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«Mi piacerebbe che l'Urbanistica s'insegnasse nelle scuole elementari…», e la città dove ce n'è più bisogno è proprio Napoli. Il condivisibile desiderio è di Edoardo Salzano, napoletano trapiantato a Venezia, urbanista, docente universitario, giornalista, amministratore pubblico, autore di saggi e libri, maestro molto amato da molti allievi che, in tutta Italia, si sono assunti il compito di difendere e salvare il territorio. Un desiderio da cui è nato il suo ultimo libro Ma dove vivi? La città raccontata (Corte del Fontego, 120 pagine, 14,90 euro) che, non a caso, reca in appendice un brano di Matilde Serao, tratto dal celebre Il ventre di Napoli.

La domanda vuole indurre a prendere coscienza che «la città è la casa della società », che i cittadini, devono imparare a conoscere il luogo dove vivono e lavorano, a partecipare, a determinare le scelte che riguardano la loro vita. Ci sono molte risposte alle domande che tutti (o quasi) si pongono quando, per esempio, nel ventre di Napoli si verificano eventi disastrosi, ferite nell'abitato come crolli e le voragini. E che molti si pongono essendo vittime quotidiane della crisi urbana fatta di traffico paralizzato, di costi eccessivi delle case, di fitti impossibili. C'è la risposta anche al perché le nostre città antiche erano belle e vivibili, al perché nell'Europa del Nord tante città sono oggi ancora belle e vivibili, oggetto dell'ammirazione di quanti le visitano e si chiedono perché da noi non è possibile.

Salzano narra come la «proprietà indivisa » ossia pubblica dei suoli, concessi (non venduti) ai cittadini per costruire entro regole precise, abbia prodotto città belle e funzionali. E come con la rivoluzione industriale il suolo urbano sia diventato merce, oggetto di sfruttamento, e «rendita »: assume cioè valore solo perché appartiene a qualcuno in un certo posto senza che il proprietario abbia lavorato per produrre quel profitto.

La borghesia imprenditrice dell'800 (europea e americana) riuscì a togliere potere ai proprietari fondiari perché produrre e commerciare necessita di strutture e servizi, cosicché nacquero presto le leggi di esproprio per fare strade e ferrovie e impianti di utilità pubblica. In Italia invece la borghesia industriale del Nord (quella che volle l'unità nazionale) si alleò con la grande proprietà fondiaria del Centro-Sud, per cui la rendita immobiliare divenne componente fondamentale e condizionante dell'economia italiana. A New York il Piano regolatore venne disegnato nel 1811, quasi due secoli fa, quando la città aveva solo sessantamila abitanti; cinquanta anni dopo gli stessi residenti capiscono che non si può vivere solo fra strade e palazzi e impongono di annullare l'edificabilità nel centro di Manhattan, dove nasce il famoso Central Park. Le grandi città creano regole precise: a Parigi succede nel 1853, l'anno dopo a Barcellona, a Vienna nel 1859. In Italia per avere una legge urbanistica bisogna aspettare addirittura il 1942, legge che appena nata viene paralizzata dalla guerra fascista prima, dal dopoguerra democristiano poi, successivamente dalla egemonia di una Destra «purtroppo molto diversa da quella degli altri paesi europei ». È nostra storia recente l'obbrobrio della «urbanistica contrattata» fra imprenditori e amministratori e/o segreterie dei partiti, lo svuotamento dei poteri locali, il mercato come misura di tutto e produttore di spaventoso disordine: lo sdraiarsi sguaiato (sprawl) di case casette supermercati capannoni strade, alloggi scarsi e costosi dove servono, ma vuoti nei paesi mal collegati, fitti altissimi, un popolo erratico che ogni giorno corre fra casa e lavoro, costretto a sperperare e a inquinare con 59 auto ogni cento abitanti (in Europa appena 50, con uso molto minore), import/ export e globalizzazione senza freni inquinano e impoveriscono le colture locali. Nonostante tutto, Salzano crede fermamente che un giorno anche l'urbanistica possa essere patrimonio culturale condiviso ed espressione dei reali bisogni dei cittadini.

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