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Dopo 17 anni dall’inizio dei lavori e 6 miliardi di euro già spesi, sabato 3 ottobre 2020, le paratie del Mose sono state azionate, seppur ancora in modalità test, perché l’opera non è stata completata.

L’operazione di innalzamento delle barriere ha consentito al livello dell’acqua in laguna di fermarsi a 73 cm. sul l.m.m., lasciando quindi all’asciutto l’isola, mentre in mare aperto il livello segnava 120 cm.

Parlare del successo del MoSE, come le istituzioni si ostinano a fare, senza entrare nel merito delle criticità intrinseche all’opera, al rapporto costi e benefici o ancora peggio rispetto agli obiettivi che l’opera si prefigge, cioè di ridurre drasticamente l’allagamento di Venezia in condizione di acqua alta ricorrente, é un insulto al sapere scientifico e all’interesse di Venezia bene comune, nonché della comunità che la abita.

Eddyburg ha raccolto nella cartella MoSE molti articoli che permettono di ricostruire la costante critica al sistema MoSE espressa da scienziati, esperti e comitati: evidenziandone i limiti e i problemi tecnici inerenti all’opera in se; sottolineando gli impatti ambientali che questa mastodontica costruzione ha provocato alla Laguna; riproponendo le soluzioni alternative che potevano e ancora possono essere messe in campo per la salvaguardia della Laguna e della città; e non dimenticando l’enorme spesa pubblica sostenuta per la realizzazione di un’opera che non è in grado di assolvere il problema dell’acqua alta ricorrente e ha alimentato un sistema di corruzione e illeciti.

Qui suggeriamo una breve raccolta degli articoli più significativi:

Per un approfondimento sull’alternativa al Mose si leggano gli articoli “Venezia, progetto MOSE: la vera alternativa” (2018) di Armando Danella e “Ancora il MoSE, e l’alternativa” (2019) di Cristiano Gasparetto.

Alcuni articoli per approfondire il rapporto tra MoSE e politica, inclusi I finanziamenti: “Il Mose, storia di un conflitto tra interesse privato e natura” (2005) di Edoardo Salzano, “Mose, la storia di un monopolio che inizia trent'anni fa” (2017), "MoSE-CVN: ieri e oggi. Come si dirottano i finanziamenti"(2017) e “Mose: il buco nero dei finanziamenti pubblici” (2018) di Alberto Vitucci.

Infine un approfondimento sugli errori e dubbi tecnici dell’opera: “MoSE: prima che sia troppo tardi” (2010) di Armando Danella, “MoSE. L’ingegnerizzazione della salvaguardia di Venezia” (2017) di Paolo Cacciari, un’analisi dell'ideologia, delle strategie, degli strumenti amministrativi e tecnici, grazie ai quali la salvaguardia della Laguna di Venezia si è tradotta nella sua distruzione e in un gigantesco affare per pochi.

Dopo 54 anni dall’ “Acqua granda” del 4 novembre 1966 e dopo 11 mesi dalla seconda alta marea eccezionale di sempre - 1,87 cm. sul l.m.m. - del 12 novembre 2019, dopo 17 anni dall’inizio dei lavori, quasi 6 miliardi già spesi - di cui uno in corruzione - oggi le paratie del Mose, in quello che è stato definito dal Provveditore alle Opere Pubbliche C. Zincone come uno stress-test, sono state messe in funzione.

Per effetto della barriera creatasi con le 78 paratie tra Laguna e il mare, al mareografo di Punta della Dogana la marea si è fermata a 73 cm. sul l.m.m., lasciando all’asciutto Piazza San Marco e tutta la città, mentre in mare aperto il livello segnava 120 cm.


Gli altri test del sistema Mo.S.E., con tutte le paratoie alle tre bocche di porto in azione (il 10 luglio e l’11 settembre scorsi) erano stati effettuati in situazione di “morto d’acqua”, senza vento e mare mosso e nessun stress per le dighe; oggi invece era prevista un’acqua alta sostenuta, con forte vento di scirocco, fino a 135 cm. sul l.m.m., e l’effetto barriera ha funzionato.

Moderata soddisfazione da parte della Commissaria Spitz e della Provveditrice alla Opere Pubbliche, che ha subito chiarito che si trattava di un test: infatti domani e lunedì, quando sono previsti 115 e 110 cm. sul l.m.m. le paratoie non saranno attivate, lasciandoci a “passerelle e stivali”.

La quota di progetto per la messa in funzione del sistema è di 110 cm. sul l.m.m, ma fintantoché le opere non saranno concluse (mancano gli apparati elettromeccanici definitivi) e collaudate, le dighe saranno attivate, in modalità appunto di stress-test, solo con una previsione di almeno 130 cm. sul l.m.m..

E’ evidente che la lobby del Mo.S.E. e i politici che hanno sempre sostenuto la grande opera si stanno gestendo l’evento come prova che il sistema Mo.S.E. funziona e che è in grado di salvare Venezia.

Noi ribadiamo le innumerevoli criticità del sistema Mo.S.E, i cui lavori sono iniziati senza un progetto esecutivo (con progetto definitivo ed esecutivi per stralci), con Valutazione di Impatto Ambientale negativa ed escludendo ogni confronto con altri progetti meno costosi e più efficaci, con costi di manutenzione esorbitanti, intorno ai 100 milioni di euro l’anno.

La criticità più importante è riferita alla risonanza subarmonica delle paratie: e cioè in situazioni meteo-marine particolari, importanti, ma non estreme, con onde alte 2,5 m. e con una frequenza di 8 secondi, che non era la situazione meteomarina di questa mattina, le paratie, che sono affiancate l’una all’altra, cominciano ad oscillare e a diventare instabili, rendendo vano l’effetto barriera.

Ma il limite più importante del sistema, che ci fa sostenere che non salverà Venezia e la sua Laguna, è l’innalzamento dei livelli del mare.

Saranno i cambiamenti climatici ad affondare il Mo.S.E.


Il Mose è stato ideato per funzionare qualche volta l’anno e per maree oltre i 110 cm. sul l.m.m., basandosi (in sede di progetto definitivo del 2003) su previsioni errate (già nel 1995 l’IPCC diceva ben altro): su una previsione al 2100 di un innalzamento del medio mare di soli 22 cm. - 17 per eustatismo e 5 per subsidenza -.

Come stiamo vedendo in questi ultimi anni di eventi meteorologici estremi, purtroppo, e per nessuna o quasi inversione di rotta sul sistema economico/produttivo basato sui combustibili fossili che producono gas da effetto-serra, l’innalzamento dei mari sarà nei prossimi decenni molto superiore.

Le paratie del Mo.S.E dovranno essere in funzione centinaia di giorni l’anno, separando per troppo tempo il mare dalla Laguna, provocando la morte biologica dell’ecosistema e facendo morire le attività portuali.

É per questo che purtroppo la soddisfazione odierna di girare per la città all’asciutto o il trionfalismo dei fans del Mo.S.E., si riveleranno effimeri in pochi anni.


Ribadiamo la necessità di istituire una Authority indipendente che analizzi le criticità del Mo.S.E., che vari un piano, condiviso con la popolazione, per combattere i cambiamenti climatici, che riguarderanno presto non solo la Laguna, ma l’intero Alto Adriatico.

Pensiamo al ripristino della morfologia lagunare, bloccando i nuovi scavi di canali navigabili per ridare equilibrio idrogeologico ed idrodinamico alla Laguna.

Riconsideriamo gli interventi per insule, con l’intento di rialzare i piani di calpestio delle fondamenta ed il rialzo dei piani terra degli edifici.

Imponiamo finanziamenti per la ricerca indipendente su interventi di immissione di fluidi negli strati geologici profondi, volti al sollevamento del sottosuolo lagunare veneziano: studi sull’applicazione di tecnologie esistenti all’area lagunare che non sono mai stati fatti, proprio per privilegiare il Mo.S.E.

E soprattutto chiudiamo la pagina nera della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova per tutti i lavori in Laguna.

Il monopolio per gli studi, le sperimentazioni, le progettazioni, i lavori e pure i controlli è stata la causa del più grande scandalo del secolo, con un miliardo di € sottratti alle casse dello Stato, proprio per far approvare e proseguire con un progetto costoso, dannoso per l’ambiente e sbagliato e che si rivelerà inutile di fronte ai cambiamenti climatici, nonostante l’effimero successo del test di oggi.

Le piazze d'Italia, spazi pubblici per eccellenza, sono emblematici del livello di democrazia, libertà di pensiero, inclusione, rispetto e civiltà di un popolo. Oggi, una delle più celebri piazze d'Italia, Piazza San Marco, è diventata il simbolo del cambiamento profondo che è avvenuto: dalla libertà alla discriminazione, all' impossibilità di esprimere un'opposizione secondo le regole stabilite dalla costituzione. (e.s)

Di seguito il rifiuto del prefetto di Venezia alla richiesta del Comitato No Grandi (e di altre 21 associazioni cittadine e alcuni esponenti delle istituzioni e della cultura) di concludere la manifestazione di domani, sabato 8 giugno in Piazza San Marco.
«Ho letto con molta attenzione la lettera-appello con la quale mi viene chiesta la possibilita di concludere la manifestazione di sabato 8 giugno in piazza san marco.
Vi devo dire che ho apprezzato moltissimo il tono fermo ma civile con il quale avete avanzato una richiesta che, anche a mio avviso, é sostenuta da ragioni ormai a tutti evidenti.

Colgo nel vostro appello una tensione verso i beni della tutela ambientale e della città che condivido anch'io e per i quali mi batterò sempre.

E', come dite voi, "successo quello che non doveva succedere" ed é successo proprio nel giorno simbolicamente più pregnante in cui la Città si sposa con ii Mare.

II comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica garantirà come ha sempre fatto il vostro diritto a manifestare e lo farà nel modo più ampio e garantista sapendo sin d'ora che nessun oltraggio e nessun danno possono derivare a Venezia dalla libera espressione di un diritto costituzionalmente garantito quale é quello di manifestare in modo civile e pacifico il proprio pensiero.

Sono certo che la manifestazione sarà ampiamente partecipata e che avrà, come é giusto, una risonanza nazionale e internazionale.

La piazza di San Marco da molti anni non e più aperta a manifestazioni di carattere politico e questo a seguito dei fatti che molti anni orsono (1997) hanno oltraggiato quel luogo. Derogare alle intese che allora furono trovate tra tutte le forze politiche locali e nazionali significherebbe tornare ad esporre il luogo più bello e fragile della città alle dispute dei partiti, di tutti i partiti e movimenti politici che hanno molti altri siti sia in centro che nella terraferma dove poter manifestare le loro idee.

L'incidente di domenica scorsa segna uno spartiacque tra un prima e un dopo il 2 giugno 2019. Tutte le istituzioni hanno ora la consapevolezza che il transito di certe navi nel canale della Giudecca é pericoloso e che non si può perdere altro tempo per trovare una soluzione anche temporanea al problema.

Non smetterò di adoperarmi e di mettere a disposizione tutte le risorse mie personali e della Prefettura per agevolare ii percorso che possa portare in tempi brevi ad una soluzione che tuteli gli interessi ambientali, della città e dei lavoratori delle navi da crociera. Un percorso che possiamo fare assieme per il bene di questa città e della sua laguna. »

Dopo l'incidente di domenica mattina, nel quale una gigantesca nave da crociera ha investito un' imbarcazione e si è schiantata contro la riva, è stata indetta una manifestazione contro le grandi navi in Laguna. E' dal 2006 che A Venezia ci si oppone a questi mostri d'acciaio, pericolosi, inquinanti, devastanti. Non mancherebbero provvedimenti ai quali appellarsi per tenere fuori le navi, ma le istituzioni non esercitano i loro poteri, colluse come sono con gli interessi economici dominanti. Domani tutti alle Zattere, ore 16.00, anche se il prefetto ha negato il permesso di concludere il corteo a Piazza San Marco, luogo aperto a tutti i turisti e mercanti ma non a chi protesta!

Per ulteriori informazioni e aggiornamenti: comitato no grandi navi

Un'iniziativa straordinaria per far uscire Venezia dalla situazione di stallo e decadenza sociale in cui sembra essersi infilata. Chi è interessato legga e se possibile intervenga alla grande Assemblea pubblica il 18 maggio 2019. (m.b.)
Cari affezionati frequentatori di Eddyburg, specie se veneziani o amanti di Venezia, queste brevissime note vogliono informarvi su una iniziativa di cui moltissimi cittadini da tempo sentono la necessità: mettere insieme le idee e le forze per far uscire Venezia dalla situazione di stallo e decadenza sociale in cui sembra essersi infilata. L’iniziativa intende lavorare ad un percorso che abbiamo chiamato Per un’altra città possibile e intende iniziare questo lavoro collettivo attraverso una grande Assemblea pubblica il 18 maggio 2019.
Per un’altra città possibile
Venezia insulare e mestrina attraversano oggi un periodo di grande vivacità. Moltissime associazioni, comitati, gruppi e anche singoli cittadini si stanno attivando non solo per rappresentare lo scontento e la critica per le molte cose che non vanno, ma soprattutto per esprimere idee di cambiamento e proporre azioni concrete per rendere possibili i cambiamenti desiderati. Dunque la città è ancora viva e piena di idee, di saperi e di voglia di agire. Ma la collettività urbana è anche assai frammentata e i molti rivoli non riescono a dar luogo ad un grande, potente e ben riconoscibile fiume.
Perché una Assemblea cittadina?
L’Assemblea del 18 maggio vuole essere l’inizio di un percorso per cercare di mettere insieme questa ricchezza e per dare forma a un’idea condivisa di futuro per Venezia e Mestre. Non un’idea astratta, ma la proposta di una città possibile, che attinga a questo patrimonio di esperienze pratiche, di conoscenze e di speranze. Un’idea di città capace di essere riferimento obbligato per le amministrazioni che verranno. La cittadinanza attiva è infatti la risorsa più preziosa per indicare le possibili strade e i metodi per riportare al centro i bisogni della comunità reale.
In preparazione dell’Assemblea moltissime realtà esistenti nel nostro territorio sono state contattate attraverso le staffette e hanno aderito alla prospettiva di provare a mettere in piedi una grande rete che a partire dall’Assemblea del 18 maggio consenta di discutere idee e proposte insieme a tutti i cittadini e le cittadine che vorranno intervenire. Per favorire la raccolta delle idee da cui partire il 18 maggio, le staffette hanno chiesto alle realtà contattate di declinare i loro interessi e le loro proposte secondo tre grandi aree tematiche: la questione dei beni comuni, la questione della vivibilità urbana e la questione delle pratiche di democrazia. Tre aree fatte di molte componenti, che tutte sicuramente hanno a che fare con i caratteri e l’organizzazione dell’altra città possibile.
Chi sono le staffette?

Un buon numero di persone appartenenti a diverse associazioni si sono impegnate a contattare le esperienze presenti in città, ascoltando percorsi, progetti, pratiche in vista dell’Assemblea. Le staffette sono dunque ascolto e collegamento. Ascoltare è infatti il primo passo necessario per costruire una voce collettiva, dove ognuno possa avere la propria parte. Comitati e associazioni sono stati incontrati, talvolta più volte, in altri casi è bastato poco per intendersi. Oltre all’ascolto sono stati consultati i documenti prodotti e pubblicati in rete dal mondo associativo. Già da questa esplorazione sono emersi priorità e contenuti condivisi che, riportati nell’articolazione interna delle tre aree tematiche generali, aiuteranno l’avvio della discussione del 18 maggio.

Che cosa succederà il 18 maggio?

Nell’Assemblea il compito che ci attende è quello di lavorare in piccoli gruppi attorno a un tavolo, facendo tesoro della ricchezza e delle idee che già esistono. Ci saranno ovviamente molti tavoli e occorrerà un buona organizzazione. Il metodo scelto per il funzionamento dell’Assemblea è quello, ben sperimentato, del town meeting, che aiuterà il confronto e la raccolta delle idee e permetterà una sintesi efficace. Si partirà dai temi registrati dalle staffette nel lavoro di ascolto e dagli spunti di discussione derivanti dalla ricognizione dei documenti del mondo associativo, organizzati nelle tre tematiche generali prima ricordate. Per ogni tema saranno poste inizialmente alcune domande, con la funzione di avviare il dibattito. La discussione di ogni tavolo, assistita dalla presenza di un “facilitatore” è collegata in rete con un tavolo centrale dove esperti “partecipatori” cureranno la sintesi e la comunicazione in tempo reale a tutti gli altri tavoli. Saranno anche possibili altre forme di interlocuzione: ad esempio attraverso il proprio smartphone si potranno assegnare priorità e preferenze alle opzioni che sembrano promettenti. In ogni caso ampio spazio sarà dedicato ad un tema cruciale, cui tutti tengono molto: come continuare?

Al termine dell’incontro, dopo pochissimo tempo, gli esperti partecipatori renderanno disponibile per tutti una sintesi delle cose dette, con il riconoscimento dei temi risultati più rilevanti e più coinvolgenti e la definizione condivisa del modo di andare avanti con il lavoro di approfondimento e di proposta. In vista di arrivare, a ottobre o novembre, ad una convincente definizione dei caratteri e del funzionamento della città che vogliamo e, insieme, del ruolo dei cittadini nella scelta delle priorità e nella gestione dei beni comuni.

Dove e quando?
L’Assemblea avrà luogo il 18 maggio presso il Padiglione Antares - VEGA Parco scientifico tecnologico di Venezia, via della Libertà 420-746 Venezia
Ci si arriva facilmente in treno, in autobus in automobile e anche in bicicletta (con la necessaria prudenza).
Inizieremo alle ore 14.45 e finiremo alle ore 19.00
Siete tutti invitati, non mancate!
Con molta cordialità, la staffetta Maria Rosa Vittadini
Ps. A breve sarà disponibile il sito https://www.unaltracittapossibile.it/ dove materiali raccolti e testi “in progress” saranno messi a disposizione di tutti gli interessati. Nello stesso sito saranno pubblicati i documenti, i risultati e i futuri impegni maturati nell’Assemblea del 18 maggio.

il Fatto Quotidiano, 1 Febbraio 2019. Qui tutte le questioni aperte a Venezia: turismo, residenza, cambi di destinazione d'uso, inquinamento di aria e acqua, grandi opere, e il grande assente, il Piano Morfologico della Laguna, che tutto questo avrebbe dovuto contribuire a regolare. (m.p.r.)

Banfi o non Banfi, l’Unesco è un ente serio: a giugno la conferenza annuale a Baku dovrà decidere se annoverare Venezia tra i “Patrimoni dell’Umanità in pericolo” (insieme ad Aleppo e Leptis Magna) per il mancato rispetto delle raccomandazioni esposte in un denso studio del 2015, degno emulo del Rapporto Unesco su Venezia uscito giusto 50 anni fa. In tempi recenti, Vienna e Liverpool sono state retrocesse per molto meno, per singoli progetti edilizi discutibili: a Venezia, è tutta la gestione della città ad andare nel senso sbagliato, come denunciano in un imminente e-book Giuseppe Tattara, Roberta Bartoloni, Gianni Fabbri e Franco Migliorini, autori anche di un libretto dal titolo Governare il turismo.
Proprio sul turismo, l’amministrazione Brugnaro sembra voler far cassa e confondere le acque: la “tassa di sbarco”, da applicare chissà come ai singoli avventori, mentre si poteva semmai agire sulle agenzie e sui gruppi; le campagne di manifesti per il decoro urbano e i tornelli giù dal ponte di Calatrava, del tutto inefficaci; altri 9.000 posti-letto nuovi di zecca a Mestre, che vanno ad aggiungersi ai 7.500 già esistenti e ai 37.500 complessivi (a spanne) della città storica. Si poteva intraprendere invece una regolamentazione (anche di Airbnb) come a Parigi, Barcellona, Amsterdam, e varare un sistema di prenotazioni gratuito online atto a contenere gli escursionisti giornalieri, che sono ormai i 2/3 dei visitatori e costano più di quanto rendano.

Intanto, continuano i cambi di destinazione d’uso degli immobili (pratica deleteria iniziata con le giunte Cacciari degli anni 90); più del 70% degli acquisti di case a Venezia sono fatti da non residenti (muoiono così i negozi di vicinato, intere aree della città si spopolano e si dimezzano i posti-letto all’ospedale); vengono osteggiate le esperienze associative dal basso, come la colletta per una gestione condivisa dell’isola di Poveglia o la co-gestione partecipata dell’ex teatro anatomico della Vida in Campo San Giacomo (in quest’ultimo caso, lo sgombero è addirittura avvenuto con la forza pubblica contro artisti e passeggini).

Peggio va per le arie (inquinate quanto quelle di Padova) e soprattutto per le acque: al Lido si posa l’ultima paratoia del Mose (assurdo mastodonte che, come la stessa Unesco ventila, si rivelerà inutile a fronte dell’innalzamento dei mari), nei canali si fa ben poco per regolare la velocità dei natanti a motore (pochissime le multe) e in Laguna si tengono le Grandi Navi, che da anni continuano a passare dinanzi a Palazzo Ducale in spregio alle dichiarazioni dei politici e – così un dettagliato studio di Tattara – alla stessa convenienza economica della città. Ora le si vuole dirottare nella prima zona industriale di Marghera (un luogo, per inciso, tutto da bonificare, prima di una fantomatica “riconversione”), facendole passare nel Canale dei Petroli e nel Canale Vittorio Emanuele III, i quali andranno entrambi scavati fino ad arrivare a 260 metri di ampiezza, e consolidati con argini di pietra solidi e irreversibili. Una decisione, questa, che, oltre a generare prevedibili difficoltà di ingorgo e rischi di collisione con le navi merci, taglierà definitivamente in due la Laguna asportando 7-8 milioni di metri cubi di sedimenti e approfondendo i noti e riconosciuti danni idrogeologici causati dagli scavi dei canali degli anni 60.

Secondo Stefano Boato, per anni anima della Commissione di Salvaguardia, le delibere comunali in questo senso (al pari di quelle che varano la seconda pista dell’aeroporto di Tessera, tramite l’interramento di pezzi di Laguna) sarebbero senza mezzi termini illegittime (pare che lo stesso ministro Costa abbia chiesto chiarimenti): di certo, il dossier Unesco del 2015 chiedeva l’opposto.

A oggi manca ancora il Piano morfologico della Laguna richiesto a gran voce dall’Unesco: nel 2018 la Commissione Vas ministeriale ha bocciato quello partorito dal Corila (l’apposito organo del Consorzio Venezia Nuova, travolto dallo scandalo Mose ma recentemente rifinanziato e di nuovo pronto a elargire i suoi denari a università e centri studi), le cui mostruosità furono denunciate, per tempo e nel dettaglio, da Italia Nostra e dalla sua presidente Lidia Fersuoch. Per le Grandi Navi una prima soluzione – ventilata dallo stesso rapporto Unesco del 2015 – ci sarebbe: la creazione di un apposito terminal off-shore, auspicato da anni dai veneziani più avveduti sulla base di dettagliati progetti che hanno avuto anche l’assenso della commissione Via.

In uno scenario che assomiglia a quello prefigurato da Vittorio Gregotti vent’anni fa (“gestire la ricca decadenza come fenomeno turistico”), scompare la Repubblica fondata sul rispetto e il governo delle sue acque e sulla gestione sapiente delle problematiche sociali; sembra non si voglia cogliere l’opportunità di creare (decisivo, in questo senso, il destino ancora incerto dell’Arsenale) una nuova “città della conoscenza” che non si risolva nella portaerei della Biennale ma porti ricercatori e studiosi di mare, di arte, di lingue, di futuro a stabilirsi qui per periodi medio-lunghi, ridando fiato a una residenzialità che non sia d’assalto.

È questo il sogno che ancora tenacemente coltiva, dalla sua casa di Campo Santa Margherita, uno dei massimi urbanisti italiani, il novantenne Edoardo Salzano, animatore del prezioso sito eddyburg.it e protagonista delle pagine finali, e più commoventi, di Non è triste Venezia di Francesco Erbani (Manni 2018).

Tratto da Il Fatto Quotidiano.

Un ampio articolo sui conflitti a Venezia e nella sua Laguna, e della resistenza dei sui abitanti alla turistificazione, mercificazione, svendita e al degrado fisico, politico, sociale e ambientale. Prende spunto da due libri recenti "La Venezia che vorrei" curato da Elisabetta Tiveron e Cristiano Dorigo e "Non è triste Venezia" di Francesco Erbani. Qui il link. (i.b.)

AmbienteVenezia, 19 novembre 2018. Le propensioni del governo a spostare le navi a Porto Marghera sollevano forti preoccupazioni. Sono scelte frutto di iniziative lobbistiche, interessi particolari, visioni settoriali e non sulla conoscenza della laguna. Con riferimenti (i.b.)

Il Ministro Danilo Toninelli chiede una integrazione di documenti sulla questione delle grandi navi crociera a Marghera, ipotesi emersa nell’ultimo Comitatone di un anno fa.


Qualunque sia l’approccio che il neo Ministro alle Infrastrutture Toninelli intenda assumere sul tema veneziano (che auspichiamo essere coerente con la campagna elettorale del suo movimento che indicava le grandi navi crociera fuori dalla laguna) dovrà comunque prendere atto di un contesto della ricostruzione procedurale in cui:
Oggi esistono tutte le condizioni per estromettere dalla Laguna le grandi navi crociera, smarcandosi da quegli interessi di parte predatori del bene pubblico, in coerenza con la dichiarazione comune del’ottobre scorso dei Ministri Toninelli, Costa e Bonisoli: “garantiremo piena tutela ambientale, culturale e paesaggistica, mantenendo Venezia quale primario polo crocieristico italiano”.
Perseverare con manovre dilatorie o con altre ipotesi che dovessero profilarsi all’interno della Laguna il “governo del cambiamento” si renderebbe responsabile di creare una inaccettabile situazione di stallo che, a distanza di oltre 6 anni dal decreto Clini-Passera, consentirà di fatto per ancora tanti anni il transito delle grandi navi crociera attraverso il bacino di S. Marco ed il canale della Giudecca.

Riferimenti

Qui una sintesi della lunga vicenda delle grandi navi, dal 2012 con l'emanazione del decreto Cini-Passera alla vigilia dl nuovo governo Lega-5 Stelle: "La soap opera delle grandi navi" di Giulio Marco (Febbraio 2018).
Sulla gravità delle ripercussioni ambientali del progetto di Marghera, a favore del quale sembra essere anche il governo oltre che l'Autorità Portuale e gli interessi del crocerismo si legga "Grandi navi a Porto Marghera, progetto ad alto rischio" (Luglio 2017) di Andreina Zitelli
Sul famoso Comitatone del 7 novembre 2017 si legga "Grandi navi. Le voci per il bene comune e quelle degli interessi privati" di Lidia Fersuoch.
Vogliamo inoltre ricordare lo straordinario risultato del referendum popolare autogestito del 18 giugno 2017, a cui hanno votato 18.105 persone (80% per veneziani), il cui 98% si è espresso contro le grandi navi in Laguna. Qui il comunicato stampa a cura di Cittadini per l’aria onlus con Ambiente Venezia, e Comitato No Grandi Navi-Laguna bene comune, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, Italia Nostra (Venezia), Movimento dei consumatori (Venezia) e We are here Venice. E anche un articolo di Giuseppe Pietrobelli "Venezia, in 18mila al referendum contro le grandi navi: “Risultato inatteso, porteremo i voti alle istituzioni”.
Segnaliamo inoltre perchè eddyburg ritiene fondamentale contrastare tutti i progetti che mantengono le navi nella Laguna di Venezia: "Venezia: perchè "No alle grandi navi" di Ilaria Boniburini e Edoardo Salzano (Settembre 2018).
Infine, sulle negative ripercussioni delle grandi navi e del turismo che esse portano si legga l'articolo di Clara Zanardi "Oltre la Nave. Sull'impatto antropico del crocerismo" (Geennaio 2018). (i.b.)

Dalla grande acqua alta del 1966, che minacciò di distruggere Venezia e la sua Laguna, si è compreso che una delle cause principali della catastrofe era costituita dal Canale dei Petroli, e perciò il parlamento decise che andava dismesso e i fondali ripristinati. Mezzo secolo dopo, ci si propone addirittura di raddoppiarlo per far passare le grandi navi che entrando dalla bocca di Malamocco si dirigono a Marghera, dove il nuovo governo pensa di spostare il crocierismo! Non a caso questo passaggio è chiamato l'autostrada del mare, per le colate di cemento che saranno necessarie. Per saperne di più sull'importanza strategica della dismissione del Canale dei Petroli nell'equilibrio della Laguna e sulle opere di allargamento e irrigidimento che si ritornano a proporre si legga la lettera di Stefano Boato "Dal canale dei petroli".Fonte: Nell'immagine le Draghe per lo scavo del canale dei petroli anni ‘60 (qui il link da dove è stata presa la foto).




perUnaltracittà, 20 novembre 2018. L'acqua alta di ottobre, la quarta più alta dopo quella del 1966, è usata per rilanciare il sostegno al MoSE, un'opera che contravviene tutte le regole ed è stata criticata ad oltranza per la sua incapacità di risolvere il problema di Venezia. Qui il link all'articolo. E riferimenti. (i.b.)

Per un' approfondimento sull'alternativa al Mose si veda l'articolo "Venezia, progetto MOSE: la vera alternativa" di Armando Danella, di Ambiente Venezia, uno dei maggiori conoscitori critici della folle avventura del progetto MOSE.

Ricordiamo inoltre l'eddytoriale 174, nel quale abbiamo raccontato la storia vergognosa del MoSE, degli errori clamorosi che furono compiuti nella scelta di quella soluzione, delle ragioni perverse per cui altre soluzioni, migliori da tutti i punti di vista, furono scartate, del gigantesco edificio corruttivo che ha permesso di realizzarsi. E dei costi che la collettività aveva pagato e avrebbe continuato a pagare per un’opera che giù allora appariva inutile e dannosa. Armando Danella, nell'articolo sopracitato riprende e completa la narrazione della triste vicenda. La arricchisce con un suggerimento che condividiamo pienamente, e che qui riprendiamo testualmente:
«Dal momento che la sua [del MOSE] non funzionalità si potrà constatare solo in futuro ad opera ultimata, bisogna prefigurare un danno erariale a fecondità ripetuta mettendo sotto sequestro cautelativo il patrimonio di tutti quei soggetti, politici e tecnici, che con la loro firma su specifici documenti (documentazione depositata dal Comune di Venezia presso tutte le istituzioni interessate all’iter procedimentale del Mose) hanno contribuito a far sì che il Presidente del Consiglio Prodi e parte del suo governo respingessero le proposte alternative indicate dal Comune di Venezia nel 2006».
Per un'ampia analisi dell'ideologia, delle strategie, degli strumenti amministrativi e tecnici, grazie ai quali la salvaguardia della Laguna di Venezia si è tradotta nella sua distruzione (e in un gigantesco affare per una banda di pescicani) si legga l'articolo di Paolo Cacciari "MOSE. L’ingegnerizzazione della salvaguardia di Venezia".

Qui il link alla cartella dedicata al Mose, con tutti gli articoli raccolti dopo il 2013. Per quelli precedenti purtroppo occorre attendere un paio di mesi, quando saremo in grado di metterli a disposizione di nuovo.

Nell'ultimo capitolo del libro di Francesco Erbani “Non è triste Venezia", edizioni Manni, si raccontano le riflessioni, i punti di vista e le emozioni di Edoardo Salzano, che dagli anni Settanta del secolo scorso ha deciso di vivere a Venezia, dove ha insegnato ed è stato assessore dell'urbanistica. (p.d.)

Ora che camminare gli costa tanta fatica, quando non siede alla scrivania davanti al portatile e se non è impegnato ad aggiornare eddyburg, il sito che ha preso il suo nome, Eddy Salzano trascorre parte della giornata in poltrona con le gambe allungate su uno sgabello. Di fronte, oltre una porta a vetri, c’è un canale, il rio di Santa Margherita, e al di là del canale la fondamenta del Malcantòn. Contemplare l’acqua che scorre lentamente, senza l’ansia del moto ondoso, rasserena, come quando si guarda il fuoco che brilla in un camino. E se punta il cancello in ferro battuto che si apre sulla riva opposta, scrutando le abitudini di un signore inglese che salta su una canoa e se ne va vogando in canale, Eddy ricorda James Stewart in La finestra sul cortile.

Ma qui, alle spalle di campo Santa Margherita, non ci sono assassini da denunciare. Né voyeurismi da coltivare. C’è una Venezia quotidiana, rilassata e senza eccessi che rinnova in Eddy il gusto dell’osservazione, che è stato, ed è, un requisito indispensabile del suo mestiere di urbanista, il quale disegna, o anche solo immagina, una città a partire da ciò di cui le persone hanno bisogno, di che cosa fanno, di come si muovono e di quali relazioni intrattengono fra loro. «Ho sempre detto ai miei alunni che la città non è un aggregato di case, ma la casa di tutti»: gliel’ho sentito ripetere più volte e ora una volta di più. Lui parlava della città in generale, ma difficile non pensare che valesse per Venezia. Come pure il suo seguito: «L’urbanistica non è solamente una tecnica, ma un mestiere che impone di occuparsi dei tre aspetti racchiusi nella parola città: urbs, la città come ambiente fisico, civitas, la società che quell’ambiente vive, polis, il governo di quell’ambiente».
Eddy Salzano, classe 1930, sei figli, maestro nella sua disciplina, autore di libri tuttora fondamentali per chi ad essa si avvicina e anche di saggi di schietto impatto politico, professore e poi preside allo Iuav, fondatore, animatore e direttore del più seguito e autorevole sito che si occupi di città, territorio, urbanistica e ambiente, eddyburg, appunto, è stato assessore comunale a Venezia per dieci anni, dal 1975 al 1985, nelle giunte di sinistra guidate dal socialista Mario Rigo. Di quel periodo, lui che non è veneziano, conserva tante cose realizzate, tante conoscenze e anche gli insegnamenti che Venezia gli ha trasmesso e che hanno influenzato il suo punto di vista sul modo d’essere di una città e talvolta lo hanno anche modificato. Ne parleremo durante la chiacchierata che gli ho chiesto.
La casa di Eddy è a piano terra, ci si arriva varcato un portale di forme gotiche e attraversata una corte. Un tempo qui aveva il magazzino uno dei più stretti collaboratori dell’architetto Carlo Scarpa, Eugenio De Luigi, un artigiano abilissimo nel realizzare un particolare rivestimento parietale, il grassello, tanto apprezzato e ricercato da Scarpa. Prima che approdasse qui, Eddy abitava a due passi dall’Accademia. Segno di riconoscimento della sua casa era la bandiera arcobaleno, simbolo pacifista, che pendeva da una finestra. Ora nel portone che si apre sul canale è affisso un vessillo del comitato No Grandi Navi. Nella città lagunare Eddy, vezzeggiativo di Edoardo, è arrivato nel 1974. E da Venezia non è più andato via, salvo i periodi trascorsi a Kigali, la capitale del Ruanda, insieme a Ilaria, la sua compagna, che lì ha un insegnamento universitario. Due i motivi che lo avevano portato a Venezia: un incarico universitario propostogli da Giovanni Astengo, a sua volta maestro per generazioni di urbanisti; e la richiesta di Gianni Pellicani, allora dirigente comunista in città, di aiutare l’amministrazione a dirimere una questione di tecnica urbanistica abbastanza ingarbugliata.
Eddy faceva politica nella capitale da tempo. Era comunista e consigliere comunale. Scriveva per l’Unità. La sua matrice culturale era quella di Il dibattito politico e della Rivista Trimestrale, i periodici che raccoglievano le raffinate e anche cerebrali riflessioni di Franco Rodano, Claudio Napoleoni e di altri eminenti intellettuali comunisti provenienti da esperienze di vita e da un credo cattolico. Li chiamavano i cattocomunisti. A Roma era arrivato nel 1952 da Napoli, dove era nato e dove l’infanzia e l’adolescenza erano trascorse in una bellissima casa su corso Vittorio Emanuele e frequentando gli ambienti nobiliari cui la sua famiglia era legata. Suo nonno era Armando Diaz, il generale che ricostituì l’esercito italiano dopo Caporetto, che organizzò la resistenza sul Piave e condusse alla vittoria finale nella prima guerra mondiale. Eddy non lo conobbe, però, perché morì due anni prima che lui nascesse. Dalla famiglia e da quella Napoli, così come lui stesso le racconta, credo abbia ereditato un umorismo garbatamente tagliente e una certa fierezza di sé.
Ho scelto lui per chiudere questo viaggio veneziano perché, non immerso nella cronaca cittadina, Eddy riesce a raccordare il recente passato e il futuro prossimo di Venezia in maniera diversa da chi è coinvolto attivamente nel presente. Possiede uno sguardo vigile, al tempo stesso più dentro le vicende della città e più distante da esse. L’ho scelto anche perché la sua cultura gli detta una propensione a stringere in poche immagini, assai limpide, questioni complesse e a farne emergere l’essenza. Pochi tratti gli bastano per collocare un dettaglio di tecnica urbanistica dentro una scena in cui agiscono la storia e la politica e quel dettaglio si spoglia del proprio gergo e acquista un di più di senso che spiega tanti passaggi, illumina zone d’ombra, coglie la sostanza.
Inoltre lui ha scelto Venezia. E di mestiere fa, appunto, l’urbanista, coniugando una disciplina già di per sé orientata a individuare e a mettere in evidenza gli interessi di tutti con la storia di una militanza radicale. Il sito di eddyburg (cui prestano le loro cure Ilaria Boniburini, Paolo Dignatici, Maria Pia Robbe, Mauro Baioni e altri ancora) ha una sezione dedicata a Venezia che ospita una documentazione imperdibile. Trasparente e orientata, comunque necessaria a chi voglia conoscere la città. Compresi i posti in cui mangiare bene senza farsi turlupinare. Cominciamo a chiacchierare che è mattina. Ho con me il registratore, ma preferisco prendere appunti. Fuori il cielo si è scurito. E anche l’acqua nel canale. Nonostante questo i nostri sguardi sono catturati dai cupi bagliori che la luce di fuori emette. I bollettini annunciano neve. E infatti i primi deboli fiocchi prendono a scendere. Ma l’oggetto più attraente è un grande fotopiano di Venezia commissionato negli anni di assessorato come analisi preliminare di ogni iniziativa urbanistica e affisso a una parete del lungo corridoio che dall’ingresso arriva alla porta a vetri sul canale. Non è solo un omaggio alla città che a un certo punto è diventata la sua: la smisurata cartografia, che coglie Venezia dall’alto, in una foto aerea, sembra un oggetto da scrutare, da consultare ogni volta che gli si passa di fronte, e anche da tenere inquadrato per un po’, cercando di acquisire la lezione che emanano quel groviglio di calli e di canali, quelle coperture dalle forme inusuali, quegli inattesi spazi.
Caro Eddy, gli chiedo, che cos’è per te questa incombente e seducente immagine di Venezia? «Intanto è uno strumento tecnico, in scala 1:500. Serve per la conoscenza esatta delle strutture fisiche della città e da lì occorre partire per definire regole di trasformazione e di conservazione. Era il primo passo di una procedura urbanistica: dalla conoscenza al governo. Ma quando vedemmo le tavole montate, un pannello di 7 metri per 10, Edgarda Feletti e io - Edgarda è un’architetta che dirigeva il settore Centro storico nel mio assessorato - rimanemmo a bocca aperta».
Agli occhi di Eddy quell’oggetto aveva una sua specifica bellezza. «Mi ha fatto capire», aggiunge, «che Venezia è un’opera d’arte nel suo insieme, al di là della bellezza delle sue parti. Anzi, il tutto è più bello della somma delle sue parti. Quella bellezza, che andava oltre l’utilità, non poteva restare nascosta. Scrissi allora a una ventina di editori proponendo che pubblicassero il fotopiano. Si fece avanti Marsilio. Nacque così l’Atlante di Venezia che fu tradotto e pubblicato anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia». Ma non c’era solo la bellezza, c’era qualcosa di più attinente alla disciplina urbanistica. «Qualcosa di analogo a quel che ti dicevo della bellezza. Non siamo di fronte a un insieme di oggetti unici, ma al prodotto di un sistema di regole. Qui si esprime la grande sapienza nel conservare la forma e la sostanza dell’acqua».
Questo ci dice molto anche della storia costruttiva di Venezia. «Indubbiamente. Il processo produttivo e materiale di Venezia è uno degli episodi più stupefacenti ed esemplari di tutta la storia urbanistica. Colpisce l’ambizione dei veneziani della Serenissima ad avere il controllo sull’intero ciclo costruttivo. Serve il legno per le fondazioni e per le galee? Si cercano in terraferma i boschi, si conquistano e, se non ci sono, si impiantano».
Mi pare un modello poco seguito in altri casi. Dunque non si può parlare di un modello. «Non sono d’accordo. È vero che non si edificavano così la gran parte delle città. Ma sono convinto che invece si tratta di un modello replicabile, perché insegna a partire da quello che c’è, umilmente. E non uso questo avverbio a caso: umilmente viene da humus, la terra. I veneziani partono umili e diventano orgogliosi».
A questo punto nel quaderno dove ho annotato le questioni da porre, occorre il tema dell’unicità di Venezia, un tema che si ripropone nella storia della città: c’è chi vuole preservarla a ogni costo, l’unicità, chi invece vuole annullarla in nome di un’omologazione necessaria. Tu da che parte stai? La domanda è troppo secca, Eddy prende il tempo necessario per una risposta argomentata: «L’omologazione non è sempre un evento negativo. Dipende molto dalla relazione che si instaura fra i luoghi, le persone e le loro scelte. L’omologazione comincia nella testa delle persone. Si può decidere di vivere in un posto in cui le connessioni sono lente oppure prediligere un luogo in cui queste procedono rapidamente. In entrambi i casi avremo delle conseguenze. Si tratta di stabilire quali conseguenze prediligiamo, se una vita a ritmi poco sostenuti o se vogliamo il moto ondoso. A Venezia e in Laguna fino a non molti decenni fa si navigava solo a remi, eccetto che per i mezzi pubblici, i vaporetti, introdotti a fine Ottocento. Poi si è consentito l’uso dei motori. E da allora sono iniziati i problemi».
Il moto ondoso qui, nel rio di Santa Margherita, sembra oggi un affare lontano, ma è la neve che rallenta tutti i ritmi. Quando questi si fanno frenetici, anche dalla porta a vetri di Eddy si vede lo scroscio dell’acqua sulle rive. «Problema non da poco per la Laguna e per l’edilizia veneziana», aggiunge Eddy. «Si poteva scegliere di fare altrimenti? Si poteva evitare che Venezia diventasse una città come le altre dal punto di vista della mobilità? Non darei una risposta secca. Forse si poteva graduare l’avvento dei motori, limitarlo, contenerlo, evitando la disastrosa situazione di oggi».
Insisto sul quesito dell’omologazione, perché questo si pose, già nel corso dell’Ottocento, a proposito dello sviluppo industriale. «Con la fine della Repubblica, per molti politici, opinionisti, intellettuali Venezia deve diventare una città come le altre sia ospitando industrie sia stravolgendo il suo impianto urbanistico. Ciò accade lungo l’intero Ottocento con un incremento nella parte finale del secolo. Quasi a metà dell’Ottocento vengono realizzati il ponte e la stazione ferroviaria, Venezia non è più un’isola e l’accesso alla città non è più distribuito, ma concentrato in un’unica direzione. Direzione che verrà poi confermata con la realizzazione di via Vittorio Emanuele, subito battezzata Strada Nuova, che dalla stazione porta a San Marco. È un asse viario analogo a quelli che si aprono in altre città nella seconda metà dell’Ottocento. Queste vicende sono state ampiamente studiate da storici come Giandomenico Romanelli e le leggiamo in uno dei volumetti di “Occhi aperti su Venezia”, Delendae Venetiae, scritto da Massimo Favilla. Delendae Venetiae riprende il titolo di un celebre articolo di Pompeo Gherardo Molmenti che, nel 1887, sulla Nuova Antologia si scagliava contro le trasformazioni in atto».
Eddy s’interrompe, forse lo sto stancando. Invece sta solo raccogliendo le idee. Le trasformazioni per rendere Venezia una città come le altre sono la spia di una storia che va allargata. «Venezia doveva svolgere un ruolo funzionale al sistema di produzione capitalistico. Sorsero insediamenti industriali a Sant’Elena, il Mulino Stucky e altri impianti alla Giudecca, il Cotonificio a Santa Marta nei pressi della nuova Stazione Marittima, edificata nel 1883. Si praticarono, come a Roma o a Napoli, gli sventramenti e così nacquero il bacino Orseolo, dietro a San Marco, la strada dei Santi Apostoli, il campo Manin, la via XXII marzo. Si interrarono rii e si procedette con imbonimenti, sottraendo superficie alla Laguna. Come documenta Gigi Scano nel suo Venezia: terra e acqua, una commissione municipale avrebbe voluto procedere ancor più radicalmente di quanto in effetti si fece. L’importante, scrissero i commissari, è che si conservasse il “carattere pittoresco” della città. Per il resto, Venezia poteva, anzi doveva diventare simile a tutte le città moderne. Una delle conseguenze fu che l’acqua, da insostituibile risorsa, venne percepita come un ostacolo da superare».
L’industrializzazione di Marghera, nel 1917, rappresenterà poi un evidente salto di scala. «Certo. Venezia, non più isola, vedrà spostato il proprio baricentro verso la terraferma e dunque la sua diversità subirà un’ulteriore limitazione. Io credo però che sarà il turismo a cancellare la specificità di Venezia, sia perché la città entrerà in un circuito globale, con regole che non tollerano eccezioni e che non sarà lei a fissare, sia perché il turismo modificherà il tessuto cittadino».
Interrompiamo per un attimo. Di questo torneremo a parlare. Ma nelle vicende novecentesche di Venezia a un certo punto s’innesta la storia personale di Eddy. Ed è sulla sua voce di dentro che vorrei fermarmi. Metà anni Settanta: arriva a Venezia ed è subito impegnato nella vita politica e amministrativa della città. «A Venezia come in altre città nel 1975 vince la coalizione di sinistra, Pci-Psi. Sindaco sarebbe dovuto diventare il comunista Gianni Pellicani, che invece fu retrocesso a vice del socialista Mario Rigo. La decisione fu presa a Roma e teneva conto del quadro nazionale, ma le leve del governo erano in mano a Pellicani. Io entrai in giunta. Partii con una serie di propositi, ma con il trascorrere del tempo, quasi alla fine del primo mandato, mi accorsi che erano impraticabili e devo a due persone, che ho già citato, Edgarda Feletti e Gigi Scano, il merito di avermi messo sulla giusta strada».
Vale a dire? «Occorreva puntare direttamente sulla pianificazione del centro storico adottando lo strumento culturale dell’analisi tipologica, di cui Feletti e Scano si erano impadroniti, ma che io, con una formazione più accademica, non conoscevo a fondo. Venezia e l’esperienza sul campo mi fecero cambiare prospettiva disciplinare e mi convinsero dell’efficacia di quel sistema di interventi messo a punto sulla base dell’insegnamento di Saverio Muratori e dei suoi allievi, Paolo Maretto e Gianfranco Caniggia, e già praticato per esempio a Bologna da Pier Luigi Cervellati, che consisteva nell’individuare i tipi edilizi, i modelli adottati nel costruire la città storica. Quei tipi edilizi, a Venezia come altrove, erano in numero limitato. Nel procedere al risanamento della città storica occorreva conservare queste caratteristiche urbanistiche e strutturali originarie, assicurando che le nuove funzioni, pur aggiornate e diverse da quelle di un tempo, fossero comunque in coerenza con esse». Qualcosa di specifico emergeva dall’analisi compiuta a Venezia. Di specifico, forse di unico. Non di anomalo. «Le regole costruttive veneziane restano inalterate e vengono adoperate uguali a sé stesse per secoli. Sono regole costruttive omogenee all’ambiente e alle condizioni che questo detta: in primo luogo l’acqua e il suo rapporto con la terra».
Eddy si volta verso il fotopiano, cerca e dopo un po’ trova campo San Polo. Lo indica e con il dito ne traccia il perimetro. «Ecco, vedi, mi ha sempre commosso la forma di campo San Polo, il fatto che un lato di esso segua esattamente il tracciato dell’antico canale. È il canale che detta la forma del campo. È l’acqua che orienta la forma della città tutta. E mi ha commosso il modo in cui i veneziani della Serenissima hanno voluto conservare nella forma materiale della città la memoria della sua storia». Dunque si può dire che Venezia abbia modificato il tuo senso di orientamento urbanistico? «Sì, si può dire».
Venezia in quegli anni Settanta manifestava già segnali dei problemi che l’avrebbero afflitta. Sia il calo dei residenti, sia il turismo incontrollato. «I residenti erano diminuiti notevolmente. Nel dopoguerra gli abitanti della città storica erano 174.000. Dieci anni dopo calano a 167.000. Poi precipitano: nel 1965 sono 124.000 e nel 1975 arrivano a 104.000. Ma l’esodo di allora dipendeva in gran parte dal fatto che Venezia viveva da tempo in condizioni di degrado edilizio e di sovraffollamento abitativo. Questa situazione viene denunciata periodicamente lungo l’intero Novecento. Numerosi gli alloggi inabitabili, antigienici, spesso ai piani bassi degli edifici e dunque invasi dall’acqua. Se ne vanno da Venezia i nuclei familiari di reddito e di età media, quelli che possono accedere agli affitti o anche all’acquisto di alloggi in terraferma, ma non in grado di risanare appartamenti nella città storica. I fattori sono quindi oggettivi, anche se, come documenta Scano, è il solo mercato immobiliare a governare questi fenomeni. E c’è da aggiungere che l’esodo è più consistente di quanto non dica il saldo dei residenti che calano, perché dal 1952 al 1972 i circa 60.000 veneziani in meno sono il risultato di 130.000 persone che sono andate via meno i 70.000 che sono arrivati, con un mutamento sostanziale della composizione dei residenti. L’esodo di questi ultimi decenni è prodotto invece dalla pressione dell’economia turistica, i cui segnali si avvertivano già a metà degli anni Settanta. Ti segnalo poi un’altra differenza, quella fra l’esodo veneziano e l’esodo che si verifica in Italia da altri centri storici. Questo avviene per srotolamento: dal centro storico ci si trasferisce nei quartieri che diventano volta a volta prima periferici della città antica, poi periferici della stessa periferia. A Venezia, invece, lo sfratto è istantaneo, da una condizione urbana antica si passa a un’altra condizione urbana radicalmente diversa, quella di Mestre, al di là del ponte della Libertà, a una decina di chilometri di distanza».
L’alluvione del novembre 1966 ha mostrato quanto evidente fosse la precarietà del patrimonio edilizio veneziano. E dunque ha reso necessario intervenire nella città storica. «In realtà l’alluvione e il dibattito che ne è seguito hanno rivelato che il problema non era Venezia, ma la Laguna. La distruzione della Laguna è stata l’antefatto e la premessa alla distruzione fisica di Venezia. Pochi lo avevano compreso. Fra questi Lidia Fersuoch, Gigi Scano e Andreina Zitelli, che per strade diverse mi hanno fatto comprendere alcune cose essenziali. Che una laguna è cosa diversissima rispetto a un normale specchio d’acqua. È un ambiente ontologicamente instabile, in equilibrio temporaneo tra due destini: diventare un pezzo di terra ferma, o diventare una baia di mare. La seconda è che la Laguna di Venezia è l’unica al mondo restata tale per secoli, grazie alla saggia applicazione di cultura e lavoro al suo governo».
Quando e perché è avvenuto il cambiamento? «È stato contemporaneo al passaggio dall’ancien régime al sistema capitalistico-borghese, ed è stato causato dal prevalere di ideologie e pratiche che hanno visto storia e natura come ostacoli allo sviluppo, anziché come opportunità. La distruzione della Laguna è cominciata con la creazione del polo industriale di Porto Marghera, la realizzazione di canali rettilinei come le strade di terraferma, a cominciare dal Vittorio Emanuele fino a quello dei Petroli, che ha spaccato irreversibilmente la Laguna in due parti con effetti mortali per la sua conservazione. Ed è proseguita con la realizzazione di pesanti imbonimenti che hanno ridotto l’ampiezza della Laguna e quindi della sua capacità di assorbire le maree: basta citare la zona industriale, l’aeroporto di Tessera, la chiusura delle “valli da pesca” (i bacini utilizzati per l’itticoltura)».
Fu l’alluvione a rendere evidente tutto questo. «Rese evidente o aiutò a ricordare che Venezia è la sua Laguna. Perciò il Parlamento saggiamente decise di avviare un processo di pianificazione che aveva due capisaldi: un piano urbanistico per il territorio che gravitava sulla Laguna; e un piano per il centro storico. Col senno di poi devo riconoscere che in quegli anni pativamo un forte ritardo culturale. Eravamo prigionieri di una visione panurbanistica di come si governa un territorio. Non comprendevamo la differenza che c’è nel considerare la Laguna, dunque una porzione vasta del territorio, qualcosa da governare con le regole della pianificazione urbanistica oppure con regole del tutto diverse. Non avevamo capito che l’obiettivo da porsi era il ripristino dell’equilibrio ecologico del sistema lagunare. Quando però fui chiamato a Venezia non fu per occuparmi della Laguna, bensì del centro storico».
Qui potremmo addentrarci in dettagli troppo tecnici. Eddy capisce che mi perderei. «Dovevamo completare i cosiddetti “piani particolareggiati” del centro storico. Ma ci accorgemmo che erano assolutamente inadeguati a regolare le trasformazioni urbanistiche ed edilizie del centro storico veneziano. Iniziammo quindi a elaborare strumenti conoscitivi di due tipi: sulla struttura fisica e su quella economico-sociale. Ed è qui che si situa il fotopiano. Ma intanto le condizioni politiche erano mutate. Cominciano gli anni Ottanta, quelli della deregulation urbanistica, in cui chi parla di piani e di regia pubblica delle trasformazioni viene visto con sospetto. L’accento viene posto sul mercato. Sono anche gli anni in cui i socialisti guardano più alla Dc che non al Pci. In ogni caso andammo avanti proponendoci di realizzare un piano per la città storica. Raggruppammo le unità edilizie in una quarantina di classi sulla base dell’analisi tipologica di cui parlavamo prima. E per ognuna di queste classi definimmo le regole delle trasformazioni consentite e delle utilizzazioni compatibili. Poi lavorammo sul rapporto fra il piano e il tempo. Prevedemmo due livelli di prescrizioni, di regole. Uno lo definimmo strutturale e l’altro strategico: una parte del piano era fissa, invariabile, doveva durare nel tempo; un’altra, invece, aveva validità per la durata di un consiglio comunale e riguardava i cambiamenti che, in base a esigenze diverse, a valutazioni politiche, potevano essere introdotte trascorso quel periodo. Fissammo dunque un sistema di regole certe, valide per tutti, alcune immodificabili altre, invece, modificabili con un voto del consiglio comunale. Ma questo lavoro non approdò a conclusione entro quella consiliatura. Le elezioni del 1985 portarono a un cambio di maggioranza e alla mia uscita dall’assessorato. Nel 1987, però, si costituì un’amministrazione guidata dal repubblicano Antonio Casellati e assessore divenne il verde Stefano Boato. Con loro riprendemmo a collaborare Feletti, Scano e io, il piano fu portato a compimento e venne adottato da un’altra giunta ancora, nel 1992».
Al fondo di tutto, mi pare di capire, c’era un obiettivo politico. «Volevamo stabilire quali interventi erano ammissibili sugli edifici, a seconda della loro tipologia, e quali no, garantendo assoluta speditezza per i primi. Inoltre, come ti dicevo, si erano fatti preoccupanti l’esodo di residenti, la trasformazione di edifici in strutture ricettive di varia natura (alberghi, bed & breakfast, case vacanza) e il cambio di destinazione di molti negozi. L’economia turistica stava dilagando. E noi, per il primo periodo di applicazione del piano, nella parte strategica, prescrivevamo norme a tutela della residenza e di alcune specifiche attività economiche e commerciali. Ma da questo momento comincia un’altra storia, di segno radicalmente opposto, che a mio avviso spiega l’affanno della Venezia di oggi».
È una questione in effetti cruciale. Eddy ne parla in Memorie di un urbanista uscito dalla Corte del Fontego nel 2010. E molto si diffonde su di essa Gigi Scano in Venezia: terra e acqua. Provo a sintetizzare. Il loro piano, adottato dalla giunta, ma non ancora approvato dal consiglio comunale, viene successivamente modificato, lasciando maggiore libertà di intervenire sugli edifici, modificandoli, e sui cambi di destinazione d’uso, cioè sulle loro utilizzazioni. Eddy prende quasi a dettare: «Il primo atto della giunta di Massimo Cacciari, eletto nel 1993, consistette nella revoca di una delibera adottata dal sindaco Casellati che fissava limiti all’arrivo di negozi in contrasto con le caratteristiche di una città storica. A Venezia sbarcarono molti fast food. Poi si mise mano al nostro piano, accusato di voler imbalsamare la città e di scoraggiare gli investitori. Alle nostre regole fu sostituito un procedimento discrezionale che nei fatti lasciava la possibilità di consentire sia trasformazioni fisiche sia cambi di destinazione d’uso. Noi volevamo conservare un controllo pubblico su che cosa la città sarebbe potuta diventare. Si scelse invece di affidarsi al solo mercato. E così, non proteggendo la residenza, le abitazioni potevano diventare, con grande facilità, alloggi temporanei, alberghi e bed & breakfast e i negozi paninerie, bar e pizzerie a taglio. Cosa che in effetti è avvenuta. Le modifiche al nostro piano furono introdotte dall’assessore Roberto D’Agostino, che ebbe come consulente Leonardo Benevolo. Da Benevolo moltissimo avevamo imparato tutti noi urbanisti, e io per primo. Però in questa vicenda veneziana il contrasto fra noi fu assai duro».
Mi domando se per evitare queste trasformazioni deleterie per una città come Venezia bastino i vincoli o non servano anche incentivi. Insomma per frenare l’invadenza di un’economia fondata sul turismo è sufficiente alzare barriere normative oppure occorre prevedere possibilità alternative? «Molto dipende dalla forza delle pressioni che si vorrebbero fronteggiare. Se la potenza dell’economia legata al turismo non fosse così consistente si potrebbe procedere con incentivi e misure a sostegno della residenza. Queste sono fondamentali, ma visto quel che è poi successo a Venezia, sarebbe stato indispensabile mantenere anche una forma di tutela pubblica della residenza, rendendo difficile il cambio di destinazione. Una volta se moriva l’anziano proprietario di un appartamento era facile che gliene subentrasse un altro. Ora è automatico che quell’appartamento finisca affittato a settimana o a weekend».
Torna la questione che, anche per Eddy, è centrale: il peso abnorme assunto dal turismo e dalle trasformazioni economiche, sociali e fisiche che esso sta determinando. «Mi si passi un’espressione forte: il turismo a questi livelli è una specie di peste», scandisce. «Venezia ha una propria dimensione e a questa deve corrispondere la quantità di persone che possono arrivarci garantendo a tutti, a chi arriva e a chi c’è già, condizioni accettabili. In questi termini il fenomeno del turismo è distruttivo. Alla fine degli anni Ottanta combattemmo il progetto Expo, che l’allora ministro socialista Gianni De Michelis voleva si svolgesse a Venezia. Ospitando quell’iniziativa, si sarebbe usata Venezia per altri scopi. E si sarebbero attirate masse sterminate di turisti. La svolta per affossarlo si ebbe nell’estate del 1989, quando ci fu il concerto dei Pink Floyd su una gigantesca isola galleggiante ormeggiata in bacino San Marco. Ne ho un ricordo terrificante, una folla di dimensioni incalcolabili, Venezia in ginocchio e la paura che la città potesse soccombere».
Detto questo, occorre domandarsi se esistono e quali sono i modelli alternativi al turismo. È la domanda, il cruccio, se si vuole, che accompagna questo viaggio a Venezia e che assilla chiunque abbia a cuore le sorti della città. Eddy socchiude gli occhi. Le sue pause sono ora più lunghe. «Penso a una città frequentata e vissuta da persone che abbiano interesse alla conoscenza in generale, e alla conoscenza di Venezia in particolare, allo studio e anche alla pratica delle cose che solo questa città può dare. In più penso che anche i visitatori debbano essere indotti a una conoscenza non superficiale della città, delle sue forme e del suo modo d’essere. Occorre regolare i loro flussi evitando che la stragrande maggioranza di essi siano escursionisti giornalieri».
Le possibili soluzioni alle quali Eddy si riferisce sono urbanistiche e politiche insieme, strettamente connesse: «In generale credo che con un’accorta politica e con un controllo pubblico delle trasformazioni bisogna evitare che tutti gli spazi, gli edifici, i contenitori disponibili – e Venezia ne è piena – diventino strutture ricettive per escursionisti. Siano essi alberghi oppure negozi. L’obiettivo è che, invece, ospitino laboratori, foresterie, centri di ricerca. Venezia è stata sempre il cuore di tanti traffici: perché non farne il nodo di tante reti? Thomas Mann parlava di Lubecca come di una spirituale forma di vita. E aggiungeva che Lubecca era la città del marzapane, e marzapane viene da pane di Marco, dunque da Venezia, e a Venezia, a loro volta, confluiscono le vie dell’Oriente. Questi fluidi vanno riattivati». Pensi a qualcosa che assomigli a un distretto culturale? «Potremmo definirlo così. Ma non credo che una struttura come la Biennale corrisponda all’idea che ne ho. La Biennale è nata sul consumo di Venezia. Venezia è il palcoscenico dove si esibiscono attori estranei alla sua realtà. Vorrei che facesse molto di più per la città, ma dovrebbe convertire tanti dei suoi meccanismi. Ora occupa numerosi spazi in città e altri ne vorrebbe. Ma nelle iniziative della Biennale Venezia resta sullo sfondo».
Mi è rimasta impressa la parola peste usata da Eddy a proposito delle dimensioni assunte dal turismo. Gli obietto che anche dalla peste si può guarire. «Sono d’accordo. Però bisogna vedere che cosa rimarrà di Venezia una volta sconfitto il morbo. Le ultime volte che ho fatto un giro in città mi colpiva la rotazione dei negozi. Molti negozi si tengono finché hai uno stock di merci da vendere. Dopodiché te ne vai. E quel negozio di scarpe, cambiato l’arredo e le insegne, prende a vendere sciarpe. È sconvolgente questo rapidissimo cambio delle utilizzazioni. La città è corpo e anima e l’anima tiene insieme anche il corpo. Se cambiano le vetrine e neanche te ne accorgi, sei preda dell’indifferenza e l’indifferenza genera sradicamento. In questo modo una città si priva del suo sistema nervoso».
Dalla vetrata sul canale entra un bagliore ancora più intenso. Ora ha cominciato a nevicare con forza. Lascio Eddy sulla sua chaise longue. Lo spettacolo di Venezia avvolta nel silenzio attrae come se fossimo davanti a un paesaggio di cime imbiancate. Temo di averlo affaticato. Non tanto da impedirgli di chiamarmi, mentre sto quasi per chiudere la porta. «Vatti a leggere una citazione dalle Città invisibili di Italo Calvino che ho messo quasi come un esergo su eddyburg. È Marco Polo che parla di Venezia al Kublai Kan». Va bene, ciao, vengo a trovarti presto. Fuori la piccola calle che porta a Santa Margherita è candida di neve fresca e intonsa. Appena a bordo del vaporetto, apro l’iPad, vado su eddyburg e leggo quel che Eddy ha scritto: «“Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”, dice Marco Polo al Kublai Kan. “Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia”. Così è Venezia anche per me».

Contrastare il turismo a Venezia si può e quando si e voluto lo si è fatto. Poi sono arrivati i barbari. Un commento da un ex assessore all'urbanistica di Venezia. (e.s.)
Leggo una intervista di Massimo Cacciari (Repubblica 13.11.2018) in cui teorizza l’impossibilità di contrastare l’invasione turistica nei centri storici, in particolare in una città storica come Venezia.

Forse prima di una sentenza apodittica sarebbe utile una riflessione autocritica.

A Venezia, dato che la città aveva già perso troppe abitazioni adibite ad attività ricettiva (e avendo verificato la possibilità d’uso di molti altri immobili), con il piano urbanistico elaborato dalla giunta rosso-verde nel 1988-’90 dotato di norme immediatamente vigenti abbiamo impedito ogni ulteriore cambio d’uso di tutti gli immobili classificati come abitazioni anche se sfitti o disabitati (escludendo solo i piani terra).

Queste norme hanno tutelato le residenze per una decina d’anni, per tutti gli anni novanta.

Nel 2000 però , quando sono entrate in vigore le modifiche al piano della giunta Massimo Cacciari che abbiamo cercato inutilmente di impedire, la città è stata da subito travolta dal dilagare di nuovi alberghi, pensioni e residenze turistiche. La situazione è stata poi negli anni aggravata da una legge regionale del 2013 e da una delibera comunale del 2015 (e dai mancati controlli) che hanno ulteriormente agevolato e incentivato la trasformazione ricettiva degli appartamenti e delle singole stanze (B&B, Airbnb).

Ovviamente le norme urbanistiche e di legge a tutela delle abitazioni sono importanti ma non sono sufficienti. Per fermare l’esodo e iniziare e innescare un processo di ripopolamento, soprattutto dei giovani, servono politiche amministrative e fiscali che agevolino economicamente le abitazioni per i residenti, i servizi e le attività di lavoro compatibili con il tessuto storico che interrompano e disincentivino la monocultura turistica.

E comunque ormai per governare le dimensioni attuali dei flussi turistici esplose a dimensioni incompatibili con la vita della città occorre arrivare a programmare alla partenza gli arrivi agendo sulle agenzie turistiche (italiane e straniere) e sulle organizzazioni delle gite scolastiche.

Certo tutto questo è complesso e difficile: per riuscire a realizzarlo occorre una forte volontà politica e una grande capacità amministrativa per non lasciar gestire la città solo al mercato e alla rendita.

Qui sotto l'articolo:

Cacciari: “La città non è utopia, i turisti servono”
di Massimo Cacciari

Bisogna partire da una visione realistica non dalle utopie". Massimo Cacciari risponde a Pier Luigi Cervellati, intervistato su Repubblica da Francesco Erbani sulla questione dello svuotamento dei centri storici ridotti a grandi shopping center, quasi con stupore: "Ma di cosa stiamo parlando? Come si può solo pensare di eliminare i turisti dai centri storici e riportarci i residenti? Sono ragionamenti da anime belle". Per il filosofo abituato a riflettere sulla razionalità moderna e sulle trasformazioni della polis, e che è stato per anni sindaco di Venezia, la denuncia di Cervellati pecca di astrazione.

Perché le sembra irrealistico immaginare di ripopolare la città storica risanando le abitazioni?
"Sarebbe un'idea strepitosa se fosse fattibile, ma non lo è. Tutte le persone ricche e straricche che abitavano sul Canal Grande quando ero ragazzo hanno scelto di andarsene perché i costi di manutenzione di una residenza storica sono incompatibili con le tasche di chicchessia".

Cervellati propone soluzioni per non lasciare il centro cittadino solo ai supermercati o ai grandi negozi di abbigliamento.
"Sono discorsi destinati a cadere nel vuoto perché ignorano il contesto storico, economico, sociale in cui stiamo. Sono proposte assolutamente irrealizzabili, sia nei centri storici italiani sia in quelli di Parigi, Vienna o Londra. A Manhattan come a Trafalgar Square. Il fenomeno che viviamo in Italia è analogo a quello di tutti i centri storici delle maggiori città del mondo, dove funzioni più redditizie di quelle residenziali diventano competitive".

Sta parlando dei soldi portati dal turismo?
"Sa qual è la verità? Che molti importanti edifici del centro di Venezia e di Firenze sono stati salvati dall'attività ricettiva. Senza la possibilità di trasformarli in funzioni turistiche, molti edifici importanti sarebbero crollati".

Dunque dovremmo ribaltare tutto e arrivare a dire che sono i turisti a salvare le città?
"Il turismo dà da vivere, direttamente o indirettamente, a 30- 40 mila famiglie soltanto a Venezia. È uno dei nostri massimi settori industriali, ci rende competitivi".

Ci sarà però un modo per venire a patti con la realtà senza snaturarla?
"Il problema italiano è che stiamo diventando una monocultura. Il turismo dovrebbe affiancarsi ad altro. Dovremmo riuscire a far decollare nei centri storici altre attività, direzionali e terziarie: aziende, centri di ricerca, attività di formazione, università".

I nostri centri storici spesso ospitano sedi universitarie e sono vissuti dagli studenti...
"Dobbiamo cercare di mantenere nei centri storici le funzioni di formazione e di ricerca. Ma è difficile. Offrire laboratori, servizi, campus in un centro è complicato. A Milano è in corso un grande dibattito sulla possibilità di portare o meno alcune funzioni universitarie fuori, nella zona Fiera Nuova".

Le soluzioni devono essere politiche più che estetiche?
"Possiamo solo cercare di governare la trasformazione. A Venezia c'erano due milioni di turisti all'anno negli anni Settanta, adesso ce ne sono trenta milioni. Ed è una pressione irresistibile, una domanda che continuerà a crescere. Pochi anni fa non c'erano i cinesi, non c'erano i russi. Adesso sì, a valanghe. Sarà dura. Il consumo della città aumenta vertiginosamente. Un monumento visitato da dieci persone soffre di meno di un monumento visitato da dieci milioni. Bisogna lavorare sull'organizzazione del flusso turistico, renderlo più razionale nelle città più martellate, ma certo non è pensabile disincentivare il turismo. Vorrebbe dire farsi del male, in Italia è l'unica risorsa che abbiamo".

Stiamo alle realtà allora. C'è un modo per evitare che il cuore cittadino diventi un museo che la sera si svuota?
"È assurdo affrontare queste questioni di natura economica e sociale dal punto di vista dell'architetto scocciato perché vede i turisti per la strada. È fuori contesto, fuori mondo, fuori storia. Se vogliamo resistere al deflusso dai centri storici bisogna dare alle persone la possibilità di viverci a parità di condizioni rispetto a chi vive altrove. Il costo della vita di chi abita in centro non può essere il doppio rispetto a chi abita dieci chilometri fuori. Oggi invece stare in centro ha dei prezzi altissimi. Bisognerebbe rivedere il sistema fiscale e di agevolazioni, sia per i residenti che per le attività artigianali e commerciali".

Crede che la visione di Cervellati sia utopica rispetto allo stato di fatto?
"Non parte dalle cose, dalla realtà. Una città come Venezia alla fine dell'Ottocento stava diecimila volte peggio di adesso. Basta dare un'occhiata alle fotografie, era decrepita, già in vista di abbandono totale da parte del patriziato, dei nobili".

Ha senso distinguere centro e periferia nelle politiche urbanistiche?
"È un discorso che ho fatto tante volte, sul quale ho scritto e riscritto. Dov'è la città adesso? Viviamo in città infinite, senza confini. Centro e periferia sono astrazioni.Rispetto alle trasformazioni in atto, possiamo solo valutare di volta in volta come agire. Non può esserci una regola generale, stabilita da qualche programmatore di piani. Le città si evolvono, come le lingue. Possiamo solo contrattare continuamente con la loro evoluzione. E dobbiamo farlo con arte e volontà politica. Casa per casa".

Tratto dalla Repubblica, 12 novembre 2018.

Una rassegna di articoli, video e comunicati per spiegare da dove deriva il "No alle Grandi navi" di comitati, movimenti e associazioni di Venezia che da diversi anni scendono in "piazza" e in "acqua" per protestare contro le politiche territoriali locali e nazionali.

Il mondo non lo sa, ma Venezia e la sua laguna stanno scomparendo. La tacita alleanza tra i gestori delle grandi navi e dello sfruttamento turistico, i forti poteri economici, l'Autorità Portuale e un'amministrazione locale impegnata a dilapidare il patrimonio accumulato con sapienza nei corso dei secoli dalla Repubblica Serenissima stanno distruggendo una città e un territorio che sono unici al mondo.

Non ancora proporzionate alla posta in gioco, ma lungimiranti e determinate, le forze sociali e culturali di Venezia sono impegnate a contrastare i poteri e le scelte responsabili di questa devastazione. Queste forze dopo la grande "Marcia per la dignità di Venezia" del 10 giugno scorso scendono di nuovo in acqua il 29-30 settembre (qui il link al programma), per difendere la laguna non solo dalle grandi navi, ma anche dalle grandi opere come il Mose, in favore di una giustizia ambientale capace di instaurare una gestione dei territori equa e rispettosa dell'ambiente e non al servizio degli interessi della rendita e del profitto. Ad organizzare l'evento il Comitato NOGrandiNavi, protagonista dal 2006 di numerose manifestazioni, mobilitazioni ed eventi.

Qui sono raccolti alcuni articoli per illustrare la devastazione causata dalle grandi navi. I primi due testi, di Tantucci e Favarato riportano i dati numerici delle navi e dei visitatori croceristi mordi e fuggi che entrano a Venezia in un anno e in un week end, emblematici di come viene scelleratamente gestita questa fetta di turismo. Qui il link ad un articolo di Clara Zanardi sul turismo generato dalle grandi navi, che non è il solo responsabile, ma è certamente quello con più evidenti negatività.

Il terzo testo, un comunicato dell'Associazione AmbienteVenezia, introduce le distruzioni previste dai progetti in cantiere per allargare e scavare nuovi canali in laguna e quindi far continuare a passare le navi in questo fragile ecosistema. Ci sono link ad alcuni filmati interessanti, a un Dossier con immagini e un articolo sulle devastanti conseguenze del progetto di portare le grandi navi a Marghera. Sulla delibera nefasta del Comitatone - il Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia - del 7 novembre 2017 si legga anche l'articolo di Lidia Fersuoch.

Il quarto testo è una lettera inviata il 25 giugno 2018 dal Comitato NOGrandiNavi – Laguna Bene Comune ai Nuovi Ministri competenti dove sono sintetizzati le analisi condotte, i problemi riscontrati e le proposte avanzate dal Comitato per togliere le navi da crociera dalla laguna e ricominciare a pensare alla sua salvaguardia.

Infine, un brevissimo articolo sull'Assemblea cittadina che si è tenuta il 22 settembre 2018 in preparazione delle mobilitazioni del 29-30 settembre, con indicazione anche di come partecipare alla manifestazione per terra e per acqua di domenica 30 settembre. (i.b. e e.s.)

La Nuova Venezia, 23 settembre 2018

INCUBOWEEKEND QUATTORDICI NAVI TRENTAMILA ARRIVI,
CITTÀ SOTTO STRESS

di Enrico Tantucci

Pienone in Marittima, ieri calli ingolfate da comitive e guide Van der Borg: «Questi visitatori non servono a Venezia»

Venezia invasa dai crocieristi nel penultimo weekend di settembre, con un “carico” aggiuntivo di circa trentamila turisti che si aggiunge alla già consistente presenza di quelli pernottanti e soprattutto dei “giornalieri”.

Sono complessivamente ben quattordici le navi da crociera, in base al calendario reso noto dalla Venezia Terminal Passeggeri, presenti in Marittima da ieri fino a domani mattina, per una presenza potenziale complessiva che sfiora appunto le trentamila presenze. Si va infatti dagli oltre 4 mila crocieristi della Norwegian Star o dai quasi 3.500 della Rhapsody of The Seas - con i «colossi» di Costa Crociere anch’essi intorno ai 3 mila passeggeri, ai 120 della Marella Celebration, che si fermerà lunedì solo per una decina di ore.

In tempo, però, per “scaricare” la sua pattuglia di turisti giornalieri sulla città storica. Già ieri, soprattutto nella prima parte della giornata, nelle calli intorno a Rialto e San Marco erano intasate dalle comitive di crocieristi preceduti dalla loro guida, che talvolta anche si incrociavano nei due sensi di circolazione pedonale.

Un fenomeno che si acuisce in questo periodo dell’anno e non a caso per domenica prossima, quando è attesa un’altra invasione di croceristi, è prevista la manifestazione di protesta in acqua del Comitato No Grandi Navi, che ieri ha tenuto la sua assemblea preparatoria (ne riferiamo a parte). Un’invasione che non produce neppure particolari beneficio economici per la città, almeno ad ascoltare un esperto come il docente di Economia del Turismo di Ca’ Foscari Jan Van Der Borg.

«La quota di spesa giornaliera dei crocieristi» spiega «e pressoché equivalente, in base alle stime, a quelle dei turisti giornalieri contro cui tutti protestano, e cioè tra i 50 e i 60 euro. Non si giustificano su questa base i massicci investimenti in programma per difendere e sostenere la crocieristica in città».
La spesa media invece dei turisti pernottanti a Venezia, in base alle più recenti statistiche, risulta essere invece più che doppia, superando i 130 euro al giorno. Dopo un paio d’anni di flessione il mercato crocieristico anche a Venezia sembra in risalita, spiegando così anche il «pienone» di questi ultimi weekend.

Secondo i dati dell’Autorità portuale veneziana, infatti, nel primo semestre i passeggeri sono cresciuti del 16 per cento: in valore assoluto una crescita di più di 80 mila crocieristi più, dai 480 mila del 2017 ai 561 mila del primo semestre dell’anno in corso. Un fenomeno però che preoccupa anche una parte consistente dei residenti, anche sulla base di quanto il presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini (ne riferiamo a parte) è andato a riferire nella sua relazione al Congresso del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) che si è svolto a Seoul, in Corea, in riferimento soprattutto all’inquinamento dei fumi e quello acustico.

La stessa Autorità Portuale ha deciso di recente di mettere sotto controllo i livelli di inquinamento acustico provocati nel Porto di Venezia dalle Grandi Navi, soprattutto nelle ore notturne, con l’uso di altoparlanti o amplificatori in occasione, ad esempio, di feste a bordo delle navi da crociera. Avviato infatti per la stagione in corso il monitoraggio acustico delle navi all’ormeggio nella banchine di Santa Marta e San Basilio nella Stazione Marittima, per la stagione crocieristica in corso.

L’incarico è già stato assegnato allo Studio Pro.Tecno srl. Previsti monitoraggi di lunga durata, per capire quanto rumore viene prodotto mediamente da una nave crociera che attracca e sosta alla Marittima. Ma anche di breve durata, relativi ad esempio ai periodi di imbarco e sbarco dei passeggeri o ad altri eventi legati alla presenza delle navi, sarà infine stilato un rapporto per valutare che i limiti di decibel nelle aree confinanti al Porto siano effettivamente rispettati, anche se non è mai stato emesso, come previsto dalla legge, un decreto che regola le emissioni acustiche nelle aree portuali.

Non è la prima volta che il Porto si occupa di questo problema, perché già quattro anni fa, l’allora presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa aveva emesso un’ordinanza per il contenimento e la riduzione delle emissioni sonore, anche in seguito alle reiterate le proteste e in qualche caso anche gli esposti presentati dagli abitanti di Santa Marta e San Basilio.

CROCIERE,2019 DA RECORD PREVISTO BOOM DEL 5,5%

VENEZIA IL PORTO PREFERITO

di Gianni Favarato

Nel 2017 le grandi navi hanno portato in città ben 1.466.635 passeggeri con un calo dell'11 % rispetto all'anno precedente.

Ma è poi vero che la crocieristica a Venezia è in grave pericolo per le eccessive regole che limiterebbe l'accesso delle grandi navi, a discapito degli operatori e dei lavoratori coinvolti?

Le compagnie di navigazione che organizzano le crociere in transito o in partenza-arrivo a Venezia siedono anche nel consiglio d'amministrazione del terminal passeggeri (Vtp) di Santa Marta che ha presentato un ennesimo ricorso al Tar del Veneto, contro l'ordinanza della Capitaneria di Porto che applica un algoritmo matematico che permette alle navi da crociera di entrare in laguna sulla base del combustibile usato, la forma dello scafo e l'idrodinamica, nonché lo spostamento d'acqua, l'onda generata, il dislocamento e gli apparati di sicurezza per la navigazione.
L'ordinanza, secondo i ricorrenti, limiterebbe l'attività crocieristica in laguna, ma se si vanno a guardare i numeri Venezia resta il secondo "porto crocieristico" d'Italia, dopo Civitavecchia, dove nonostante l'algoritmo della Capitaneria arrivano ancora grandi navi sopra le 90 mila tonnellate di stazza. Nel 2017 le crociere hanno portato a Venezia ben 1.466.635 passeggeri, con un calo dell'11 % (179 mila passeggeri in meno) rispetto all'anno precedente. La stagione crocieristica del 2018 non si è ancora conclusa ma stando ai primi dati diffusi dal sito di Informare, dovrebbe chiudersi con un recupero, seppur modesto, di passeggeri, rispetto al 2017. Uno studio realizzato da www.crocierissime.it, il primo sito italiano interamente dedicato al mondo delle crociere, sottolinea, inoltre, che Venezia è stato il porto crocieristico di partenza più richiesto dagli italiani nel 2017. E l'anno prossimo potrebbe andare ancora meglio: secondo l'agenzia marittima e turistica genovese Cemar prevede che il 2019 sarà un anno record per il traffico crocieristico nei porti italiani, nei quali - secondo le stime dell'azienda - giungeranno oltre 11, 5 milioni di passeggeri a bordo di navi da crociera, con un incremento a livello nazionale del +5,5% rispetto al totale previsto per il 2018. Lo studio della Cemar, presentato dal presidente della società Sergio Senesi, include anche le ultime previsioni relative all'anno in corso: il 2018 si chiuderà con 10.862.000 passeggeri movimentati nei porti italiani (+7,32% rispetto al 2017) nell'ambito di un totale di 4.641 approdi di navi (+1,13% rispetto al 2017). Anche quest'anno Civitavecchia si confermerà il principale porto croceristico italiano, al secondo posto ci saròà ancora il porto di Venezia, seguito da quelli di Genova, Napoli, Savona e Livorno. La stagione crociere del 2018, a livello nazionale, ha visto il coinvolgimento complessivo di 47 compagnie di navigazione, 145 navi e 80 porti italiani.

18 settembre 2018
COMUNICATO DI AMBIENTEVENEZIA E LINK A VIDEO

Dal 2013 in diversi Dossier di AmbienteVenezia abbiamo documentato con foto, documenti scientifici, nostre elaborazioni, filmati, i danni causati alla Laguna di Venezia dal passaggio delle grandi navi nei canali Lagunari.

In particolare abbiamo dimostrato quali devastazioni e distruzioni avrebbero causato i vari folli progetti presentati in questi anni dal cosiddetto “Partito Trasversale che vuole mantenere le grandi navi da crociera in Laguna” facendole entrare in Laguna dalla Bocca di Porto di Malamocco e facendole transitare attraverso il canale dei Petroli…

... c’è chi le vuole a Fusina, chi le vuole a Porto Marghera, chi le vuole portare in Marittima attraverso il canale Contorta o attraverso l’isola delle Tresse, o attraverso il canale Vittorio Emanuele.

Per realizzare qualsiasi di questi devastanti e folli progetti si dovrebbero scavare diversi milioni di metri cubi di fanghi più o meno contaminati.

Lo scavo del canale dei Petroli e il passaggio delle navi commerciali e industriali in questi anni ha creato danni irreversibili a tutta la Laguna centrale…. Allargare il canale dei Petroli e scavare vecchi e nuovi canali per far transitare anche le grandi navi da crociera porterebbe negli anni alla totale distruzione di quanto è rimasto nella Laguna centrale e farla diventare un braccio di mare con profondità di diversi metri.

Qui il link a un'interessante critica del prof. Gianni Fabbri sul progetto di portare le maxi navi a Marghera e del relativo scavo del canale dei petroli.

Qui alcuni video interessanti su onde e danni causati dal passaggio di navi nel canale dei Petroli:

"Ship Traffic and shoreline erosion in the Lagoon of Venice"

Realizzato da CNR – ISMAR e Università Ca’Foscari di Venezia, pubblicato nella rivista scientifica PLOSONE del 31 ottobre 2017

"Grande nave MSC in Canale dei Petroli"
Realizzato da Venezia Viva

"Onde: provocate dal passaggio di una nave mercantile dal porto di Marghera al canale dei petroli"
Realizzato da Loredana Spadon

Venezia 25 giugno 2018
LE GRANDI NAVI DA CROCIERA A VENEZIA: TEMPO DI CAMBIAMENTO
Lettera inviata dal Comitato NOGrandiNavi – Laguna Bene Comune ai Ministri Competenti

Mentre continuano le mobilitazioni popolari che pretendono l’estromissione definitiva dalla laguna di Venezia delle grandi navi crociera si auspica che su tale questione sia condotta una reale azione di cambiamento rispetto al governo precedente, con particolare riferimento all’azione ostativa del ministro delle Infrastrutture, che ha dimostrato subordinarietà agli interessi delle lobby crocieristiche.

Richiamiamo il nuovo Governo alla piena applicazione del decreto Clini-Passera (2012) al fine di garantire la tutela ambientale e la sicurezza della navigazione nella Laguna di Venezia.

Sollecitiamo in particolare il Presidente del Consiglio, che presiede il Comitato dei Ministri per Venezia, e il Ministro delle Infrastrutture:
a individuare il Progetto con Valutazione di Impatto Ambientale positiva (VIA positiva), come la soluzione alternativa al transito della Grandi Navi per il Bacino di San Marco, estromettendo del tutto le Grandi Navi dalla Laguna,
a dare seguito all’esito delle procedure attivate secondo la normativa vigente, (CS LL.PP. -Conferenza dei Servizi - CIPE)
ad autorizzare la rapida realizzazione della soluzione individuata , secondo l’Intesa Stato Regione dell’ 14 aprile 2014 e la Delibera del Comitato dei Ministri per Venezia del 8 agosto 2014.

Va radicalmente cambiato l’andazzo della situazione che si è venuta a creare con il vecchio governo tramite la Autorità Portuale con l’aver messo in campo sempre nuove irrealistiche proposte (scavo del canale Contorta, poi del canale delle Tresse, poi del terminala Marghera e scavo del Canale Vittorio Emanuele) per mantenere nel frattempo il transito delle grandi navi crociera attraverso il bacino di San Marco ed il canale della Giudecca.

Segnaliamo che il vecchio governo non ha tenuto in nessun conto la salute dei cittadini, esposti alle emissioni atmosferiche e al rumore delle navi a ridosso del centro abitato; nessuna cura è stata posta alla tutela dell’ inestimabile valore storico-artistico e del paesaggio della Città di Venezia; sul lato ambientale invece del ripristino della morfologia lagunare si è previsto lo sconquasso della Laguna e la stessa sicurezza della navigazione è stata messa a dura prova, mentre con l’ipotesi del terminal a Marghera si è attivata l’aspirazione ad una gigantesca speculazione immobiliare dalle aree industriali dismesse di proprietà dei privati all’area dei Pili.

IL CAMBIAMENTO ATTESO E AUSPICATO va collocato nel contesto normativo speciale vigente di tutela e salvaguardia di Venezia e della sua laguna, e nella cornice della forza di resistenza della popolazione che ha reagito fermamente con la protesta popolare tenendo conto:

-del decreto Clini-Passera, emesso nel 2012 subito dopo la tragedia del Concordia, che protegge la particolarissima sensibilità e vulnerabilità ambientale della Laguna di Venezia, laddove dispone il divieto di transito delle grandi navi crociera del bacino di S. Marco e di individuare una soluzione alternativa per poter garantire elevate condizioni di sicurezza marittima e la tutela dell’ecosistema lagunare;

- della mobilitazione di migliaia di cittadini, delle petizioni, del referendum popolare autogestito con oltre 18.000 firme, delle interrogazioni parlamentari, delle prese di posizione di osservatori mondiali, di Associazioni nazionali e dell’Organismo internazionale UNESCO, che chiede all’Italia di allontanare le grandi navi da crociera e da trasporto dall’intera laguna.

Per ultimo vanno respinte le indicazioni (peraltro non assunte e non deliberate, emerse nel corso dell’ultimo inconcludente Comitato dei Ministri per Venezia del 7 novembre 2017) di spostare il transito delle Grandi Navi alla Bocca di Malamocco verso Marghera e il Canale Vittorio Emanuele per i molteplici aspetti negativi già evidenziati dalle valutazioni del Ministero dell’Ambiente e della Capitaneria di Porto :

-un impatto ambientale devastante per le dimensioni ed il dislocamento delle grandi navi crociera che comporterebbe l’ulteriore erosione dei canali di accesso portuali con la mobilitazione di milioni di metri cubi di fanghi, per lo più inquinati, mettendo a rischio il già delicato equilibrio idrodinamico e morfologico della laguna. Recenti ricerche evidenziano una drammatica erosione del canale Malamocco-Marghera per il passaggio delle navi mercantili, di cui la Autorità Portuale ipotizza e persegue dimensioni sempre maggiori che sarebbe ancora più aggravata se si dovessero sommare anche le grandi navi crociera. Problematica peraltro, questa dell’erosione, che deve costituire comunque parte fondamentale del piano morfologico.

- una commistione di traffici diversi, crocieristici, commerciali, petroliferi attraverso la navigazione del canale dei Petroli (canale Malamocco-Marghera), con conseguenze negative per la sicurezza della navigazione e per gli stessi milioni di passeggeri obbligati ad attraversare il polo chimico di Marghera, dichiarata sito a Rischio di Incidenti Rilevanti ( RIR).

- aspettative speculative legate al cambio di destinazione d’uso delle aree dismesse: da industriale a turistico-commerciale, che rischiano di pregiudicare il futuro e lo sviluppo di attività industriali e manifatturiere della prima zona industriale (es. Fincantieri e bio-raffineria Eni) mettendo a rischio l’occupazione che ha già visto la perdita di migliaia di posti di lavoro; tutto ciò in aperto contrasto con il riconoscimento legislativo di Porto Marghera come “ area di crisi complessa “

Va invece preso formalmente atto, nel prossimo Comitato dei Ministri per Venezia ( vulgo Comitatone) che, a seguito della comparazione di diversi ipotesi progettuali e della procedura di valutazione dei Progetti presentati da parte della Commissione Nazionale di Valutazione di Impatto Ambientale, un unico progetto (denominato, Venis Cruise 2.0 , Duferco DP Consulting) ha superato la valutazione di impatto ambientale ed è pronto , dal punto di vista tecnico e giuridico, per essere individuato, in base al Clini Passera, quale soluzione alternativa subito realizzabile.

Il progetto è stato bloccato arbitrariamente dal ministro delle infrastrutture del precedente Governo e ha impedito l’avanzamento della procedura prevista dalle norme vigenti. Nel maggio di quest’anno il progetto Venis Cruise 2.0 ha ottenuto la sentenza favorevole del Tar in cui i giudici hanno respinto tutti i profili di illegittimità sollevati dal ricorso dell’Autorità Portuale ,( ricorso presentato dall’Autorità Portuale contro il Ministero dell’Ambiente e contro il Ministero delle Infrastrutture suo stesso Ministero di appartenenza!) e dal comune di Cavallino sugli aspetti procedurali, autorizzativi e progettuali.

Il Progetto denominato, Venis Cruise 2.0, soddisfa tutti i requisiti del Clini Passera come specificati e confermati anche dall’ODG del Senato ( 6 02 2014 Endrizzi, Casson ed altri): sposta il terminal delle grandi navi crociera alla bocca di Lido, è dichiarato dalla VIA positiva, del tutto compatibile con le esigenze di salvaguardia e tutela della laguna, non interferisce con il Mose, è a distanza di sicurezza dai centri abitati, utilizza la Marittima come home-port, conferma la tutela dell’occupazione e risponde pienamente alle raccomandazioni dell’Unesco votate dall’assemblea generale di Istanbul ( luglio 2016).

Alla luce di quanto sopra considerato si ritiene realistico poter affermare che per una forza politica di maggioranza esistono tutte le condizioni “di cambiamento” per realizzare in breve tempo quella soluzione alternativa praticabile che garantisce l’estromissione definitiva delle grandi navi crociera dalla laguna e che assicura nel contempo l’occupazione ed il mantenimento della crocieristica a Venezia.

Una rappresentanza del Comitato No Grandi Navi riterrebbe opportuno, e richiede al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti, un incontro da tenersi quanto prima.

La Nuova Venezia, 23 settembre 2018
DOMENICA UN NUOVO CORTEO ACQUEO IN BACINO

L'assemblea pubblica in Pescheria a Rialto, convocata ieri pomeriggio dal Comitato No Grandi Navi, ha deciso per il prossimo fine settimana nuove iniziative di mobilitazione e protesta a Venezia. Per sabato prossimo, 29 settembre, è stata convocata una "Assemblea nazionale dei comitati e movimenti contro le grandi opere e per la giustizia ambientale" alle ore 15 ai Magazzini del Sale a Dorsoduro.
Domenica 30 settembre è stata confermata una grande manifestazione nazionale a Venezia con «giochi d'acqua contro le grandi navi da crociera» e una marea di imbarcazioni (barche a motore a remi a vela, canoe, kayak, pedalò) nel Bacino di San Marco per «dire basta alle graandi navi a Venezia». «Sarà una grande festa per il rispetto della nostra laguna e della nostra città «spiegano gli organizzatori del Comitato «per chi partecipa alla protesta senza barca appuntamento alle Zattere dalle ore 16 al presidio organizzato con gazebi e la distribuzione di materiali vari e punti di ristoro.
Per chi viene in barca appuntamento di fronte Villa Heriot Giudecca alle ore 15.30, la parata di barche partirà da Villa Heriot e raggiungerà il presidio all'altezza delle Zattere dove saranno allestiti degli ormeggi galleggianti per garantire momenti di pausa ai vogatori e dei punti di ristoro in acqua».«Passano i governi, ma le navi da crociera restano» dicono i portavoce del Comitato No Grandi Navi «Chi era dalla nostra parte durante la campagna elettorale ora si comporta come il peggiore degli ignavi, a cominciare dal ministro Toninelli»

Il 29-30 settembre 2018 si terranno un' Assemblea nazionale dei comitati ambientali per fare il punto sulle grandi inutili opere e la manifestazione "Giochi d'acqua contro le grandi navi e le grandi opere" organizzate dal Comitato NOGrandiNavi Laguna Bene Comune. Qui il programma e invito all'Assemblea.

la Nuova Venezia, Antico Teatro di Anatomia-pagina fb, 7 e 11 settembre. La comunità della Vida non demorde e con fantasia e dedizione difende un bene pubblico di Venezia. Ma i poteri forti sanno di avere dalla loro parte "il fattore tempo". (m.p.r.)

la Nuova Venezia, 11 settembre 2018
LETTERA AL MINISTRO BONISOLI
«LA VIDA RESTI SPAZIO PUBBLICO»
di Roberta De Rossi

«I cittadini chiedono un incontro al rappresentante dei Beni culturali, giovedì in città. La proprietà: “Il Comune ci ha dato ragione, sarà ristorante”».

Una lettera per chiedere al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli - che giovedì sarà a Venezia - un incontro, allargato a Regione e Comune, «per trovare una soluzione condivisa nell'interesse della città e dei suoi abitanti». L'ha inviata la Comunità della Vida, il gruppo di cittadini ed associazioni che da un anno chiede che lo spazio in campo San Giacomo venduto dalla Regione all'imprenditore Alberto Bastianello per un milione di euro, non diventi un ristorante, ma «resti pubblico, per un progetto soci-culturale al servizio dei residenti».La Comunità prende spunto proprio da un'intervista rilasciata dal ministro Bonisoli a la Nuova, nella quale sosteneva che «a Venezia non servono nuovi alberghi, ma politiche per la residenzialità e spazi per la produzione culturale».

Le associazioni non mollano, nonostante la denuncia penale per l'occupazione de La Vida ora sotto sequestro e il processo civile in corso (prossima udienza il 24 settembre)avviato dalla Regione - nei mesi in cui la Vida era stata trasformata dai cittadini in un centro civico - per la "possessoria" dell'immobile. Il Comitato ha organizzato anche un invio massiccio di cartoline all'indirizzo dell'amministrazione comunale per «fermare i cambi d'uso e la privatizzazione del patrimonio pubblico e valorizzare questi beni attraverso un regolamento di uso civico che consenta alle comunità di gestirli».Da parte sua, la proprietà ribadisce il progetto di voler riaprire il ristorante che la Vida fu un tempo e invita i cittadini di togliere il gazebo bianco che da mesi è stato allestito dopo lo sgombero, come "Vida mobile". «Siamo sereni e siamo stati confortati dagli uffici comunali, che ci hanno confermato la nostra interpretazione», spiega l'avvocato Bartolomeo Suppiej, «ovvero che in assenza di cambio di destinazione d'uso a struttura culturale previsto da piano regolatore - ma mai realizzato negli anni - vige tuttora la destinazione preesistente a utilizzo commerciale. Bastianello ha rogitato e pagato un bene del quale non riesce ad entrare in possesso. Il tempo sarà galantuomo e riconoscerà le nostre ragioni: invitiamo gli abitanti a togliere il gazebo».

Antico Teatro di Anatomia - pagina fb
7 settembre 2017

«Oggi abbiamo scritto al nuovo Ministro dei beni e delle attività culturali e al turismo Alberto Bonisoli, al Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, a Brugnaro Sindaco, agli Assessori, ai Consiglieri Regionali e Comunali la seguente lettera che chiede ancora una volta di trovare una soluzione condivisa alla vicenda dell'Antico Teatro di Anatomia. Speriamo che i nostri sforzi vengano finalmente presi in considerazione».

Alla cortese attenzione
del Ministro Alberto Bonisoli

Gentile Ministro,

abbiamo letto le sue parole riportate sul quotidiano la Nuova Venezia di Venerdì 1° settembre 2018 e condividiamo le sue affermazioni: a Venezia non servono nuovi alberghi ma politiche per la residenzialità e spazi per la produzione culturale. A tal proposito le scriviamo in quanto abitanti di Venezia che si stanno impegnando in tanti modi affinché "l'Antico Teatro di Anatomia” (La Vida) resti pubblico attraverso l’applicazione di un regolamento di uso civico per un progetto socio-culturale al servizio della popolazione residente.

L’antico teatro di anatomia (La Vida) si trova in una zona molto particolare che si affaccia su Campo San Giacomo, un’area ancora popolata e vissuta dagli abitanti che usano lo spazio pubblico come luogo d’incontro e ludico per i propri figli, nonostante la continua apertura di nuovi ristoranti ed alberghi e la riduzione dei servizi per la comunità.

Le associazioni culturali About, Omnia e Il Caicio avevano avanzato anni fa un progetto che valorizzava l'immobile alla luce della sua eccezionale storia, ma la Regione Veneto non ha preso in considerazione la proposta preferendo vendere il bene per 911 mila euro a un imprenditore che vorrebbe realizzare un ennesimo ristorante.

A cessione avvenuta molti abitanti della zona e non solo, decisero di dare un segnale forte alla città per salvaguardare il patrimonio pubblico e opporsi alla trasformazione di Venezia in un immenso museo a cielo aperto con annessi alberghi, ristoranti e trattorie più o meno tipiche. Cosi Il 28 Settembre 2017 la Vida veniva riaperta da abitanti, famiglie, anziani, studenti, lavoratori fuori sede e molti altri. Un’azione che in quel momento è sembrata opportuna per dare una scossa e richiamare le istituzioni alle loro responsabilità, i beni pubblici infatti una volta venduti li perdiamo per sempre.

I primi due mesi dell'esperienza sono stati incentrati sul chiedere a tutte le istituzioni pubbliche (Ministero, Regione Veneto e Comune di Venezia) di far valere il diritto di prelazione valido per 60 giorni dall'avvenuta vendita. Al silenzio dal suo predecessore, il Ministro Franceschini e del Comune, sono seguite le accuse di occupazione e l’avvio dei procedimenti legali per sei persone da parte della Regione Veneto.

A questo punto, la comunità della Vida si è quindi sostituita alle Istituzioni pubbliche alfine di garantire la legalità, ovvero il rispetto della destinazione d'uso dell'immobile classificato nel Piano regolatore Comunale come SU (struttura unitaria pre-ottocentesca con destinazioni d'uso compatibili unicamente come: "musei, sedi espositive, biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose") e fornire servizi pubblici gratuiti e completamente autogestiti agli abitanti (ludoteca, archivio del quartiere, mostre, incontri, spettacoli, momenti di socialità e confronto).

Nonostante questo, il 6 marzo 2018, il quartiere viene svegliato da un impressionante dispiegamento di forze dell'ordine, riunite a circondare l'intera zona per sgomberare i locali.

Ad oggi, l'immobile rimane sotto sequestro perché l'acquirente ha avuto risposte vaghe da parte del comune sulla possibilità di cambiare la destinazione d’uso dell’immobile per svolgere la propria attività commerciale e gli abitanti di San Giacomo da l’Orio non si rassegnano. Le attività continuano all'esterno sotto a un gazebo che funge da presidio ed il nostro messaggio è chiaro: “non è possibile che nell'immobile venga fatto un ristorante, non lo permettono le regole e noi saremo garanti di questo”.

Che fare signor Ministro per uscire da questa impasse?

Noi la invitiamo ad incontrarci e ad incontrare la Regione Veneto e il Comune per trovare una soluzione condivisa a questa vicenda nell'interesse della città e dei suoi abitanti. Venezia infatti è conosciuta in tutto il mondo ma la sua vita vera, quella fatta dalle persone che la abitano, è trascurata dalle stesse istituzioni che la dovrebbero difendere e promuovere. La nostra comunità si è stretta intorno a questo luogo, un simbolo della difesa di Venezia contro lo strapotere di chi crede che tutto si possa vendere e comprare, persino una città e i suoi monumenti... La preghiamo di essere con noi in questa battaglia per affermare il diritto costituzionale alla vita di una comunità.

Per questo e proprio in questi giorni, abbiamo indirizzato all'amministrazione comunale un accorato appello per fermare i cambi d'uso e la privatizzazione del patrimonio pubblico ed allo stesso tempo per valorizzare i beni pubblici attraverso un regolamento di uso civico che consenta alle comunità di gestirli.

La gestione amministrativa dei beni pubblici ad opera della Comunità è difatti possibile, come dimostrano le numerose esperienze italiane presentate al convegno nazionale "L'altro uso" svoltosi all'Università Iuav di Venezia il 14 e 15 aprile 2018, sulla base del principio di sussidiarietà definito al quarto comma dell’art. 118 della Costituzione italiana.

Grazie Ministro dell'attenzione e speriamo che voglia ascoltarci.

La Comunità della Vida

Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile

il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2018. Il modo abile e spregiudicato in cui una potenza finanziaria si impadronisce di una città, di una regione e detta alcune importanti regole del paese. (a.b.)

“La società ha fatto un puro calcolo di investimento, dal quale si aspetta un ritorno, un beneficio”. I veneti avveduti sanno che questo principio, esposto dal direttore generale Giovanni Cantagalli nel 1995, si applica a tutte le attività della Benetton, a cominciare da quella cui Cantagalli si riferiva, investimenti immobiliari del gruppo a Venezia. Precisamente denunciate da un pamphlet di Paola Somma (Benettown, Corte del Fontego 2011), le speculazioni in Laguna hanno coinvolto i tre gangli vitali della città. La più antica (1992-97) coinvolgeva una vasta area di proprietà privata alle spalle di Piazza San Marco, nella ristrutturazione, a carattere prevalentemente alberghiero, erano previsti un cinema, un teatro e una libreria, ma i primi poi non si fecero e l’altra sopravvisse finché i locali non vennero affittati a Vuitton nel 2010. Le due più recenti invece hanno riguardato il patrimonio pubblico.

Si tratta del prezioso edificio del Fontego dei Tedeschi accanto al Ponte di Rialto, per anni sede delle Poste, e della stazione ferroviaria di Santa Lucia: il Fontego fu acquisito da Benetton nel 2008 per 53 milioni di euro, ed è stato trasformato in un megastore del lusso (ceduto in gestione nel 2013 per 110 milioni al gruppo Lvmh) secondo un progetto dell’archistar Rem Koolhaas, con tanto di rosse scale mobili interne e terrazza sul Canal Grande: tutte varianti prontamente approvate da una Soprintendenza compiacente e da un Comune supino.

La stazione è stata trasformata in un enorme centro commerciale: la superficie per ristorazione e negozi è aumentata da 2500 a 9000 metri quadri, secondo l’accordo del 2009 con Grandi Stazioni, dominata dal gruppo Benetton. Il tutto ai piedi del famigerato ponte di Calatrava e all’ombra dell’ex direzione compartimentale delle Ferrovie, comprata dagli stessi Benetton per 70 miliardi di lire nel 1999 e rivenduta sei anni dopo alla Regione Veneto (che vi alberga oggi i propri uffici) per 70 milioni di euro. Per non parlare dell’isola di San Clemente, acquistata dai Benetton e poi rivenduta subito dopo la trasformazione in albergo di lusso, o della partecipazione del gruppo nelle avventure speculative del Parco San Giuliano e del quadrante di Tessera. Tutte operazioni nate nell’alveo della missione di “privatizzare Venezia” (come recitava un profetico libro edito da Marsilio nel ‘95) portata avanti per anni dal sindaco Massimo Cacciari, allergico alla cultura “vetero-vincolista” e pronto a identificare proprio in Benetton l’imprenditore-guida, il mecenate di una città “proiettata nel futuro”. Il futuro – a posteriori – è quello di una città moribonda.

Al di là delle questioni estetiche o urbanistiche, la penetrazione del gruppo Benetton a Venezia ha seguito, nelle parole di Paola Somma, un iter che assomiglia a quello di cui oggi s’inizia a parlare in rapporto alle concessioni autostradali: “Ogni tappa della lunga contrattazione ha visto il prevalere delle richieste e delle pretese del privato; tale predominio si è trasformato da eccezione a regola di governo”. Il processo si è iscritto in quella mutazione genetica che – complici i rapporti con la politica e i salotti buoni da Generali a Mediobanca, e la prontezza nel rispondere ai governi (per esempio nella vicenda dei “capitani coraggiosi” di Alitalia) – ha trasformato il gruppo “da un’entità che operava su di un mercato competitivo in una, almeno parzialmente, legata al carro pubblico” (Vincenzo Comito); ma c’è da chiedersi se davvero, come sosteneva l’economista Francesco Giavazzi anni fa, questa evoluzione sia un sintomo di debolezza e di subalternità alle decisioni del governo centrale (come sulle tariffe), specialmente quando la si collochi in un contesto di aderenze bipartisan. Storicamente “progressisti” grazie alle provocatorie campagne di Oliviero Toscani e ai loro slogan di sostenibilità, ecologia, responsabilità sociale, pace e fratellanza, i Benetton hanno saputo mantenere buoni rapporti sul territorio anche con la Lega, nel 2010 hanno ideato – tramite la loro branca “artistica” di nome Fabrica – la campagna elettorale del candidato governatore Luca Zaia: talché le ultime scaramucce sul referendum per l’autonomia dell’ottobre 2017 (Luciano Benetton schierato contro, e Zaia a rimbrottarlo) o sulla recentissima pubblicità di Toscani con i migranti, molto sgradita al ministro Salvini, ma non realmente censurata dal governatore, scompaiono dinanzi a una comunanza d’intenti che passa per un posticcio recupero del mos maiorum (Zaia ha salutato con grande favore il “ritorno ai maglioni” annunciato dall’anziano patriarca Luciano nell’autunno scorso), e più concretamente, per una serie di cooperazioni e sponsorizzazioni; anche attraverso lo sci: Alessandro Benetton, marito di Deborah Compagnoni, è a capo del potente comitato organizzatore dei Mondiali di Cortina 2021. E siamo oggi in odore di Olimpiadi.

Le Olimpiadi i Benetton le conoscono bene, in quanto furono tra i principali fautori della candidatura di Venezia 2020 (degna erede di quella all’Expo 2000 voluta da Gianni De Michelis), poi fortunatamente naufragata. E tra una squadra di basket o di rugby in grado di vincere trofei, e una Fondazione culturale capace di ingaggiare una parte dell’intelligentsia accademica (la Storia del paesaggio, i Beni Culturali, la Storia del gioco, la Storia veneta), la famiglia ha saputo conquistarsi una centralità assoluta nel “modello veneto” a livello imprenditoriale e culturale, e ha saputo così occultare alcuni aspetti meno edificanti della propria ascesa, fatta anche di subappalti disinvolti dalla Sicilia al Pakistan, di decentramento della produzione e dei rischi, di inopinate delocalizzazioni, di rapporti poco amichevoli con i contoterzisti e i rivenditori monomarca. Di queste cose parla, con dovizia di esempi, Pericle Camuffo in United Business of Benetton (Stampalternativa 2008), un libro che racconta anche la fosca storia dell’espansione latifondistica del gruppo in Patagonia a spese del popolo Mapuche (chi oggi si sorprende dinanzi a certi comunicati di Atlantia dopo il crollo di Genova dovrebbe confrontare la protervia di altre note emesse dai Benetton in quella vicenda).

Ma la centralità non conosce confini, e vale anche nel senso più glocal, tra la spada e la tonaca: nell’antica Treviso, il vecchio colorato megastore degli United Colors ha presidiato per anni il fianco del Palazzo dei Trecento, antica sede del potere civile in Piazza dei Signori; e da pochi mesi gli headquarters della finanziaria Edizioni, che controlla tutte le attività del gruppo di Ponzano (comprese le concessioni autostradali), si sono trasferiti proprio davanti al Duomo, nell’edificio dell’ex tribunale, restaurato e riqualificato con tanto di galleria di arte contemporanea sul retro.

Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile.

4 agosto 2018. Rigenerazione per chi? Quando le parole smettono di cogliere la realtà dei fatti e rispondere alla sfide dei problemi reali, da quelli ambientali a quelli sociali, diventano utili solo alla propaganda dei poteri forti, che in Italia sono gli interessi immobiliari. (i.b.)

Ho letto con piacere l'intervista all'avv. Bruno Barel sulla Nuova Venezia di lunedì 23 luglio 2018. La materia della rigenerazione urbana non è di quelle che appassionano immediatamente, ma ignorarla significa risvegliarci in città diverse da quelle che abbiamo lasciato quando siamo andati a dormire.

La prospettiva è sicuramente interessante: demolizione e riqualificazione in terreni marginali (prevalentemente a Porto Marghera) mediante la realizzazione di edifici-torre dalla forte valenza iconoca (tall) e con punti di vista o di belvedere sulla più bella città del mondo (quindi facilmente commercializzabili). Lo stesso Piano Strategico metropolitano 2018-2020 approvato sempre lunedì 23 luglio dalla Città metropolitana porta in grembo il germe di una futura "città verticale". Quindi l'argomento è attuale!

Ma si tratta di un approccio corretto?
Quello che è stato fatto, o che è in progetto di fare, in città come Barcellona, Monaco, Beirut, ecc., può essere tranquillamente replicato a Venezia?

Troppo spesso ci dimentichiamo che le nostre due città (Venezia e Mestre) sono incastonate in un habitat unico: la laguna di Venezia, che avrebbe tutte le caratteristiche per diventare un parco nazionale (il parco nazionale per antonomasia dell'italianità, dove ambiente e opera dell'uomo si sposano in maniera incredibile!) ma che, per le piccolezze della prima e della seconda Repubblica, non ha nemmeno la dignità di parco regionale. Verrebbe mai in mente di costruire una muraglia di edifici-torre tutto attorno al parco della Camargue o al promontorio del Circeo?

E' questo il punto.

Per "gronda lagunare" intendiamo poche centinaia di metri dal bordo della laguna o tutto lo sky line che si può osservare dalla Città Antica?

Il Comitato per Patrimonio Mondiale dell'UNESCO non ha dubbi e relativamente al sito "Venezia e la sua Laguna", durante la sessione di lavori svoltasi a Istanbul nel 2016, ha chiaramente sentenziato: "di rivedere la Buffer Zone proposta per il sito in coerenza con la revisione tecnica dell'ICOMOS e di sottoporla al Centro del Patrimonio Mondiale quale modifica minore dei confini". In altri termini, attorno al sito "Venezia e la sua Laguna" (che sostanzialmente termina poche centinaia di metri a ovest della linea di gronda) l'UNESCO prevede una fascia di rispetto di alcuni chilometri ("Buffer Zone") dove non vigono le rigide regole di tutela del sito, ma dove i grandi progetti infrastrutturali e le modifiche del paesaggio devono essere sottoposte ad approvazione, proprio per non comprometterne l'Eccezionale Valore Universale.

Ma in realtà cosa sta succedendo?

Per il rischio che i grossi progetti infrastrutturali in programma alle spalle di Venezia possano essere rallentati da ulteriori procedure di approvazione, il Sindaco Brugnaro ha proposto, diciamo così, di "annacquare" la Buffer Zone rendendola talmente ampia da avere un'efficacia coercitiva praticamente inesistente: tutti si ricorderanno la proposta di farla arrivare fino alle Dolomiti; questo non è successo, anche se ora arriva fino ad Asolo e Montebelluna (ad insaputa degli ignari abitanti!).

Questa smisurata area cuscinetto (che così com'è non serve a nulla) va sicuramente ridimensionata, per fare in modo che le future edificazioni nell'entroterra veneziano si possano confrontare con il "patrimonio culturale paesaggio" (perché il paesaggio è patrimonio culturale ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e con il valore degli habitat circostanti.

Questo potrebbe essere fatto magari estendendo il vincolo paesaggistico (ex legge 1497/39) fino a ricomprendere tutte le porzioni di territorio visibili da Venezia, in modo che possa essere sondato l'impatto di futuri progetti come Venus Venice, Pili, Tessera City o il raddoppio dell'aeroporto, sulla città lagunare. E anche la terraferma ne avrebbe un vantaggio, perché, per esempio, sarebbe valutata la compatibilità paesaggistica dell'edificazione di grattacieli nell'area dell'ex ospedale, area su cui insisteva l'antico Castelvecchio di Mestre (tematica che come rappresentante dell'Istituto dei Castelli mi tocca in prima persona).

Questa sfida lancio all'avv. Barel: rigenerazione urbana non può voler dire solo riduzione di consumo di suolo e costruzione in altezza, ma deve poter significare anche qualcos'altro, per esempio il recupero del patrimonio edilizio esistente. Si pensi alle isole lagunari (San Giacomo in Paludo, S. Angelo della Polvere, S. Giorgio in Alga, Poveglia, ecc.) che potrebbero ospitare attività economiche innovative o all'immenso patrimonio immobiliare privato inutilizzato in centro storico. O forse l'utilizzo alberghiero di queste strutture è ormai assodato e sono ambiti urbani dove non si può più sperimentare?

E la stessa valorizzazione dell'area dell'Umberto I potrebbe essere l'occasione (magari osando qualche ricostruzione di edifici storici vista l'eccezionalità del caso) per ridare a Mestre quel centro a misura d'uomo che le è stato rubato dagli immobiliaristi degli anni Sessanta. Quegli stessi immobiliaristi i cui nipotini ora si preparano a tornare alla carica, questa volta non demolendo città, ma rubando paesaggio.

L'autore è il Consigliere Nazionale dell'Istituto Italiano dei Castelli.

Testo integrale inviato dall'autore a eddyburg dell'articolo pubblicato in forma ridotta sulla Nuova Venezia del 4 agosto 2018.

Time, 26 Luglio 2018. La rivista statunitense fa il punto sul sovraffollamento turistico di alcune tra le principali destinazioni europee, citando i provvedimenti presi dai governi locali per contenere il fenomeno. Con sintesi in italiano e commento. (c.z.)


L’articolo del Time si sofferma sulla crescita del turismo internazionale in Europa e sulla “frustrazione” che essa comincia a generare nelle popolazioni locali, che ne devono sostenere le ripercussioni. La fede nel turismo come “salvavita economico” ha infatti indotto governi ed amministrazioni locali a promuovere ed incentivare per anni tale forma di sviluppo, competendo per attrarre navi da crociera, nuove linee aeree, nuovi hotels, senza porsi il problema delle conseguenze che ciò avrebbe comportato per i territori. Conseguenze che oggi, tramite singoli provvedimenti locali o misure fiscali, stentano ad essere effettivamente risolte. Tra i casi descritti dal giornale, ci sono Barcellona e i tentativi compiuti dal sindaco Ada Colau per porre delle limitazioni alla sua capacità ricettiva; Dubrovnik, Amsterdam, la Grecia, l’Islanda, le Lofoten Islands in Norvegia. E, naturalmente, Venezia.

Il ritratto che la giornalista fa della situazione in Laguna appare tuttavia poco approfondito e a tratti fuorviante. Si limita infatti a riportare senza una verifica fattuale le dichiarazioni dell’assessore al turismo, Paola Mar, e cita come interventi compiuti dall’amministrazione “la restrizione alla costruzione di nuovi hotels e ristoranti take-away, la costruzione di corsie preferenziali per i residenti sui mezzi pubblici, un piano per deviare i flussi nei giorni estivi più congestionati e l’assunzione di 22 stewards per educare il comportamento dei turisti”. Misure che in realtà, quando non rimaste esclusivamente sulla carta e contraddette in maniera sostanziale nella pratica (basti pensare alle migliaia di posti letto in costruzione a Mestre), si rivelano di scarso o nullo effetto sulla mitigazione dell’impatto turistico cittadino. L’articolo lascia inoltre intendere che l’installazione di tornelli negli accessi principali della città costituisca un effettivo tentativo di regolamentazione del fenomeno da parte dell’amministrazione, e che ad essa i residenti Veneziani si oppongano o perché contro-interessati economicamente o per un generico rifiuto della chiusura, senza alcuna riflessione critica circa il significato e l’efficacia di un simile provvedimento.

Nel complesso, quindi, un articolo più utile ad avere una prospettiva d’insieme sull’overtourism che non ad approfondire i singoli contesti, e la cui rilevanza consiste piuttosto nel contribuire a trasmettere al pubblico estero un’immagine meno patinata delle principali destinazioni europee. (c.z.)



EUROPE MADE BILLIONS FROM TOURISTS. NOW IT'S TURNING THEM AWAY
di Lisa Abend

In Giovanni Bonazzon’s paintings, Venice is a vision of serenity. Bridges arch gracefully over rippling canals, sunlight bounces off flower-filled balconies, and not a single human mars the tranquility. Bonazzon’s daily vista is not as tranquil, however. An artist who paints and sells watercolors from an easel set up near San Marco Square, he has a ringside seat to the selfie-posing, ice-cream-licking hordes who roil their way daily toward the Doge’s Palace, and he readily agrees that tourism is killing his hometown. Yet when he heard that Venice Mayor Luigi Brugnaro had, in the run-up to a busy weekend at the beginning of May, installed checkpoints intended to block arriving visitors from especially crowded thoroughfares (while allowing locals through), Bonazzon was dismayed. “Yes, they should control the tourists,” he says. “But they shouldn’t close Venice. We’re a city, not a theme park.”

That’s a refrain echoing in a growing number of European cities. The neoclassical gems that once made up the grand tour have been stops on package tours since the 19th century. But it’s only over the past decade or so that the number of travelers to these and other must-see destinations risks subsuming the places. Around 87 million tourists visited France in 2017, breaking records; 58.3 million went to Italy; and even the tiny Netherlands received 17.9 million visitors.

It’s happening nearly everywhere. Asia experienced a 9% increase in international visitors in 2016, and in Latin America the contribution of tourism to GDP is expected to rise by 3.4% this year. Even a devastating hurricane season couldn’t halt arrivals in the Caribbean, where tourism grew 1.7% in 2017. (The U.S., on the other hand, has seen foreign tourism drop, partly because of a strong dollar.)

But Europe is bearing the brunt. Of the 1.3 billion international arrivals counted by the U.N. worldwide last year, 51% were in Europe–an 8% increase over the year before. Americans, in particular, seem drawn to the perceived glamour and sophistication of the Old Continent (as well as the increased spending power of a strong currency). More than 15.7 million U.S. tourists crossed the Atlantic in 2017, a 16% jump in the space of a year.

With tourism in 2018 expected to surpass previous records, frustration in Europe is growing. This past spring witnessed antitourism demonstrations in many cities throughout Europe. On July 14, demonstrators in Mallorca, Spain, conducting a “summer of action” greeted passengers at the airport with signs reading tourism kills Mallorca.

Now, local governments are trying to curb or at least channel the surges that clog streets, diminish housing supplies, pollute waters, turn markets and monuments into no-go zones, and generally make life miserable for residents. Yet almost all of them are learning that it can be far more difficult to stem the tourist hordes than it was to attract them in the first place.

The reasons for this modern explosion in tourism are nearly as numerous as the guys selling selfie sticks in Piazza Navona. Low-cost airlines like easyJet, Ryanair and Vueling expanded dramatically in the 2000s, with competitive ticket prices driving up passenger numbers. From 2008 to 2016, the cruise-ship industry in Europe exploded, growing by 49%. Airbnb, which launched in 2008, made accommodations less expensive. Rising prosperity in countries like China and India has turned their burgeoning middle classes into avid travelers. Even climate change plays a role, as warmer temperatures extend summer seasons and open up previously inaccessible areas.

But the cities and local governments here also share responsibility for the boom, having attempted to stimulate tourism to raise money. In the decade since the financial crisis began, tourism has come to be seen by European countries as an economic lifesaver. The industry generated $321 billion for the E.U. in 2016 and now employs 12 million people. Governments in cities like Barcelona spent heavily to attract tourist dollars. “For decades, the government here was using tons of public money to attract cruise lines, new hotels, new airlines,” says Daniel Pardo, a member of the city’s Neighborhood Assembly for Sustainable Tourism. “But they didn’t think about the repercussions.”

Barcelona is one of the cities that got more than it bargained for. Every day in high season now, four or five cruise ships dock in the Catalan capital, spilling thousands of passengers at the base of the famous Rambla Boulevard. “You can’t walk there,” Pardo says. “You can’t shop at the Boquería market. You can’t get on a bus, because it’s packed with tourists.”

Over the past few years, Barcelona has begun taking action to improve tourist behavior, like fining visitors who walk around the city center in their bathing suits. The current mayor, Ada Colau, has dramatically intensified that action. In January 2017, her government prohibited the construction of new hotels in the city center and prevents their replacement when old ones close. Cruise ships that stop for the day may struggle to get docking licenses, as the city prioritizes those that begin or end their journey in Barcelona. Tour groups can now visit the Boquería market only at certain times, and the city is considering measures to ensure locals can still buy raw ingredients there–and not just smoothies and paper cones of ham.

“There is a risk that some areas of the city, like Sagrada Familia or the Boquería, will become amusement parks,” says Agustí Colom, the city councilman for tourism. “But we’re still in time to save them. We understand that Barcelona cannot become an economic monoculture.”

Other places are also turning to the law to reduce the number of globetrotters. Ever since its medieval center stood in for King’s Landing on Game of Thrones, the walled Croatian city of Dubrovnik has been overwhelmed by fans of the HBO series. In 2017, Dubrovnik limited the number of daily visitors to 8,000; its new mayor now seeks to halve that amount. Amsterdam, whose infamous drug culture and picturesque canals drew at least 6 million foreign visitors to the city in 2016, has adopted a carrot-and-stick approach. The Dutch capital has introduced fines for rowdy behavior and banned the mobile bars known as “beer bikes,” while simultaneously attempting to lure visitors to less congested sites like Zandvoort, a coastal town 17 miles from the city center that has been rebranded Amsterdam Beach, through apps and messaging systems.

The city has also raised its tourist tax to 6%, joining several other cities and some countries that aim to control visitor numbers with higher levies. At the start of 2018, Greece imposed its first tourist tax, which ranges from roughly 50 cents a night to four euros. In Iceland, which receives nearly seven times as many visitors as it has residents, lawmakers will consider a tax this fall on tourists coming from outside of Europe.

Yet even in liberal Europe, not every government is willing to raise taxes. Authorities in the Lofoten Islands in northern Norway beseeched the government to raise levies after more than a million tourists visited in 2017, thanks in part to the movie Frozen. The 25,000 inhabitants found their single main road and its sparse facilities completely overwhelmed.

When Norway said no to higher taxes, the locals were forced to take matters into their own hands. “We’ve organized community volunteers to build trails and haul trash,” says Flakstad Mayor Hans Fredrik Sordal. “In summer, we’re opening the school toilets to the public. And we’re asking tourists for volunteer contributions.”

For locals in these places, anger at the ever-expanding rates of tourism can be placated by the money there is to be made out of catering to them. The advent of Airbnb has created a revenue stream for city-center residents with spare bedrooms and second properties. The company sees itself as an answer to tourism overcrowding rather than a net contributor. “We are convinced our community can be a solution to mass tourism,” wrote company founder Nathan Blecharczyk in a May report, “and that it enables sustainable growth that benefits everyone.”

Yet some people benefit more than others. Canny investors buy up residential properties in desirable locations and convert them into tourist apartments, provoking housing shortages and pushing up prices. Again, some cities have taken action. Copenhagen, for example, has limited the number of days per year that owners can rent out their residences. Barcelona has targeted Airbnb itself, forcing it to share data about owners and remove listings for unlicensed apartments. It has also launched a website where visitors can check if a potential apartment is legally registered. But speculators are hard to deter, especially as Airbnb doesn’t require owners to reside in housing that is rented through the site.

Balancing the needs of locals with the demands of tourists is a challenge across Europe but perhaps nowhere more so than in Venice, where more than 20 million tourists crowd the piazzas and canals every year. When the city’s mayor attempted to install checkpoints to potentially shut main thoroughfares to tourists, the initiative was greeted by protests from locals, who saw the surprise measure as an attempt to close the city. “We tried to do something for the city, for the residents,” laments Paola Mar, Venice’s deputy mayor for tourism. “This measure was for them, for their safety. But in Italy, you’re only good if you do nothing.”

Venice has not done nothing. The local government has restricted the construction of new hotels and takeout restaurants, and created a fast lane for residents on public transport. It has a plan in place to ease congestion by diverting foot and boat traffic on exceptionally crowded days this summer, and now employs 22 stewards in vests that read #EnjoyRespectVenezia to prevent tourists sitting on monuments, jumping in the canal, or otherwise misbehaving.

But imposing too many restrictions risks alienating the residents who depend on access to tourist dollars; across the E.U., 1 in 10 nonfinancial enterprises now serves the industry. In Venice, a proposal to ticket the entrance to San Marco Square has run into resistance from shopkeepers. And the subject of restricting cruise-ship access is a touchy one. “You have to know, 5,000 people work with the cruise ships,” says Mar, who notes that the city council has asked the government to move large ships from the San Marco basin. “If we want people to stay in Venice, they have to have jobs.”

And therein lies a hint of what is at stake. Venice has been losing residents for decades, dropping from nearly 175,000 in 1951 to around 55,000 now. The city seems close to uninhabitable in certain areas–its streets too crowded to stroll down, its hardware shops and dentist offices replaced by souvenir stalls. The same cycle threatens Barcelona and Florence; tourism drives locals out of the center, which then leaves even more spaces to be colonized by restaurants and shops that cater to tourists. Annelies van der Vegt understands the sentiment. A musician, she lives in the center of Amsterdam but is tired of finding entire tour groups on her doorstep, gaping at her 17th century house. “I’m thinking of moving to Norway,” she says.

When the residents leave and the visitors take over, what is left behind can lose some of its charm. One day in May, Susana Alzate and Daniel Tobón from Colombia waited on Venice’s Rialto Bridge as first a gaggle of Israeli Orthodox Jews, then a tide of Indian Sufis jostled by. Finally, the couple found a slot on the railing, struck a pose and shot their Instagram story. “It’s beautiful,” said Alzate as she gazed out on the Grand Canal. “But I would never come back. Too many tourists.”

Tratto dalla pagina qui raggiungibile.

Venezia camb!a, 31 luglio, 2018. La giunta Brugnaro complice della speculazione immobiliare trasforma fraudolentemente le regole urbanistiche vigenti in strumenti per la valorizzazione immobiliare. Con riferimenti

La recente delibera della Giunta del Comune di Venezia (del 26 luglio) che avvia l’approvazione di una parte del nuovo Piano degli Interventi, sostanzialmente il nuovo Piano Regolatore, se approvata dal Consiglio Comunale creerebbe un gravissimo precedente di illegittimità.

Su un totale di 587 proposte presentate se ne estrapolano 110 che vengono ritenute prioritarie per accordi pubblico-privati, di queste solo 22 vengono ritenute “di interesse pubblico” e però 100 sono comunque avviate all’approvazione in base ad Accordi proprietari-Comune che consentono l’approvazione delle proposte in deroga alle norme urbanistiche vigenti.

Gli Accordi tra Comune e soggetti privati, in base alla legge urbanistica del Veneto del 2004 (art. 6), consentono di “assumere nella pianificazione progetti e iniziative di rilevante interesse pubblico”. Le approvazioni in deroga agli strumenti urbanistici sono sempre state casi eccezionali da votare prima in Consiglio Comunale e poi da ratificare in consiglio provinciale. Ma così l’ “Urbanistica Contrattata” caso per caso con i privati diventa un sistema di pianificazione generale di interessi privati approvati in deroga, in contrasto con norme e vincoli senza modificare i piani vigenti.

Peraltro, le proposte vengono sintetizzate in poche righe che non consentono minimamente ai consiglieri comunali – che dovrebbero avere comunque la possibilità di accedere agli originali delle proposte e delle istruttorie- di valutarne contenuti e l’ipotetico “rilevante interesse pubblico” che solo può consentire al Consiglio Comunale le singole approvazioni in deroga specifiche.

Già sulla stampa emergono numerosi i casi di progetti già negati negli anni scorsi perché clamorosamente in contrasto con le normative vigenti, progetti che ora vengono riproposti e giudicati “prioritari”.

Viceversa le proposte, come quelle del Forum Arsenale, di Venezia Cambia e dell’Ecoistituto del Veneto, dichiaratamente presentate con riguardo esclusivamente a interessi pubblici, e senza diretti interessi commerciali dei proponenti, pertinenti alla strumentazione urbanistica ora in discussione, vengono tutte classificate in una categoria ‘evanescente’ denominata IDEE che le confina in una sorta di limbo, posticipandone l’esame solo dopo l’esaurimento della procedure relative a tutte le altre proposte rispondenti a interessi economico-commerciali privati.

E’ da sperare e chiedere che ora (dopo un anno di ritardo), senza prima una ampia discussione di tutta la città e del consiglio comunale, la giunta non avvii l’elaborazione dei singoli Accordi con i privati.

Il Comune di Venezia ha avuto una lunga e meritoria storia nella elaborazione urbanistica che ha sempre coinvolto nella partecipazione e discussione, anche molto accesa, tutte le forze sociali, culturali, economiche, politiche e le municipalità.

Questa città non merita, rispetto alla sua storia urbanistica, un tale degrado di merito, di mancata partecipazione e di subordinazione dei veri interessi pubblici attinenti alla pianificazione urbanistica generale a quelli dei singoli privati.

riferimenti
Link al testo della delibera n.273 del 26 luglio 2018 della giunta comunale di Venezia.
Link all'Allegato 1 con la valutazione delle proposte intervenute e i progetti approvati con il Piano degli Interventi.

Proposta di micro progetto per scoprire il verde nascosto di Venezia, promuovere spazi pubblici per i residenti ed educare sull’importanza del verde per la salute, vivibilità e riduzione CO2. Vota il nostro video per aiutarci realizzarlo!

«Abitare il verde a Venezia» è una la proposta per un microprogetto per il bando «100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ», nell’ambito dell’iniziativa NOPLANETB. Sviluppata da eddyburg.it e Zoneonlus in collaborazione con AmbienteVenezia e il circolo culturale Peroni, due associazioni attive a Venezia, l’idea nasce dalla volontà di utilizzare “il verde” come strumento per restituire ai residenti degli spazi pubblici vivibili. I “campi”, gli spazi pubblici per eccellenza di Venezia, si presentano per la maggior parte come distese selciate, privi di verde e sempre di più sacrificati a plateatico a consumo dei turisti, sottraendo spazio vitale agli abitanti, una specie oramai in via di estinzione.

Se nel passato Venezia era circondata interamente da campi verdi e pascoli, nel corso dei secoli queste aree sono state gradualmente ricoperte dalla pavimentazione e le zone verdi sono concentrare nella zona dei Giardini e Sant’Elena, oppurre nelle corti private, inaccessibili ai più e nascoste dietro a muri e cancelli. Con l’aumento dei mezzi acquei a motore, dalle grandi Navi ai motoscafi e vaporetti, l’inquinamento a Venezia sta raggiungendo valori molto alti, nonostante sia una città sostanzialmente priva di automobili. Venezia, è la seconda città del Veneto per numero più alto di sforamenti dei limiti di legge di sostanze inquinanti l’aria e nessun provvedimento è stato ancora considerato. Nell'ambito di questo progetto si vuole anche sensibilizzare la cittadinanza a questo problema, in quanto il verde costituisce un importante deterrente all'inquinamento atmosferico.

Questo progetto vuole contrastare l’idea di una città irrimedialmente destinata al consumo turistico e allo sfruttamento delle risorse ambientali. Attraverso alcune piccole attività, si vuole contribuire a restituire dignità a Venezia, come la grande marcia del 10 giugno scorso invocava, sia con la promozione di spazi pubblici vivibili, sia attraverso incontri per comprendere meglio la città e promuovere azioni che la rendano più a misura di chi la vive e nel rispetto del suo ecosistema.

Queste le attività principali previste:

1. Verde nascosto: un concorso fotografico aperto a tutti per scoprire aree e angoli di vegetazione della città. Gli abitanti sono invitati a documentare con uno scatto fotografico, un luogo verde inacessibile o celato.

2. Campo verde: un laboratorio di progettazione partecipata aperta a residenti veneziani, in cui attraverso una serie di quattro incontri si progetterà la vegetazione di sei “campi” di Venezia, uno per sestiere. Si sperimenteranno diverse tipologie di verde, l’ orto urbano, il giardino verticale, il totem verde, l’ oasi o la foresta in vaso, sotto la guida di agronomi, etologi, ingegneri ambientali, architetti e giardinieri. In campo Santa Margherita, dove una volta di trovava un albero – ora tagliato - verrà realizzato uno piccolo giardino verticale dimostrativo per mettere in pratica le tecniche acquisite.

3. Venezia verde: una festa di primavera che concluderà il progetto e che si terrà in Campo Santa Margherita. In occasione della festa verranno esposti i progetti del laboratorio, verrà inaugurato il verde verticale realizzato in campo, sarà allestita una mostra-istallazione delle fotografie pervenute attraverso il concorso e saranno organizzati alcuni dibattiti sul rapport verde, salute, vivibilità e cambiamenti climatici. L’evento sarà all’insegna della convivialità, aperta a tutti gli abitanti e associazioni locali, che potranno partecipare con banchetti ed esposizioni.

Qui il link al video preparato per concorrere al finanziamento. L'assegnazione del finanziamento dipende in parte dal numero di voti ricevuti dal progetto. Se condividete le nostre idee e proposta votateci!

Internazionale, 29 June 2018. Le contraddizioni dell'Italia: l'indiscussa accoglienza di masse di turisti e il respingimento di coloro che scappano cercando una vita migliore da parte dei nostri governanti e la solidarietà della gente ordinaria. (i.b.)

Durante il mio soggiorno a Chioggia, nell’agosto del 2017, ogni volta che vedevo uno yacht turistico con i passeggeri a bordo che mi salutavano, io rispondevo salutandoli dal balcone che dava sulla laguna. Mentre fumavo e sorseggiavo lentamente il mio caffè – e per un libico un caffè può durare fino a cinque sigarette – mi chiedevo cosa stesse raccontando la guida turistica in quel momento. Forse una cosa così: “E alla vostra sinistra un abitante del posto che fuma una sigaretta. In effetti non somiglia molto a un abitante del posto, e noi non beviamo il caffè in quel modo, ma potete ugualmente scattargli delle foto”.

O forse, se fossimo a Hollywood, avrebbe detto qualcosa tipo: “Alla vostra sinistra potete osservare la casa di Rosa Anna Valtellina, la zia del regista italiano Andrea Segre. Proprio quella con l’uomo dalle fattezze arabe che fuma sul balcone. L’area sotto la casa è il posto in cui Segre ha girato molte scene del film Sono Li. Se percorrete a piedi la stessa strada, troverete il bar in cui lavorava nel film. Durante le riprese hanno cambiato il nome del bar, ma il proprietario ha deciso di mantenerlo anche dopo.

Qualunque cosa stesse raccontando loro la guida turistica, sono sicuro che non era ciò che mi ha detto Pietro la prima volta che sono saltato a bordo della sua barca a Venezia: “Non buttare niente in acqua, soprattutto i mozziconi delle tue sigarette: le spegni e le butti lì”, e ha concluso la frase indicando una piccola pattumiera in un angolo della barca. La seconda cosa che mi ha detto era: “Qualunque cosa succeda, non tenerti al bordo della barca con le mani, se proprio ti devi aggrappare a qualcosa, afferra questa”, e mi ha mostrato una corda.

Mi ha dato quel consiglio come se sapesse che avrei fatto proprio quello. Non avevo nemmeno declamato la mia famosa frase per queste occasioni: “Non sono bravo a nuotare, salvami se cado”. Ho smesso di pronunciarla un po’ di tempo fa, non solo perché era imbarazzante visto che sono nato e cresciuto vicino al mare, a Tripoli, “la sposa del Mediterraneo”, ma anche perché chi è pronto a salvare gli africani che annegano lo farebbe anche senza sentirselo chiedere, e continuerà a farlo anche se qualcuno gli dicessero di non farlo, cosa che sta succedendo adesso; mentre chi non li vuole salvare non lo farebbe nemmeno se gli venisse chiesto.

Pietro non mi ha mai spiegato perché non dovevo tenermi ai bordi della barca, ma mi ha detto che sarebbe necessario un gran talento per annegare in quel canale poco profondo o qualcosa del genere. Il motivo l’ho scoperto poco dopo, e nel modo peggiore, perché per poco non ho perso le dita quando la nostra barca ne ha sfiorato un’altra mentre cercavamo di schivarla. A quel punto lui mi ha sorriso: “Adesso sai perché, e non lo dimenticherai”. In quel momento il dolore alle dita mi ha insegnato due cose: primo, lui aveva ragione, secondo dovrei imparare più parolacce in italiano.

Pietro è per definizione un vero veneziano, pilotava la sua barca come non avevo mai visto fare prima, oscillando e manovrando negli stretti canali affollati come se stesse guidando un’automobile sportiva in un’autostrada vuota. Conosceva la storia di ogni crepa di ogni palazzo, muro o ponte nella città. Era affascinante osservare il modo in cui viveva. Credo che se il mondo dovesse trovarsi davanti a uno scenario da apocalisse, con la terra sommersa dall’acqua, i veneziani sopravviverebbero e dominerebbero il mondo postapocalittico, e forse Pietro sarebbe il presidente del nuovo mondo d’acqua.

Prima di conoscere Pietro a Venezia avevo trascorso qualche giorno a Chioggia, la versione meno turistica di Venezia, e quando non me ne stavo sul balcone a fumare e salutare i turisti mi godevo la compagnia di Rosa. Avevo portato ad Andrea un abito tradizionale libico, e mentre se lo stava misurando lei ha detto che le ricordava un elegante signore libico che aveva conosciuto in Libia e che le aveva detto con gentilezza che avrebbe dovuto aspettare un po’ perché il suo volo era stato cancellato. Quando ormai stava per arrendersi e andarsene, lui le ha parlato in italiano e si è offerto volontario per tradurle ciò che non capiva.

Questa storia mi ha incuriosito. Le ho chiesto quando avesse visitato la Libia, e lei mi ha risposto che il suo viaggio risaliva al 2003, quando era andata a fare visita a sua sorella Franca (la madre di Andrea). Le ho chiesto se avesse qualche foto della Libia e lei mi ha portato tante scatole con decine di foto e mi ha invitato a scavarci dentro.

Ci ho messo diverse ore per guardare tutte le foto. Ho scoperto che Rosa era un’avventuriera di prima classe che ha cominciato a viaggiare attorno alla metà degli anni sessanta, prima in Italia e poi in Europa, Africa e America. Si è accampata nel deserto con i beduini e li ha accompagnati sul dorso di un cammello in luoghi in cui le automobili non potevano arrivare con facilità, ha percorso a piedi le montagne nevose dell’Europa orientale e la sua ultima destinazione è stata Cuba, dove era stata pochi mesi prima che la conoscessi. Non parlava inglese, ma questo non le ha impedito di viaggiare. Ha raccontato che all’inizio usava il latino per comunicare: in ogni parte del mondo c’è sempre un prete e loro parlano tutti latino. “Anzi, in Norvegia parlano latino molto meglio di me”, ha raccontato.

Ho guardato le foto che aveva scattato in Libia, le strade di Tripoli, i mercati, la piazza dei Martiri, l’ingresso della città vecchia, Sabratha e le rovine greche e romane della Cirenaica. Ho provato invidia per lei, perché nei suoi ricordi quei luoghi resteranno per sempre belli, mentre oggi faticano a sopravvivere. Il caos fa dimenticare la ricca storia della Libia e di Tripoli, in pochi hanno voglia di preservare i suoi siti storici. Una di queste persone è Hiba Shalabi, una fotografa libica che ha lanciato sui social network la campagna #SaveTheOldCityTripoli.

Hiba ha cominciato a condividere foto che documentavano la distruzione degli edifici storici e ha chiesto alla gente di Tripoli di unirsi a lei. Ultimamente ad aggravare il livello di distruzione sono intervenuti i progetti edilizi deregolamentati avallati dalle autorità libiche che non solo non si curano della manutenzione di questi edifici, ma hanno cominciato a legalizzare questa distruzione concedendo ai costruttori il permesso di raderli al suolo a prescindere dal loro valore storico. All’inizio non sono stati in molti a sostenere Hiba. Poi l’ambasciata italiana in Libia ha sostenuto la sua campagna e nel giro di poco tempo diverse televisioni e giornali europei hanno condiviso la sua storia e a quel punto finalmente anche i giornali locali se ne sono occupati.

Mentre la città vecchia di Tripoli, come tante altre città storiche in Libia, sta morendo, trascurata e dimenticata dal resto del mondo, Venezia affronta il problema opposto. “Venezia è una vera città”: questa frase era scritta su striscioni verdi attaccati ai balconi delle case che si affacciavano sui canali.

Gli striscioni facevano parte di una campagna lanciata in occasione della Regata storica del 2017 e “ideata per contrastare la tendenza prevalente dei politici locali, regionali e nazionali a rendere prioritario il turismo a Venezia, come se la città non fosse altro che un limone da spremere. Sostenendo i residenti, le loro necessità e la loro qualità di vita con strategie di lungo periodo, Venezia potrà essere invece conservata e nutrita in quanto città viva, ed essere attraente per i turisti senza le tossine del turismo di massa”.

Accoglienze diverse
Nei giorni del festival il Lido di Venezia è affollatissimo. Come a Tripoli le persone fanno lunghissime file, in questo caso non davanti alle banche ma davanti agli alberghi di lusso e al palazzo del cinema, nella speranza di potere scattare una foto a una celebrità. Era assurdo vedere come su poche isole ci fossero migliaia e migliaia di turisti che maltrattavano tutto e si lasciavano alle spalle montagne di rifiuti mentre altre erano quasi vuote, anche se c’erano comunque abbastanza turisti da costringere Pietro a fermarsi diverse volte con la sua barca per raccogliere le cose che gettavano in acqua, per esempio le bottiglie.

L’altra cosa che al Lido mi ha fatto tornare in mente Tripoli erano i posti di blocco. Il primo giorno del festival e prima di ricevere le mie credenziali sono stato fermato da ogni poliziotto a ogni posto di blocco e controllo di sicurezza. Questo mi ha fatto sentire a casa, con la differenza che ai posti di blocco di Tripoli i miliziani a volte indossano passamontagna neri e alcuni calzano sandali infradito. Controllavano il mio zaino, facevano tripli controlli sul mio passaporto.

La cosa divertente era che alcuni si ostinavano a volermi fermare sebbene avessero chiaramente visto che ero stato controllato al posto di blocco precedente, che si trovava lì vicino. Avevano qualche difficoltà ad accettare l’idea di un libico invitato al festival, forse a causa della dichiarazione del sindaco di Venezia che aveva detto che in cima agli edifici ci sarebbero stati dei cecchini pronti ad abbattere chiunque avesse gridato Allah akbar.

Quando stavo con Pietro non avevo bisogno di tirare fuori di continuo il mio passaporto. Di giorno lavorava in un bar e io me ne stavo seduto lì cercando di non dare fastidio. La mattina non è per me il momento migliore per fare conversazione, soprattutto con lui. Per qualche ragione mi capiva meglio di sera quando, dopo un paio di bicchieri di vino, il suo inglese diventava fluente. Stavo per lasciare il bar dopo un caffè e più o meno cinque sigarette quando è entrata una donna africana. Sembrava in difficoltà e parlava un italiano stentato. Lui le ha offerto una sedia, un caffè e due orecchie disposte ad ascoltarla. Ha capito che per qualche ragione aveva dovuto lasciare casa sua. Pietro ha telefonato alla polizia e ha fatto da traduttore. Le hanno dato qualche indirizzo dove avrebbe potuto alloggiare un po’ prima di capire cosa fare. Finita la telefonata, le ha disegnato una mappa e le ha spiegato come poterci arrivare.

Non gliel’ho detto subito, ma ho pensato a cosa potrebbe succedere se si estendesse l’accoglienza dimostrata ai turisti a tutte quelle persone per le quali lasciare le loro case è l’unica scelta possibile. E se addirittura queste persone avessero il permesso di viaggiare non finirebbero per diventare migranti irregolari, come vengono definiti. Mi chiedo cosa dicono loro quando li fanno salire a bordo delle imbarcazioni sulle coste libiche.

Forse qualcosa del tipo: “Tenetevi stretti ai bordi della barca, se il viaggio procede senza infiltrazioni d’acqua e guasti al motore, e se il tempo sarà abbastanza clemente, qualcuno di voi potrebbe avere davvero la possibilità di arrivare. Ma non vi ingannate, questo non è il purgatorio, perché anche se alcuni di voi vengono da posti peggiori dell’inferno, la destinazione verso la quale siete diretti non è il paradiso”.

Se fossi uno di loro, di sicuro non direi “Non sono bravo a nuotare, salvatemi se cado”, non solo perché chi è disposto a salvare gli africani che annegano lo farebbe anche senza sentirselo chiedere, ma anche perché preferirei annegare piuttosto che essere salvato dalla guardia costiera libica.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa).

Tratto dalla pagina qui raggiungibile.


E’ dimostrato che il MoSE (il meccanismo di dighe fisse e paratie mobili) progettato per difendere Venezia dalle alte maree non funzionerà e comunque, col climate change non servirebbe a nulla. Eppure continuano a progettare camuffamenti dette "opere di inserimento paesaggistico". Oltre al danno la beffa. (a.b.)

Per saperne di più su queste opere si legga intanto "La mostra della vergogna" in attesa di un nostro aggiornamento.

Fonte: nell'immagine le opere di inserimento architettonico a Malamocco (Spalla Sud e Nord), tratte dagli elaboratori ufficiali, qui accessibili.

11 giugno 2018. Contributo di eddyburg alla "Marcia per la dignità di Venezia", una città che come molte altre è stata ridotta a macchina per il profitto perdendo il suo originario ruolo di spazio per la vita.

Venezia non è solo l’espressione di una comunità locale, ma un esempio emblematico di un modello di sviluppo e di governo tipico di questa fase del capitalismo, finalizzato all’estrazione di profitto e mercificazione di ogni componente della nostra vita. Questo modello ha delle caratteristiche urbane specifiche, le principali possono essere così schematizzate:

  1. Realizzazioni di "grandi opere", che risultano sempre negative all'analisi costi e benefici: sono destinate ad ingrossare il debito pubblico, indebitare le generazioni future, ad avere un pesante impatto ambientale senza apportare un beneficio alla qualità della vita, ma solo a nutrire gli interessi delle ditte coinvolte nei lavori, i politici che le promuovono e criminalità, dal riciclaggio di denaro sporco a corruzione. A Venezia, il MoSE è uno degli esempi più eclatanti, ma la terraferma non è da meno con la superstrada Romea Commerciale e Veneto City.
  2. L’appropriazione privata della rendita urbana, che anche quando non si trasforma in un appropriazione indebita, diventa una forte pressione economica e politica sulle amministrazioni locali, provocando fondamentali disfunzioni nella pianificazione e quindi nel benessere della città e dei suoi abitanti. Parliamo di appropriazione privata in quanto la ricchezza prodotta da una città, che si riflette sui valori immobiliari, è frutto di una sforzo collettivo, che include investimenti, opere e lavoro privato e pubblico, e quindi dovrebbe tornare alla collettività attraverso processi di tassazione adeguata. Al contrario, questo valore aggiunto, viene appropriato dal singolo proprietario, riducendo le opportunità di investimento pubblico in particolare nei servizi, nella manutezione, nelle politiche sociali, inclusa la residenza pubblica e agevolata. Inoltre, essendo la rendita immobiliare diventata una fonte di profitto primaria, la sua appropriazione scatena pressioni politiche, anche accompagnate da veri e propri atti illeciti, nelle destinazioni d'uso, nell'allocazione dei diritti edificatori, nella realizzazione di opere, che seguono la logica del profitto anziché la logica dei bisogni degli abitanti e dell'interesse collettivo. A Venezia, l'esempio più eclatante é rappresentato dalle destinazioni d'uso, sia degli edifici residenziali che di quelli commerciali, attribuiti seguendo la logica del maggior profitto immediato, cioè residenze turistiche e commercio finalizzato al turista.
  3. Vendita del patrimonio immobiliare pubblico, dalle isole ai spazi pubblici, dai palazzi ai musei, per risanare il debito pubblico. Anche in questo Venezia è emblematica in quanto nel 2005 ha iniziato la fase di vendita degli immobili storici del comune con il loro trasferimento alla Società Vecart S.r.l. e poi creando nel 2009 il fondo Immobiliare “Città di Venezia” gestito dalla Est Capital che acquista gli immobili pubblici grazie a un finanziamento bancario a un prezzo dal 15-20% inferiore a quello di mercato per ricavarne una ricca plusvalenza.
  4. Taglio, ristrutturazione e/o privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture collettive all'insegna di una austerità fiscale e presunta efficienza, con un generale aumento dei costi per gli utenti dei servizi stessi.
  5. Mobilitazione di una politica a “tolleranza zero”, con forme di sorveglianza e controllo discriminanti e militarizzato degli spazi pubblici accompagnata da rappresentazione allarmista della città (disordini urbani, classi pericolose, declino economico).
  6. Distruzione e sfruttamento dell’ambiente naturale e storico: dall’inquinamento dell’aria dell’acqua e del suolo, ad opera di una mobilità e di una produzione di merci stimolata da bisogni indotti e non reali. A Venezia assistiamo all'erosione della laguna, al pesante inquinamento delle navi da crociera e mezzi di trasporto non idonei alle nuove sfide di riduzione delle emissioni di carbonio.
  7. Monocultura turistica come la nuova industria pesante del XXI secolo. Non un turismo finalizzato alla conoscenza del messaggio positivo che Venezia, il suo territorio, la saggezza dei governanti del suo glorioso passato hanno prodotto nel gestire il rapporto tra uomo e natura, ma il turismo "mordi e fuggi" che mortifica la città e i suoi stessi visitatori.
  8. Espulsioni e gravi forme di esclusione fisica, economica e sociale che provocano disagio generalizzato e frammentazione del tessuto urbano e sociale, minando il significato stesso di città. Dalla distruzione o gentrificazione di aree popolari e appetibili per lasciar strada a riqualificazioni speculative, alla formazione di ghetti e altri spazi “selettivi” di riproduzione sociale dove le condizioni ambientali sono mediamente peggiori rispetto al territorio circostante. Rispengimento dei migranti
  9. Governo autoritario, diminuzione della democrazia. Venezia ha dimenticato che è stata la prima città italiana a sperimrntare la democrazia diffusa con la creazione dei consigli di quartiere, all'epoca del sindaco Titta Gianquinto, e sta attualmente contestando, per opera del suo attuale sindaco Brugnaro, il lavori di partecipazione del popolo alle decisioni sulla città avviato dalla Municipalità. Si rinnegano anche i risultati dei referendum, come quello dell’acqua pubblica.
  10. La sovrapposizione di un copertina patinata e di un idea di città idilliaca a una realtà complessa e conflittuale. L'immagine della città diventa più importante dei fatti, di conseguenza il city-branding, la pubblicità che la città fa di se stessa acquisiscono un peso sempre crescente più che gli strumenti di urbanistica ordinaria.

Bisogna, di nuovo rivendicare il diritto alla città, cioè difendere la città come spazio vitale. Venezia non è più, come tanti altri insediamenti nel mondo, uno spazio adatto alla vita umana, ma si è trasformata in una macchina per il profitto, il profitto di pochi. Rivendicare la città e tutti gli insediamenti, periferie, villaggi, quartieri, paesi come spazio vitale significa:

1. Riappropriarsi dello spazio fisico, dagli spazi pubblici a tutti gli spazi e servizi utili alla vita quotidiana; spazi salubri e accessibili a tutti. Il diritto a un alloggio dignitoso a un prezzo commisurato al reddito.

2. Riconquistare lo spazio delle relazioni sociali, schiacciate e impoverite dalle disparità create dal capitalismo, che ci frammenta e divide e sprona all’individualismo attraverso l’esaltazione della concorrenza. Dobbiamo mettere al centro cooperazione, solidarietà e mutualismo.

3. Ricostruire lo spazio della politica, oggi connotato da autoritarismo, maschilismo, personalismo e tifoseria acritica. Significa rivendicare il diritto di partecipazione di tutti alle decisioni che riguardano la vita di tutti. Significa anche riportare la politica al suo originale mandato, quello di riconoscere un problema comune e risolverlo nell’interesse di tutti.

10 giugno 2018. Rassegna stampa di una giornata di lotta per la dignità di Venezia: contro le grandi opere, la svendita del patrimonio pubblico, la turistificazione, la privatizzazione dei servizi, la militarizzazione degli spazi pubblici e altro ancora. (i.b.)

Il fatto quotidiano, 10 giugno 2018
VENEZIA, MARCIA VERSO IL COMUNE
CONTRO LE GRANDI NAVI IN LAGUNA: “LÌ VENGONO DECISE LE OSCENITÀ”
di Giuseppe Pietrobelli

La manifestazione contro i “transatlantici del mare” avverrà in centro storico e arriverà fino al Municipio. Luciano Mazzolin, portavoce dei No Grandi Navi, spiega: "E' il palazzo dove vengono decise le oscenità nella gestione della città e dei flussi di turismo”(i.b.)

Un assedio pacifico al Comune di Venezia. Quest’anno il Comitato No Grandi Navi, assieme all’associazione Laguna Bene Comune, ha deciso che la manifestazione contro i “transatlantici del mare” avverrà in centro storico e non sulle rive del Canale della Giudecca, quotidianamente percorse dalle navi da crociare. Niente tuffi in laguna, quindi, ma un lungo serpentone di manifestanti per calli e campielli che parte alle 14.30 di domenica 10 giugno da piazzale Roma per raggiungere Campo Manin, attraversando Strada Nova e la zona di Rialto. Ca’ Farsetti, sede del municipio, è a pochi passi.

“E’ il palazzo dove vengono decise le oscenità nella gestione della città e dei flussi di turismo”, spiega Luciano Mazzolin, portavoce dei No Grandi Navi. “Abbiamo invitato le abitanti e gli abitanti della città storica e della Terraferma, chi ci vive o vi lavora da pendolare, il mondo associativo e le organizzazioni a mobilitarsi per restituire dignità alla città di Venezia, mai come oggi minacciatadall’operato di chi la governa”. Più che le grandi compagnie che controllano l’affare delle crociere, stavolta è il potere politicoveneziano a finire nel mirino. L’obiettivo è quello di riempire di gente i campi veneziani che si trovano a ridosso del municipio, in modo da impedire simbolicamente (anche perché di domenica tutti gli uffici sono chiusi) l’accesso al palazzo della politica veneziana.

Moltissime le adesioni alla manifestazione. Hanno annunciato la loro partecipazione 75 tra comitati, associazioni e circoli, 8 sigle di organizzazioni sindacali, una ventina tra presidenti di Municipalità, consiglieri comunali o regionali e una dozzina di sigle collegate a partiti. Particolarmente significativa la presa di posizione della Fiom del Veneto e di Venezia, preoccupata per il ventilato trasferimento delle Grandi Navi a Porto Marghera. Il sindacato metalmeccanico della Cgil scrive: “Occorre dire con chiarezza che lo spostamento delle grandi navi non può avvenire a danno delle attività produttive presenti in prima zona industriale o a detrimento dell’uso delle aree di Porto Marghera che deve restare industriale. Ripensare la città significa mettere in discussione alla radice le scelte sbagliate compiute a danno del lavoro industriale, con pesantissime perdite occupazionali, che hanno reso invivibile Venezia e favorito una idea speculativa e parassitaria dell’uso del territorio”.

Il tema della “Marcia per la dignità di Venezia” dimostra di voler andare oltre il problema delle grandi navi in laguna, partendo dai “tornelli” installati per regolare i flussi dei turisti. “La vicenda dei tornelli, al di là della ridicolaggine, è grave – scrivono gli organizzatori – perché esemplifica il vero programma del sindaco Brugnaro e della sua giunta: trasformare, in nome del profitto, la città storica in un grande parco a tema che abbia nella Terraferma una nuova succursale low cost. A cosa possono servire i tornelli se si sta pianificando la costruzione di 20.000 posti letto in ostelli od hotel a Mestre nei prossimi anni?”.


la Nuova Venezia, 11 giugno 2018
I VENEZIANI ORA SI RIBELLANO
«QUESTA CITTÀ È NOSTRA»
di Manuela Pivato

A Venezia la marcia della dignità fino a campo Manin tra slogan e varchi di cartone

La marcia della dignità sfida il caldo, suda sotto il sole, spinge in là i turisti; avanza calle dopo calle, ponte dopo ponte, colorata e chiassosa, lungo la direttrice dove oggi, in un giorno normale, i veneziani fanno fatica a passare. Ma ieri era domenica, la domenica in cui settantuno tra comitati, associazioni, circoli, otto organizzazioni sindacali, undici partiti, ventuno tra consiglieri regionali, comunali e di Muncipalità, si sono messi insieme per «una città più degna».

In tremila, secondo gli organizzatori - poco più di mille secondo le forze dell’ordine - e comunque in tanti, di tutte le età, di ogni sestiere, giunti anche da Mestre, da Marghera, con i cappelli, gli ombrellini, le infradito da spiaggia, i bambini in braccio, i cani stremati tra i piedi, le bandiere, gli striscioni, la musica dei Pitura Freska, sfilano da Piazzale Roma a campo Manin, dove una volta la destra teneva i suoi comizi.

Annunciato dal lancio di fumogeni dalla terrazza del garage comunale, il corteo impiega quasi due ore per raggiungere il palco, tanta è la distanza tra la testa e la coda, tanto le bandiere dei No Grandi Navi s’incrociano con quelle del Coordinamento studenti medi, i ragazzi Awakening con quelli del Morion, lo striscione “Il mio futuro è Venezia” con quello a beneficio dei turisti, in inglese, “This is not Veniceland” e con i varchi di cartone; e ancora, qua e là, il Gruppo 25 aprile, il Centro Sociale Rivolta, Forum Futuro Arsenale, ma anche il Movimento dei Consumatori, quello per la difesa della Sanità Pubblica Veneziana, Italia Nostra, Lido d’Amare e tutti gli altri gruppi, grandi e piccoli, che, trasversalmente, ma egualmente motivati, si ritrovano l’uno accanto all’altro in Strada Nuova, ai Santi Apostoli, sull’ormai malinconico ponte di Coin, a San Bartolomeo, infine in campo Manin.

Dal palco, ce n’è per tutti. Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ricorda gli ultimi sei anni, all’indomani del decreto Clini-Passera, durante i quali «non è cambiato nulla; anche sabato, sono arrivate sette navi da crociera e 14 mila turisti». «Non vogliamo che Venezia diventi una Disneyland, ma nemmeno una Biennaland - dice ancora Micheletti - e invece la Biennale, dopo l’Arsenale, vorrebbe prendersi l’intera città, come il Lazzaretto vecchio. Se non vogliamo il monopolio del turismo, non vogliamo nemmeno quella della cultura. Non dimentichiamo l’esempio dei musei civici, che guadagnano milioni di euro ogni anno, mentre gli addetti alla guardiania rischiano di perdere il posto di lavoro».

Nelle stesse ore, a distanza, su Facebook, l’assessore Michele Zuin si scusava «se la città era stata di nuovo offesa da un gruppo di persone, incapaci di manifestare tranquillamente, ma è il solo modo di dimostrare che esistono. Per anni di governo di centrosinistra non si è fatto nulla».

In campo Manin, intanto, si offre frutta e acqua minerale. Tommaso Cacciari guarda in direzione di Ca’ Farsetti. «Brugnaro ha in progetto di trasformare questa città in Veniceland, per questo mette i tornelli, per far pagare un biglietto - dice - ecco perchè vuole che i veneziani se ne vadano, per lasciare libere le case da affittare ai turisti».

Il caldo si fa sentire, arriva un filo d’ombra. Ai piedi del palco, Gianfranco Bettin osserva «una specie di alleanza, un insieme di obiettivi unificanti, l’unica maniera per far emergere che questa città è un’altra cosa». Sicuramente sarà un’altra cosa l’incontro del 14 giugno, annunciato dal presidente di Municipalità Giovanni Andrea Martini, in parrocchia ai Frari, durante il quale il sindaco Brugnaro incontrerà la cittadinanza.

«Siamo vicini al suo palazzo» dice Martini «un giorno potremo anche entrarvi. E intanto ci sono tremila case vuote mentre i veneziani continuano ad andarsene. E allora il 14 andiamo tutti ai Frari». Grida di giubilo.

Corriere del Veneto, 11 giugno 2018
«NO VENEZIA DISNEYLAND», MILLE IN CORTEO
di Gloria Bertasi

La «Marcia per la dignità di Venezia», 70 comitati uniti per protestare.
Hanno marciato fino a campo Manin da piazzale Roma sotto il sole cocente di domenica pomeriggio e in un migliaio (tremila per i promotori) hanno gridato: «No a Venezia Disneyland». Domenica alle 14 ha avuto inizio la «Marcia per la dignità di Venezia», oltre 70 tra comitati, associazioni e gruppi aderenti, 4 presidenti di Municipalità, consiglieri comunali e regionali, uniti per chiedere servizi e case per i residenti, scesi sotto la soglia di 54 mila in centro storico. A dare il là al corteo, i centri sociali che dalla terrazza dell’autorimessa comunale hanno lanciato fumogeni.

Un gesto che ha indispettito gli assessori comunali Simone Venturini (Coesione sociale) e Michele Zuin (Bilancio) che sui social si sono scusati con i cittadini: «Centri sociali, alcuni frammenti di sinistra veneziana e qualche politicante alla manifestazione no global a Venezia. Ci scusiamo per questo degrado - ha scritto Venturini - Ogni tanto devono dimostrare a loro stessi di esistere e per farlo paralizzano la città, urlano sciocche filastrocche e accendono qualche fumogeno. Perdonateli». In serata, il sindaco Luigi Brugnaro ha invece ironizzato: «Voi siete questi...!!! 500/800 persone di cui tante arrivate da fuori. Grazie perché dimostrate quanto importante sia la nostra amministrazione per questa città».

Il Mattino di Padova, 11 giugno 2018
VENEZIA SI RIBELLA: «LA CITTÀ È NOSTRA»
di M.PI

La marcia della dignità sfida il caldo, suda sotto il sole, spinge in là i turisti; avanza calle dopo calle, ponte dopo ponte, colorata e chiassosa, lungo la direttrice dove oggi, in un giorno normale, i veneziani fanno fatica a passare. Ma ieri era domenica, la domenica in cui settantuno tra comitati, associazioni, circoli, otto organizzazioni sindacali, undici partiti, ventuno tra consiglieri regionali, comunali e di Muncipalità, si sono messi insieme per «una città più degna».. In tremila, secondo gli organizzatori - poco più di mille secondo le forze dell’ordine - e comunque in tanti, di tutte le età, di ogni sestiere, giunti anche da Mestre, da Marghera, con i cappelli, gli ombrellini, le infradito da spiaggia, i bambini in braccio, i cani stremati tra i piedi, le bandiere, gli striscioni, la musica dei Pitura Freska, sfilano da Piazzale Roma a campo Manin, dove una volta la destra teneva i suoi comizi.
Annunciato dal lancio di fumogeni dalla terrazza del garage comunale, il corteo impiega quasi due ore per raggiungere il palco, tanta è la distanza tra la testa e la coda, tanto le bandiere dei No Grandi Navi s’incrociano con quelle del Coordinamento studenti medi, i ragazzi Awakening con quelli del Morion, lo striscione “Il mio futuro è Venezia” con quello a beneficio dei turisti, in inglese, “This is not Veniceland” e con i varchi di cartone; e ancora, qua e là, il Gruppo 25 aprile, il Centro Sociale Rivolta, Forum Futuro Arsenale, ma anche il Movimento dei Consumatori, quello per la difesa della Sanità Pubblica Veneziana, Italia Nostra, Lido d’Amare e tutti gli altri gruppi, grandi e piccoli, che, trasversalmente, ma egualmente motivati, si ritrovano l’uno accanto all’altro in Strada Nuova, ai Santi Apostoli, sull’ormai malinconico ponte di Coin, a San Bartolomeo, infine in campo Manin.

Dal palco, ce n’è per tutti. Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ricorda gli ultimi sei anni, all’indomani del decreto Clini-Passera, durante i quali «non è cambiato nulla; anche sabato, sono arrivate sette navi da crociera e 14 mila turisti». «Non vogliamo che Venezia diventi una Disenyland, ma nemmeno una Biennaland - dice ancora Micheletti - e invece la Biennale, dopo l’Arsenale, vorrebbe prendersi l’intera città, come il Lazzaretto vecchio. Se non vogliamo il monopolio del turismo, non vogliamo nemmeno quella della cultura». In campo Manin si offre frutta e acqua minerale. Tommaso Cacciari guarda in direzionedi Ca’ Farsetti. «Brugnaro ha in progetto di trasformare questa città in Veniceland, per questo mette i tornelli, per far pagare un biglietto - dice - ecco perché vuole che i veneziani se ne vadano, per lasciare libere le case da affittare ai turisti».

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