oggi: ma capiremo anche se “sviluppo” continuerà ad essere sinonimo di “cemento”. O se, finalmente, cambieremo verso.


Abbiamo pubblicato o ripreso numerose denunce e appelli (vedi i collegamenti in calce) perché terminasse il lavorio del PD toscano volto a svuotare d'ogni contenuto di tutela il piano paesaggistico, che ci era sembrato l'eccellente prodotto della collaborazione tra il presidente Rossi e l'assessora Marson. Con la sua lettera a Paolo Baldeschi il presidente risponde a proposito di una delle questioni coinvolte: le cave nelle Alpi apuane. Su questo punto la risposta è parziale, sul resto (ossia sullo svuotamento totale, a botte di emendamenti, del Piano paesaggistico) il silenzio è totale. Non possiamo che riprendere il titolo e il contenuto di un nostro articolo: Sconfitta di Enrico Rossi?, togliendo il punto interrogativo (e.s.)


La lettera di Enrico Rossi
Presidente della Regione Toscana
Ringrazio lei e gli altri cittadini che mi avete scritto. Vi rispondo conpiacere fornendovi anche alcune informazioni che forse non sono in vostropossesso.

Il nostro obiettivo è sempre stato quello di tenere insieme lavoro ebellezza. Proprio per questo saranno vietate le aperture di nuove cave sopra i1.200 metri ed incentiveremo la filiera produttiva locale. Una scelta che ciconsente da un lato di tutelare le vette e i crinali apuani e dall'altro di farsì che una maggiore occupazione e ricchezza ricada sul territorio.

Ritengo che il documento che abbiamo elaborato, superando contrapposizionie diatribe su cui non sempre le posizioni più estreme risultano essere le piùfondate, rappresenti un punto di arrivo per tutti. E’ del tutto normale che sutemi così importanti si discuta e si confrontino posizioni diverse ed ancheestreme, tra chi vorrebbe chiudere le cave e chi invece vorrebbe continuare afar tutto come prima. In democrazia le proposte si discutono e si cercanosoluzioni il più possibile condivise, senza le quali anche le migliorielaborazioni rischiano di restare esercizi puramente accademici. E’ proprio daquesto confronto che scaturiscono le soluzioni più avanzate. Ne è riprova chela Toscana sarà la prima e unica regione ad avere approvato un piano checontiene sia la parte vincolistica che precise direttive per gli ambititerritoriali della nostra regione, a cui dovranno conformarsi gli strumentiurbanistici dei Comuni.

La legge sulle cave che il Consiglio Regionale ha approvato dichiarapubblici i beni stimati, raddoppia le tasse di concessione dovute agli Entilocali e stabilisce che il marmo scavato dovrà essere lavorato, sempre più, alivello locale.

E’ la prima volta che la Regione affronta questi temi perdotarsi di regole di carattere sociale e ambientale. Sono certo che la vostrasensibilità ambientale vi faccia comprendere ed apprezzare lo sforzo che stiamocompiendo per dare, finalmente, una risposta positiva a queste importantiquestioni.

Agli imprenditori del marmo ho chiesto anche di investire nellasalvaguardia ambientale così come hanno fatto gli industriali del cuoio con gliimpianti di depurazione.

Assumersi le responsabilità di governo del territorioè oggi una grande sfida perché richiede di interpretare e governare fenomenicomplessi, di trovare equilibri tra interessi diversi e spesso contrastantiascoltando le (buone) ragioni di tutti, ma allo stesso tempo tenendo ferma lapropria responsabilità che è quella di promuovere sviluppo e salvaguardia delterritorio.

Spero di avere contribuito a fare chiarezza su questa vicenda e le invio imiei più cordiali saluti.
Enrico Rossi
La replica di Paolo Baldeschi
opinionista di eddyburg


Caro presidente Enrico Rossi,
La sua lettera credo sia rivolta a tutti coloro che, come me, sperano chelei mantenga l'impegno di fare della Toscana una regione più progredita nellatutela e nella valorizzazione del proprio territorio; mi permetto perciò dirisponderle, credo anche a nome di gran parte dei suoi interlocutori critici.

IlPit-Piano paesaggistico, avrebbe potuto essere il coronamento di una politicacoraggiosa e innovativa - di cui la Legge 65 del 2014 è un importante tassello.Tuttavia, in questi giorni, la maggioranza del Pd, in sintonia con l'opposizione,sta radicalmente cambiando con emendamenti pervasivi il Piano già controdedottoe approvato dalla Giunta regionale.

Lei ha affermato, in un'intervista apparsasul Corriere fiorentino, che si tratta di limature e di parole, come se si trattassedi quisquilie. Ma la disciplina di un piano è fatta essenzialmente di parole:sostituire "evitare" con "contenere" o, addirittura"armonizzare" non è cosa di poco conto. Nel primo caso, si tratta diuna direttiva chiara e ineludibile. Nel secondo, ci si affida alla buona volontàdei Comuni; nel terzo le parola è soggetta a qualsiasi interpretazione.

Questoesercizio di svuotamento del Piano è stato e viene condotto dal suo partito inmodo sistematico nella sesta commissione in accordo con i consiglieri di ForzaItalia. Un'opera di demolizione dello spirito e delle finalità del Piano cheaddirittura viene estesa al quadro conoscitivo, materia che ha come fondamentosolide analisi e su cui i consiglieri regionali sono incompetenti, sia nellasostanza, sia istituzionalmente.

Non spetta, infatti, ai politici decidere -per fare un esempio - se un territorio è esondabile e se ciò costituisce unacriticità (criticità di cui la sesta commissione invitava i Comuni a non tenereconto). Qui ci troviamo davanti a un'operazione di censura oltremodoilliberale, che rasenta lo stile del MinCulPop, la censura di dati comprovati einoppugnabili, oltre che la censura delle idee. Così si dà, addirittura, vialibera alle discariche ed infrastrutturazioni edilizie nelle balze e neicalanchi del Valdarno, via libera alle nuove espansioni che compromettono laleggibilità dei centri di crinale, via libera alle nuove espansioni lungo l'Arno.

Queste sì sono "posizioni estreme" che vanno contro non solo a ognievidenza scientifica, ma anche contro il semplice buon senso. E dimostrano l'insofferenzadi qualsiasi regola, che è un tipico tratto di arretratezza, culturale primaancora che politica; in controtendenza rispetto a quanto sta facendo l'Europapiù moderna che ovunque si dà regole e progetti condivisi con i cittadini perpianificare il proprio futuro.

In conclusione, ciò che noi cittadini possiamo constatare è che il suopartito, almeno nel Consiglio regionale, non solo ha rovesciato il programma ele alleanze elettorali, ma anche un valore fondamentale della sinistra: che gliinteressi delle popolazioni, la loro salute, la loro sicurezza, il lorobenessere, prevalgono sugli interessi privati, soprattutto quando questi sipresentano come rendite parassitarie e ingiustificati privilegi.

Caro Presidente, lei ha ancora l'occasione di tenere fede al mandato percui è stato eletto. Lo faccia non solo per i cittadini toscani, ma per leistesso.
Paolo Baldeschi

Riferimenti

A proposito dells guerra sul paesaggio della Toscana abbiamo inserito su eddyburg i seguenti articoli (s.e.o.):

10 febbraio. Paolo Baldeschi, Dario Parrini: dottor Jekyll e mr Hyde
22 febbraio, Edoardo Salzano, Sconfitta di Enrico Rossi?
22 febbraio, Ella Baffoni Paesaggio. Il PD cambia verso
27 febbraio, Associazioni nazionali, Giù lemani dal piano paesaggistico della Toscana
09 marzo, Tomaso Montanari, SOS per il piano toscano delpaesaggio
12 marzo, Marco Gasperetti, Allarme di Pardi

13 marzo, Francesco Erbani, Toscana guerra sul paesaggio
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