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Le ragioni delle mie dimissioni dall'INU

Alcuni sinceri amici mi hanno chiesto di chiarire e motivare, in forma più esplicita di quanto contenuto nella mia lettera del 28-2-2005 inviata al Direttivo dell'INU Lombardia, le ragioni delle mie dimissioni dall'Istituto.

Accetto l'invito, sforzandomi di chiarire, nella forma più breve e sintetica possibile (più si scrive, in questa materia, più si dà adito ad occasioni d' equivoco) le ragioni di fondo del mio dissenso con la linea cultural-politica seguita in questi ultimi anni dalla dirigenza nazionale e regionale dell'INU.

Nulla ovviamente, mi sembra quasi inutile ricordarlo, contro l' Istituto.

I motivi del mio dissenso possono essere sintetizzati in due punti tra loro fortemente correlati.

Punto primo.

In questi ultimi anni, in particolare a partire dagli anni '80, si è manifestato in Italia un intenso dibattito critico sull'urbanistica, affrontata e giudicata sia come disciplina, che come metodologia di pianificazione, che come prassi tecnico-amministrativa che come risultato pratico-applicativo. Si è trattato di un dibattito molto ricco, vasto, se pur ristretto a pochi, ma anche confuso e contraddittorio, sul quale hanno pesato non poco, da un lato l'assenza del Paese, da un lato l'inerzia dei vari Governi nazionali succedutisi nel tempo che non hanno voluto e saputo dare al Paese quella "riforma urbanistica" resasi assolutamente necessaria almeno a partire dal 1968 (necessaria se non altro per metterla in regola con la Costituzione), e, dall'altro lato, le oggettivamente complesse trasformazioni culturali, istituzionali, legislative, economiche sviluppatesi nel frattempo vicino e a lato della disciplina urbanistica che premevano per una sua profonda riforma. Ma anche periodo nel quale è maturato, positivamente, l'affermarsi e l'affacciarsi di una nuova cultura e di una nuova pressante domanda rivolta a trasformare e orientare sempre più la disciplina urbanistico-territoriale verso le tematiche dell'ambiente e del paesaggio, del rapporto sviluppo-ambiente, impegnandola ad apportare concreti contributi all'obiettivo dello "sviluppo sostenibile" (si pensi al XX Congresso Nazionale di Palermo del 1993).

Indubbiamente si deve riconoscere all'INU di avere saputo fornire, in questo periodo, un fondamentale contributo di contenuti e qualità a questo dibattito con l'elaborazione del disegno di riforma urbanistica nazionale (XXI Congresso di Bologna, novembre 1995, "La nuova legge urbanistica. I principi e le regole"). Sicuramente questo disegno (anche se con qualche debolezza relativa alla riflessione sul versante ambientale) ha saputo costituire un fondamentale ed unico punto di riferimento - in assenza della auspicata emanazione della legge-quadro - alla recente legislazione regionale "di seconda generazione" nonché a indicare la via per una positiva riflessione sulla necessità di trasformazione dello strumento urbanistico comunale.

In analoga assonanza con il generale trend evolutivo "politico" che ha investito e contrassegnato l'intero Paese in questi ultimi anni, sono uscite e si sono manifestate, relativamente al dibattito sulla pianificazione urbanistico-territoriale, due linee tra loro fortemente divergenti: l'una, quella riformista tradizionale, in forte crisi di contenuti e in forte affievolimento di capacità propositive, l'altra, politicamente "di destra", rivolta a contrabbandare sotto false etichette di "riforma" o di "innovazione" una aggressione alle regole della buona amministrazione del territorio effettuato in nome di un rozzo liberismo antipianificatorio, per lo più ideologico, che considera la pianificazione urbanistica sino ad ora praticata non come una cosa da migliorare e da fare avanzare - da innovare e riformare - quanto come una attività del tutto negativa, eccessivamente rigida e vincolistica, tutta da negare e da buttare, avendo come unico obiettivo finale quello dell'indebolimento dell'azione "pubblica" di programmazione e di difesa del territorio per favorire la massimizzazione delle possibilità di trasformazione e edificazione dei suoli affidata e promossa dalla parte privata, spogliandola il più possibile di norme, regole, limiti qualitativi e quantitativi, vincoli ambientali e ricognitivi e programmi, attraverso una gestione urbanistica di volta in volta "concertata" (ovvero contrattata) con i privati.

Quello che critico alla attuale dirigenza dell'INU, nazionale e regionale, è di non essersi saputa/voluta opporre con la dovuta forza ed ad alta voce, esercitando anche la dignità propria di organismo tecnico di alta cultura, a questa linea cultural-politica che ha dimostrato e dimostra di perseguire in realtà come unico obiettivo non solo la distruzione e lo svilimento delle regole della disciplina urbanistica ma anche, e soprattutto, la rimozione di qualsiasi ostacolo possa opporsi alla libera distruzione, alla privatizzazione e al saccheggio del territorio e di tutte le sue risorse fisiche e culturali. (Ben più alta si è saputa levare, a denunciare la pericolosità di questa linea, la voce di Italia Nostra o del FAI).

Critico il fatto di aver contribuito a lasciar passare o confondere quest'ondata di feroce, rozzo e ideologico "controriformismo urbanistico e ambientale" o di "falso riformismo" con le vere necessità di una seria "riforma" e avanzamento disciplinare.e di aver consentito a lasciare contrabbandare come operazioni di "ammodernamento ", come scelte di "innovazione", come proposte "ambientali", scelte rivolte in realtà allo "smantellamento" dei pochi solidi pilastri costruiti e fondati in tutti questi anni.

Non è affatto vero che siamo entrati in Italia - come scrive Avarello in "Urbanistica Informazioni", n. 197/2004 - in una "stagione di rinnovamento profondo". Basti pensare al fatto che tutti i nodi strutturali irrisolti dei quali ha sofferto e soffre l'urbanistica sono rimasti inaffrontati e accantonati, mentre si è piuttosto di fronte a una chiara ondata di confusa "controriforma" e di "smantellamento" di ogni regola di pianificazione urbanistica, territoriale e ambientale.

Punto secondo.

Molte delle argomentazioni critiche emerse ed usate in tutto questo dibattito, provenienti dalla destra più bruta e radicale come anche - in preoccupante consonante alleanza - dalle più astratte critiche provenienti dal mondo accademico, hanno teso a criticare e demolire tutta la legislazione, la pratica e le metodologie utilizzate dall'urbanistica costruite faticosamente in questi anni, dalla legge-ponte in poi. Di tutto il positivo, anche se incompiuto e frammentato, lavoro di costruzione, si è voluto negare e distruggere tutto (concetti, metodologie, strumenti). Tutto è stato criticato, svilito, negato, azzerato con l'evidente obiettivo di fare piazza pulita di ogni regola o ragione urbanistica.

Eppure è da tutto questo lavoro che si sono poste le basi per fondare e costruire quella prima alfabetizzazione della pianificazione territoriale-ambientale con la quale si è potuto operare negli anni recenti.

Quello che critico alla attuale dirigenza dell'INU è la mancata difesa di quanto di buono, di necessario e di essenziale, con grande fatica e con aspre battaglie culturali, si era riusciti a costruire e introdurre nelle leggi e nelle prassi, soprattutto regionali, a partire dalla legge-ponte in poi e che doveva essere assolutamente conservato e sviluppato per una vera e positiva riforma..

Perché non si è difeso nulla di tutte queste acquisizioni e conquiste nelle quali, oltretutto, l'INU si era fortemente speso e impegnato in prima fila nel passato?

Perché si scrive, come fa Avarello sempre nello stesso numero di "Urbanistica Informazioni" - assecondando di fatto i più rozzi argomenti cavalcati dai peggiori e più interessati detrattori delle pratiche urbanistiche - che "la nostra missione (è quella) di cancellare l'immagine cupa, noiosa e burocratica dell'urbanistica"?

Sia ben chiaro che non chiedo all'INU di schierarsi "politicamente" contro questa "destra" dilagante. Anche perché in questo momento quella che fu in passato una linea di "sinistra" appare essersi dissolta, volatilizzata e rimasta senza voce.

Esco dall'INU perché ritengo che la sua voce "tecnico-culturale" e di "civile impegno" sul fronte delle battaglie pubbliche per la pianificazione e per la difesa del territorio e dell'ambiente nell'interesse collettivo si sia ormai affievolita e trasformata al punto - non si sa se più per opportunismo o più per sincero convincimento - da confondersi con questa intollerabile e pericolosissima deriva che ci sta portando diritti diritti verso quella legge Lupi che segnerà la fine dell'urbanistica in Italia.

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