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Anche l´Italia, nel suo piccolo, funziona. Da Nord a Sud ci sono 63 comuni d´eccellenza dove tutto è ecosostenibile, riciclabile, alternativo. Ponte nelle Alpi, ad esempio. Ottomila anime nel Bellunese dove la raccolta differenziata è arrivata al 90%. O Melpignano (Lecce) dove una cooperativa per il fotovoltaico voluta dal sindaco permetterà ai cittadini di non pagare la bolletta per vent´anni. Amministrazioni coraggiose, medaglie al valor civile appuntate sul territorio italiano.

I primi della classe sono riuniti nell´associazione Comuni virtuosi (da non confondere con la lista ufficiale del ministero dell´Economia degli enti che rispettano il patto di stabilità), nata nel maggio del 2005 con un obiettivo semplice: «Diffondere il buon esempio - spiega Marco Boschini, coordinatore dell´iniziativa - e creare una rete di condivisione delle esperienze mettendo a disposizione delibere e progetti già realizzati per chi vuole innovare». Perché un´altra amministrazione è possibile, anche con la crisi.

Sfogliando l´elenco dei virtuosi, ci si imbatte in Corchiano, 4000 abitanti, in provincia di Viterbo. I vigili girano in bici per inquinare meno, lo scuolabus è alimentato col biodiesel prodotto con gli oli esausti da cucina recuperati dal Comune, la fontana pubblica ha eliminato l´uso di 200 mila bottigliette, le ristrutturazioni degli edifici si fanno solo se migliorano l´efficienza energetica. C´è poi Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano. Un borgo medievale sul Naviglio grande, 1800 abitanti, che per primo in Italia ha abolito gli oneri di urbanizzazione. «Difendiamo il territorio dalla cementificazione - spiega l´ex sindaco di centrosinistra Domenico Finiguerra - consentiamo solo restauri dei fabbricati esistenti. Per compensare gli incassi mancati, abbiamo tagliato le luminarie di Natale e i fuochi d´artificio. Ci siamo inventati i "matrimoni a mezzanotte" nelle ville del nostro paese. Portano 30 mila euro all´anno».

Far parte del club dei migliori comuni d´Italia, però, non è da tutti. Ci sono criteri rigorosi per l´ammissione: avere un livello di raccolta differenziata superiore al 65 per cento, una superficie urbanizzata inferiore al 15, un piano energetico comunale, forme di mobilità alternativa (piste ciclabili, car sharing, piedibus), stili di vita improntati alla sobrietà. Castellarano, in provincia di Reggio Emilia (vincitore nel 2011 del premio "Comuni a 5 stelle" indetto dall´associazione), fa quasi vergognare per quanto è perfetto. L´impianto fotovoltaico pubblico da un megawatt è stato realizzato su una vecchia discarica dismessa, evitando spreco del suolo. È nato qui uno dei primi Gruppi di acquisto solidale del fotovoltaico. Nelle aree verdi si utilizza il compost per la concimazione, negli uffici pubblici si usa solo carta riciclata e i dipendenti fanno la spesa via web. E non è finita: per gli operai del comprensorio della ceramica è stato messo in piedi un progetto di condivisione dell´auto per ridurre il traffico.

Si dirà che queste esperienze funzionano, ma solo nelle piccole realtà. «Non è così - ribatte Boschini - in Europa ci sono esempi di amministrazioni votate all´ecosostenibilità. Basti pensare a Friburgo, o anche ad alcuni progetti realizzati da Parigi e Londra. Con impegno e coraggio, le cose si possono fare anche a Roma o a Milano». In Italia il Comune virtuoso più grande per ora è Capannori, in Toscana, con 47 mila abitanti. Tra i vari meriti, ha anche quello di aver inaugurato l´era del bilancio partecipativo. I cittadini vengono informati con assemblee pubbliche di tutte le spese effettuate. «Dopodiché - spiega l´assessore all´Ambiente Alessio Ciacci - sono loro, tramite una votazione pubblica, a decidere come utilizzare 500 mila euro che ogni anno riserviamo ad hoc in bilancio». L´anno scorso sono serviti per finanziare la ristrutturazione di alcune scuole, voluta e votata dai cittadini.

A volte per essere bravi amministratori basta una piccola grande idea. A Melpignano nel Leccese il sindaco Ivan Stomeo si è inventato, caso unico in Italia, la cooperativa del fotovoltaico. «Sfruttando i tetti piani delle nostre case - racconta - abbiamo creato una cooperativa che compra gli impianti e li installa sulle case dei soci, gratis. La cooperativa si finanzia con gli incentivi del Conto Energia, chi aderisce ha energia gratis per vent´anni. Finora abbiamo installato una sessantina di impianti». E a Berlingo, nel Bresciano, 2500 abitanti, la giunta ha trasformato una discarica in centro in una struttura polifunzionale alimentata con fonti rinnovabili. Dal letame nascono davvero i fiori.

Proprio mentre stiamo scrivendo questa breve nota per eddyburg, il 16 gennaio 2012 è stato sottoposto a provvedimento di custodia cautelare Massimo Ponzoni, ex assessore e attuale consigliere PDL della Regione Lombardia nonché segretario alla Presidenza del Consiglio regionale (e con lui, anche Franco Riva, ex sindaco di Giussano, Antonino Brambilla, vicepresidente della Provincia di Monza e Brianza, e altri). Fra le accuse per Ponzoni: “la capacità di determinare, almeno in parte, i contenuti dei PGT di Desio e Giussano, assicurando a imprenditori a lui vicini (…) cambi di destinazioni di terreni (da agricoli a edificabili)”. Ma il nome di Ponzoni era già emerso nelle carte dell’inchiesta “Infinito” sulla ‘ndrangheta in Brianza.In attesa di riscontri giudiziari probanti, si tratta di un ennesimo episodio che evidenzia che la Lombardia è coinvolta in una spirale di illegalità al cui centro stanno non soltanto il settore edilizio ma anche le politiche urbanistiche; e che, nelle amministrazioni comunali, non è più soltanto l’Edilizia privata il luogo principe delle occasioni di corruzione, ma anche l’Urbanistica.

I varchi della legislazione urbanistica lombarda

Un elemento appare comunque certo: di questo vero e proprio assalto al territorio, talora con caratteristiche di assoluta illegalità e talora legittimato dalla legge, siamo debitori alla legislazione urbanistica lombarda che, con la sua propensione alla ‘flessibilizzazione’, ‘sburocratizzazione’, ‘snellimento’ e ‘semplificazione’ delle procedure, ha creato le condizioni affinché le Giunte possano agire prevalentemente in deroga ai piani. I PGT, infatti, sono oggi in molti casi vissuti come meri adempimenti burocratici e/o come costosi esercizi retorici completamente svincolati dagli strumenti attuativi. E il risultato in termini di consumo di suoli, ma anche di tutti i costi collettivi che a questo incontrollato consumo sono correlati (i costi economici e ambientali di una mobilità irreversibilmente legata al trasporto su gomma, la perdita altrettanto irreversibile di prezioso suolo agricolo e di biodiversità, la crescente impermeabilizzazione dei suoli, la frammentazione degli habitat naturali e delle reti ambientali, la caduta complessiva di ‘urbanità’) appare davvero preoccupante.

Da un punto di vista meramente quantitativo, da un rapporto recente sui consumi di suolo emerge che in Lombardia nel periodo 1999-2004 il territorio urbanizzato è cresciuto a ritmi di 13 ettari/giorno; e a Milano la superficie urbanizzata ha registrato un incremento, nel periodo 1999 al 2007 (e cioè con l’avvio delle riforme urbanistiche regionali), del 10,5%. Attualmente la Provincia di Milano è urbanizzata per il 39,7%, ma se si escludono i Comuni del Parco Sud, ancora relativamente poco edificati, il territorio della conurbazione milanese è ormai totalmente consumato, con il Nord Milano che raggiunge livelli di urbanizzazione del 95% (DiAP, INU, Legambiente, 2011).

Ma in questo scenario in tutti i sensi insostenibile si stanno manifestando alcuni segnali positivi, sia per quanto riguarda l’attenzione crescente dedicata anche da alcune amministrazioni locali a misure per il controllo degli intrecci politica/malaffare mafioso, sia per quanto riguarda il tema del controllo del consumo di suolo attraverso piani più consapevoli e virtuosi.

Alla base sta il fatto che la norma che ha introdotto la possibilità di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso ( che risale al 1991) ha reso possibile, sull’intero territorio nazionale e in oltre vent’anni di applicazione, oltre 200 casi di scioglimento tra consigli comunali e provinciali e aziende ospedaliere.

Desio: dal commissariamento prefettizio alla variante parziale del Piano di Governo del Territorio

Uno dei casi più recenti è quello verificatosi, a fine 2010, a Desio (dove appunto il sopracitato Ponzoni potrebbe avere influenzato, secondo le autorità giudiziarie, gli orientamenti del PGT), un comune di oltre 40.000 abitanti situato nella provincia di Monza-Brianza. A fare da detonatore è stata appunto l’operazione “Infinito”, avviata nel luglio 2010 e gestita dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che ha portato all’arresto di oltre 300 persone, tra affiliati e imprenditori prestanome, che gestivano traffici illeciti a favore di alcune cosche ‘ndranghetiste con radici sempre più solide nel cuore della Padania. Tra le persone coinvolte vi era qualche consigliere comunale di Desio, le cui relazioni con i clan locali emergevano dalle intercettazioni della magistratura. All’arresto hanno fatto seguito la dimissione di 11 consiglieri di opposizione e 6 di maggioranza e il provvedimento prefettizio che ha fatto di Desio il primo Comune lombardo sciolto a causa di infiltrazioni mafiose. Ciò che si profila, dalle indagini e dalle intercettazioni telefoniche, sottolinea una volta di più, per chi ancora non ne fosse convinto, che non esistono territori tabù per la criminalità organizzata e che il ‘pedigree padano’ non solo non è sinonimo di legalità, rigore e trasparenza, ma neppure rappresenta una barriera per operazioni illegali che trovano humus fertile in un’area economicamente avanzata, e quindi ricca di occasioni per l’investimento di denaro sporco, e in un tessuto sociale spesso privo di anticorpi. Insomma, in questi ultimi anni, mentre molti amministratori locali ribadivano, per i loro territori, il ritornello morattiano che “la mafia non esiste”, alcuni rappresentanti eletti dai cittadini contrattavano, con i boss locali, il numero di preferenze necessarie per la propria elezione.

L’immagine della ricca Brianza che scaturisce dai documenti della Magistratura è preoccupante: è l’immagine di un territorio sottoposto a forti pressioni da parte di potenti clan legati alla ‘ndrangheta (sollecitati anche dai ricchi appalti in progetto in vista di Expo 2015), attorno ai quali si stringono patti e affari tra esponenti politici e imprenditori sempre più disposti a tutelare gli affari della criminalità organizzata per vedere aumentare i propri profitti. E’ il territorio, oggi, che spicca come il fulcro attorno al quale ruotano i principali interessi della criminalità organizzata: appalti, ma soprattutto concessioni e piani attuativi per costruire che consentano un rapido riciclaggio del denaro sporco proveniente dagli altri traffici illeciti gestiti dalle cosche. E proprio in terra lombarda si fa sempre più stridente il contrasto tra una legge urbanistica che fa della semplificazione e dello snellimento burocratico i propri cavalli di battaglia e l’impellente necessità di elaborare nuovi strumenti di controllo in grado di arginare il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa che proprio da un modello de-regolamentato trae i maggiori benefici.

A Desio però le condizioni sono cambiate. Dopo un anno di Commissariamento prefettizio, la nuova Giunta di centro sinistra, insediatasi nel maggio del 2011, ha deciso di rivedere i contenuti di un PGT che, approvato nel 2009 dalla precedente Amministrazione, si era dimostrato incapace di guidare le operazioni immobiliari ed edilizie che, complessivamente, hanno prodotto 137.000 metri cubi di nuove abitazioni e 11.200 metri quadrati per le attività produttive al di fuori degli strumenti di pianificazione attuativa, senza quindi concorrere al miglioramento della città pubblica in termini di più servizi, migliore qualità urbana, minore congestione. Il nuovo Documento di Piano, alla cui elaborazione ha contribuito come consulente un docente del Politecnico, Arturo Lanzani, grazie a una convenzione a titolo gratuito (!) siglata con il Dipartimento Architettura e Pianificazione, cambia le regole del gioco. Gli atti di variante del PGT di Desio contengono infatti linee guida che si propongono di riformulare la strategia del Documento di Piano, al fine di riordinare l’assetto territoriale secondo principi di contenimento della crescita insediativa, di recupero degli spazi agricoli periurbani e di miglioramento della qualità dei servizi esistenti. Il riconoscimento del suolo come bene comune, in un contesto come quello della Brianza, che presenta elevatissimi livelli di urbanizzazione, costituisce un principio fondamentale che può segnare una svolta importante per consentire di immaginare forme di sviluppo finalmente lontane dai tradizionali modelli di dispersione insediativa ancorati a mere logiche di mercato. La riqualificazione del territorio urbanizzato volto ad evitare fenomeni di abbandono edilizio e di degrado, l’aumento della multifunzionalità dei servizi alla città, la tutela delle aree produttive da salvaguardare per impedire facili appetiti speculativi disposti a scommettere sul cambio di destinazione d’uso delle superfici dismesse, sono gli indirizzi generali che si propongono di rimodellare il territorio di Desio per migliorare la qualità della vita degli abitanti.

Oltre ai virtuosi principi generali, il nuovo Documento di Piano indica come priorità alcune azioni, fra le quali:

- la rettifica del perimetro urbanizzato, con la quale si è diminuito del 6% la superficie urbanizzata prevista dal PGT del 2009 e si vincoleranno le aree esterne per usi agricoli e forestali,

- l’introduzione di norme stringenti per gli interventi edilizi in ambito agricolo, con superfici minime di intervento da sottoporre a piano attuativo e con limitazione degli interventi possibili senza convenzionamento, al fine di evitare la frammentazione del territorio,

- l’inserimento di meccanismi di compensazione ambientale per qualsiasi tipo di intervento che preveda l’occupazione e la compromissione del suolo: è prevista la cessione di aree, in misura differenziata a seconda che l’edificazione sia prevista in aree di espansione, in tessuti consolidati o in zone già compromesse da precedenti usi, con vincolo di inedificabilità permanente e sistemazione a bosco, prato alberato o filari di siepi a carico dell’operatore.

- l’obbligo per gli interventi di nuova costruzione e ristrutturazione edilizia, che superino i 300 mq per gli edifici residenziali e i 500 mq per gli edifici produttivi, di presentare un piano attuativo, al fine di adeguare il sistema dei servizi fruibili e valorizzare la città pubblica,

- l’eliminazione della possibilità di calcolare la superficie utile di pavimento esistente come volume diviso l’altezza virtuale di 3 metri, al fine di evitare speculazioni incoerenti con i reali diritti volumetrici esistenti nel tessuto consolidato.

La struttura della variante è convincente nella volontà di innescare processi virtuosi di uso del territorio, volti alla tutela e alla valorizzazione degli elementi naturali (verde urbano e sistema degli spazi aperti), di quelli sociali (recupero e riqualificazione del tessuto consolidato aumentando la dotazione di servizi collettivi) e di quelli economici (supporto alle attività produttive). Come è ovvio, nei documenti della variante non vengono citate le passate controversie mafiose, poiché sono tuttora al vaglio della magistratura; ma appare chiara la volontà politica di operare scelte territoriali volte ad arginare interessi immobiliari sospetti che hanno, nel recente passato, prodotto esiti spaziali indesiderabili.

Altri Comuni dell’hinterland, anch’essi segnati da vicende ‘mafiose’, hanno avviato esperienze volte alla tutela della trasparenza, facendosi promotori di una politica della legalità in un contesto regionale fatto di luci e ombre come quello lombardo.

Corsico: un laboratorio della legalità per il governo dei beni comuni

A Corsico, un centro di oltre 30.000 abitanti a sud-ovest di Milano, da quasi dieci anni le Amministrazioni Comunali stanno conducendo una dura lotta contro l’evasione fiscale che ha portato anche all’arresto di alcune persone legate alla ‘ndrangheta, tramite gli accertamenti immobiliari eseguiti su immobili intestati a neo-maggiorenni nullatenenti. L’Amministrazione di Corsico ha investito sulla costruzione di una banca dati informatizzata che consente la sovrapposizione dei dati tributari, anagrafici ed edilizi, e sul ricorso ad efficaci strumenti per effettuare controlli incrociati. Ad esempio, con il monitoraggio dei passaggi di proprietà immobiliari, può oggi individuare plusvalenze che non vengono corrisposte all’erario semplicemente confrontando le date di acquisto e di vendita delle aree con i dati dei permessi di costruire. Se si riscontra un’anomalia, gli uffici comunali inviano la segnalazione all’Agenzia delle Entrate, che rimane l’unico ente competente per accertamenti tributari. Inoltre, a seguito di una convenzione stipulata nel 2010 con la stessa Agenzia delle Entrate, nel caso in cui la segnalazione venga accertata, la casse comunali incasseranno il 33% delle somme riscosse. L’impegno del Comune di Corsico non si ferma alla lotta all’evasione fiscale: Maria Ferrucci, sindaca di Corsico dal 2010 e il suo assessore all’Urbanistica Emilio Guastamacchia (anch’egli docente al Politecnico di Milano) hanno fatto della legalità una delle bandiere del loro mandato, diventando un modello di buona gestione per prevenire e contrastare le infiltrazioni criminali e assicurare la trasparenza amministrativa quale elemento fondamentale per garantire equità e giustizia sociale: ad esempio con l’istituzione di un “laboratorio legalità” cittadino che ha l’obiettivo di promuovere iniziative sociali e di elaborare strumenti amministrativi sempre più efficaci al fine di contrastare gli interessi illeciti concentrandosi, invece, sul governo dei beni comuni.

Merlino: un Protocollo di legalità per gli operatori immobiliari

Anche a Merlino, un piccolo centro di 1.800 abitanti al confine tra le province di Lodi e Milano, al fine di limitare le infiltrazioni mafiose nelle operazioni immobiliari private, è stato elaborato dall’Ufficio Tecnico Comunale, quale osservazione al PGT adottato, e sostenuto dal Sindaco, Dr. Giovanni Fazzi, un “Protocollo di legalità” che ora è parte integrante del Piano delle Regole del proprio PGT, in vigore dal luglio 2010. Il Documento di Piano indica come obiettivi principali il riuso delle numerose cascine dismesse al fine di contenere le nuove aree di espansione, la valorizzazione del sistema ambientale che in questo contesto è caratterizzato da un buon livello di qualità, il miglioramento della fruizione dei corridoi ecologici sovralocali e la compensazione ambientale per i nuovi interventi di espansione. All’interno di queste strategie si innesca il Protocollo di legalità che, facendo riferimento all’articolo 11 della legge urbanistica lombarda (L.R. 12 del 2005), che consente “…a fronte di rilevanti benefici pubblici, aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e coerenti con gli obiettivi fissati, una disciplina di incentivazione in misura non superiore al 15% della volumetria ammessa per interventi ricompresi in piani attuativi finalizzati alla riqualificazione urbana e in iniziative di edilizia residenziale pubblica, consistente nell’attribuzione di indici differenziati determinati in funzione degli obiettivi di cui sopra…”, prevede che il bonus sia concesso, nella misura del 7%, agli operatori che realizzino immobili con sistemi di risparmio energetico avanzato, e nella misura dell’8% agli operatori che, in modo del tutto volontario, sottoscrivano il Protocollo. Con l’adesione al Protocollo, gli operatori immobiliari, in cambio del bonus volumetrico si impegnano a trasmettere all’Ufficio Tecnico Comunale informazioni sulla composizione societaria, sui contratti per lavori e forniture e sui subcontratti, adottando gli adempimenti anti-mafia in vigore per gli appalti pubblici. I contenuti del Protocollo diventeranno parte integrante della Convenzione Urbanistica che normerà il piano attuativo. Per i necessari controlli e verifiche l’Ufficio Tecnico si appoggerà al Prefetto, che rimane l’istituzione territorialmente competente in tema di anti-mafia. Il testo del Protocollo è l’esito di incontri e confronti tra le strutture comunali, la Prefettura, le associazioni di categoria e le associazioni di volontariato che si occupano di legalità sul territorio.

Milano: l’istituzione della Commissione antimafia

Infine, ultima in termini temporali, ma non certo per importanza, l’istituzione nel novembre 2011 a Milano di una Commissione antimafia per il contrasto della criminalità organizzata, fortemente voluta da Giuliano Pisapia anche in vista di Expo 2015: guidata da Nando Della Chiesa, e composta da Umberto Ambrosoli, Luca Beltrami Gadola, Maurizio Grigo e Giuliano Turone, essa opererà a titolo gratuito. Ed anche il Consiglio provinciale di Milano sta dando vita a una commissione consiliare antimafia che si propone di collaborare con quella milanese, la cui istituzione è stata formalizzata nella seduta consiliare del 16 gennaio.

La legalità quale strategia territoriale per uno sviluppo sostenibile

E’ possibile dunque per le amministrazioni locali impegnarsi concretamente per contrastare la criminalità organizzata che, con le sue mille sfaccettature e i suoi molteplici tentacoli, ha trovato in Lombardia varchi in contesti territoriali a lei sconosciuti ed è riuscita, infiltrandosi nel tessuto economico locale, a inquinare anche le tradizionali forme di rappresentanza democratica. E’ altresì possibile, attraverso la condivisione di buone pratiche che sono espressione di Amministrazioni Comunali che governano in nome del bene comune e non dell’affarismo, trovare nuove forme di contrasto per tutte le mafie, per immaginare un futuro diverso per il territorio lombardo: un futuro meno ‘vorace’ e più attento alla tutela delle risorse territoriali, degli equilibri ambientali e della qualità di vita dei suoi abitanti.

Queste esperienze sono importanti anche nell’ottica della futura città metropolitana di Milano. Il Piano generale di sviluppo del Comune di Milano 2011-2016 approvato negli ultimi giorni del dicembre 2011 - a seguito delle nuove Linee Programmatiche approvate dal Consiglio Comunale il 27 giugno 2011 ( il testo è allegato a Bottini in eddyburg.it, 2011) -, cita esplicitamente il concetto di legalità quale linea di intervento prioritaria, nella consapevolezza che “non basta il necessario contrasto all’illegalità e alle situazioni di criticità, non basta dare delle risposte alle forme di disagio, bisogna imprimere la consapevolezza che il contrasto all’illegalità, le relazioni solidali, la coesione sociale appartengono a una profonda cultura di legalità, di rispetto delle regole, di impegno per il bene comune.”

Riferimenti:

- Bottini F. (2011), “Urbanismo, carbone e bordelli” in eddyburg.it, 1 gennaio.

- DiAP, INU, Legambiente (2011), Rapporto 2011 sul Consumo di Suolo, Roma, INU edizioni.

L’area vasta della Città Murgiana così come individuata dalla Regione Puglie nel definire i bacini per la pianificazione strategica, comprende le circoscrizioni comunali di Altamura, Gravina in Puglia, Poggiorsini e Santeramo in Colle, per un totale di circa 140.000 abitanti su 995 chilometri quadrati.

Una comunità locale che si interroga sul proprio presente e riflette sul futuro esprime la propria capacità di coesione sociale e territoriale; di sviluppo avveduto e lungimirante, a migliorare la qualità della vita, promuovere la crescita culturale, valorizzare le risorse economiche, sociali, ambientali, rafforzando ad un tempo la propria identità. Il percorso di pianificazione strategica è dunque molto articolato, anche se si rende più fluido alimentandosi alla ricchezza della società e dell’ambiente locale. Però è anche possibile più semplicemente chiedersi: dove vogliamo andare?

E semplicemente rispondersi: verso uno spazio territoriale simile a quello attuale, ma che ha evitato il rischio del degrado da sprawl organizzandosi per nodi compatti entro una rete policentrica non gerarchica. In tal modo, si sono rallentati i ritmi di consumo delle risorse, la rigenerazione e riqualificazione prevalgono sull’urbanizzazione. Lo sviluppo è qualificato, diversificato, parallelo e complementare alla diffusa crescita della qualità della vita locale. Un turismo culturale ecocompatibile si affianca alla rigenerazione urbana e alla tutela del paesaggio agricolo e naturale.

È stata una rilettura della storia locale a individuare nelle fratture e discontinuità sociali, nel rapporto a volte perverso fra sviluppo economico e sociale e risorse territoriali, uno dei principali elementi di debolezza strutturale. Quindi ora si tratta di privilegiare un percorso di rete territoriale, integrato non solo nelle singole azioni, ma anche nell’orizzonte di sviluppo.

I vantaggi di una Città delle Reti si riassumono in:

● uso avveduto delle risorse (finanziarie, manageriali e politiche) per la realizzazione di progetti di rilevanza intercomunale;

● valorizzazione del capitale sociale;

●economie di scala grazie alla dimensione territoriale e al coinvolgimento della collettività;

● costruzione di consenso per alcuni progetti condivisi di rilevanza strategica per i rapporti con le reti esterne;

● possibilità di avviare un marketing territoriale unitario;

● aumento della competitività generale;

● miglioramento dell’abitabilità/vivibilità urbana integrata alle reti ambientali;

● giudizioso consumo delle risorse territoriali, nella prospettiva di una vera autosostenibilità locale.

La rete della Comunità

Esiste nel territorio un capitale sociale incorporato nei luoghi sotto forma di senso di appartenenza e di tradizioni identitarie consolidate, e un capitale relazionale dato dalla capacità di cooperare per la salvaguardia e valorizzazione del territorio, per un minimo consumo di suolo, per migliorare la coesione sociale attraverso servizi unificati.

Si individuano da subito almeno due opportunità in questa direzione: l’elaborazione congiunta degli strumenti urbanistici (in particolare delle“previsioni strutturali” dei piani urbanistici comunali che definiscono le grandi scelte di assetto territoriale, e identificano i valori e gli obiettivi non negoziabili che sono l’espressione dell’integrità fisica, dell’identità ambientale, storica, culturale, e la struttura portante dell’infrastrutturazione e attrezzatura del territorio); l’elaborazione alla scala intercomunale delle politiche e dei progetti di rigenerazione urbana.

La rete dell’Abitare

Abitabilità ( livability), significa reinterpretare gli elementi fisici e sociali positivi della città tradizionale proiettandoli verso il futuro, con modelli insediativi compatti, densi, misti, ben accessibili, attenti allo sviluppo spaziale e socioeconomico sostenibile, e alla solidarietà sociale: tutti elementi scomparsi dall’insediamento disperso.

Si tratta di migliorare sensibilmente la qualità di vita degli abitanti e il senso di comunità, ponendo al centro la tutela delle risorse non intaccate dall’urbanizzazione, un potenziamento del trasporto pubblico, un’accessibilità per reti gerarchiche integrate, dove a ciascuna modalità – pedonale, ciclabile, automobilistica, coi mezzi collettivi - corrispondono funzioni, densità, servizi, uso specifico dello spazio, qualità e sicurezza adeguate.

All’assetto fisico del territorio si accompagna un recupero della ”urbanità”, obiettivo ricco di significati: piacere di vivere la città per il suo carattere sociale; eterogeneità, sicurezza, apertura, orgoglio locale, impegno ad agire eventualmente insieme.

Migliorare l’abitabilità territoriale, costruire una nuova urbanità, passa attraverso la realizzazione di progetti anche delimitati per settore e territorio, ma orientati a obiettivi generali.

La rete dei Flussi

La Città Murgiana si configura come arcipelago di relazioni determinate dai più recenti sviluppi delle infrastrutture stradali, dal sistema socioeconomico autocentrico al quale col tempo si sono aggiunte le aggravanti dei forti costi di adeguamento dei trasporti pubblici, e la catena di automatismi progettuali incrementali associati alla routine delle decisioni urbanistiche comunali. Appare però possibile affrontare il tema avvincente di una nuova progettualità a rete pensando ad esempio a percorsi continui pedonali-ciclabili integrati a strade e fermate del trasporto pubblico, alle comunicazioni telematiche, al coordinamento localizzativo delle funzioni polarizzate. I progetti infrastrutturali del futuro avranno come obiettivo quello di migliorare i caratteri di integrazione al contesto, e evitare una genesi separata delle opere rispetto al territorio di cui dovrebbero essere parte. Adeguamenti e connessioni sulla grande rete di viabilità saranno orientati a partire dalla priorità del tessuto urbano e territoriale locale.

La rete della Storia e della Natura

Il paesaggio dell’altopiano è risorsa unica, patrimonio nel quale si riflette in modo tangibile e immateriale la storia in evoluzione delle comunità. La sedimentazione storica costituisce un complesso di asset strategici disponibili, se ben compresi nella loro natura profonda, ad intrecciarsi virtuosamente con lo sviluppo sociale ed economico, nel segno della qualità e del benessere nel territorio locale. Sinteticamente le azioni saranno orientate a:

● ri-conoscere e promuovere il patrimonio esistente in tutta la ricchezza e diversità;

● individuare contesti ambientali e metodologie per la loro valorizzazione culturale;

● dotare il territorio di un sistema di monitoraggio dei siti turistico-culturali;

● creare una rete di istituzioni al fine di potenziare la consapevolezza del valore identitario.

In particolare per il riuso e valorizzazione del patrimonio storico sarà centrale l’impegno a progettare un organico piano di recupero e di rivitalizzazione dell’intero parco dell’architettura costruita.

In un contesto di reti urbane, rurali, naturali, il ruolo della campagna e della natura appare molteplice e complesso. Dalla promozione del territorio come giacimento di prodotti di qualità, o del sistema distributivo secondo una interpretazione allargata della formula “km zero” delle filiere corte. Valorizzare la produzione locale di alta qualità anche con sperimentazioni nel campo della distribuzione organizzata, inserendo il modello “ farmer’s market” anche nei progetti di riqualificazione urbana.

Assumono nuovo senso alcuni elementi fondativi della pianificazione territoriale, come la greenbelt agricola a delimitare l’urbanizzato e incentivare la rigenerazione, i corridoi o greenways a integrare la rete della mobilità locale sostenibile in parallelo ad attività agricole; l’integrazione fra reti ecologiche riducendo al minimo il consumo di suolo. Secondo un’idea di vero e proprio metabolismo alimentare della regione urbana.

La rete dello Sviluppo

Un futuro di continuità e cambiamenti dell’ambiente socio-economico vede alla base dimensioni e qualità disponibili, da cui sviluppare processi di upgrading del sistema senza trascurare aspettative sociali di breve periodo. Dove sussiste una concentrazione di domanda, lo sviluppo dell’offerta appare più facile: nei poli urbani. Unico polo attualmente dotato di dimensione “economicamente” rilevante è Altamura, che svolgerà una funzione di caposaldo.

Santeramo sarà nodo specializzato di massima concentrazione di attività manifatturiere. La zona industriale di Jesce si relazione direttamente a quella in territorio di Matera, costituendo già al presente e ancor più nel futuro una forte polarità continua aperta a sperimentazioni innovative delle produzioni e di governance.

Gravina e Poggiorsini si configurano come centri di alta qualità abitativa-residenziale e ambientale estesa a funzioni di qualità e benessere anche salutistico, in una continuità interregionale.

Per quanto riguarda l’industria agroalimentare, il futuro prospetta varietà e tecniche colturali capaci di assorbire le innovazioni e le tecnologie, ora prodotte all’esterno dell’area, giovandosi della rete di conoscenza e ricerca. Ma si tratta di connettere capacità esistenti ma sparse, integrarle con ricerca e innovazione e specializzarle in termini di selezione varietale e di marketing.

Il sistema produttivo appare in parte penalizzato da carenze infrastrutturali dell’area, ma la logistica da sola non è in grado di creare le condizioni di miglioramento. La realizzazione delle infrastrutture dovrà essere inserita in modo integrato nello sviluppo del territorio, attraverso piani di area vasta, e adeguata ai vari obiettivi generali di sviluppo.

Nota: questo testo è stato elaborato appositamente per eddyburg.it, ma è desunto dagli studi e documenti confluiti nella Visione della Città Murgiana della Qualità e del Benessere. Tutti i documenti del Piano Strategico sono disponibili sul sito http://www.lacittamurgiana.it (f.b. - m.c.g.)



Quali caratteri dovranno avere le città del XXI secolo per competere ai livelli più avanzati, in termini di innovazione e creatività, di coesione sociale e di sostenibilità ambientale? Limitando l’attenzione alla sostenibilità, ecco alcuni indicatori della European Commission per le Green Cities: mobilità eco-compatibile, aumento delle aree verdi, riduzione del consumo del suolo e dell’acqua, raccolta differenziata dei rifiuti, uso prevalente di energia pulita, coinvolgimento della popolazione nella diffusione di buone pratiche.

Sono sempre più numerose le città europee che rispondono a questi indicatori, ma nessuna è italiana. Mi limito a segnalarne solo alcune. Vitoria-Gasteiz, capoluogo della regione basca, città verde del 2012, dove circa il 75 per cento dell’edilizia popolare è già dotata di pannelli solari, il rapporto tra aree verdi e popolazione è di quasi 50 metri quadrati per cittadino, la popolazione residente (circa 250 mila abitanti) dispone di almeno un giardino a neppure 300 metri dall’abitazione, i mezzi di trasporto sono pubblici e collettivi, le piste ciclabili sono già decine di chilometri con l’obiettivo preposto di costruirne centinaia in tempi brevi.

La città spagnola succede a Stoccolma e ad Amburgo, rispettivamente capitali verdi nel 2010 e nel 2011, mentre Nantes è stata designata capitale europea verde del 2013. Tra le città finaliste troviamo Barcellona, Copenaghen, Oslo e tante altre, tra cui la città tedesca Freiburg, grazie soprattutto alla realizzazione dell’ormai noto quartiere Vauban, diventato uno studio di caso sia per le trasformazioni urbane eco-compatibili sia per i processi di partecipazione che si sono innescati in questi ultimi 15 anni e sia, soprattutto, per la capacità di mettere in pratica forme di mix sociale. Va sottolineato che queste buone pratiche producono ricchezza in termini di occupazione (sono necessarie professionalità tecniche e di governance), di attrazione (in queste città è cresciuto il flusso dei visitatori e degli abitanti), di profitto: è stato un modo per uscire dalla crisi edilizia perché le imprese si sono, anch’esse, riconvertite nella riqualificazione e nell’uso di materiali eco-compatibili.

Che cosa accomuna questi esempi? In termini generali il fatto che le città si stanno organizzando all’insegna: dei principi eco-sostenibili; della valorizzazione del tessuto comunitario e del mix sociale; della mobilità pedonale, delle piste ciclabili e dei mezzi pubblici e privati collettivi, anziché di quella automobilistica privata se non per le auto ecologiche; del fatto che gli edifici vengono costruiti solo dopo aver predisposto le infrastrutture necessarie e i sistemi di collegamento; delle domande sociali, garantendo alla popolazione una buona qualità della vita urbana, a partire dai «percorsi brevi» per la vita quotidiana. In termini specifici, il fatto che si costruiscono nuovi edifici esclusivamente per rispondere a precise domande abitative. Il che significa anche che prima di tutto si riqualifica il patrimonio preesistente. Ogni nuova realizzazione deve essere, inoltre funzionale alle specifiche esigenze sociali. Non consumare suolo (in particolare quello a vocazione agricola) e riutilizzare invece quello già compromesso è, comunque, l’obiettivo prioritario.

L’Italia è ben lontana da questi standard, anche se, soprattutto in alcune regioni del Nord, escludendo città come Milano, ci sono degli esperimenti interessanti che vanno nelle direzioni sopra richiamate.

E in Sardegna che succede? Un po’ ovunque si sta abbattendo il Piano casa regionale, probabilmente uno dei peggiori d’Italia, e che sta contribuendo a snaturare il volto (o, se si vuole, l’identità) dei centri urbani. Si pensi a Sassari e al fatto che in questi mesi si sta compiendo quel lungo (e a quanto pare inesorabile) processo di abbattimento che ha attraversato freneticamente la città almeno dalla fine degli anni ’50 fino agli anni ’80, e che ha determinato prima la scomparsa di gran parte del patrimonio edilizio dell’Ottocento e del primo Novecento (ad esempio le ville liberty), ora sta portando alla distruzione del tessuto urbano della seconda metà del Novecento. Si tratta di un autentico dissesto del quale le amministrazioni pubbliche appaiono disinteressate o, quanto meno, non in grado di limitare i danni.

Eppure in Sardegna c’è un pezzo di quell’Europa rappresentata dalle città verdi sopra citate. Mi riferisco agli esperimenti di bioedilizia che si stanno realizzando a Carbonia nel quartiere Bacu Abis. Villaggio dei minatori che estraevano il carbone necessario per rispondere alla crisi energetica nazionale degli anni ’30, le cui case razionaliste sono altamente insicure perché sottoposte ai continui cedimenti dovuti all’instabilità del sottosuolo. Il distretto AREA (ex IACP) di Carbonia ha avviato un’opera di ricostruzione delle case più lesionate con criteri antisismici, utilizzando materiali leggeri come il legno, applicando molti di quei principi che hanno reso alcune città europee esempi di eccellenza, coinvolgendo imprese che hanno dimostrato capacità di innovazione tecnica. Ad esempio, queste nuove abitazioni che verranno realizzati in neppure 100 giorni, avranno il fotovoltaico come fonte energetica primaria, una manutenzione meno onerosa, interni adattabili alle esigenze sociali.

È chiaro che un singolo caso non fa primavera, ma vale la pena evidenziare alcuni fattori che confermano l’idea che la Sardegna può competere con il resto d’Europa.

In termini sociali, si inverte la tendenza diffusa che chi ha meno capacità economiche vive in case povere e brutte, poste in luoghi segregati. Così non è nel caso di Bacu Abis. In termini urbanistici, queste case sono rispettose dei caratteri del quartiere e, più in generale, della città di Carbonia. D’altronde, ciò si realizza in linea con gli indirizzi dell’amministrazione locale che in questi ultimi anni è stata particolarmente attenta a rispettare l’identità del luogo. A ciò va aggiunto che tale rispetto ha fatto sì che non ci fosse un aumento di volumetria e neppure di consumo di suolo, in linea con gli indirizzi dell’Unione europea, eppure vi sarà un incremento degli spazi interni grazie alle avanzate tecniche e ai materiali utilizzati. In termini economici, queste abitazioni di qualità, sono meno costose ed anzi sono produttrici di energia pulita che, in parte, sarà messa a disposizione degli abitanti, in parte verrà immessa sul mercato. In termini di partecipazione, perché il processo di ideazione, progettazione e costruzione è avvenuto all’insegna del pieno coinvolgimento della popolazione interessata. Ciò è stato possibile perché i dirigenti di Area hanno scelto di rendere trasparente l’iter progettuale e decisionale.

I ragazzini dell’Isola bergamasca che si sparano in cuffia l’ultimo album degli Arcade Fire, The Suburbs, sognano lontane frontiere, e non sanno di starci già immersi fino al collo in quelle strofe, fra centri commerciali “come catene di montagne”. La parola sprawl nella pianura padana è stata recentemente declinata nell’ambiguo slogan della “città infinita”, carica di impatto ambientale, e in definitiva di tara per lo sviluppo, oltre la qualità della vita. Mentre per fare alcune cifre, in Lombardia, solo dal 1999 al 2005 sono spariti sotto cemento e asfalto 22.000 ettari: come aver costruito dal nulla una città più grande di Milano. In Emilia le cose vanno quasi peggio, e altre regioni seguono a ruota.

Il gruppo di Mauro Baioni e Massimo Bernardelli ha portato a termine il piano a “crescita zero”, manifesto di sostenibilità locale per un piccolo comune dell’Isola bergamasca, Solza (2000 ab. su 1,23 kmq), dove il consumo di suolo ha già raggiunto la soglia critica del 50% del territorio comunale. Baioni dirige la Scuola Estiva di Pianificazione di Eddyburg, che ha affrontato il tema dello sviluppo sostenibile applicato all’organizzazione del territorio, e il piano per Solza si inserisce nel solco di un dibattito consolidato, per quanto non ancora mainstream.

Le decisioni hanno un percorso trasparente: confronto con la popolazione, inquadramento in una prospettiva di area vasta, a promuovere cooperazione con gli altri comuni, e riassumendo il resto in pochissime parole, preminenza di qualità e risorse: l’una da aumentare in servizi, abitabilità, occasioni, le seconde da conservare e valorizzare.

Questo si traduce in ricerca di integrazione dei tessuti urbani e aperti nell’intero territorio comunale (sacche monofunzionali, sistema di mobilità auto-centrico, crescita puntuale e a cul-de-sac dell’urbanizzazione), a partire dai rapporti col centro storico, con le polarità dei servizi. Un ruolo particolare, nella nebulosa regionale dei capannoni sparsi, assume la domanda: ma servono davvero allo sviluppo locale? E la risposta di solito è NO. Servono, a volte, solo ai comuni, a far cassa, e sempre a spese della risorsa territorio, preziosa e insostituibile. Il PgT di Solza è stato adottato con delibera del 29 giugno 2010.

I cosiddetti “piani a crescita zero” nascono dalla domanda lecita: a cosa serve l’urbanizzazione dei terreni aperti? A cui spesso viene data la sbrigativa risposta: allo sviluppo economico locale. Risposta che molti, sempre più, ritengono quantomeno parziale e incompleta.

Le prime esperienze si possono far risalire agli anni ’90 con l’obiettivo dello zero consumo di suolo per il piano di Napoli coordinato da Vezio De Lucia (approvato nel 2004), o quello di Lastra a Signa senza aree di espansione (2004). Molto noto quello per Cassinetta di Lugagnano, nell’area metropolitana di Milano (approvato nel 2007, 1500 abitanti, circa 200 abitazioni aggiuntive, tutte in recupero/ristrutturazione) dalla cui esperienza nasce poi la Associazione Stop al Consumo di Territorio. Fra gli altri comuni che hanno iniziato percorsi “virtuosi” di questo tipo spicca per importanza quello di Firenze. Situazioni assai diverse, dove però si cerca una risposta pratica, non ideologica e di lungo periodo al tema della sostenibilità, utilizzando il territorio come nodo per affrontare altri temi, quello energetico, o ambientale in senso lato, o di rapporto fra sviluppo e qualità della vita.

Unica pecca, se così si può definire, di questa piccola “famiglia” di piani, è la pessima pubblicità che li riguarda: utopie ambientaliste, progetti velleitari destinati a tramontare insieme ai loro sponsor politico-culturali, ostacoli alle attività di trasformazione indispensabili alla nostra civiltà … solo per riassumere le critiche più frequenti. In realtà, il solo fatto di essersi tradotti in strumenti approvati di governo del territorio ne dimostra la validità.

http://www.comune.solza.bg.it/

Lo scritto che segue è stato redatto dagli autori riprendendo il materiale di una intervista radiofonica svolta sui RAI3 per la trasmissione “Chiodo Fisso”. Le immagini che lo corredano, visibili nel file scaricabile in calce, si riferiscono alla esperienza svolta dalla città di Settimo Milanese, dove i concetti qui espressi sono stati sviluppati e sperimentati.

Una delle ‘cifre’ più significative che misurano il livello di civiltà raggiunto nel funzionamento di una città è dato dalla diffusione dell’uso della bicicletta.

Stiamo parlando di utenza effettiva della bicicletta e non di infrastrutture per la bicicletta: i metri di piste ciclabili realizzate sono, da questo punto di vista, poco significativi, perché l’uso della bicicletta ha piuttosto bisogno di un contesto generale che lo consenta, lo favorisca e lo induca. E siccome la bicicletta è un “mezzo gentile”, questo contesto non può che essere quello di una “città gentile”.

Bisogna quindi interrogarsi su cosa renda una città “gentile”.

La città gentile lo è anzitutto nei comportamenti, a partire da quelli dei suoi utenti più fragorosi, più rumorosi, più invasivi, che sono gli automobilisti. Una città dominata dai comportamenti aggressivi, dalla velocità, dai sorpassi, dal non rispetto delle regole, dalle doppie file, dalla prepotenza, non potrà mai essere una città ciclabile, per quanti chilometri di piste ciclabili si costruiscano.

Occorre quindi operare per ridurre e trasformare lo spazio dedicato alle automobili, con una attenta rigerarchizzazione delle strade, con il severo ridimensionamento degli spazi di circolazione e con l’inserimento di elementi diffusi di controllo dei comportamenti degli automobilisti.

La città gentile poi deve esserlo nella sua organizzazione urbanistica, che deve essere non segregata e segregante, con servizi ed opportunità distribuiti e vicini alle residenze, senza i gigantismi dei grandi centri commerciali che concentrano molte funzioni in pochi luoghi lontani e costringono a spostamenti troppo lunghi e necessariamente motorizzati.

Una corretta pianificazione urbanistica deve dunque in primo luogo garantire alla maggior parte dei propri cittadini la prossimità ai servizi di cui hanno bisogno: le scuole, il verde, i negozi per gli acquisti quotidiani.

La città è inoltre gentile nella qualità e nell’organizzazione dello spazio pubblico.

Ciò in primo luogo significa che quest’ultimo deve cessare di essere disegnato attorno all’automobile o deformato da quest’ultima, con spazi ovunque e comunque consegnati alla circolazione ed alla sosta dei veicoli e sottratti alle altre funzioni, con marciapiedi inesistenti e sensi unici che impongono lunghe deviazioni anche agli ‘incolpevoli’ ciclisti.

Significa poi omogeneità nelle modalità progettuali, qualità dei materiali, attenzione nella manutenzione e, soprattutto, presenza diffusa del verde urbano.

E’ un obiettivo al quale devono poter concorrere tutti gli interventi, dai più piccoli ai più importanti, che vanno ad incidere sullo spazio pubblico, siano essi maturati nell’ambito di uno strumento di settore (come il PGTU) che in quelli della pianificazione e progettazione urbanistica.

La città deve essere gentile nelle opportunità di mobilità, deve cioè garantire a tutti ed in tutte le condizioni in cui si trovano la possibilità di muoversi.

Noi viviamo in città nelle quali ci si può muovere solo in automobile perché il nostro sistema del trasporto pubblico è, come ben noto, gravemente insufficiente ed inefficiente, soprattutto nelle città di piccole e medie dimensioni.

Invece il trasporto pubblico è un elemento essenziale per la diffusione della ciclabilità, dato che l’integrazione tra i due modi consente ad entrambi di ampliare fortemente il rispettivo ambito di utilizzazione.

Infine la città è gentile nella coscienza dei propri cittadini, nel senso che andare in bicicletta è anche il portato di una consapevolezza diversa e più profonda della vita propria, di quella degli altri e delle condizioni che ne permettono oggi e nel futuro una dignitosa continuazione.

Sono ad esempio preziose in questo senso le iniziative come quelle della costruzione della città dei bambini e delle bambine, dallo sviluppo dei processi partecipativi, dal rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini.

Prima di concludere il breve ragionamento che si è cercato qui di sviluppare, pare necessario rispondere alle perplessità che possono derivare dall’aver parlato di ciclabilità senza dedicare nemmeno un accenno alle tecniche che la riguardano.

E’ chiaro che occorre disporre di un buon hardware per la ciclabilità, cioè una rete caratterizzata da continuità e connettività degli itinerari, completezza delle polarità servite, adeguatezza degli standard geometrici, sicurezza e comfort; caratteristiche anch’esse poco diffuse –come la gentilezza- negli esempi italiani; è chiaro che bisogna rendere maggiormente visibile il linguaggio proprio della bicicletta in città (si pensi semplicemente alla segnaletica); è chiaro che bisogna investire costantemente in promozione ed educazione all’uso della bici; è però altrettanto chiaro che tutto questo, calato in una realtà poco ‘gentile’ sarebbe destinato a raccogliere risultati ben modesti.

EDOARDO SALZANO - Nell’opinione corrente Napoli è un disastro. Rifiuti, camorra, sporcizia fisica e morale, inefficacia della politica, amministrazioni allo sbando e in rissa tra loro. Questa sono i tratti che sembrano caratterizzare, nel pensiero comune, Napoli e, per traslato, l’intera Campania. Questa immagine è mille miglia lontano da quella del cosiddetto Rinascimento napoletano, del quale tu fosti partecipe e co-protagonista. So bene che oggi si tende a semplificare, a schematizzare, a ridurre la realtà (che è sempre complessa e variegata) a una icona: una sola immagine, meglio se a tinte forti. Credo che chi vuole agire deve anzitutto comprendere, e formarsi della realtà una visione il più possibile compiuta. Oltre lo scuro, c’è nella realtà della Napoli di oggi qualcosa che sia anche luce? O la Napoli del Rinascimento è solo il ricordo di una realtà che è stata possibile, ed è scomparsa senza lasciare tracce?

VEZIO DE LUCIA - Da oltre un anno, da quando la questione dei rifiuti ha raggiunto dimensioni oltraggiose (e mai davvero risolte), e dopo l’ultimo scandalo sull’appalto global service al gruppo Romeo, molti osservatori – giornalisti, scrittori, intellettuali, specialisti di varie competenze, analisti della società e del costume – concordano nel ritenere irreversibile la decadenza di Napoli (e dell’intero Mezzogiorno). Ci restituiscono l’immagine di una vera e propria tragedia etica e politica, di una città senza speranza, soffocata dalle immondizie, dalla camorra, dal cattivo governo. Sono gli ingredienti che hanno contribuito al successo planetario di Roberto Saviano. Ritorna, è vero, di tanto in tanto, ma sempre meno convincente, il mito di Napoli che produce cultura, arte, musica, cinema e teatro, e resta la fede imperterrita negli ideali giacobini del 1799. Ma continua a mancare, secondo me, un’indagine approfondita sul funzionamento della città per comprenderne davvero la sua realtà politico-istituzionale. In antitesi alla crisi dello smaltimento dei rifiuti e ai recenti episodi di corruzione, c’è almeno un importante settore dell’apparato comunale che opera bene, anche se in condizioni di evidente isolamento, ignorato dall’opinione pubblica, spesso e volentieri criticato dalla stampa, mal sopportato dal mondo politico e da quello accademico. Mi riferisco agli uffici urbanistici del comune di Napoli che, nonostante tutto, lavorano in modo eccellente, e provo a darne conto.

SALZANO - Cerchiamo di ragionare su questo aspetto, questo settore. É un settore importante, perché forse più di altri più effimeri, o nei quali il Comune ha capacità d’incidere meno diretta, agisce fortemente sul futuro della città. Le trasformazioni territoriali, che la politica urbanistica deve gestire, sono tra le meno reversibili di tutte quelle che le politiche comunali possano governare. A che punto stiamo in questo campo?

DE LUCIA - Prendo le mosse da un recente intervento di Roberto Giannì, coordinatore del dipartimento urbanistica del comune di Napoli, che ha presentato un sintetico ma efficace bilancio dell’urbanistica partenopea degli ultimi anni . Ha fornito dati molto importanti: negli anni successivi all’approvazione della nuova disciplina urbanistica, gli atti abilitativi a qualunque titolo rilasciati (autorizzazioni, concessioni e simili) è passata da poche decine a circa 500 all’anno, quantità poi in parte ridotta con l’estensione della Dia (denuncia inizio attività) agli interventi di ristrutturazione. La maggioranza degli interventi riguarda il centro storico, dove vige una normativa basata sull’analisi e la classificazione tipologica, che consente interventi diretti, cioè senza il preventivo ricorso a piani particolareggiati, com’era invece indispensabile secondo il vecchio piano regolatore del 1972 .

Inoltre, negli ultimi quattro anni, sono stati approvati o sono in via di approvazione ben 38 piani urbanistici attuativi e altri grandi progetti urbani, quasi tutti a carico dell’iniziativa privata, mentre negli oltre 30 anni di vigenza del precedente piano non fu approvato neanche un piano particolareggiato. E’ stato stimato che queste sole opere comportano investimenti privati per circa 2 milioni di euro, e che l’insieme delle iniziative a vario titolo in attuazione del nuovo piano regolatore, determinerebbe un incremento del patrimonio di attrezzature di quartiere per una superficie di 280 ettari, circa il venti per cento del fabbisogno quantificato dal nuovo piano regolatore.

Non sono notizie di poco conto. Dimostrano che, in materia di attività edilizia, si sta consistentemente sviluppando un’iniziativa privata integralmente legale, attività che Napoli non aveva forse mai conosciuto prima, almeno non in questa misura, e sicuramente non negli ultimi decenni.

SALZANO - Quello che dici stupisce chi si basa sull’immagine stereotipa di Napoli che è data dai media di massa. Intanto, sui giornali ho letto cose molto diverse: si parla di un piano che ha “ingessato” Napoli, e in particolare il centro storico, che il Prg ha perimetrato con ampiezza, rifacendovi alle acquisizioni culturali di Leonardo Benevolo e Anntonio Cederna e ai principi della Carta di Gubbio. Mi sembra però particolarmente interessante la sottolineatura che fai dell’attività edilizia “legale”, come se questo fosse una novità per Napoli.

DE LUCIA - In effetti, il mezzo secolo che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni Novanta si può pensarlo diviso in due periodi di uguale durata: fino al 1970 circa, l’attività edilizia era caratterizzata dall’essere apparentemente legale. Cioè, la grande speculazione che ha devastato il Vomero, Posillipo e il resto, quella degli scempi e delle mani sulla città, era la somma di edifici tutti dotati di licenza edilizia (allora si chiamava così), ma si trattava di licenze prevalentemente illegittime, cioè in contrasto con le norme vigenti, e quasi sempre i fabbricati erano per di più difformi dai progetti (illegalmente) approvati. Tutto ciò fu molto ben documentato dall’indagine sull’edilizia privata a Napoli, condotta nel 1971 dal ministero dei Lavori pubblici, indagine che purtroppo non ebbe la risonanza e non determinò le conseguenze (legge ponte, standard urbanistici) della più nota indagine sulla frana Agrigento del 1966.

Nel secondo quarto di secolo del dopoguerra (circa 1970 – 1995), a Napoli, l’edilizia privata apparentemente legale è stata quasi totalmente sostituita da due altre modalità che, negli anni precedenti, erano state marginali, mi riferisco all’edilizia abusiva, e all’edilizia pubblica. L’edilizia abusiva è del tutto diversa dall’edilizia speculativa dei decenni precedenti. Quest’ultima, seppure contaminata da fattori di illegalità urbanistico-edilizia, apparteneva pur sempre al mercato abitativo ufficiale; le imprese erano più o meno in regola e regolare era la compravendita degli immobili. Quella abusiva è invece un’attività criminale, direttamente o indirettamente connessa alla malavita organizzata. Ogni segmento del processo costruttivo era, ed è, contrario alla legge: dall’acquisizione delle aree al reclutamento e trattamento della manodopera, all’acquisizione dei materiali e dei mezzi di produzione, all’allacciamento e alle forniture dei servizi, alla vendita dei manufatti, e così di seguito. A Napoli, tra l’altro, non è mai esistito l’abusivismo chiamiamolo mutualistico, quello dei borghetti di Roma dei primissimi anni del dopoguerra, quello del neorealismo, l’abusivismo cosiddetto della domenica, quando intere famiglie di immigrati, per i quali era irraggiungibile il mercato abitativo ordinario (anche perché era ancora vigente la legge contro l’inurbamento), si aiutavano scambievolmente nella costruzione della proprie abitazioni “spontanee” . A Napoli, invece, l’abusivismo è stato quasi sempre espressione dell’imprenditoria delinquenziale.

Quanto all’edilizia pubblica, è bene ricordare che a Napoli ha spesso raggiunto risultati quantitativamente e qualitativamente significativi, a partire dal Risanamento . Ma negli ultimi anni, intorno all’edilizia pubblica opera una sorta di damnatio memoriae, oppure è stoltamente criminalizzata, come succede per le Vele di Secondigliano .

SALZANO - Ecco, le Vele a Scampìa. Nell’opinione corrente sono una delle brutture più pesanti, caso esemplare di un degrado sociale provocato dal tipo di insediamento. Qual è la tua opinione sulle Vele e sulla situazione sociale di Scampìa?

DE LUCIA - L’insofferenza per le Vele è analoga a quella manifestata in altre città d’Italia per quartieri più o meno coevi che hanno subito le stesse selvagge mutilazioni e sono stati oggetto di una irresponsabile gestione comunale: Corviale e Laurentino 38 a Roma, lo Zen a Palermo. Anche in quei casi si dà tutta la colpa agli architetti. Franco Ferrarotti ha scritto che Corviale resta “un monumento all’insipienza di chi ha scambiato i valori collettivi con la mancanza di rispetto per i diritti individuali”. È una bella espressione, ma ingenerosa, e forse sbagliata. È vero che si tratta di scelte architettoniche scomode, e oggi imbarazzanti, perché frutto delle speranze di riforma e di progresso che attraversarono l’Italia alla fine degli anni Sessanta. “La casa come servizio sociale”: da parola d’ordine dei cortei si pensò di trasformarla in pratica sociale, e con quell’idea si misurarono anche alcuni dei migliori architetti che hanno operato in questo Paese. Le Vele, lo Zen, Corviale, Laurentino 38 sono una coraggiosa configurazione di quella parola d’ordine e rara testimonianza degli ideali di un’epoca, poi travolti dal ripiegamento degli anni Ottanta. In altre società, e in altre epoche, la “monumentalizzazione” dell’edilizia ordinaria è andata a buon fine . E le cose potevano andare diversamente anche a Roma, a Napoli e a Palermo, se le amministrazioni comunali fossero state più energiche e consapevoli e non inerti, o forse complici.

SALZANO - Tu sei stato assessore alla vivibilità nella prima giunta Bassolino. Che cosa avrebbe potuto fare la giunta per affrontare il degrado delle Vele?

DE LUCIA - Secondo me, il difetto essenziale del quartiere Scampìa, di cui le Vele sono solo un dettaglio, dipendeva (e dipende) dal fatto che si tratta di un quartiere, anzi una circoscrizione intera, quella di Scampìa, fatta solo ed esclusivamente di edilizia pubblica. Ci sono solo case, nient’altro che case, e pochissimi servizi collettivi (solo con gli interventi per il dopo-terremoto gli abitanti hanno avuto un gran bel parco). Insomma, una specie di mostro. La nostra idea era di aggiungere altre funzioni, per quanto possibile importanti, pubbliche e private, prospettiva agevolata dalla bassa densità dell’insediamento e dalle possibilità di trasformazione (la demolizione delle Vele era solo una delle ipotesi). Contavamo anche sul fatto che la vicina fermata della metropolitana, collegando Scampìa al centro della città in tempi brevi, una volta inimmaginabili, avrebbe certamente reso meno complicato l’insediamento di nuove attività, e anche di abitazioni private. Debbo dire che la risposta dell’imprenditoria fu deludente. tante chiacchiere ma niente di concreto. un interlocutore importante fu invece l’università, e ricordo con riconoscenza e gratitudine l’allora rettore Fulvio Tessitore che accolse con entusiasmo l’ipotesi di affidare alla presenza degli studenti e dei docenti un ruolo decisivo nel riscatto del quartiere. Cominciammo a valutare la possibilità di trasferire due facoltà: agraria e biotecnologie. Molto, troppo lentamente, il disegno mi pare che sia andato avanti, almeno in parte. Nei giorni scorsi ho incontrato Vittorio Gregotti che mi ha detto di aver da poco consegnato al comune un progetto relativo alla facoltà di medicina per Scampìa.

SALZANO - Torniamo all’attività edilizia «legale». Allora, a Napoli il Prg ha incontrato l’interesse operativo dei costruttori onesti, quelli che in un altro contesto, a roma, Luigi Petroselli chiamava gli imprenditori che cercano «l’equo profitto», cioè che si affidano all’attività imprenditiva e non alla rendita. ricordo che un rapporto positivo con i costruttori napoletani era già stato sperimentato dall’équipe che ha lavorato al prg, e che allora riuscì a costruire una positiva e «pulita» collaborazione per la ricostruzione dopo il terremoto del 1980, a differenza di quanto allora avvenne nel resto della Campania.

DE LUCIA - La recente ripresa, a Napoli, dell’edilizia privata regolare, “pulita”, è indubbiamente una realtà rilevante. Chissà perché è sconosciuta, o è volutamente ignorata dai commentatori e dal mondo istituzionale. Non dagli imprenditori. La rassegna stampa comunale degli ultimi anni è fitta di articoli e di dichiarazioni di costruttori e di esponenti dell’associazionismo imprenditoriale che apprezzano l’azione amministrativa del capoluogo campano. Cito per tutti Ambrogio Prezioso, presidente dell’associazione costruttori che, all’indomani dell’approvazione del piano regolatore, esprime soddisfazione per la conclusione “di un lavoro lungo e difficile frutto di un’azione amministrativa tenace” e ricorda il contributo della sua categoria reso “con un energico spirito di cooperazione tipico di chi è consapevole che l’approvazione del Prg è fondamentale per ottenere certezze per il recupero della città, dal centro storico alle periferie” . Lo stesso Prezioso, intervistato da la Repubblica all’inizio del 2007, dichiara che “ora la pianificazione c’è e ci sono i progetti. Non resta dunque che ripartire” , e cita i trenta progetti presentati dalla sua associazione (e poi in parte approvati dal comune).

SALZANO - Il Prg non serve solo a regolare l’attività edilizia. Un problema molto pesante per gli abitanti – a Napoli forse più ancora che nella altre grandi città italiane dove non c’è una tradizione di buona urbanistica – è quello dell’accessibilità: l’esigenza della mobilità è cancellata dalla caoticità del traffico. La tua esperienza napoletana è cominciata, in occasione del G7 del 1994, con la scelta di adoperare i finanziamenti speciali per risolvere problemi ordinari. Tra questi, particolare evidenza ha avuto la pedonalizzazione di Piazza Plebiscito. L’eliminazione del traffico da questo luogo, fino ad allora congestionato e degradato, e la sua restituzione alla pienezza della vita cittadina è stato un risultato secondo me eccezionale. Ricordo che costò faticose discussioni, richiede una faticosa conquista del consenso all’interno stesso dell’amministrazione, e anche con categorie importanti della vita sociale della città. In che modo la questione della mobilità è stata affrontata nella successiva pianificazione, che conflitti e consensi ha provocato e quale esito ha avuto?

DE LUCIA - Certamente, alle informazioni sull’attività urbanistica ed edilizia bisogna aggiungere quelle relative alla realizzazione della nuova rete metropolitana. Una successione di atti sempre più perfezionati – il piano comunale dei trasporti del 1997, il piano della rete stradale primaria del 2002, e il cosiddetto piano “delle 100 stazioni” dello stesso anno – hanno orientato e determinato la progettazione e la realizzazione degli interventi. Il punto di partenza, nel 1994, erano due linee ferroviarie nazionali, due metropolitane (quella storica del passante ferroviario realizzato nel 1927 e le tre fermate della nuova linea 1), quattro funicolari, quattro linee tranviarie, per un totale di 45 fermate e solo cinque nodi di interscambio. Fra pochi anni la popolazione servita sarà raddoppiata (da 536 mila a 970 mila); sono previste dieci linee metropolitane, con 114 stazioni che formeranno 36 nodi d’interscambio ferroviario e 24 di scambio con parcheggi. Metà del programma è realizzato e si procede con inconsueta regolarità, operando in piena coerenza con le scelte urbanistiche, grazie in particolare alla tenacia di Elena Camerlingo che dirige l’ufficio studi e infrastrutture del comune.

Intanto, la restituzione ai pedoni di alcuni dei luoghi più congestionati della città e soffocati dalle automobili fa affiorare qualità perdute (da piazza del Plebiscito a piazza Cavour a piazza Dante). Dovrebbe essere cancellato lo scandalo delle strade interrotte da muretti in cemento armato in corrispondenza dei passaggi a livello (via Ferrante Imperato a S. Giovanni a Teduccio); sarà almeno in parte ricostruito il paesaggio del Miglio d’oro disastrato dalla linea ferroviaria costiera che ha isolato il mare dal retroterra. Infine, il litorale e il parco della nuova Bagnoli saranno direttamente serviti dalla rete su ferro.

SALZANO - Attività edilizia, mobilità, abbiamo affrontato due aspetti importanti della politica urbanistica napoletana. Ci sono altri aspetti che mi interesserebbe approfondire con te. La questione degli spazi pubblici, dei parchi, delle attrezzature civili. So che il piano ha dato il via a grandi progetti, come l’area ex industriale di Bagnoli e il grande sistema dei parchi urbani e territoriali, e le attrezzature già previste dal piano delle periferie che costituisce in qualche modo un’anticipazione del Prg. Mi sembra che a Napoli queste realizzazioni sono avvenute senza gli umilianti patteggiamenti che hanno caratterizzato altre esperienze, dove all’urbanistica “regolativa”, cioè comandata dalla mano pubblica, hanno preferito della contrattazione con la proprietà immobiliare, tra l’altro secondo modalità che hanno visto sempre le amministrazioni pubbliche subalterne rispetto agli interessi privati. Ti sarei grato se volessi fare un breve excursus sulle differenze tra l’esperienza napoletana e quella della altre grandi città italiane, da Milano a Roma.

Ma prima ancora, vuoi dirmi in che modo il Prg ha influito sulla rendita immobiliare? gli economisti dicono che la rendita è una dimensione economica insopprimibile, e che la questione sta nella risposta alla domanda: chi si appropria del valore determinato dalle decisioni e dagli investimenti della collettività, se il pubblico o il privato. Ma è certo che anche la pianificazione incide sul maggiore o minore valore dei terreni, quindi sull’incremento della rendita. Che cosa puoi raccontare a questo proposito?

DE LUCIA - Ho già raccontato altre volte che un momento molto importante della mia vita di amministratore, anzi, più in generale, della mia vita di urbanista, fu quando, una bella mattina, mi telefonò il direttore generale dell’Iri per dirmi che nel bilancio 2006 della società del gruppo Iri proprietaria di Bagnoli, la Cimimontubi, il valore dei suoli sarebbe stato ridotto di circa il 30%, per adeguarlo alle minori possibilità edificatorie consentite dal nostro piano urbanistico rispetto alle loro aspettative (non era solo un gesto amichevole nei nostri confronti, allora esisteva ancora il reato di falso in bilancio ...). Il fatto che un piano urbanistico abbia determinato non l’incremento ma la riduzione del valore dei suoli mi pare un risultato strepitoso, purtroppo raro. Che dimostra come il controllo pubblico della rendita sia lo strumento decisivo dell’urbanistica, senza il quale si disegnano pupazzi.

SALZANO - L’esperienza napoletana mi sembra coerente con quella degli anni della “buona urbanistica”, quella dei piani di Astengo (Assisi, Bergamo), Detti (Firenze), Piccinato (Siena, Padova), Campos Venuti (Bologna), ma assolutamente anomala rispetto a due riferimenti: rispetto al degrado degli altri aspetti della situazione napoletana, dai quali siamo partiti, e rispetto ai piani urbanistici degli ultimi tempi, degli anni craxiani e post-craxiani. Vogliamo dare uno sguardo a ciò che si è

fatto altrove?

DE LUCIA - Il contrasto fra il generalizzato decadimento della città e il buongoverno urbanistico emerge accentuato dal confronto con le vicende urbanistiche di altre importanti città italiane, caratterizzate dalla prevalenza degli interessi privati e dall’arretramento dell’azione pubblica o, nei casi peggiori, dal palese asservimento agli interessi fondiari e immobiliari. E forse una rapida analisi puà essere utile per comprendere meglio il caso napoletano.

SALZANO - Cominciamo dalla “capitale morale d’Italia”, da Milano, che a prima vista mi sembra l’esperienza più lontana da Napoli e dall’eredità culturale cui a Napoli avete fatto riferimento.

DE LUCIA - Il comune di Milano ha da tempo sostituito il piano con la somma dei progetti. All’origine della nuova urbanistica sta il documento Ricostruire la grande Milano, redatto nel 2000 dall’assessorato allo sviluppo del territorio. Il capoluogo lombardo non è mai stato un modello di rigorosa amministrazione del territorio. Non a caso, si chiamò “rito ambrosiano” (la definizione è di Pietro Bucalossi, ex sindaco del capoluogo lombardo e poi benemerito ministro dei lavori pubblici) la specialità milanese di piegare le norme al variare delle circostanze. La tradizione, grazie anche a nuovi provvedimenti regionali, ha raggiunto negli ultimi anni soglie estreme. In buona sostanza, progetti e programmi pubblici e privati non sono obbligati a uniformarsi alle prescrizioni del piano regolatore ma, al contrario, è il piano regolatore che si deve adeguare ai progetti. Il piano regolatore è diventato, così, una specie di catasto che registra le trasformazioni edilizie contrattate e concordate. Siamo di fronte a un possente rilancio della rendita e della speculazione immobiliare, mistificata come modernizzazione, con le conseguenze che si possono immaginare dal punto di vista morale e della trasparenza delle procedure. Come a Napoli, negli anni di Achille Lauro, quando si affermava che “il piano regolatore serve a chi non si sa regolare”.

L’esito più clamoroso del nuovo rito ambrosiano è il progetto dell’area ex fiera, poi battezzata CityLife, con i tre grattacieli di Daniel Libeskind (quello detto il Curvo, 170 metri), di Zaha Hadid (lo Storto, 185 metri), di Arata Isozaki (il Dritto, 218 metri). Fulvio Irace ha scritto che

come nella parodia di un film di Verdone; il «famolo strano» sembra infatti es- sere l’unica regola certa di una professione che ha rinunciato alla pretesa etica di governare la trasformazione riducendo il governo del territorio a un problema di audience di massa. tanto da far venire in mente, davanti alle pretese di una tale “modernità”, l’acre battuta di Noel Coward in Law and order: «non so dove stia puntando Londra, ma più si alzano i grattacieli, più si abbassa la morale» .

L’importo a base d’asta dell’intervento era di 250 milioni di euro; il progetto vincitore (Ligresti, Toti, Generali, Allianz) prevede un valore, e quindi una cubatura, più che doppi, con il conseguente dimezzamento degli standard urbanistici. La scelta del progetto, insomma, ha mirato a massimizzare l’utile, non a migliorare le condizioni abitative dei cittadini (com’è avvenuto, per esempio, con il riuso delle aree dismesse della fiera di Monaco) .

L’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 sta moltiplicando le operazioni immobiliari. Secondo Alberto Statera “sono venticinque i grandi progetti, lottizzati tra i gruppi immobiliari con le immutabili regole del manuale Cencelli – tot a me, tot a te – che stanno cambiando lo skyline meneghino insieme a quelli del potere e delle ricchezze immobiliari d’Italia" .

il colpo di grazia è stato sferrato con la proposta dell’assessore allo sviluppo del territorio Carlo Masseroli di incrementare in modo generalizzato gli indici di edificabilità, con il virtuale incremento della popolazione da un milione e 300.000 a 2 milioni di abitanti, con vincoli e regole ridotti al minimo.

SALZANO - Certamente, Milano è un estremo nella storia della pianificazione delle grandi città italiane. Possiamo dire che Bologna e Firenze sono l’altro estremo, la testimonianza di politiche urbanistiche sagge e lungimiranti: basta ricordare Armando Sarti, Giuseppe Campos Venuti, Pierluigi Cervellati per l’una, Edoardo Detti per l’altra.

DE LUCIA - Per gli urbanisti della mia generazione Bologna era un mito. Era un mito la consulta urbanistica dell’Emilia Romagna (che anticipò gli standard urbanistici del 1968), erano un mito gli uffici urbanistici comunali, i piani regolatori e i piani di zona di città grandi e piccole, le scuole di Reggio Emilia, il piano per il centro storico di Bologna degli anni Settanta. Furono mitici Giuseppe Campos Venuti e Pierluigi Cervellati. Ma tout passe, tout casse, tout lasse, tout se remplace. Bologna si è accodata al declino dell’urbanistica progressista dell’ultimo quarto si secolo e non è mai stata rimpiazzata. Secondo me, l’ultima manifestazione del primato bolognese fu la comparsa sulla scena nazionale della Compagnia dei celestini, un’associazione di urbanisti, molti giovanissimi che, all’inizio del secolo, si fecero conoscere per le critiche dure e circostanziate che muovevano alla politica urbanistica cittadina e regionale. In particolare, s’impegnarono a documentare “il livello di ipocrisia progettuale e politica” degli interventi di riqualificazione urbana che hanno “riqualificato ben poco se non il valore immobiliare dei suoli sui quali si è costruito” .

Un esempio del malgoverno urbanistico bolognese è il programma di recupero e di riqualificazione urbana di via Due Madonne, nel quartiere San Vitale, a est della città, in un’area compresa fra la tangenziale nord e la ferrovia per Ancona. Con l’approvazione del piano regolatore del 1985, furono raccolte le osservazioni dei proprietari e, modificando le precedenti più modeste previsioni, fu decisa una destinazione dell’area ad attività terziarie e telematiche – il World Trade Center – con un indice di 0,7 metri quadri a metro quadro. Quando, nel 1997, il comune votò il bando per “programmi integrati aventi l’obiettivo del recupero e della riqualificazione urbana”, i proprietari chiesero un cambio di destinazione per costruire alloggi invece del World Trade Center. La proposta fu accolta e il progetto definitivamente approvato nel luglio 2000 autorizzò un complesso edilizio formato, tra l’altro, da sette edifici residenziali (altezza massima 18 metri).

Uno dei fabbricati è localizzato lungo la tangenziale, al fine di formare una barriera contro il rumore prodotto dal traffico. La convenzione prevede che una parte degli alloggi debba essere di proprietà pubblica e riservata a edilizia sociale. “Ma dove sarà collocata la quota di edilizia sociale? Proprio nell’edificio vicino alla tangenziale: saranno le abitazioni dei meno abbienti a fare da schermo antirumore per le abitazioni più ricche!” .

Recentemente Bologna sta sperimentando il ritorno alla pianificazione. Nel luglio 2008 è stato approvato il piano strutturale comunale cui farà seguito il piano operativo, come prescrive la legge regionale del 2000. L’intenzione è di integrare in un’unica strategia interventi di trasformazione e di riqualificazione. Forse per Bologna il peggio è passato, ma non sarà mai più come una volta.

A Firenze, al centro della bufera urbanistica che nell’autunno 2008 ha travolto il sindaco Leonardo Domenici e la sua giunta sta, ancora una volta, il progetto dell’area ex Fondiaria, oltre 180 ettari nella piana fiorentina, in località Castello, accanto all’aeroporto di Peretola, il progetto contro il quale si era scagliato, nella primavera del 1989, Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, mettendo in crisi il suo partito al governo della città. Fu un atto clamoroso, che in molti salutammo con entusiasmo. Faceva seguito a un importante discorso dello stesso Occhetto a favore della foresta amazzonica e per la riconversione ecologica dell’economia. Ci illudemmo di essere alla vigilia di una svolta risolutiva dell’urbanistica italiana, almeno quella di sinistra. Ma rapidamente tutto rientrò nella normalità, a Firenze furono riprese le proposte di prima con qualche aggiustamento e qualche mistificazione.

Dopo quasi vent’anni, la lottizzazione di Castello – intanto acquisita dal costruttore Salvatore Ligresti, dove sono previsti un milione e 400 mila metri cubi di nuova edificazione che comprendono la sede della regione e la scuola sottoufficiali dei carabinieri e circa 80 ettari di un parco-filtro ai margini dell’aeroporto – ha provocato una nuova gravissima crisi politica e giudiziaria. Sono stati inquisiti per corruzione il vicesindaco e un assessore, un altro assessore si è dimesso, si è dimesso anche il direttore de la Nazione a causa di compromettenti intercettazioni. Il piano strutturale (la prima parte del piano regolatore, secondo la legge urbanistica toscana) non è stato approvato. Il sindaco Domenici si è platealmente incatenato sotto gli uffici romani de la Repubblica per protestare contro alcuni articoli del quotidiano e del settimanale “l’Espresso” che criticano l’operato suo e dell’amministrazione fiorentina. Il tutto è cominciato nel settembre 2008, quando il patron della Fiorentina Diego della Valle ha presentato un progetto di Massimiliano Fuksas per un complesso di circa 80 ettari, battezzato cittadella dello sport, che comprende uno stadio da 50 mila posti, un centro commerciale, una galleria di negozi, un museo, un parco ricreativo del pallone, oltre ad attività ricettive e residenze. Dire di no al progetto sarebbe stato impopolare, ma dove trovare lo spazio disponibile? Comune e regione hanno proposto di utilizzare per il progetto Della Valle-Fuksas l’area destinata a parco nella lottizzazione di Castello, ma il consiglio comunale non ha approvato e tutto è stato rinviato alla prossima amministrazione, dopo le elezioni del giugno 2009.

Paolo Baldeschi ha scritto che “il caso Fondiaria è l’ennesima dimostrazione che a Firenze prima si stabilisce l’edificabilità di un’area in termini di metri cubi patteggiati con i privati e poi si cercano utilizzazioni che assicurino ritorni economici a breve termine. Da qui il balletto delle destinazioni dove predominano incoerenza e improvvisazione e un ingente spreco di denaro pubblico per progetti non realizzati” .

SALZANO - Veniamo alla capitale d’Italia. Roma ha sempre aperto strade alla pianificazione. Ricordo il Prg del 1962, che introdusse gli standard urbanistici e una prima sperimentazione del programma pluriennale d’espansione. E negli anni di Rutelli e Veltroni?

DE LUCIA - Il nuovo piano regolatore del comune di Roma, al quale si mise mano nel 1993, è stato approvato soltanto negli ultimi giorni dell’amministrazione di Walter Veltroni, alla vigilia delle elezioni del 2008 vinte da Gianni Alemanno. Nei tre lustri di governo del centro sinistra, la politica del Campidoglio è stata come quella di Milano, con l’aggravante dell’ipocrisia, si praticava la contrattazione contrabbandandola per politica di piano (pianificar facendo è slogan che ha accompagnato l’esperienza romana). Ma la colpa più grave dell’amministrazione capitolina è stata nel non aver posto alcun limite al consumo del suolo agricolo o in condizioni naturali, comunque non ancora urbanizzato. Roma perde abitanti da trent’anni, ma il nuovo piano prevede un incremento di circa 70 milioni di metri cubi (pari al 10 per cento del volume preesistente) e un’espansione di almeno 15 mila ettari (pari al 36 per cento del suolo precedentemente urbanizzato). Un’espansione quindi a bassa densità, in tutte le direzioni, che si salda ai comuni limitrofi. L’Agro romano, lo spazio che da sempre ha isolato Roma dal resto del Lazio, la più importante risorsa archeologica del mondo, è massacrato. Intanto il centro storico continua a espellere abitanti – che vanno a vivere in periferie sempre più lontane – cedendo spazio ad attività e servizi, in particolare turistici e commerciali, che hanno snaturato il cuore della città. Lavoro dentro, abitanti fuori, è questo il modello che si consolida ogni giorno di più, con conseguenze insostenibili in termini di tempo destinato agli spostamenti, di inquinamento, di stress, di malessere urbano.

Paolo Berdini ha raccontato e documentato compiutamente come si è sviluppata la vicenda romana : le aggiunte continue al piano in formazione, il ricorso agli accordi, alle intese, alle compensazioni, alle perequazioni, alla difesa di inesistenti diritti edificatori. È senza fine la lista degli istituti derogatori che si sono utilizzati per disseminare insediamenti in ogni dove, in genere anticipati da centri commerciali, sempre più grandi, negli ultimi anni se ne sono costruiti trentuno. Le critiche di Berdini sono state poi riprese e divulgate da un efficacissimo servizio di Report che ha sconcertato il mondo politico e l’opinione pubblica.

Accanto a Berdini e a Report, va ricordato il recente libro di Walter Tocci, vicesindaco di Roma dal 1993 al 2001 (sindaco Rutelli), poi autorevole parlamentare del partito democratico, che affronta le questioni cruciali della politica urbanistica della capitale, gli errori commessi, le occasioni perdute, la subordinazione agli interessi fondiari (“A Roma la forza unificante dell’economia del mattone ha sempre vinto sulle differenze degli ordinamenti politici”) . Secondo Tocci, a Roma si è formato “uno dei più grandi esempi di sprawl in Italia e per certi versi anche in Europa. È paragonabile a quello dell’area milanese e a quello del Nord-est, ma prende gli aspetti peggiori di entrambi, la forte gravitazione del primo e la bassa densità del secondo”. Il nuovo piano regolatore di Roma non è neppure un nuovo piano, ma un’ennesima variante di quello del 1962, di cui si condivide la forte geometria espansiva. “Attuare oggi quelle previsioni urbanistiche – scrive Tocci – è in un certo senso più grave che averle pianificate negli anni sessanta”: nessuno di noi, critici da sempre del piano di Roma, aveva osato arrivare a questa conclusione.

SALZANO - Torino mi sembra un caso un po’ diverso dai precedenti. Lì la pianificazione sembra essere ancora uno strumento adoperato con un certo rigore, sebbene anche lì ci sono molte critiche, sia nei confronti del Prg vigente sia, soprattutto, per la sua attuazione.

DE LUCIA - É vero, Torino è un caso molto diverso da quelli precedenti, ma vale la pena di parlarne soprattutto perché dimostra che la vigenza di un piano regolatore è comunque un fattore di garanzia e di trasparenza. Mi riferisco in particolare al modo in cui si è sviluppata negli ultimi anni la contrastata vicenda dei nuovi grattacieli proposti nelle aree centrali di Torino in contrasto con il piano regolatore approvato nel 1995. È un piano che aderisce dichiaratamente a un modello di sviluppo post-industriale, assumendo la produzione dei servizi come settore portante dell’economia cittadina. Prevede infatti il sostanziale azzeramento delle aree industriali, sostituite da quasi 900 ettari di attività terziarie. La cosiddetta Spina Centrale (un lungo corridoio in direzione nord-sud, a cavallo del passante ferroviario interrato) è il luogo privilegiato per l’insediamento di nuove abitazioni e di funzioni rare e di comando, con l’aspirazione ad assumere rilevanza simbolica a scala nazionale e internazionale. Non sono mancate contestazioni alla filosofia e alle scelte del piano L’assenza di riferimenti all’assetto dell’area metropolitana; il riconosciuto protagonismo della grande e piccola proprietà fondiaria; il rafforzamento del ruolo dominante del centro cittadino a svantaggio di un equilibrato rapporto con il territorio regionale; il ricorso a densità insediative abnormi: sono queste le critiche prevalenti e più convincenti .

Ma qui interessa porre in rilievo che, a differenza di Milano e di Roma, nell’esperienza del capoluogo piemontese non è mai stato in discussione il rispetto del piano, né si è fatto diffusamente ricorso a istituti derogatori. La lunga e partecipata discussione a proposito dei grattacieli si è sviluppata intorno alla necessità o meno di apposite varianti allo strumento urbanistico, senza scorciatoie. Il riferimento condiviso al piano regolatore è la ragione, secondo me, dei buoni risultati ottenuti dall’opposizione ai grattacieli. Com’è noto, l’unico per ora approvato è il grattacielo Intesa-San Paolo a Porta Susa (altezza 180 metri), a lato della Spina Centrale e le procedure seguite sono state quelle di un’ordinaria variante al piano regolatore (che limitava l’altezza a 70 metri). Il movimento sviluppato intorno al comitato “Non grattiamo il cielo di Torino” è esemplare e dispiace che qui possiamo ricordarlo solo con brevi cenni. A favore dei grattacieli si erano dichiarati il sindaco Chiamparino (“C’è chi vorrebbe vedere in città ancora pascolare le pecore”) e la presidente della giunta regionale Mercedes Bresso (“Chi è contrario pensa ancora ai dinosauri”) ma l’opposizione a mano a mano più vigorosa alla fine ha raggiunto risultati all’inizio impensabili. È stato ripetuto che la Mole Antonelliana, piaccia o non piaccia, fa parte della storia di Torino, e il suo rapporto con lo sfondo delle Alpi e con la città non possiamo “superarli” con una nuova immagine che oblitera quella che abbiamo ereditato. Non è nella disponibilità della nostra generazione, ce lo inibisce la nostra cultura: altroché sostenitori delle pecore in piazza San Carlo.

Grazie alla forza e alla qualità del movimento, dopo l’approvazione del grattacielo Intesa-San Paolo, il consiglio comunale ha accolto una delibera di iniziativa popolare di sostanziale moratoria sui progetti di grattacieli. Vi si legge infatti che “in tutto il territorio comunale, fatti salvi gli interventi già autorizzati con specifici provvedimenti (grattacielo San Paolo, n.d.r), non dovranno essere consentite nuove edificazioni, o sopraelevazioni, che superino l’altezza di m. 100, fatti salvi i limiti più restrittivi già previsti”. In un ambito più ristretto intorno alla Mole Antonelliana, sono consentite altezze massime di 80 metri.

SALZANO - Mi sembra che dal confronto con le politiche urbanistiche delle altre grandi città quella napoletana appare chiaramente come un’anomalia: un’anomalia positiva, una volta tanto. La prima domanda che scaturisce da questa analisi è: come mai nessuno sembra accorgersene? Come mai questa orrenda semplificazione, che di Napoli vede solo il brutto e lo sporco?

DE LUCIA - Non so se le informazioni raccolte nel paragrafo precedente sulle città italiane dove si pratica correntemente l’urbanistica contrattata sono note a coloro che criticano l’esperienza napoletana. Certo è che a quanti decantano le magnifiche sorti e progressive del modello romano o di quello milanese, a quanti si appassionano alla gara a chi il grattacielo ce l’ha più lungo o più storto: a tutti costoro una vicenda come quella napoletana, fondata preminentemente sulla correttezza amministrativa e sull’equilibrato rapporto fra imprenditori e uffici comunali, deve evidentemente apparire come affetta da arretratezza e da rifiuto della modernità.

Uno che dissente esplicitamente dall’urbanistica napoletana è il direttore del Corriere del Mezzogiorno, Marco Demarco. Sul suo giornale, commentando il crollo di un edificio a Montecalvario nel luglio 2008, ha scritto quanto segue.

“Sarebbe fin troppo facile, ora, polemizzare con quanti, nel tempo, si sono tenacemente opposti a ogni progetto di modernizzazione urbanistica della città, e in nome di una conservazione del patrimonio edilizio hanno favorito il dilagare del degrado e dell’abusivismo. Non è il caso di riaprire vecchie ferite. E tuttavia una questione va posta. Ed è la seguente. Da oltre un quarto di secolo un gruppo di urbanisti e di architetti rappresenta la continuità nel governo urbanistico della città. È quel gruppo definito, in un recente libro di Gabriella Corona, «I ragazzi del piano». Del piano regolatore, per intenderci. Da quando questo gruppo governa di fatto la città si sono succeduti sindaci comunisti e di pentapartito, Bassolino e Iervolino. Convinti della produttività economica e sociale dell’ambientalismo, i ragazzi del piano si sono strenuamente battuti perché non un mattone si eliminasse o si aggiungesse nel centro storico, e perché nulla prendesse forma a Bagnoli. A loro va posta una sola domanda: è questa la città che avevate in mente? Perché se è questa, è bene che si sappia che non è una bella prospettiva passare dai cumuli di immondizia ai cumuli di macerie” .

SALZANO - Perché dai tanta importanza a un intervento come questo? Espime in modo abbastanza piatto un’ideologia corrente: ciò che serve è la “modernizzazione”. Modernizzerebbero anche il Partenone. Non hanno capito niente dell’importanza della storia rappresentata nella materialità del territorio, ai fini della conosccenza del mondo in cui viviamo e della nostra capacità di trasformarlo. Bisognerebbe invitarli a leggere il bel libro di Piero Bevilacqua sulla “Utilità della storia”. Ripeto, perchè ti riferisci a questo brano?

DE LUCIA - Semplicemente perché Demarco enuncia critiche cir- costanziate e il suo testo possiamo assumerlo come rappresentativo del pensiero di altri detrattori dell’urbanistica napoletana che non perdono occasione per affermare che il piano ha «ingessato» napoli e in particola- re il centro storico. uno fra i più tenaci è paolo Macry, che talvolta se la prende personalmente con me. altri dichiarati avversari del piano sono gli economisti Mariano D’Antonio e Massimo Lo Cicero e l’attuale assessore regionale alla Cultura Claudio Velardi. Comunque, prima di replicare a Demarco, è bene ricordare che «i ragazzi del piano» sono un gruppo di tecnici, funzionari comunali, che cominciarono a lavorare insieme negli anni dell’amministrazione di Maurizio Valenzi (quando erano davvero ragazzi), e si deve a essi, come hai ricordato, il cosiddetto «piano delle periferie», approvato dal Consiglio comunale prima del terremoto del novembre 1980 e poi in larga misura realizzato con gli interventi per la ricostruzione post-sismica (di cui si occuparono gli stessi «ragazzi del piano»). Con la prima amministrazione Bassolino hanno partecipato alla formazione del nuovo piano regolatore e sono attualmente impegnati nella sua attuazione. rappresentano quindi un raro esempio di consolidata continuità tecnico-amministrativa, una delle ragioni dell’efficacia dell’esperienza urbanistica napoletana..

Torniamo all’articolo di Marco Demarco e proviamo a rispondere, punto per punto. In primo luogo, la conservazione del patrimonio edilizio, scrive Demarco, favorisce il dilagare del degrado e dell’abusivismo. Una tesi sbalorditiva, assolutamente infondata, l’abusivismo fiorisce laddove è tollerato dai pubblici poteri, indipendentemente dalle politiche di conservazione o di espansione. A Roma, dove, com’è noto, l’attività edilizia ha avuto uno sviluppo vertiginoso e i problemi della tutela del patrimonio storico sono affrontati con disinvoltura – basta ricordare il contestatissimo nuovo involucro dell’Ara Pacis sul lungotevere di Ripetta o lo sventramento del Pincio per ospitare un megaparcheggio (opera quest’ultima poi bloccata dal sindaco Alemanno) – a Roma, le domande del condono 1994-2003 sono state più di 85.000, una quantità inverosimile, quasi la metà dell’abusivismo nazionale, mentre, a Napoli, sono state circa ottomila.

In secondo luogo, Demarco sostiene che i ragazzi del piano si sono strenuamente battuti perché non un mattone si eliminasse o si aggiungesse nel centro storico. Ma abbiamo ricordato sopra che la maggioranza delle domande di atti abilitativi approvate in vigenza della nuova disciplina urbanistica (consistentemente aumentati rispetto all’ancien régime) riguardano il centro storico. Proprio quel centro storico che durante tutti i decenni di vita del vecchio piano regolatore del 1972 era rimasto, allora sì, del tutto bloccato. Perché Demarco non si informa? Primo requisito del buon giornalista non dovrebbe essere la completezza e la qualità delle sue informazioni?

Ed eccoci al progetto Bagnoli che, secondo Demarco, non prende forma sempre per colpa dei ragazzi del piano. Ma egli sicuramente sa che – dopo l’approvazione del piano particolareggiato redatto dagli uffici comunali – l’operazione Bagnoli è gestita da una società ad hoc, caratterizzata soprattutto dalla lentezza esasperante con la quale opera. Da almeno un lustro il parco di Bagnoli doveva essere una realtà, si continua invece a tergiversare. Secondo me, la verità è che, in fondo, aldilà delle dichiarazioni rituali, quasi nessun esponente del Palazzo condivide davvero il progetto Bagnoli e si cerca l’occasione buona per rimetterlo in discussione. Ben due autorevoli soggetti, il Cresme e Rothschild-Acb Group, furono incaricati di verificare se le previsioni del vigente piano particolareggiato fossero davvero vantaggiose per l’interesse pubblico, anche dal punto di vista economico e finanziario, e i risultati furono nettamente positivi. Ciononostante, ogni occasione è buona per proporre incrementi di cubatura. Negli anni passati, la Coppa America parve fatta apposta per rimettere in discussione il progetto. Una caterva d’incompetenti, economisti da passeggio, giornalisti e architetti in lista d’attesa, continuarono a ripetere che 120 ettari di parco pubblico a Bagnoli erano un’esagerazione, che quello spazio doveva essere dato a chi sapeva farlo fruttare, che il portafoglio viene prima del verde pubblico, che il comune di Napoli non può sprecare le poche risorse di cui dispone per contentare i capricci di qualche anima bella. Già in altra occasione ho ricordato che a Ferrara, città di circa centocinquantamila abitanti, è prevista ed è in attuazione la cosiddetta “addizione verde” (in pendant all’“addizione erculea” di Ercole d’Este), un parco territoriale di 1.200 ettari, dieci volte più grande del previsto parco di Bagnoli. Il quale non è un lusso, è un’infrastruttura essenziale perché Napoli sia una città moderna. Non meno della metropolitana. Se Napoli non recupera posizioni nella graduatoria della vivibilità, dell’efficienza e della trasparenza, non esiste alcuna prospettiva di progresso economico e sociale.

Sia consentito infine chiedere a Demarco – e voglia scusarmi se continuo a utilizzarlo come interlocutore di comodo – se non ritiene che sia sbagliato, e anche pericoloso, sottovalutare l’indiscutibile trasparenza con la quale è gestito, a Napoli, un settore di fondamentale importanza come quello dell’urbanistica e dintorni. Non pensa Demarco che, in una città strozzata dalla camorra, dove vasti apparati della pubblica amministrazione sono inquinati da presenze malavitose o squalificati da amministratori disonesti, in una città nella quale, insomma, la questione morale si pone come determinante, il buon governo urbanistico, quasi anomalo nel panorama nazionale, non dovrebbe essere più puntualmente e favorevolmente segnalato ai lettori e all’opinione pubblica?

SALZANO - Vorrei concludere facendoti due domande, che mi si sono affacciate più volte nel corso delle tue riflessioni. La prima. Come mai l’urbanistica napoletana ha potuto svilupparsi così positivamente, il progetto di città che avevate configurato nel 1994 con il documento preliminare e la strategia allora delineata hanno potuto svilupparsi così compiutamente nonostante il degrado politico e amministrativo che vi circondava? Come mai quella strategia ha potuto superare indenne le fasi critiche che pure si sono manifestate nel passaggio dalla prima alla seconda giunta Bassolino? Devo dirti che a Venezia ho vissuto un’esperienza del tutto diversa. Lì avevamo ottenuto l’adozione di un piano per la città storica, faticosamente redatto con con Edgarda Feletti e Gigi Scano, che al mutar del clima culturale (la maggioranza politica era rimasta la stessa) è stato travolto dalla deregolamentazione. Lì ci ha certamente indeboliti il fatto che non c’erano i “ragazzi del piano”, cioè una struttura pubblica altamente qualificata, fortemente motivata, resa coesa dalle esperienze accumulate insieme. Ma anche la scarsa capacità di aggregare attorno al nostro progetto interessi sociali, necessità dei cittadini, speranze degli abitanti realmente consistenti. Il nostro collegamento con la società passava quasi esclusivamente attraverso i partiti (anzi, il partito), e una unità politica più larga che abbracciava quasi tutte le formazioni politiche presenti su alcuni grandi temi. Ecco allora la seconda domanda: a quali condizioni pensi tu che l’esperienza napoletana possa proseguire positivamente?

DE LUCIA - Non vi è dubbio che il sostanziale isolamento nel quale si sviluppa l’esperienza urbanistica napoletana determina condizioni di fragilità e, alla lunga, spinge su un binario morto, esponendo quell’esperienza a ogni rischio. Come successe nel 2003, al tempo del piano territoriale di coordinamento della provincia. Che avrebbe potuto e dovuto riprendere e rafforzare le linee del piano regolatore di Napoli, affrontando soprattutto le questioni non risolvibili in ambito comunale. Imboccò invece la strada del sacco edilizio, riannodando i fili della peggiore tradizione cementifera. Adottato con il consenso di tutti i partiti del centro sinistra, il piano provinciale prevedeva l’urbanizzazione di aree agricole della penisola sorrentina, del Vesuvio, dei Campi Flegrei, delle isole del golfo, in totale ben 25 mila ettari. Ma qui interessa soprattutto ricordare che anche quei brandelli di spazio miracolosamente scampati al massacro dentro il comune di Napoli – a Posillipo, allo Scudillo, nel vallone S. Rocco, nella piana del Sebeto, nella conca di Agnano, nella zona delle masserie di Chiaiano – e che il nuovo piano regolatore destina a parco regionale, sarebbero finiti sotto il cemento e l’asfalto. La catastrofe fu sventata grazie al tempestivo intervento di Italia nostra e Wwf e alla determinazione di Antonio di Gennaro che raccolse anche in un piccolo libro la cronaca della tentata strage, con splendide immagini dei beni a rischio .

in conclusione riprendo la questione dell’anomalia e del controsenso dell’esperienza napoletana rispetto a ogni altra situazione nazionale di scala equivalente. Ho ascoltato al Città territorio festival di Ferrara un memorabile intervento di Raffaele Cantone, il giudice bravo e coraggioso, profondo conoscitore della malavita dei nostri paesi. Secondo lui, la corruzione meridionale risiede in larga misura negli apparati pubblici, più ancora che nel personale politico. Quest’ultimo è soggetto a cambiamenti frequenti, anche repentini, mentre i funzionari sono gli stessi per lunghissimi periodi di tempo. Ed è lì, e specialmente negli uffici che si occupano di edilizia e di urbanistica, che si annidano le collusioni con la camorra, che si favorisce l’abusivismo, che si allestiscono devastazioni e scempi. nel comune di Napoli tutto ciò non succede, però – ed è questo l’aspetto inquietante – la buona amministrazione urbanistica napoletana non ha generato eredi. nessuno dei comuni circostanti ha seguito l’esempio del capoluogo, che resta isolato, anzi accerchiato dal vasto hinterland nel quale la pianificazione non viene praticata. Le responsabilità della politica regionale sono innegabili. La Campania e il Lazio sono le uniche regioni in cui decine di comuni non si sono mai dotati di un piano regolatore e dove i piani vigenti sono in prevalenza vecchissimi e snaturati dalle varian- ti e dalla malaurbanistica. Sono due facce della stessa medaglia. il disastro della Campania (e dell’intero Mezzogiorno) è figlio della stessa cultura politica che non valorizza, o addirittura ignora l’esperienza urbanistica napoletana, mal sopportata da molti amministratori e accusata dalla stampa, come abbiamo visto, di inaudite responsabilità. Come se ne volesse la omologazione allo standard medio circostante.

Infine mi hai chiesto a quali condizioni penso che l’esperienza napoletana possa proseguire positivamente. Mi sembra che l’intera nostra conversazione abbia posto in luce il progressivo affievolimento dell’azione politica riguardo all’urbanistica di Napoli. Questa è ormai quasi tollerata e forse subita, comunque è affidata alla sola iniziativa del gruppo dirigente tecnico. Se non si torna a una stagione di autentica ripresa del protagonismo politico nel governo della città, e più in generale nella politica sociale ed economica, l’esperienza napoletana è destinata certamente a estinguersi. Ma forse, grazie agli sconvolgimenti provocati dall’attuale crisi dell’economia planetaria, tutto torna in gioco, e anche l’urbanistica di Napoli potrebbe avere un migliore destino.

Questo dialogo tra De Lucia e Salzano ha avuto luogo nell’ottobre del 2008, e quindi non tiene conto di sviluppi successivi molto rilevanti per le questioni trattate, in particolare non era stata ancora approvata dalla regione Campania la legge regionale che espone anche la città di Napoli al rischio di una nuova manomissione.

L’urbanistica non è solo volumetria, e la ricchezza di un paese non si misura dal numero di metri cubi realizzati sul suo territorio. Ci ha provato in mille modi avantieri sera l’architetto incaricato Sandro Roggio a fare capire e accettare questo concetto durante l’illustrazione del documento di indirizzo del nuovo Puc di Orosei.

Una impresa ardua quando davanti hai una folta platea composta da piccoli e medi imprenditori edili giunti nella sala consiliare solo per sapere quando, e soprattutto quanto e dove, potranno riprendere a costruire. Compito oltremodo difficile perchè ad imporre leggi e regole non sono più le amministrazioni comunali ma la comunità europea, lo Stato e la Regione con le normative sulla tutela dei patrimoni paesaggisti ed ambientali, con il codice Urbani e con il nuovo Piano Paesaggistico Regionale.

Uno sforzo improbo poi quando un consiglio comunale vive di continue e trasversali fibrillazioni che si manifestano astiose e conflittuali ad ogni intervento e ad ogni votazione. Così alla fine di una seduta fiume durata circa quattro ore il sindaco Gino Derosas, con il conforto unanime (ma non convinto) di tutta l’assemblea, ha deciso di non portare in votazione la relazione di indirizzo. Se ne riparlerà a gennaio, dopo le feste, e dopo che le molte perplessità e le osservazioni esposte dalla minoranza e da alcuni cittadini verranno, per quanto possibile, inserite nel documento di indirizzo urbanistico.

Questo hanno promesso sia il sindaco che lo stesso Roggio che alla fine comunque non ha nascosto un pizzico di delusione «per non essermi, forse, fatto capire abbastanza». Ma lui di”colpe” ne ha ben poche: la sua relazione non conteneva, e non poteva essere altrimenti, né numeri né volumi perchè quel documento voleva e doveva solo tracciare le linee guida lungo le quali andrà poi disegnato il futuro socio-economico ed edilizio del centro costiero baroniese. Un progetto che tradotto in soldoni per Orosei vuol dire la fine di un ciclo edificatorio che negli ultimi venti anni ha distribuito prosperità e ricchezza ma che ormai è da considerarsi esaurito. Niente più case in agro, niente più”cattedrali turistiche nel deserto” e le nuove zone di espansione edilizia dovranno essere misurate e calibrate sulle reali necessità abitative e su certificate prospettive di incremento demografico.

Da qui la necessità di trovare nuove fonti di ricchezza e nuovi sbocchi all’edilizia. «Che ci sono e non sono pochi, - ha detto Sandro Roggio nella sua appassionata arringa finale - bisogna avere però nuove visoni e capire che l’unico vero patrimonio rinnovabile di Orosei sono i suoi meravigliosi e variegati paesaggi». Ovvero pianura, montagna, fiume, campagna, aree umide di inestimabile valore naturalistico, spiagge e scogliere splendide e un centro storico ricco di significativi monumenti. «Un simile contesto se utilizzato con saggezza non può che produrre ricchezza in continuità - ha rimarcato Sandro Roggio - Ma occorre mantenerli integri, e salvaguardarli da mire speculative che non apportano ricchezza alla comunità ma al contrario la impoveriscono».

Non un piano punitivo dunque, ma un progetto che mira a riequilibrare il patrimonio edile esistente e a crearne del nuovo di qualità. «Questo è un piano che non vuole male all’edilizia - ha sottolineato l’architetto - e non è vero neanche che nelle campagne non si potrà più far niente: certo, l’era del vano attrezzi che diventa villetta è finita, ma ad esserne avvantaggiati saranno quei progetti di valorizzazione rurale che passano per agriturismi e/o aziende agroalimentari all’avanguardia. Per portare a casa un buon risultato è necessaria la collaborazione di tutte le componenti politiche sociali ed economiche del paese. Non c’è bisogno di giocare con carte truccate, basta usare quelle che Orosei ha in mano e che, ripeto, non sono ne poche ne scarse».

Il numero chiuso con relativo ticket a Bidderosa fa scuola, tanto che Orosei estende la formula anti-assalto ad altre spiagge da tutelare. Da alcuni anni nei 500 ettari dell'oasi naturalistica (cinque cale incastonate nel bosco), Comune e Ente foreste collaborano per tutelare l'ambiente e garantire un minimo di servizi ai visitatori. Un modello vincente, come dimostra la risonanza internazionale rimbalzata anche sul New York Times, messo a punto nel tempo e affinato nel dialogo tra istituzioni, fino all'ultimo accordo tra l'organismo regionale e gli amministratori locali che ha sancito l'affidamento della gestione degli accessi al Comune di Orosei, attraverso la Pro loco. Ogni giorno possono entrare nell'oasi fino a un massimo di 130 autovetture per un costo di dieci euro (12 dal 21 luglio al 20 agosto), cinque euro per le moto e due per le biciclette. Biglietti che i visitatori pagano senza protestare anche perché hanno a disposizione alcuni servizi (tavoli da pic-nic, bagni, bidoni per la spazzatura) e, soprattutto, sanno che in base alla convenzione con il Comune, l'Ente foreste reinveste il 30 per cento delle somme incassate in progetti di miglioramento. Il modello di sviluppo turistico ecosostenibile nell'oasi di Orosei ha già dato i suoi frutti e gli amministratori del centro baroniese, hanno deciso di estenderlo alle pinete e alle spiagge di Sa Curcurica e di Su Barone, due zone da sempre al centro dell'assalto incontrollato dei bagnanti da salvaguardare urgentemente perché dichiarate siti di interesse comunitario e inserite nella rete europea “Natura 2000”. Un provvedimento «a carattere provvisorio e sperimentale» entrato in vigore tra non poche polemiche soprattutto tra i residenti e chi ritiene che si tratti solo di un modo di far cassa. Accusa respinta dagli amministratori che, proprio nel nome della tutela, hanno previsto un tetto massimo: 250 auto e 125 moto a Sa Curcurica, 850 auto 400 moto negli oltre cinque chilometri della pineta che costeggia il mare a Su Barone (regno del campeggio abusivo), Su Petrosu e Avalè. Non pagano pedoni e ciclisti, mentre, con cifre dimezzate per i residenti, gli automobilisti forestieri dovranno versare quattro euro e i centauri due. Oltre a calmierare gli accessi, si punta molto anche sulla regolamentazione dei parcheggi. Le areesosta,infatti, scongiureranno i parcheggi selvaggi in pineta, a ridosso delle spiagge e, addirittura, nelle dune, con benefici diretti sulla prevenzione degli incendi e l'accesso dei mezzi di soccorso. «Non a caso le chiamiamo misure di salvaguardia ambientale, ma nei limiti del possibile cercheremo di offrire qualche servizio», spiega il sindaco di Orosei Gino Derosas, soddisfatto per i primi risultati «anche se ogni novità deve essere metabolizzata». I nuovi barbari, camper compresi, rischiano però di spostarsi impunemente a Siniscola dove, salvo che a Berchida (confinante con Bidderosa), anche questa estate non ci saranno regole e ticket. Soprattutto nelle dune di Capo Comino già negli anni scorsi non sono mancate le segnalazioni di mezzi in transito e sosta nelle dune aggravate anche da episodi di campeggio abusivo. Il rischio di un notevole aumento delle presenze dai centri vicini non sfugge al sindaco Lorenzo Pau: «Siamo intenzionati recuperare il tempo perduto - dice il primo cittadino di Siniscola - credo però si debba procedere tutti insieme accelerando sul piano di utilizzo dei litorali, come vuole la Regione, detti regole omogenee a Orosei, Siniscola e Posada». Una svolta invocata anche da Orosei dove, aspettando gli altri Comuni, è stata avviata una sperimentazione destinata forse a diventare un altro modello-Bidderosa. «L'anno prossimo», conclude Derosas lanciando un preciso segnale politico, «il piano di gestione intercomunale deve essere pronto e con largo anticipo sulla stagione turistica per consentirci di offrire tutti i servizi necessari».

Il Centrodestra ha raggiunto il numero di firme sufficienti per avviare il referendum ( forse due) contro il regime di protezione del paesaggio costiero realizzato dal governo Soru in questi anni (per questo il Piano paesaggistico sardo è gratificato da riconoscimenti di organismi europei e internazionali.

Succede in Sardegna che ci siano forze politiche berlusconizzate, che non si curano di questo, e si mobilitano per fare più volumi ( “lotte dure per altre cubature” – ha scritto eddyburg di recente). Succede che le forse politiche del Centrosinistra non siano tutte fermamente decise a consolidare il progetto di tutela.

Ma anche, e per fortuna, capita che ci siano comuni che tengono duro per conservarli intatti i paesaggi unici che hanno in consegna, e in questo caso è bene sottolinearla la straordinarietà.

Si tratta del compendio Curcurica-Biderrosa in Comune di Orosei, provincia di Nuoro, nella costa orientale, a sud della Gallura (del Billionaire e di villa Certosa, direbbero sbrigativamente a Rete4). Un luogo che ho visitato in condizione di assoluto privilegio, con tanto di guida esperta, dato che collaboro con l’ amministrazione per mettere a punto il Piano urbanistico ( mi sono sentito corrispondente, su un altro registro, a quei fortunati conservatori- restauratori che possono toccare le pareti e le tele dipinte dai grandi maestri del Rinascimento).

E’ un ambiente privo di case – innanzitutto; e questa è di per sé una condizione di privilegio che la Sardegna; caratterizzato dalla presenza di stagni a ridosso del mare, che devono la loro origine al divagare lento dei rispettivi corsi d’acqua, in prossimità della foce, approfittando della speciale depressione di retrospiaggia. Il fenomeno è legato a particolari condizioni che per come le descrivono gli studiosi (i bassi valori di portata dei torrenti ed le modeste dimensioni dei bacini imbriferi) potrebbero apparire sfavorevoli condizioni. Luoghi nel passato stramaledetti, perché da qui venivano le malattie prima del Ddt americano, dato in quantità enormi pure da queste parti.

Questo luogo è rimasto fuori dai riti della balneazione: non ci sono case, nè rotonde sul mare e c’è silenzio ( anche il silenzio è una bella differenza).L’unico artificio a monte è per mano di caprai di un altro tempo, un ovile che avrà all’incirca trecento anni. E allora si capisce perché i miei amici del posto siano preoccupati che i pochi ombrelloni sulla spiaggia possano diventare molti di più.

La linea di difesa intransigente di quel paesaggio, che è pure un Sito di interesse comunitario, dove si vedono i fenicotteri e gli aironi rossi al tempo giusto, si è ormai consolidata; e su questo la classe politica locale conviene nella sostanza, tanto che non ha mai ceduto alle richieste, pure recenti, di “mettere a frutto” queste splendide risorse di proprietà comunale (!) in cura alll’Ente foreste della Regione.

Chi vuole avere un’idea di com’era la Sardegna prima di “Sapore di sale” deve vedere luoghi come questi: può fare una visita da queste parti, avendo cura di prenotare nella stagione estiva, perché l’accesso è consentito a non più di centoventi automobili e venti moto e non si fanno eccezioni. Biderrosa spiega la Sardegna che non compare sui giornali: perché non ci sono vip in giro e ricche ville di cattivo gusto. E sarà facile per chi vorrà venire da queste parti, capire perché il referendum – che mira a omologare luoghi come questo agli standard dei villaggivacanze – deve essere contrastato.

Si deve fare capire, ne devono essere consapevoli le forze di sinistra, che una controriforma, a partire dalla Sardegna, potrebbe nei prossimi anni mettere a rischio ambienti come questi. L’attacco ai programmi di tutela del paesaggio costiero sardo non è nell’interesse delle comunità locali, come qualcuno potrebbe credere, ma a sostegno di interessi di pochi a trasformare in merce luoghi preziosi, specialmente per le generazioni future. La rendita è il motore vero dell’attacco ai beni comuni.

La spiaggia di Biderrosa,nell'immagine, è una foto di Francesco Luche, ed è tratta dal sito del comune di Orosei

ASSETTO DEL TERRITORIO

Governo del territorio e urbanistica

Problemi e ritardi

Il sistema dell’urbanistica regionale è caratterizzato da una forte resistenza al cambiamento, legata soprattutto a una posizione tecnico-politica centralistica e a una visione tutta procedurale e burocratica del governo del territorio. Ne consegue che la percezione dominante dell’urbanistica nella società pugliese sia associata non certo alla prospettiva di nuovi futuri desiderabili, ma a un coacervo spesso contraddittorio di procedure e atti amministrativi di esasperante lentezza, che ai più sembra artificiosamente frapporsi a istanze e programmi di sviluppo. La mancanza di qualsiasi efficace quadro di assetto generale ad ampia scala appare espressione evidente della difficoltà di costruire scenari coerenti e condivisi di tutela e sviluppo del territorio regionale, che consentano di delineare strategie di qualificazione delle risorse sociali ed ambientali e di superare la dominante interpretazione regolativa e vincolistica delle funzioni di governo del territorio.

In assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale e provinciale, tutto il sistema di governo del territorio permane incentrato su una scala comunale di pianificazione fatta di piani surdimensionati e sempre più spesso snaturati da centinaia di accordi in variante, i quali assecondano le iniziative imprenditoriali ritenendo valida ogni sorta di contropartita, in assenza di quadri di riferimento ambientali, economici e sociali, rispetto ai quali valutarne vantaggi e svantaggi collettivi e di regole di equità e trasparenza sulle quali basare le negoziazioni pubblicoprivato.

Le province che hanno avviato esperienze di pianificazione territoriale non hanno avuto alcun sostegno dalla regione, che, anzi, anche nei più recenti provvedimenti legislativi ha confermato il proprio accentuato centralismo. Mancano anche esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette e dei bacini idrografici, mentre i piani nel campo dell’assetto idrogeologico, dello smaltimento dei rifiuti o delle attività estrattive, sono stati costruiti senza disporre di quadri conoscitivi robusti e di alcun riferimento a opzioni complessive di sviluppo del territorio. Il risultato consiste nella frammentarietà e incoerenza dell’azione regionale, in un esercizio del potere che, per i suoi caratteri di marcata discrezionalità e dipendenza da contingenze specifiche, non offre sufficienti certezze ad attori istituzionali e operatori sociali ed economici.

Questi problemi caratterizzano anche la pianificazione paesistica in atto. Il Putt/paesaggio, infatti, lungi dal proporsi quale strumento di governo del territorio orientato a valorizzare le cospicue risorse ambientali e culturali della regione, intendendole quali potenziali fonti di sviluppo e rigenerazione degli ambienti insediativi regionali, anche in ragione di un’inadeguata base informativa, ha finito per rinviare alla fase attuativa, ossia alla pianificazione comunale e ai singoli progetti di trasformazione, la gran parte delle scelte in merito alle trasformazioni desiderabili e possibili. Il parere paesaggistico e l’attestazione di compatibilità paesaggistica, strumenti previsti dal Putt/p per la trasformazione dei territori di maggiore pregio, rischiano di diventare niente più che ulteriori passaggi burocratici nella catena esasperante dei controlli esercitati dalla regione nei confronti degli enti locali.

Linee guida dell’azione regionale

In relazione ai problemi sin qui accennati l’azione del governo regionale deve orientarsi rapidamente verso:

-il superamento dell’attuale fase di incertezza e confusione normativa, legata anche alla contemporanea vigenza di due leggi regionali in materia di governo del territorio, la 56/1980 e la 20/2001;

-la rottura del modello gerarchico e centralistico che ha dominato, sin dall’inizio, il governo regionale del territorio in Puglia;

-il rinnovamento delle forme di tutela del paesaggio secondo le indicazioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio;

- la messa in atto di più agili, efficaci e trasparenti procedure di approvazione o verifica di conformità dei piani, e ogni altra forma di autorizzazione in merito alle trasformazioni d’uso del suolo, da un lato, operando uno sforzo straordinario di recupero dei ritardi accumulati, anche definendo ‘corsie accelerate’ per specifici temi di rilevanza strategica, dall’altro, agendo sul duplice fronte della semplificazione procedurale e del decentramento di funzioni;

- il superamento della prassi estemporanea, e spesso sregolata, di trasformazioni in variante ai piani, testimoniata dalle centinaia di accordi di programma giacenti presso l’Assessorato all’Assetto del Territorio in attesa di esame;

-la costruzione di rapporti sinergici fra il sistema di governo del territorio e le iniziative di tutela ambientale e programmazione dello sviluppo;

- il sostegno all’innovazione delle pratiche di pianificazione locale, perché questa, riconosciuto l’esaurimento della spinta all'espansione urbana, si orienti decisamente verso obiettivi di miglioramento della qualità dell’ambiente e della vita dei cittadini, di bonifica di aree inquinate, di riqualificazione di aree degradate e recupero dei tessuti urbani consolidati.

Condizioni e modi di realizzazione

Per realizzare tale disegno programmatico occorre dare attuazione coerente sia agli obiettivi perseguiti dalla nuova legge urbanistica regionale n. 20/2001 “Norme generali di governo e uso del territorio”, consistenti nello sviluppo sostenibile, nella tutela dei valori ambientali, storici e culturali e nella riqualificazione territoriale sia ai principi sanciti dalla stessa legge: “sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione; efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti; trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione; perequazione”.

Non è facile in tempi brevi indirizzare il sistema di pianificazione regionale verso tali obiettivi e principi: occorre rimuovere routine burocratiche radicate e costruire una nuova cultura del governo del territorio. Innanzi tutto, sostituire alla logica del controllo quella della pianificazione, alla prassi degli accordi “caso per caso” quella della concertazione istituzionale per il perseguimento di obiettivi strategici, alla cultura dell’espansione e del consumo del suolo quella della salvaguardia e della riqualificazione del territorio. L’innovazione di principi e strumenti introdotta dalla legge non può essere sufficiente a tale fine. Peraltro, la legge presenta problemi interpretativi sostanziali e procedurali. Al documento regionale di assetto generale (DRAG) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. Ma l’attuale versione del DRAG, costruita senza la necessaria partecipazione e condivisione pubblica, ripropone un modello consolidato di governo del territorio la cui inefficacia è ben chiara ai più. Occorre quindi reimpostare il DRAG, perché questo diventi quadro condiviso delle grandi opzioni strategiche regionali, e quindi riferimento innanzitutto per l’azione della regione nei diversi settori, perché valorizzi l’esperienza delle province nel campo della pianificazione di area vasta, e perché sia in grado di fornire risposte alle difficoltà comunali di governo del territorio a scala locale.

Più in particolare, così come da tempo è accaduto in pressoché tutte le regioni italiane, bisogna rafforzare il ruolo delle province nella pianificazione territoriale, consentendo ad esse di svolgere efficacemente i compiti assegnati dalla legislazione nazionale e regionale, e valorizzando il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) anche attraverso l'assimilazione e lo sviluppo dei contenuti della pianificazione paesaggistica. Analogamente, occorre sostenere i comuni nella faticosa attività di rinnovamento della pianificazione comunale, interpretando il principio della co-pianificazione come rapporto collaborativo che dovrebbe legare regione ed enti locali durante l’intero percorso di costruzione/approvazione del piano, e non solo, come sancito dalla legge regionale 20/2001, la fase terminale del processo in caso di deliberazione dell’incompatibilità del PUG con il DRAG o il PTCP. Questo è un punto critico di importanza primaria. Infatti, appare difficile immaginare di poter fondare la nuova pianificazione su una partecipazione convinta, responsabile ed efficace dei diversi soggetti alla costruzione delle scelte, piuttosto che, come avveniva in passato, su una distinzione gerarchica delle competenze, se il metodo della copianificazione per il livello comunale si adotta solo in caso di difformità rispetto ai piani ‘sovraordinati’.

Una maggiore flessibilità del piano comunale e autonomia decisionale degli enti locali, sollecitata da tempo e con forza da questi ultimi, dovrebbero essere accompagnate dall’introduzione di criteri di qualità e di rischio per la valutazione preventiva di compatibilità ambientale delle trasformazioni, in linea con quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001 sulla Valutazione Ambientale Strategica. In assenza di quadri valutativi, le intese istituzionali che la legge 20/2001 introduce nelle procedure di pianificazione ordinaria (accordo di programma e conferenza dei servizi) rischiano di svilupparsi sulla base di criteri contingenti e di condurre, nei casi migliori sinora alquanto rari, a qualche miglioramento di efficienza del processo decisionale.

Infine, appare essenziale e indifferibile la costruzione di un sistema informativo territoriale, da concepire come quadro integrato di conoscenze a sostegno del “nuovo” sistema di pianificazione regionale. La moltiplicazione di portatori d’interessi e il crescente protagonismo di una società civile che rivendica un ruolo attivo nei processi decisionali, assieme all’articolazione dei livelli decisionali e alla frammentazione di iniziative e istanze di trasformazione del territorio, richiedono, infatti, una ricomposizione dei quadri di conoscenza che, pur non annullando le differenze di visioni e approcci fra diversi settori e livelli di intervento, consenta di disporre di sfondi comuni sui quali imperniare la nuova pianificazione regionale.

LE POLITICHE ABITATIVE

Un campo trascurato e dominato dalle logiche dell’emergenza

Il campo delle politiche abitative è stato trascurato dai recenti governi regionali, nell’ambito di un progressivo disinteresse dello stato nei confronti di vecchie e nuove forme di disagio sociale. Questo è accaduto nonostante l’ampiezza della domanda abitativa inevasa, il crescente fabbisogno di alloggi in locazione a canoni compatibili con situazioni economiche delle famiglie sempre più difficili, l’acuirsi di un disagio abitativo che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, l’ampliarsi delle aree di esclusione sociale e povertà.

In questo campo occorre passare dal dominio dell’emergenza che ha caratterizzato nel passato l’azione regionale a politiche ordinarie basate su capacità di analisi e programmazione, anche al fine di un migliore uso delle poche risorse disponibili e della riduzione di ampie sacche di iniquità.

La logica dell’emergenza e della straordinarietà non da buoni frutti. Si consideri, in particolare, la drammatica situazione degli IACP provinciali, tutti affidati alla guida di commissari straordinari, caratterizzati da situazioni economiche opache e talvolta perfino in dissesto, assillati da problemi di abusivismo, morosità, interventi d’urgenza. A tali problemi sono state date soluzioni non solo inadeguate ma anche confuse e inique, generando ulteriori problemi e iniquità. Basti pensare alla sanatoria prevista dall’art. 60 della l.r. n. 1/2005 o ai modi casuali e mirati solo a incassare danaro mediante cui si è proceduto all’alienazione del patrimonio pubblico. Occorre radicalmente invertire questo modello di gestione.

È necessario, inoltre, muovere dalla tradizionale concezione settoriale dell’edilizia residenziale pubblica, quale area d’intervento preposta alla realizzazione di nuovi alloggi destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo di fasce sociali incapaci di accedere al libero mercato, verso la costruzione di politiche abitative atte ad affrontare una gamma di bisogni e problemi persistenti ed emergenti: da quelli che richiedono tempestive misure di sostegno alle famiglie, a quelli che necessitano di politiche urbane integrate, capaci di agire simultaneamente sulle dimensioni fisiche, sociali ed economiche del disagio abitativo.

Verso condizioni ‘normali’ di conoscenza e azione

Per superare i problemi su accennati, appare indispensabile l’istituzione un Osservatorio sulle politiche abitative che consenta di comprendere con tempestività e accuratezza le evoluzioni di una domanda dinamica e in continua trasformazione e le ragioni di un’offerta statica e incapace di intercettare l’articolazione dei bisogni emergenti. Questo deve essere inteso come sede di confronto fra conoscenze esperte e saperi degli abitanti, coordinandosi con gli osservatori già operanti in altre regioni e con l’Osservatorio istituito presso il Ministero dei Lavori Pubblici.

Per risolvere i problemi su accennati, è necessario varare rapidamente norme di riordino delle funzioni amministrative nel campo delle politiche abitative e di trasformazione degli enti regionali operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica. Nell’ambito di tali norme un ruolo molto rilevante dovrà essere assegnato agli enti locali, in linea con la politica di decentramento delle funzioni perseguita anche in altri campi dal governo regionale, mentre gli enti dovranno essere trasformati in aziende con bilanci in attivo, senza costi per la Regione, capaci di una gestione sana, trasparente e accorta del ricco patrimonio immobiliare del quale dispongono, costituito da circa 57.000 unità fra alloggi e locali. A tal fine occorre affidarsi a strutture dirigenziali di elevata professionalità e integrità. Nel frattempo, bisogna revisionare e aggiornare la normativa per l’assegnazione degli alloggi ERP e la determinazione dei relativi canoni di locazione. Quanto al finanziamento delle politiche abitative, i problemi riguardano il carattere discontinuo e residuale dei flussi finanziari destinati al settore. Dalla legge n. 865/1971 in poi, i finanziamenti sono stati assicurati principalmente dallo Stato, mediante i fondi Gescal. Tale regime, però, è cessato nel 1998. Da allora alle regioni non sono stati più assegnati fondi. In passato la Regione Puglia ha finanziato l’ERP con fondi propri di bilancio, ma incanalandoli esclusivamente verso l’edilizia agevolata e quindi mai verso gli I.A.C.P. Da anni al settore non sono più destinati finanziamenti statali. Nell’attesa che lo Stato assegni alle Regioni almeno la spesa storica, come da queste è stato richiesto in varie sedi, sembra possibile fare da sé. Sono state identificate, e a breve verranno quantificate con precisione, economie di programmi precedenti, non più necessarie ai programmi in corso, e residui che hanno raggiunto entità tale da consentire la predisposizione di un nuovo piano casa. Parallelamente, si dovrà operare per rendere la spesa più efficace, incanalandola verso le aree di reale disagio. A tal fine si ritiene necessario operare in diverse direzioni, di seguito brevemente illustrate.

Sostegno alle famiglie mediante:

a) Intervento del bilancio regionale verso l' integrazione del fondo sociale per il contributo all’affitto e l' incentivazione dell'offerta di abitazioni in affitto per rispondere alla nuova domanda di giovani, anziani, di nuova mobilità per lavoro ecc. In proposito si evidenzia che di fronte a una domanda crescente anche in termini finanziari, i trasferimenti statali (legge n. 431/98) si sono progressivamente assottigliati. In Puglia, i contributi alle famiglie per abbattere il canone di locazione per l’anno 2004 ammontano a 20 milioni di Euro di fondi statali, cui si aggiungono fondi regionali per 15 milioni di euro.

b) Istituzione di un apposito fondo sociale regionale per i casi di morosità incolpevole, accompagnato da misure che agevolino la comunicazione fra inquilini e istituti, coinvolgendo a tal fine sindacati, associazioni, comitati di quartiere e simili organizzazioni.

c) Concessione di contributi in conto capitale erogati direttamente alle famiglie per l’ acquisto della prima casa.

D) Concessione di contributi in conto capitale a imprese e cooperative, prioritariamente per il recupero di alloggi da vendere o assegnare a famiglie prive della prima casa e aventi specifici requisiti. Tali contributi dovranno essere integrati con il risparmio familiare e con mutui bancari, i i cui tassi di interesse sono ormai sufficientemente bassi da risultare convenienti. Per tale motivo non si ritiene opportuno che la Regione, come è avvenuto in passato, conceda contributi sugli interessi, peraltro dispendiosi dal punto di vista procedurale e richiedenti impegni finanziari per almeno quindici anni.

Recupero di immobili I.A.C.P.

Occorre ripristinare condizioni di vivibilità in un patrimonio edilizio caratterizzato da estesissime aree di obsolescenza e degrado e porre le basi per l’avvio una politica di manutenzione programmata da parte degli enti. Quest’ultima consiste in attività di manutenzione ordinaria finalizzata a conservare il valore e i livelli di funzionalità dell'immobile, migliorando il rapporto tra risorse impegnate e soddisfacimento degli abitanti. L’azione regionale deve sostenere il passaggio dall’attuale situazione di interventi manutentivi dettati da motivi di urgenza (riparazione di guasti) a programmi di manutenzione basati sull'analisi dei cicli di obsolescenza delle diverse componenti. Parallelamente, dovrà sostenere programmi sperimentali che esprimano un deciso orientamento verso la sostenibilità urbana attraverso progetti capaci di coniugare ricerca su tecnologie pulite e compatibili con l’ambiente, creazione di nuove professionalità, crescita dell’occupazione, ed sviluppo di pratiche di recupero e riqualificazione urbana.

Azioni integrate e partecipate di riqualificazione dei quartieri.

La Regione, quale ente di programmazione e promozione, non può limitarsi a ripartire e assegnare i fondi, ma deve orientare la propria e l’altrui azione verso interventi che incidano allo stesso tempo sul degrado edilizio, sul disagio sociale e sulle tendenze di trasformazione urbana, evitando l’espulsione delle fasce sociali deboli dalle città centrali e la diffusione insediativa, lo spreco di suolo, lo svuotamento delle parti storiche della città, la formazione di ghetti urbani desolanti, l’inquinamento da mobilità veicolare. Essa, inoltre, può indurre altri soggetti pubblici e privati a concorrere con fondi propri alla soluzione dei problemi abitativi e a sperimentare tecnologie eco-compatibili. A tal fine può promuovere interventi da realizzarsi mediante i cosiddetti “programmi complessi”, ossia interventi integrati miranti ad agire simultaneamente sul degrado fisico e sul disagio sociale, da attuarsi nelle zone degradate delle città, siano esse aree in P.d.Z. 167 o parti della città storica, mediante il coinvolgimento diretto degli abitanti e contenuti e procedure coerenti con le peculiarità dei problemi di grandi città e piccoli centri della regione. In tal modo i programmi integrati non sarebbero più interventi "di nicchia", legati a finanziamenti straordinari esterni, ma diverrebbero parte di politiche urbane volte alla soluzione degli intricati problemi fisici, sociali ed economici dei quartieri in crisi. Anche in quest’ambito, pertanto, l’obiettivo dello sviluppo dell'edilizia in locazione deve essere considerato cruciale.

L’ampia risposta dei comuni pugliesi al recente bando dei Contratti di Quartiere II, istituiti con legge statale 21/2001, art. 4, quali “programmi innovativi in ambito urbano”, segnala il grande interesse verso simili strumenti di politica urbana. Tuttavia, l’enfasi eccessiva posta dal bando regionale sull’ammontare di risorse finanziarie attivate dai privati mediante interventi edilizie, a scapito di altri elementi compresi negli indirizzi statali, quali la partecipazione degli abitanti alla definizione degli obiettivi del programma o il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati per incrementare l’occupazione, favorire l’integrazione sociale e fornire servizi, rischiano di tramutare i Contratti in “occasioni” offerte dal pubblico per realizzare iniziative immobiliari in variante ai piani.

Risorse umane e struttura organizzativa

La realizzazione degli obiettivi programmatici sin qui succintamente esposti rende necessari e urgenti interventi di potenziamento della struttura e revisione dell’attuale modello organizzativo, da affidarsi sia alla riqualificazione delle professionalità esistenti sia all’inserimento di nuove figure professionali. Un simile impegno deve essere finalizzato soprattutto a re-orientare l’azione della struttura verso i compiti di pianificazione e indirizzo strategico propri del governo regionale. Vi è da aggiungere che esso richiede un radicale mutamento del metodo di lavoro nella direzione dell’intersettorialità e dell’interscalarità, ossia della ricerca di coerenza e sinergie fra risorse e politiche di settore e fra le azioni dei diversi livelli istituzionali (regione, province e comuni, nell’ambito delle programmazioni europee e nazionali). Un particolare sforzo di riqualificazione e innovazione professionale è necessario anche a questo scopo.

http://www.regione.puglia.it/quiregione/web/files/territorio/documento_programmatico.pdf).

Fermare l’avanzata di Villettopoli, valorizzando il territorio rurale. Con questo ambizioso obiettivo è stato firmato ieri un accordo di programma fra i Comuni di Giussago, Certosa, Rognano e Zeccone. Parte del progetto, che ha come finalità proprio lo sviluppo dell’ambito territoriale dei paesi del parco Visconteo, sarà finanziato dalla Navigli Lombardi. Lo studio di fattibilità sarà affidato all’Università di Pavia. La firma dell’accordo è avvenuta simbolicamente nel parco comunale di Giussago, 33mila metri quadrati strapparti all’urbanizzazione per volere dell’attuale giunta.

Gli onori di casa, infatti, li ha fatti il sindaco Ivan Chiodini: “Si tratta di un passo avanti per lo sviluppo del nostro territorio che non può essere pensato unilateralmente. Soprattutto nella fascia dei Navigli. Per salvare la nostra zona serve una programmazione comune”. E proprio dal tavolo ieri è uscito un accordo che segna una svolta, almeno nel modo di pensare e amministrare il Nord Pavese.

Al centro non c’è solo la salvaguardia del patrimonio culturale ed artistico di quest’area, ma anche lo sfruttamento del “suo grande giacimento di conoscenza, saperi e ricerca per il quale è maturo il tempo di trovare percorsi di applicabilità a supporto di nuove iniziative imprenditoriali” recita la parte centrale del documento. Tre i punti fondamentali su cui poggia il patto dei 4 sindaci (olte a Chiodini, Bruno Garlaschelli di Certosa, Silvio Penati di Rognano, e Terenzio Grossi di Zeccone). Il primo prevede appunto l’apertura di un confronto fra gli amministratori per uno scambio sulle politiche di sviluppo sostenibile. Il secondo la redazione di uno studio d’area che fornisca una fotografia dei punti di forza e debolezza del territorio. Il terzo, infine, la stesura di un piano per la costituzione di una società o fondazione a capitale pubblico o misto che abbia funzioni di Agenzia di sviluppo. A suggellare, con il suo contributo concreto in 12 mila euro (tanto per iniziare) era presente il direttore della Navigli Lombardi Emanuele Errico. Che ha sottolineato l’opportunità di accordi di questo tipo e si è detto “piacevolmente sorpreso” per l’intraprendenza dei sindaci.

I quali, a loro volta, hanno tutti sottolineato la svolta storica nella forma dell’accordo. Isomma loro ci provano a invertire la tendenza di Villettopoli. Anche se, beninteso, non sarà facile. Spiccava, ad esempio, l’assenza di Borgarello. Comune anch’esso all’interno dell’area individuata. Il cui sogno, come è noto, è il centro commerciale. “Il nostro tavolo non vuole escludere nessuno e tutti possono partecipare” ha diplomaticamente sottolineato Chiodini. Il quale non si è voluto nascondere dietro un dito di fronte all’evidente propensione delle amministrazioni di puntare quasi esclusivamente a una politica edilizia.

Non solo in passato, ma anche in futuro, visto il proliferare delle nuove costruzioni. “Questo – ha detto il sindaco di Giussago – è il frutto di una programmazione vecchia appunto di 10-15 anni che si sta esaurendo con i vecchi Prg. In alcuni casi poi, i tempi di attuazione si sono ravvicinati, dando l’impressione di un’aggressione selvaggia al territorio. In ogni caso è proprio adesso il momento di invertire la tendenza”.

Il Comune capofila sarà Giussago che già da tempo, e non solo nelle intenzioni, ha avviato un programma amministrativo improntato al rispetto dell’ambiente e del territorio.

Nota: i problemi di quest’area erano già stati in parte accennati su Eddyburg anni fa, proprio per il “caso” nazionale del Centro Commerciale di Borgarello con un articolo che ora è diventato con poche modifiche il capitolo introduttivo di Nuovi Territori del Commercio (f.b.)

Le ville in costa Smeralda sono tra le più care al mondo. Lo certifica l’agenzia inglese Knight Frank che si occupa dell’andamento del mercato immobiliare destinato ai ricchi, e che ha redatto il documento “Wealth Report 2007”.

Lo sapevamo dalle informazioni che ogni estate ci danno i giornali su vendite di case a prezzi inimmaginabili e che non si spiegano. Il costo di costruzione di queste case lussuose non è diverso da quello che si può riscontrare in altri luoghi del Paese. Anche a immaginare l’impiego di materiali preziosissimi (escludendo ragionevolmente i metalli nobili ) il costo di un metro quadro finito di un fabbricato si può aggirare, esagerando un po’, sui 2000-2500 euro.

Il resto del valore – per arrivare a 24mila euro a mq – è dato certamente dalla incantata condizione del contesto.

Una bella differenza, pure con un notevole giardino di pertinenza e accessori, un’impareggiabile vista sul mare (che non è merito dell’impresa), vicini di casa che vedi nelle riviste patinate, eccetera.

Nessun giudizio di tipo morale. Così è per queste merci e ogni considerazione nel nome dei meno abbienti e della parsimonia, è del tutto superfluo. Si può osservare, ma si fa per dire, che una decina di ettari terreno agricolo a mezzora di macchina dal mare vale pochissimo e non si vende neppure con l’aggiunta di un buon gregge di pecore lattifere garantite.

Qui si vuole solo segnalare che di queste ricchezze, prodotte senza rischi d’impresa, con notevole danno ai paesaggi sardi, non resta quasi nulla alle popolazioni locali. Spiccioli ai manutentori, giardinieri e l’Ici che, come è facile intuire, è del tutto scriteriata in questi casi. Se si lasciasse al buon cuore ci sarebbe da guadagnare.

Niente insomma torna alla collettività che concede questi paesaggi che sono il vero valore ; troppo poco il compiacimento della presenza di tanta bella gente da queste parti ( “ajò a vedere le ville dei ricchi in Costa …”).

L’ alterazione irreversibile dei connotati di spiagge e scogliere, la chiusura degli accessi al mare, la preclusione di un uso produttivo di vaste aree, procurano grandi vantaggi a pochi, che spesso neppure sanno dove sono le case preziose che possiedono. Sarà per questo che qualcuno ha inventato “ la tassa sul lusso”?

Leggo ancora che c’è chi sostiene che l’incremento dei prezzi delle case esistenti nelle coste sarebbe favorito dalla linea di contenimento delle trasformazioni ambientali – il Piano paesaggistico – uno scandalo per i liberisti. Così – è il suggerimento sottinteso – per non avvantaggiare gli immobiliaristi spazio ai costruttori. Come se per impedire l’incremento di valore di residenze esclusive nel centro di Roma, per ampliare l’offerta si lasciasse via libera ai palazzinari di lottizzare Villa Borghese. (S.R.)

Dal sito del Centro studi urbani dell’Università degli studi di Sassari

La costituzione di un sistema di parchi in Val di Cornia deriva dalle scelte urbanistiche compiute tra il 1975 e il 1980, quando i comuni di Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo e Suvereto diedero avvio ad una delle più interessanti e felici esperienze di pianificazione intercomunale.

Una volta stabilita la decisione di sottrarre all’urbanizzazione e alle lottizzazioni turistiche alcuni lembi costieri di straordinaria bellezza, e una volta definite le aree dei cinque parchi della Val di Cornia, si è posto il problema della gestione di un comprensorio così vasto. Nel 1993, con la partecipazione di tutti i Comuni della Val di Cornia e di imprese private, è stata costituita la Parchi Val di Cornia spa alla quale è stato affidato il compito statutario di realizzare e gestire le strutture e i servizi necessari per promuovere la tutela e la valorizzazione sotto il profilo sociale, economico e territoriale delle aree in questione.

La storia di successo della Parchi Val di Cornia dimostra come sia stato possibile tradurre in una realtà concreta l’intuizione tecnico-politica contenuta nei piani redatti all’inizio degli anni settanta. Possibile e necessario al contempo: se i parchi non fossero tuttora un modello di gestione, un soggetto economico e un protagonista attivo sulla scena locale, è del tutto probabile che le stesse scelte di pianificazione potrebbero facilmente essere messe nuovamente in discussione. (m.b.)

Chi volesse conoscere più da vicino la storia e le attività della società Parchi Val di Cornia, può scaricare l’intervento che il presidente, Massimo Zucconi, ha tenuto nell’edizione 2005 della Scuola estiva di pianificazione di eddyburg.

In eddyburg, due interventi giornalistici, di Giovanni Valentini e di Francesco Erbani spiegano perché la Parchi val di Cornia spa possa essere annoverata tra i pochi difensori del paesaggio e dell’ambiente italiano, e un esempio di come si possa concepire uno sviluppo diverso dalla mera crescita quantitativa.

La Sardegna dopo tanti anni anni è di nuovo dotata di un piano paesaggistico, il primo in applicazione del Codice Urbani. E' riuscito il presidente Soru nel suo intento, seppure con qualche difficoltà dentro la maggioranza, e si tratta di una buona notizia che dovremmo festeggiare, perché di buone notizie non ce ne sono poi tante sui temi del governo del territorio in questo Paese. Per la Sardegna, in balia delle pulsioni del centrodestra fino allo scorso anno, e anche delle indecisioni di passati governi di centrosinistra, è il segno che una brutta fase è già alle spalle; e che ora si può guardare alle cose da fare, per valorizzarlo il territorio e non per vendere le parti migliori.

E' un'altra storia: emerge subito la distanza dall'altra stagione politica quando prevaleva il rito delle distribuzione mercanteggiata dei volumi.

Quando i piani dei comuni erano le riproduzioni fedeli dei propositi delle imprese di strafare qui o lì, nei luoghi più belli, in genere case da vendere e non alberghi.

Quando i ragionevoli principi, contenuti nell'ultima legge e nei vecchi strumenti, venivano piegati per condiscendenza della stessa legge con previsione di varchi per favorire importanti imprenditori dell'edilizia (non operatori turistici che investono in attrezzature ricettive, ma costruttori).

Il paesaggio come bene comune, il senso profondo dei luoghi, è al centro del progetto e le trasformazioni eventuali sono pochissime. I territori che non hanno subito modifiche - per fortuna sono tanti - saranno conservati. Perché si vuole dare la certezza di ritrovarla integra quella spiaggia, quella scogliera, quella campagna. Sono previsti progetti estesi di riordino urbanistico per provare a rimediare a forme di degrado che non mancano; e l'idea di fondo è quella di valorizzare e potenziare gli insediamenti esistenti - soprattutto quelli veri, vissuti tutto l'ann - che sono in grado di dare ospitalità molto meglio dei villaggi frontemare.

Il processo decisionale ha alla base il metodo delle informazioni condivise ed è rilevante che tutte le fasi siano in rete, nel sito della Regione, e che nessuno detenga documenti riservati da distribuire per favore agli amici. Tutti possono già in questa fase accedere agevolmente agli atti e farsi un'opinione.

Vedremo nei prossimi mesi, luogo per luogo, il grado di consenso attorno al progetto da parte dei sardi e di tutti quelli che, dovunque stiano, hanno mostrato interesse al programma di tutela della Sardegna che va oltre il piano paesaggistico. E' un aspetto importante: i detrattori sono al lavoro e la tenuta del piano dipende da questo. Vedremo le reazioni dei comuni nel merito e le modalità attraverso cui costruiranno le proposte di pianificazione. Sarà una fase delicata, un laboratorio per consegnare alle generazioni future un'isola bellissima che non può più consentirsi sprechi.

Caro Eddyburg, Soru ha fatto fare una brutta figura a Briatore che ha comprato pagine di giornali per contestare la tassa “sul lusso” (che in realtà è sull’uso del paesaggio). E chissà quanto gli è costato scendere a quel livello, ma forse era necessario perché la replica dura ha funzionato e il modello sardo è oggi addirittura esportabile. Pensa che alcuni anni fa in Costa Smeralda – a Ferragosto – si organizzavano le cene per Lula, un paese poverissimo dell’interno. Una delle icone del malessere della Sardegna lontana dal mare, che accettava (sob!) l’elemosina dei ricchi vacanzieri in costa. Sindaco berlusconiano compiaciuto (grazie! con gli avanzi delle vostre feste billionaire faremo quel che si può, meglio del parco del Gennargentu). Poche reazioni tranne le solite, e comunque non proprio in linea con la leggendaria fierezza del popolo sardo.

In Sardegna, è bene non illudersi, non si è spento del tutto il tifo per i villaggivacanze sulla spiaggia. Ma molte comunità locali hanno cambiato idea. L’ inganno è durato, ma si sa che a volte la politica alimenta illusioni che durano, se non sarebbe troppo facile. Si è capito tardi che non serve a nulla fare case sulla battigia: per l’economia del luogo cioè per i tanti disoccupati tutto più o meno come prima; il danno ambientale è irrimediabile, ma c’è chi ha tratto vantaggi enormi. Spiccioli per la Sardegna nonostante il vorticoso giro di denaro.

Il piano paesaggistico sardo – evviva – dice stop al modello consumista delle case da vendere. Fino a qualche anno fa progetti da quattro-cinque milioni di metri cubi erano continuamente avanzati, sindaci di tutti i colori consenzienti (benvenuti imprenditori-benefattori, prego scegliete le viste migliori!).Oggi, gli stessi imprenditori che li presentavano, li considerano inammissibili. Progetti come quello per Crotone – ne ha scritto di recente la Repubblica – una nuova città sul mare che la Calabria povera immagina come panacea dei suoi mali, in Sardegna non sono più possibili e neppure proponibili. Neppure torri firmate o cose simili.

Un’ occhiata alle trasformazioni suggerisce di fare pagare qualcosa a chi ha tratto, trae utili dalla splendida location per case tutto sommato normali (alcune decine di milioni di euro il prezzo di un immobile che il costo di costruzione non spiega e il cui valore dipende appunto dalla bellezza impareggiabile del luogo).

Il richiamo alla centralità del paesaggio assume nella tassa “sul lusso” (su case, barche sopra i 14 metri, aerei dei non residenti) un significato al di là del ritorno economico che dovrebbe produrre (il 75% dell’introito è destinato per le zone interne, più dignitoso delle questue estive, direi).

Le barche come le case godono di paesaggi unici al mondo. Alcuni sindaci strepitano per questo provvedimento che terrebbe lontani i diportisti in transito, arrabbiati per la tassa: un migliaio di euro annue, più o meno il costo per tenerla in acqua un giorno una barchetta da 15 metri o per una festa tra amici senza aragosta.

C’è qualcosa che non torna in questa reclamizzata rinuncia a usare gli approdi sardi che qualcuno dovrebbe spiegare. I dati sembrano incongrui e ci piacerebbe vederle le liste ufficiali dei movimenti nelle banchine sarde che dovrebbero essere pubbliche visto che i porti sono stati realizzati con risorse pubbliche, con concessioni demaniali ecc. Perché alcune notizie sembrano smentire e di molto questa presunta tendenza al ribasso. Più 30% di presenze negli alberghi sfarzosi di Gallura che più alzano i prezzi più fanno il pieno. Più 10% di barche a Porto Cervo dove non c’è un posto libero fino a settembre. Record di arrivi a Teulada. Più presenze dappertutto. Allora: una ripicca contro Soru localizzata in alcuni porti dell’isola? O goffa, molto goffa propaganda che ha come vero obiettivo la norma sul paesaggio che impedisce le speculazioni edilizie nelle coste? Non so se la tassa abbia gravi difetti costituzionali, non so neppure dire se sia una cosa di sinistra. Ma è certo che appartiene a quella civile tradizione di fare pagare le tasse a chi trae vantaggi e benessere dall’uso di beni comuni. (A questo proposito: scopro che già alla fine del ‘500 si imponevano speciali gabelle ai forestieri altolocati che frequentavano le terme della Val d’Orcia per ripagare i lavori di manutenzione). Stasera, 14 agosto 2006, al Billionaire si parla d’altro, una bottiglia di champagne servita con fuochi d’artificio (così lo vedono tutti) circa mille euro al pezzo. Stasera a Lula se qualcuno fa festa nessuno se ne accorge.

Quello che piace della politica di Soru e della sua giunta è che c'è coerenza tra i diversi provvedimenti: tutelare la costa con un piano del paesaggio, far pagare a chi la usa e pagare può, liberarla dalle servitù militari, utilizzare al meglio le costruzioni esistenti invece che farne di nuovo, sono tessere d'un mosaico di cui conta la bellezza d'insieme. Poi magari c'è qualche ombra, ma si può correggere.

Fiumi da tutelare come monumenti, boschi da salvaguardare al pari dei centri storici. Un approccio innovativo, portato avanti quando parlare di «cultura ambientale» in Italia era ancora affare per pochi. È quello del Piano paesistico regionale, che compie vent’anni ma non li dimostra, pronto a raccogliere nuove sfide. Come spiega una dei suoi artefici, l’architetto Felicia Bottino allora assessore all’Urbanistica: «I fulcri dello sviluppo regionale del futuro? I fiumi, che devono tornare a essere la porta di accesso alle città, e l’Appennino».

Professore, tutto cominciò con la legge nazionale Galasso che nell’85 introdusse per la prima volta l’idea di tutela e di salvaguardia dell’identità e degli aspetti naturalistici del territorio.

Ma rimase in sostanza lettera morta. L’Emilia-Romagna fu la prima a recepirla, seguita credo solo dalla Liguria. Scegliemmo la strada di un Piano, che attraverso norme o direttive poteva intervenire su tutto il complesso del territorio, e a cui quindi tutti i soggetti, privati o Comuni che fossero, dovevano adeguarsi. Una scelta molto forte e innovativa.

Ma anche contestata?

Sì, ricordo soprattutto il divieto di escavazione nel Po e negli altri fiumi che andava a incidere sulle attività di cava, tra le più remunerative, la Regione pose il vincolo ben oltre i 150 metri dai parchi fluviali. I fiumi e la costa furono senz’altro il teatro delle attività di salvaguardia più significative. Ma penso anche a molti enti locali, risentiti perché vedevano invasa la loro capacità di pianificazione.

Un esempio?

Quello era il periodo in cui la Riviera fu invasa dalla mucillagine. Gli operatori turistici, preoccupatissimi, volevano costruire piscine sulla spiaggia per non perdere clienti: sulla base dei singoli piani regolatori comunali magari avrebbero anche potuto riuscirci, il nostro Piano lo vietava. Per la sinistra fu un’operazione coraggiosa portare avanti questa battaglia: servì a creare una cultura ambientale che oggi diamo per scontata ma che allora non c’era. Anche se nella nostra regione i vincoli ambientali erano già una tradizione in molti Comuni.

La soddisfazione più grande?

Quando ho incontrato sindaci che dopo anni mi hanno dato ragione. Ma anche vedere che la Convenzione europea del 2000 andava nella direzione da noi già intrapresa. La Regione poi mi ha fatto un vero regalo di compleanno: con assessori e tecnici di Regione, Provincia e comuni dovrò redigere il documento con le linee di azione del nuovo Piano paesistico regionale, per recepire proprio la Convenzione europea.

Quali sono le nuove sfide da raccogliere?

Si tratta di spostarsi dalla tutela, ormai un dato acquisito, a progetti specifici di riqualificazione e recupero di paesaggi degradati. Oggi con la globalizzazione c’è una forte competizione territoriale, in Italia, allora dobbiamo investire sul Bel Paese, non a caso nel programma del nuovo governo si punta sul turismo culturale e sullo sviluppo della qualità urbana.

E per quel che riguarda la Riviera Adriatica?

Intanto a 20 anni dal Piano paesistico si deve decidere cosa fare delle colonie. Senza massacrarle e senza speculazione, penso al modello dei castelli in Trentino riconvertiti in Bed&Breakfast o in beauty farm. Insomma bisognerà unire un progetto paesaggistico a uno di gestione economica. Le colonie sono un grande patrimonio che può portare al rilancio del turismo. Poi occorrono incentivi per la riqualificazione di alberghi e di alcune aree cittadine.

Altre linee d’azione future?

Creare finalmente dei parchi fluviali che siano veramente tali. L’Emilia-Romagna è un pettine: il dorso è l'appennino, con i fiumi che “affondano” nel territorio. I piani regolatori comunali hanno sempre voltato loro le spalle, occorre una riqualificazione che ne faccia le vere porte di accesso alle città. L’Appennino e i fiumi sono la nostra risorsa ambientale, da valorizzare e rendere fruibili in un’unica rete ecologico-ambientale. Perché, per dirla con una battuta, non si può andare sulla costa tutti i fine settimana.

Cosa pensa del ricorso del WWf contro il campo da golf sulla collina bolognese?

Non ne conosco il dettaglio, vedo che si contesta il campo come «urbanizzazione privata»: in effetti, se è a pagamento non si può in alcun modo definire pubblico. Ma il vero punto è capire se questo campo è un’attività compatibile con la “migliore fruizione del bene da tutelare”, cioè la collina.

Insomma una questione di interpretazione?

Per la giunta comunale evidentemente il campo scuola garantisce questa migliore fruizione, io lo trovo molto discutibile. L’unico modo per facilitare l’accesso alla collina è predisporre pulmini pubblici, chioschi e gazebo gestiti dalle associazioni nei parchi esistenti, come al Cavaioni, per incentivare trekking e passeggiate. Così invece c’è il rischio che, se il campo da golf fallisce, la costruzione venga trasformata in una villa privata: bisogna capire qual è la volontà della proprietà, la giunta deve vigilare.

Postilla

La rilettura di uno strumento, il PTPR della Regione Emilia Romagna divenuto quasi un simbolo di una ideologia di pianificazione che, benchè indulga all'autocelebrazione, è quasi interamente condivisibile (ma che la tutela sia un dato ormai unanimemente acquisito è affermazione pericolosamente ottimistica e metodologicamente errata: la tutela non è un elemento statico, ma un processo che si evolve).

Il PTPR ha rappresentato certamente un punto di innovazione e di avanzamento della cultura ambientalista in Italia e come tale fu ampiamente apprezzato, fra gli altri, da Antonio Cederna, anche perchè fu il risultato di uno sforzo interno di un'amministrazione pubblica. All'epoca, Felicia Bottino, era la lungimirante assessora all'urbanistica di una regione che si faceva carico dei propri ruoli di pianificazione e gestione del territorio. Adesso, il nuovo incarico finalizzato all'adeguamento del PTPR viene dato alla presidente di una società esterna...(m.p.g.)

L'obiettivo del seminario è stato indicato da tempo ed è noto a tutti i partecipanti: proseguire un percorso già avviato con il seminario dell'autunno 2004 volto ad elaborare un nostro autonomo punto di vista sulla qualità dello sviluppo della nostra provincia, ragionando sulla qualità dell’abitare, dei servizi, degli insediamenti produttivi e commerciali, della mobilità delle merci e delle persone.

Al nostro maestro, l'urbanista Eduardo Salzano, sono piaciute tre cose della nostra iniziativa: il titolo, il taglio, la continuità.

Il titolo “più piazze e meno mattoni” (ma avremmo potuto dire meno cemento e meno asfalto) perché esprime molto sinteticamente l'obiettivo che vogliamo proporci: restituire le nostre città e paesi alla società, ridurre l'edificazione allo stretto indispensabile per allargare lo spazio destinato alla fruizione di tutti cittadini.

Il taglio di questa giornata di studio, con l'ausilio dei nostri relatori, ci consentirà di dare un primo sguardo alle carte tecniche delle scelte sul territorio per valutarle nell'interesse dei lavoratori e dei pensionati.

Studiare per comprendere, comprendere per cambiare com'è stato in tutta la nostra centenaria storia. La continuità dell'impegno intorno ad una materia fondamentale per riportare l'attenzione del sindacato sul territorio programmando successivi approfondimenti, zona per zona, con l'obiettivo di aprire un cantiere finalizzato all'avvio della contrattazione sociale territoriale.

La qualità urbana insieme alla qualità sociale costituiscono infatti un pezzo rilevante della strategia che abbiamo definito nel nostro recente congresso.

Abbiamo detto che non si controlla il processo lavorativo se l'azione sindacale non ricomprende tutta la filiera delle esternalizzazioni, delle terziarizzazioni, degli appalti, se cioè non si ridefinisce il perimetro della catena lunga e diffusa della produzione di una merce o di un servizio.

È NECESSARIO UN SALTO CULTURALE

Quello che ci si richiede è un salto culturale, politico e organizzativo per connettere la contrattazione di secondo livello con la contrattazione sociale nel territorio.

Una contrattazione questa capace di assumere il territorio in quanto spazio fisico interconnesso con le dinamiche produttive. Essa è indispensabile perché la contrattazione nel luogo di lavoro possa disporre di un'iniziativa esterna in materia di qualità delle zone industriali e commerciali, della logistica, dei trasporti, della politica industriale, della formazione e della ricerca.

Un contrattazione che sappia assumere il territorio come luogo del vivere e dell'abitare. L’obiettivo è quello di accompagnare la contrattazione del salario con una contrattazione sociale territoriale in grado di ottenere risultati dai servizi (dagli asili nido ai servizi di assistenza degli anziani), la sanità, la casa, i trasporti, i beni comuni prodotti dai servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia), l'integrazione dei migranti, la vivibilità urbana.

E’ una scelta di allargamento del campo d'azione del nostro lavoro sindacale che vogliamo affidare ai costituendi consigli di zona per tenere insieme il luogo di lavoro e la sua inscindibile relazione con il contesto territoriale, nei suoi diversi aspetti di organizzazione e pianificazione dello spazio urbano, di equilibrio ambientale, di qualità ed efficacia del welfare locale. E ’ sul primo aspetto che oggi vogliamo concentrarci. Una mutazione gigantesca, formata dalla somma di trasformazioni diffuse e capillari, ha investito negli ultimi decenni la nostra provincia. Un diluvio di cemento che ha deturpato uno dei paesaggi più belli d'Europa.

Con mirabile capacità di sintesi scrive il vicentino Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: "Un blocco di cemento di 1070 metri cubi: è questa la dote portata alla provincia di Vicenza da ogni abitante in più dagli anni 90. Crescita demografica:più 52 mila abitanti pari al 3%.Crescita edilizia: 56 milioni di metri cubi, pari a un capannone largo 10 metri, alto 10 e lungo 560 km.

Ne valeva la pena? Valeva la pena di insultare ciò che resta delle campagne care a Meneghello con giganteschi scheletri di calcestruzzo tirati su spesso solo per fare un investimento” incentivato dalle varie leggi Tremonti e oggi tappezzati di cartelli "affittasi capannoni”?

TUTTO QUESTO CEMENTO NE VALEVA LA PENA?

Di capannoni, nel migliore dei casi, pensati per produzioni povere realizzate con tecnologie semplici, non più in grado di reggere la competizione internazionale.

L'ing. Natalino Sottani ci spiega che nell'ultimo mezzo secolo la popolazione della nostra provincia è cresciuta del 32% , mentre la superficie urbanizzata ha subito l'impennata del 324%: 10 volte di più. Di converso, ovviamente, registriamo un crollo di terreni destinati all'agricoltura.

Un consumo di territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi. Esso ha generato:

1) una mobilità multidirezionale delle merci e delle persone, quasi sempre su mezzi privati, che congestiona il traffico, avvelena l'aria e soffoca la nostra esistenza;

2) una crescita urbana senza forma che ha impermeabilizzato il territorio, rallentato la ricarica delle falde e nel contempo provoca frequenti esondazioni dei corsi d'acqua;

3) Un modello di urbanizzazione costoso in termini di distruzione di suolo agricolo, di aumento di spese di energia e di tempo nonché insostenibile da un punto di vista ambientale e scarsamente competitivo rispetto ad altri modelli territoriali;

4) Si tratta della dispersione insediativa per la quale gli americani coniarono il termine “sprawl town” letteralmente: città sdraiata sguaiatamente.

L’AMBIENTE COME UNA MARMELLATA

In sostanza, un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi e vissuto come alienante dalle nuove generazioni;

Questo fenomeno di “sprawl”, cioè di una città cresciuta in modo anarchico, senza forma, priva di regole ovvero con il metodo "fai-da-te" la si può riconoscere con qualche approssimazione osservando in particolare cinque aree: - la prima: La strada mercato Montebello Vicenza - la seconda: la conurbazione lineare della Valle del Chianpo - la terza: la bassa Valle dell' Agno - la quarta: la conurbazione multicentrica dell’Alto Vicentino tra Thiene e Schio - la quinta: il Bassanese Il documento preliminare della Provincia analizza criticamente il modello di sviluppo sin qui praticato, ne certifica la crisi e si propone di perseguire "una nuova qualità urbana, territoriale, ambientale e paesistica" . Ne siamo felici!

GLI OTTO OBBIETTIVI DEL PIANO

Così come non possiamo non esprimere il nostro consenso rispetto all’obiettivo dichiarato dalla Provincia di “sviluppare un progetto di territorio che risponda ai seguenti obiettivi:

a) Tutela e valorizzazione del patrimonio territoriale, nelle sue molteplici dimensioni identitarie, paesistiche, ambientali, socio-economiche e culturali, come base essenziale per un nuovo sviluppo locale autosostenibile.

b) Blocco dell’ulteriore espansione della città diffusa e avvio di una sua riqualificazione in forma di sistema policentrico organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo.

c) Qualificazione dei progetti infrastrutturali in funzione del progetto complessivo di territorio e delle sue qualità.

d) Razionalizzazione delle aree per insediamenti produttivi, oggi ridondanti, anche attraverso la rilocalizzazione delle attività nelle aree ecologicamente attrezzabili.

e) Valorizzazione del ruolo multifunzionale dell’agricoltura in campo culturale, ambientale, paesistico, economico, turistico.

f) Difesa e riqualificazione del piccolo commercio e delle reti corte di commercializzazione dei prodotti locali disincentivando le grandi superfici di vendita e promuovendo i centri commerciali naturali.

g) Riequilibrio ecologico e difesa della biodiversità mediante la messa in rete delle aree a più elevata naturalità e delle matrici ambientali potenziali attraverso corridoi ecologici, e la previsione di azioni di mitigazione delle aree a maggiore criticità.

h) Qualificazione del ruolo del territorio vicentino nel sistema metropolitano veneto a partire dalle proprie eccellenze multisettoriali e dalla loro valorizzazione in filiere integrate, radicate nel territorio e fondate sui patrimoni territoriali specifici.

Tra gli otto obiettivi indicati i primi due sono i meno scontati e quindi in particolare riscuotono il nostro interesse e la nostra approvazione: la tutela dell'identità paesistica ed ambientale e il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa.

PRIORITÀ ALLA SALVAGUARDIA

Tuttavia questi condivisibili obiettivi sembrano essere contraddetti dal pesante impatto dei grandi progetti infrastrutturali che il piano prevede. La tutela dell'ambiente, "l'idea di uno sviluppo basato sull'amore per il territorio e sulla valorizzazione delle risorse ambientali e storico architettoniche" non può essere considerato infatti un obiettivo tra gli altri bensì l'obiettivo a cui subordinare tutti gli altri.

Un esempio di scelte contraddittorie con l'assunto della tutela ambientale è la previsione di realizzare la Valdastico sud e nord. La dotta citazione di Carlo Cattaneo usata dalla presidente Emanuela Dal Lago per giustificare l'opera, è davvero bizzarra e impropria: come si può sostenere che l'utilità dell'opera è motivata dalla scelta "strategica" di favorire "l'accessibilità dei beni ambientali e culturali " del Basso vicentino?

Non basta certo un'operazione di cosmesi che ribattezza la famigerata Pirubi in “autostrada delle ville" per attenuarne l’impatto ambientale. Peraltro non possiamo non condividere quelle che sembrano essere anche le preoccupazioni della presidente della provincia quando, qualche pagina prima, afferma che la nostra provincia “si trova in un crocevia altamente problematico", a causa della previsione di altre due infrastrutture: l'alta capacità ferroviaria, l'asse autostradale pedemontano. “Quest’ultima si scontra, in particolare nel Bassanese, con le preesistenze del modello insediativo diffuso".

Ma anche, aggiungo io, con il pesante impatto che quest'ultima avrebbe in particolare a Montecchio Maggiore, interessata da entrambe le infrastrutture. Valdastico sud, autostrada pedemontana, alta capacità ferroviaria e, con tempi più lunghi, Valdastico nord, sono tutte infrastrutture progettate per "collegamenti internazionali, nazionali e di area vasta" come finisce per ammettere il preliminare al piano. Altro che autostrada delle ville.

Nessuna di queste infrastrutture è pensata e progettata al servizio del territorio, ovvero per alleggerire la congestione del traffico nella nostra provincia.

TRASPORTO PUBBLICO DOVE SONO I PROGETTI?

La realizzazione del sistema ferroviario metropolitano infatti è una prospettiva molto lontana nel tempo e il condivisibile obiettivo di potenziare il trasporto pubblico locale su rotaia non è supportato da alcun progetto concreto. La concreta pratica amministrativa della provincia evidenzia la più completa inerzia anche rispetto alla proposta più volte avanzata da Cgil-Cisl-Uil di razionalizzare e potenziare il trasporto pubblico su gomma attraverso la fusione tra Ftv e Aim e l'integrazione con il trasporto su rotaia.

Mi sia consentito di rilevare che in questa battaglia il sindacato non ha ancora avuto quel sostegno che sarebbe stato necessario da parte dei comuni. L’obiettivo è quello di creare un’unica azienda provinciale del Trasporto pubblico locale, trasformando linea ferroviaria di Trenitalia a metropolitana di superficie gestita dagli enti locali e riconvertendo il ruolo degli autobus Ftv in adduttori di traffico verso le stazioni della stessa metropolitana.

E ancora, è proprio utopistico prendere in considerazione la possibilità di rimettere in funzione la vecchia linea Valdagno, Montecchio, Vicenza riprogettandola come moderna linea tranviaria in uno dei territori più congestionati della provincia a causa del traffico automobilistico? In assenza di una decisa svolta in tema di mobilità, fondata sul trasporto pubblico su rotaia al servizio del territorio, non sarà possibile risolvere il problema della congestione del traffico.

È pia illusione pensare che le grandi infrastrutture progettate possano portare un contributo in questo senso; anzi, questa volta ha proprio ragione Emanuela Dal Lago quando afferma che la pedemontana e l'alta capacità (ma farebbe bene ad aggiungere anche la Va l d a s t i c o ) "rischiano di considerare il vicentino più uno spazio di transito ricco di impacci che di un territorio da servire ricco di opportunità".

Il secondo obiettivo condiviso è il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa ovvero quello che abbiamo chiamato lo “sprawl”. L'obiettivo è quello di costruire un nuovo policentrismo organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo. Proviamo ad esaminare più da vicino questo fenomeno di “sprawl” osservando le già citate quattro/cinque grandi aree:

LA STRADA MERCATO MONTEBELLO – VICENZA

Lungo la statale 11 è cresciuta una del più vaste strade mercato del Veneto: un continuum di case, capannoni, piazzali, ipermercati, negozi, strutture commerciali che ignorano i confini comunali, cancellando la campagna, distruggendo paesaggi, provocando l'annullamento di un'autentica vita sociale della città. Un' area questa sottoposta a processi di terziarizzazione strisciante, priva di un governo delle trasformazioni e nella quale sono stati censiti centinaia di abusi nelle destinazioni d'uso, particolarmente nella zona industriale ovest, che favoriscono processi di deindustrializzazione e premiano la rendita immobiliare.

IL SISTEMADELLE VALLI

Il sistema delle valli, con particolare riferimento alla valle del Chiampo e a quella dell'Agno, interseca la strada mercato Montebello – Vicenza contribuendo ad aggravare, congestionando, ilnodo Alte-Montecchio. La conurbazione lineare della valle del Chiampo con insediamenti a nastro lungo la strada provinciale e nella tratta verso Montebello si configura come una strada mercato con un'elevata concentrazione di attività inquinanti. Nonostante alcuni risultati raggiunti con il progetto "Giada" la valle si trova ancora in una situazione di grave dissesto ambientale.

La conurbazione lineare della valle dell'Agno presenta significative differenze tra l'alta valle (Valdagno e Recoaro) e la bassa valle. È quest'ultima in particolare, tra Cornedo e Castelgomberto, con Brogliano e Trissino a presentare il più accentuati fenomeni di sprawl urbano.

Valdagno invece si presenta sempre più come una città bifronte alla ricerca di una propria identità posta in crisi dai processi di delocalizzazione della Marzotto. Da un lato guarda ancora verso Montecchio, soprattutto in materia di mercato del lavoro, dall'altro ricerca sempre più una propria identità all'interno dell'alto vicentino.

Abbiamo già visto come il tema dell'accessibilità, o meglio, della mobilità di questi territori, sia fondamentale. La variante alla 276 potrà contribuirvi, a mio parere, in modo limitato. La gestione del tunnel da parte degli enti locali potrà contribuirvi.

Il chiaro e netto No alla centrale termoelettrica di Montecchio non può che essere riconfermato considerando quanto congestionato e compromesso sia quel territorio. Al solo scopo di provocare il dibattito tra i tanti problemi dell'area, mi permetto di indicarne tre:

1) per Valdagno, il ruolo della Marzotto;

2) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo;

3) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema dell'integrazione dei lavoratori stranieri che sempre meno possiamo considerare migranti ma popolazione stabile senza diritti di cittadinanza.

LA CONURBAZIONE MULTICENTRICA DELL'ALTO VICENTINO TRA THIENE E SCHIO

È questo un territorio che negli ultimi decenni ha avuto uno sviluppo produttivo-residenziale di notevoli dimensioni soprattutto lungo le fasce pedemontane e nell'area interclusa tra i due centri di riferimento di Schio e Thiene.

Tale espansione è stata talmente pervasiva che l'urbanizzazione dei singoli comuni è andata a saldarsi con quella dei comuni contermini, come nel caso di Thiene con Zanè, ponendo una molteplicità di problemi. Oggi siamo però in presenza di una inedita volontà delle amministrazioni comunali di “stare in rete”.

Da un lato le iniziative promosse dalla Fondazione Festari, che fanno perno su Schio, Thiene e Valdagno, indicano la volontà di questi enti locali di progettare un futuro comune. Dall'altro la gestione comune dei servizi pubblici locali ci dice che la strada è percorribile a beneficio dei cittadini. Anche noi vogliamo contribuire a sciogliere alcuni nodi irrisolti.

Mi limito ad indicarne tre. Sul piano la ferrovia, ho già detto. Il secondo riguarda la scelta di sostenere l'amministrazione comunale di Schio in materia di sanità, onde impedire che, attraverso il progettato nuovo ospedale in projet financing, si finisca da un lato per favorire una privatizzazione surrettizia di pezzi di sanità e dall'altro di ipotecare per molti anni rilevanti risorse di quella Ulss per operazioni immobiliari, quando invece è certamente più utile e necessario impegnarle per migliorare la qualità di servizi.

Sul terzo, la variante alla strada provinciale 349 T h i e n e - G a r z i e r e - Schio non ho un'opinione precisa. So che esiste il nodo critico delle Garziere. Ma le domande che pongo sono le seguenti: è proprio necessario occupare altro suolo agricolo?

E qualora la risposta fosse purtroppo affermativa: come impedire che lungo il nuovo asse stradale nascano nuovi insediamenti compromettendo così le poche aree agricole rimaste nelle zona?

IL BASSANESE

Rappresenta certamente uno dei casi più emblematici di sprawl urbano a livello italiano. Basti pensare che Bassano conta circa 40.000 abitanti, ma se si considera la città di Bassano oltre i confini comunali, allora essa conta circa 100.000 abitanti. Esistono, in tutta evidenza, quartieri bassanesi ricadenti al di fuori del confine comunale che hanno in qualche modo contribuito ad uno sviluppo della città privo di forma e razionalità, ad un bilancio di servizi deficitario, ad uno sviluppo urbano talmente frazionato da rendere estremamente difficile la pianificazione unitaria. L'espansione ha seguito per decenni un processo del tutto ingovernato o, meglio, ha seguito logiche puramente immobiliaristiche, riempiendo tutte le strade radiali e costruendo un sistema insediativo del tutto privo di gerarchie.

L’esempio bassanese dimostra che la pianificazione non può essere limitata al singolo livello comunale ma deve al contrario coinvolgere un livello d'area vasta e tenere conto del bacino di influenza e interazione. Anche dal punto di vista ambientale questo territorio si presenta molto fragile. Il Brenta e i suoi a ffluenti, le numerose cave, la fascia delle sorgive, sono elementi che necessitano di un intervento decisivo rivolto alla riqualificazione ambientale.

La drammatica vicenda dell'avvelenamento delle acque con cromo esavalente prodotto a Tezze sul Brenta dalla Tricom Industrie Galvaniche non chiama in causa solo un imprenditore senza scrupoli ma è anche un atto d'accusa contro trent'anni di sviluppo produttivo senza regole e senza controlli.

Un danno ambientale enorme calcolato dall'avvocato dello Stato in 160 milioni di euro. Un danno per la salute dei cittadini colpiti che non ha prezzo. Forse, dopo Porto Marghera, è il più grave disastro ecologico della nostra regione che interroga anche noi e il nostro ruolo di sindacato dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Per questo abbiamo invitato qui oggi alcuni rappresentanti del comitato che si è costituito a S.Pietro ringraziandoli per il contributo che vorranno darci.

In questo quadro diventa di fondamentale importanza la valutazione reale dell'impatto sul territorio del progetto della nuova pedemontana: ci si chiede se essa possa concorrere realmente al riassetto del territorio o se invece aumenti ancora di più la fragilità di quest'area.

Al di fuori di questo quadro alquanto critico, rimangono, poi, aree del vicentino che essendo marg i n a l i non sono state aggredite così ferocemente dallo sprawl urbano. Si tratta dell'altopiano di Asiago e del Basso vicentino.

Per l'Altopiano già da parecchi anni esistono politiche mirate alla riqualificazione e al rilancio del territorio considerato un bene in grado di produrre ricchezza attraverso interventi diretti a salvaguardare le montagne di prodotti locali, ad offrire le strutture per un turismo più responsabile sostenibile, come ad esempio la realizzazione di una rete di percorsi ciclo pedonali. Rimangono tuttavia problemi legati all'abbandono della montagna da parte di giovani, la carenza sempre maggiore di servizi a persona (si veda la chiusura della struttura riabilitativa di Mezzaselva). Il Basso vicentino, tradizionalmente agricolo, con la presenza non poco rilevante di numerose ville venete, oggi è seriamente messo in pericolo dall'eventuale realizzazione della Valdastico sud. La realizzazione della nuova autostrada non porterebbe sensibili benefici da un punto di vista viabilistico e comprometterebbe invece certamente il paesaggio agricolo e le ville venete.

Risulterebbe così in controtendenza con le idee che pian piano stanno prendendo piede in tutta Europa e che chiedono di considerare la qualità del territorio, della città e dell'ambiente come valore economico e vedono nelle risorse non rinnovabili (acqua, aria, ma anche paesaggio agricolo...) beni da difendere dai quali trarne beneficio in termini di qualità della vita.Infine Vicenza. La città capoluogo sembra essere aggredita dalle lobbies della rendita immobiliare. Dopo qualche anno di silenzio è tornato Crocioni il cui piano, costato un paio di miliardi di vecchie lire era finito in un cassetto.

IL RITORNO DEL PIANO CROCIONI

Nel frattempo l'amministrazione Hullwech ha adattato gli strumenti urbanistici alle pretese di vari operatori privati interessati ad edificare molte migliaia di metri cubi. E così nascono dietro sigle astruse, come i Piruea, almeno un milione di metri quadrati di nuova edificazione. Una follia per una città di poco più di 100.000 abitanti.

Il nostro auspicio è quello che le forze democratiche della città siano in grado di ottenere la loro decadenza ed impegnino invece l’ amministrazione cittadina città all'elaborazione del PATI cioè di uno strumento di pianificazione su scala sovracomunale capace di riconnettere i comuni della cintura con la città capoluogo, di puntare sul recupero e la riqualificazione anziché sull'espansione affermando il diritto all'ambiente, alla mobilità, alla casa, al lavoro, alla salute, all'istruzione e poi anche di off r i r e opportunità formative e culturali.

Ciò è tanto più necessario se si considera che a Vicenza la popolazione è diminuita nel cuore antico della città. La città si è allargata perché tanti vicentini sono andati a vivere nei comuni della cintura alla ricerca di una qualità della vita urbana migliore. Ma spesso le vere ragioni vanno ricercate nell'abnorme aumento dei canoni d'affitto.

Negli ultimi anni la diminuzione del costo dei mutui ha favorito l'accesso al credito ma la crescita del prezzo degli immobili ha comportato l'indebitamento delle famiglie. Sono aumentati proprietari di case, ma anche in misura consistente le famiglie che non ce la fanno pagare il canone d'affitto, sulle quali specula la giunta Hullwech, discriminando i migranti e i non vicentini tra quanti possono accedere alle case popolari. Un bell'esempio di politica dell'integrazione!

CONCLUSIONI

Vicenza continua a consumare i suoi suoli, e quindi il suo futuro, con vorace e irresponsabile accanimento. Occorre dire basta all'espansione e dedicarsi alla riqualificazione: questo è l'obiettivo. Compito della pianificazione urbanistica è quello di creare città più vivibili e di contribuire alla maturazione di una coscienza civile.

Noi ci riconosciamo in quello che ha scritto, con grande efficacia, il professor Salzano: “Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo di incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva e i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti”. La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale.

Se un'altra idea di città stenta ad affermarsi è perchè ad essa si contrappone un altro punto di vista: quello della rendita immobiliare. Essa concepisce il territorio come un insieme di proprietà ciascuna delle quali deve tendere alla massima valorizzazione economica, mediante la sua trasformazione in edifici, piazzali e strade. E per ottenere questo obiettivo si mobilita e preme su chi ha il potere di decidere e spesso riesce ad influenzare anche chi non avrebbe alcun interesse per farlo.

Il nostro punto di vista considera invece il territorio come una risorsa dell'umanità e la casa della società. Per affermare il nostro punto di vista occorre che le forze sociali, a partire dal sindacato, sappiano porre all'attenzione dei pubblici poteri i problemi reali e le soluzioni giuste e possibili perché sia praticato un rigoroso governo pubblico delle trasformazioni del territorio finalizzato all'interesse collettivo e all'impiego parsimonioso delle risorse.

E’ questo che ci attendiamo dalla redazione del piano territoriale provinciale di coordinamento. Noi che rappresentiamo uno dei più importanti soggetti della società civile vicentina ci proponiamo di portare il nostro contributo di idee, di capacità, di competenze, di conoscenza del territorio.

L'articolo di presentazione del convegno, di Oscar Mancini, su Vicenza Lavoro n. 21

“Va bene, allora grazie di essere venuti, forse può essere utile spiegare con maggior dettaglio quello che sta accadendo attorno al centro commerciale di Sestu. Intanto vale la pena ricordare che non sono gli assessori o il presidente della Regione a fare atti amministrativi, sono i dirigenti della Regione, nella loro indipendenza, da questo punto di vista. In questo caso col nostro pieno sostegno e con la nostra piena approvazione per quanto stanno facendo.

Che cosa è accaduto? Siamo arrivati alla fine di un processo lungo, che noi abbiamo iniziato da tempo. Abbiamo cercato di capire, anche con la precedente amministrazione comunale, e abbiamo approfondito anche con la nuova amministrazione comunale. Informalmente anche da prima, con delle riunioni, ma poi, formalmente, con una nota del maggio del 2005, abbiamo chiesto spiegazioni su quello che stava accadendo: abbiamo chiesto di capire meglio il progetto, perché ormai a Sestu stava emergendo la possibilità o il pericolo che si stesse portando a compimento un progetto molto diverso rispetto a quello originariamente proposto.

Un progetto appunto non di un centro commerciale di 5.000 metri quadri, ma un progetto di un centro commerciale, unitario, di oltre 50.000 metri quadri, di 60.000 metri quadri. Quindi abbiamo iniziato a chiedere dettagli, spiegazioni, su che cosa sta accadendo. Si tratta di una semplice lottizzazione commerciale? Dove ci sono tante attività separate? O non si tratta per caso di un progetto unitario? Con servizi unitari? Collegato funzionalmente, pensato in maniera unitaria? Promosso in maniera unitaria? Commercializzato in maniera unitaria? Con impianti unitari?

Abbiamo chiesto questi dettagli, che sono tutti quei dettagli che qualificano un centro commerciale. Abbiamo assistito ad una resistenza strana di tutte le parti interessate, soprattutto dal Comune che non ci dava dei documenti. Li abbiamo chiesti il 31 maggio, è passato giugno, è passato luglio, il 4 agosto glieli abbiamo sollecitati, solamente un mese dopo ci hanno dato qualche informazione, a settembre, cioè con 4 mesi di ritardo, e questo segnala anche una carenza del potere di controllo della Regione in questo momento, una storia che occorrerà forse riprendere in altri momenti. Sono stati aboliti gli organismi di controllo e in questo momento la Regione non ha nemmeno la possibilità di controllare gli atti di un Comune.

Tale provvedimento si rendeva indispensabile, allora l’8 settembre, visto che continuavano a non mandarci i documenti, gli abbiamo detto che sospendevamo il parere rilasciato dalla Regione. Solamente dopo questo, il 29 settembre, quindi dopo 5 mesi, l’ufficio urbanistica del Comune di Sestu invia alla Regione una documentazione in parte attinente a quanto richiesto: una documentazione totalmente insufficiente. Pur da questa documentazione insufficiente risultava, poi è stata chiesta un’ispezione all’ufficio di vigilanza ed urbanistica. Risultato? Quel piano di lottizzazione originariamente approvato era stato assolutamente variato, o meglio, i lavori erano stati totalmente, di molto variati rispetto ai piani della lottizzazione approvata. E queste differenze determinavano un quadro di riferimento gravemente alterato, rispetto a quello esistente alla data della conferenza di servizio del dicembre del 2001, ed evidenziavano che di fatto si stava facendo un unico grande centro commerciale.

Qui siamo a fine settembre 2005, e quindi invitavamo il Comune di Sestu a tutti gli atti conseguenti. In realtà gli dicevamo: ‘Stai attento che questo è un unico centro commerciale. Il nulla osta che avevamo precedentemente dato era per 5.000 mq, poiché ne state facendo uno di 60.000 mq quel nulla osta è sospeso e viene avviato un procedimento per farlo decadere’.

Quindi si sta facendo un centro commerciale totalmente fuori dalla programmazione e dall’autorizzazione regionale. Se questo è vero, come la Regione ritiene sia vero, il Comune di Sestu deve adottare gli atti conseguenti e annullare le concessioni, le autorizzazioni amministrative, e prendere anche dei provvedimenti sulle concessioni edilizie.

Il Comune di Sestu ci ha risposto che a suo avviso non doveva far nulla, con una lettera che vi diamo in cartella, perché, spiega il Comune di Sestu che cosa è un centro commerciale. Dice… vi prego di leggerla perché vale più di qualsiasi mio parere. Dice, nel terzo capoverso: ‘…ad avviso di questo Comune le concessioni e autorizzazioni commerciali, rilasciate nell’agglomerato commerciale in argomento, non possono definirsi non conformi al dettato normativo. A norma della vigente legislazione in materia non può essere condiviso l’assunto che ci troviamo davanti a un'unica grande superficie di vendita’.

Qui, secondo il decreto legislativo del 1998, la cosiddetta legge Bersani, dice, definisce cos’è un centro commerciale: ‘…perchè una pluralità di attività commerciali possa essere identificata quale grande, unica struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi gestiti unitariamente, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente. Quindi, perché sia un centro commerciale, una grande struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente’.

Poi, siccome non basta la legge Bersani, dice: ‘…in questo senso, anche la citata decisione del Consiglio di Stato del 2004, punto’. Questo è quello che dice la Legge Bersani e questo è quello che conferma il Consiglio di Stato nel 2004. Poi dice: ‘…nulla di tutto questo è presente nelle strutture commerciali in argomento. Ci troviamo di fronte a più esercizi commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinti tra loro’. E allora io dico che qualsiasi persona di buon senso può andare lì e vedere se ci troviamo davanti a strutture commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinte tra loro.

Io credo che lì, insomma, siano non solo formalmente assieme, ma di fatto e in tutte le maniere possibili. E come questo? Intanto, basta vedere la pubblicità che fanno: dal 7 aprile, usano dei nomi strani, shopping al nuovo centro dell’isola, la ‘Corte del Sole’, poi sotto, la ‘Corte del Sole’ è citata come centro commerciale, quindi, di fatto è un grande centro commerciale e mi sembra che sono tutti assieme, non mi sembra che si siano presentati da soli.

Poi abbiamo un po’ di spazi comuni: parcheggi, percorsi, gallerie, impianti di aria condizionata, impianti elettrici, servizi di tutti i tipi e un’unica infrastruttura. Non solo, le persone più indicate per dirci se è un progetto in comune o no sono quelle della la stessa impresa che l’ha sviluppato: il gruppo Policentro. Basta andare nel suo sito e c’è scritto: la ‘Corte del Sole: data di apertura 7 aprile’. E dicono ‘superficie’, non è che dicono: la ‘Corte del Sole è il supermercato di 5.000 mq’. No dicono: ‘Superficie 120.000 mq; posti auto: 3.000’. Non è che dice ‘quel signore ne ha dieci, io ne ho tre, quell’altro ne ha 7…., ma dicono: posti auto 3.000’. Numero attività? Non le distingue. Ci sono tutte queste attività: centro commerciale, 41 negozi, 107 negozi, Iperpan, Semeraro mobili, numero di ingressi… lo presentano assolutamente come un posto comune, un villaggio comune.

Non solo, presentano anche questa roba qui, che vi consiglio a tutti di vedere, non è che presentino cose separate. Che cos’è questo? Mi pare che sia un centro commerciale. Poi le chiamano: un pezzo ‘Shopping Center’, un pezzo ‘Ritey Park’, un pezzo ‘Factory Outlet’, però di fatto è un centro commerciale. Non solo, qui stesso loro scrivono: ‘completezza dell’offerta’, c’è tutto. E dicono: ‘Sestu Center è in grado di allargare il potenziale bacino di utenza a tutta la regione, quindi dicono loro stessi che stanno facendo una cosa regionale, che non riguarda Sestu, riguarda tutta la regione.

Ma la regione la programma la Regione, non il Comune di Sestu. Poi dentro, vedrete che ci sono le piantine di tutte queste cose, e naturalmente le presenta in maniera unitaria. Spazi comuni, parcheggi, percorsi, poi qualcuno cerca di dire adesso che le gallerie sono vie pubbliche. Io vie pubbliche di fatto coperte… non le ho mai viste insomma, o le piazze col tetto non le ho ancora viste in Italia, queste sono una novità… vabbè, quindi basta vedere queste robe qui.

Non solo, queste cose sono depliant che risulta siano stati presentati anche a una recente fiera internazionale di grandi operazioni immobiliari, fuori dall’Italia addirittura. Com’è che dice? ‘Esercizi commerciali non solo formalmente, ma unitariamente, di fatto, assolutamente distinti tra loro’. Non mi pare che i commercianti di Sestu si siano trovati per caso fuori dall’Italia a presentare, ognuno per proprio conto, un pezzo di attività commerciale di fatto assolutamente distinta tra loro. E’ evidente che è un unico progetto. Questi progetti qui si chiamano, come l’ha spiegato bene il Comune di Sestu: centri commerciali. E l’avrei detto anche al Consiglio di Stato. E i centri commerciali sono all’interno delle grandi strutture di vendita, all’interno della programmazione regionale. E la programmazione regionale, già nel 2001, aveva indicato per questo tipo di attività 5.000 mq e loro a quello si dovevano attenere.

Quindi non c’è nessuna attività persecutoria, però c’è unitamente la volontà di far rispettare le regole in questa Regione, perché se non si rispettano le regole allora ognuno va avanti per conto proprio. E scusatemi, noi, la Regione deve essere in grado di far rispettare le regole con i chioschi del Poetto o con il piccolo operatore commerciale o con il piccolo bar, al quale spesso magari mettiamo delle multe o gli facciamo chissà che cosa perché non rispetta le regole. Ma deve essere anche in grado di far rispettare le regole anche davanti ai grandi operatori.

Non è che se una infrazione diventa grande – e perché è grande - deve essere accettata. Le regole devono essere rispettate dai piccoli e dai grandi. E siccome glielo stiamo dicendo da maggio del 2005, è evidente che loro hanno voluto metter tutti quanti davanti al fatto compiuto. E dispiace che un comune abbia impiegato 5 mesi per dare delle indicazione alla Regione, per restituire un pezzo di carta.”

Mario Mossa (Rai):

“Presidente, mi scusi, quale é la situazione a questo punto? Perché per esempio loro dicono che la Regione non deve metter il naso in questa faccenda perché non le riguarda. Cosa accade se loro aprono?”

Presidente Soru:

“Io non so chi dica queste cose. Non lo so. In Italia ci sono dei tribunali. Ieri i dirigenti della Regione hanno emesso due provvedimenti che oggi sono stati notificati. Ho sentito parlare che qualcuno diceva: ‘Non facciamoci trovare; non ce li notificano, si notificano nella casa comunale’. Sarebbe alquanto irriguardoso che il sindaco di un comune si faccia notificare le cose nell’albo pretorio del comune, come fosse uno sconosciuto qualsiasi. Sarebbe un po’ assurdo e spero che questo non accada. Ci sono delle leggi in Italia: e le leggi in Italia si applicano e si rispettano. E se non c’è qualcuno che non rispetta le leggi, il 7 Aprile ci sarà qualcuno che le farà rispettare. Volevo dire una cosa: attualmente ci sono due procedimenti in corso: c’è il nulla osta regionale per le attività commerciali legate alle grandi strutture di vendita, che è in sospeso, e c’è il procedimento di revoca di quel nulla osta che è in corso. La revoca si potrà fare dal 7/8 aprile perché devono passare 15 giorni. In questo momento è aperto il procedimento di revoca del nulla osta regionale; nel frattempo sono sospese. In questo momento è aperto anche il procedimento di annullamento delle concezioni edilizie. Significa che nel frattempo sono sospesi i lavori: nel frattempo non si può più piantare un chiodo. E questo viene notificato al comune, all’impresa, al direttore dei lavori.”

Mario Mossa (Rai):

“Sta avvenendo in queste ore l’opera di notificazione?”

Presidente Soru:

“Credo di sì, non ci vogliono ore per notificare.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“I lavori sono già terminati, nel senso che lì hanno già costruito.”

Presidente Soru:

“Mi scusi, noi avremmo fatto questa cosa prima, se avessimo avuto le risposte prima; però ci avevano detto che si trattava di lavori che potevano essere sanati. C’è stata presentata una variante di lottizzazione il 20 marzo. E abbiamo verificato che si tratta di lavori totalmente in difformità. E per questo motivo, ai sensi della legge regionale sull’urbanistica, la dirigenza regionale ha esercitato i poteri sostitutivi e ha avviato il procedimento di avviamento di annullamento alla concessione edilizia, ha sospeso i lavori. Sospendere i lavori significa che i lavori che sono stati fatti sono fatti, i lavori che devono essere ancora fatti non possono essere più fatti - compresi i lavori di ultimazione, di collaudo, di agibilità -.”

Giorgio Greco (Ansa):

“Dal punto di vista dell’iter significa che la Regione, dopo aver ricevuto il 16 gennaio questa risposta, ha dato corso ad un’attività che ha portato al 20 marzo, giusto?”

Assessore Sanna:

“No, come diceva il presidente c’è stata una difficoltà di accesso agli atti, più volte richiesta da noi, e mai ottenute nei termini fissati dalla legge. Dopodiché hanno attivato la vigilanza urbanistica, che è andata a fare i sopraluoghi e ha acquisito presso la sede comunale gli atti relativi all’intervento. Per cui era chiaro che quelle concessioni si configuravano all’interno di una variante che avevano valutato. La variante era difforme alla realizzazione e noi abbiamo notificato al comune che le concessioni si configuravano difformi rispetto alla variante.”

Presidente Soru:

“Quindi in palese contrasto con quello che diceva che si tratta di attività non solo formalmente… ”

Assessore Sanna:

“La prima variante era conforme all’autorizzazione regionale, cioè ottemperava al rispetto dei canoni fissati dalla legge Bersani. L’hanno realizzata difformemente, poi hanno presentato una variante cercando di sanare urbanisticamente le cose. Urbanisticamente non erano sanabili in quanto hanno violato i parametri della legge commerciale che individua le due categorie di autorizzazioni diverse: le competenze comunali e le competenze regionali. Non ci può essere sanatoria in continuità perché questa è una disciplina mista amministrativo-commerciale e urbanistica e la disciplina commerciale individua in un parametro urbanistico la distinzione delle competenze, e quindi si applica contemporaneamente.”

Presidente Soru:

“Forse dobbiamo chiarire che c’è una complessità in questa cosa. Attraverso la legge Bersani ad un certo punto la disciplina delle autorizzazioni commerciali, la disciplina delle concessioni edilizie e la disciplina dell’urbanistica si incontrano; per cui di fatto si dà contemporaneamente una concessione edilizia e una autorizzazione amministrativa convergenti in modo da dare certezza al diritto e alle imprese. Nel momento in cui cade il presupposto dell’attività commerciale, cade anche il presupposto per le concessioni edilizie. Poi non è detto che quei fabbricati in futuro non possano essere considerati apposto dal punto di vista meramente edilizio. Non possono essere considerati apposto dal punto di vista della legge commerciale.”

Valerio Vargiu (Videolina):

“Quindi si esclude che possa essere la Punta Perotti della Sardegna?”

Presidente Soru:

“Non c’è necessità di questo. Escludo che possa essere un centro commerciale fuori da ogni legge. Vorrei suggerire una chiave di lettura interessante: tutta questa cosa come nasce? Dal cercare di trovare degli escamotage attraverso le pieghe della legge. La legge dice, come ha ricordato il sindaco, che le grandi strutture di vendita vanno approvate dalla Regione. La Regione aveva una sua pianificazione, ce l’aveva allora e ce l’ha tuttora; sulla base della pianificazione regionale è stato concesso il nulla osta per una grande struttura di vendita di circa 5000 mq. Poi loro dicono ‘Benissimo: questi 5000 mq mi vanno bene. Però ci aggiungo una media superficie di 2500 mq perché questa la può autorizzare il comune di Sestu'. Poi, anziché aggiungerne una, ne aggiungono 10. Tutte lo stesso momento, una appresso a l’altra. Ma un centro commerciale più un altro negozio, che cosa sono? Un centro commerciale più un altro negozio o un centro commerciale più grande? Un centro commerciale più 10 negozi non sono un centro commerciale più 10 negozi, sono un centro commerciale più grande. Soprattutto se si costruiscono assieme, se sono all’interno dello stesso edificio, se vengono presentati assieme, se hanno servizi comuni, se fanno parte di un progetto unitario, se hanno servizi comuni – compresi quelli di marketing comuni – e in più se fanno anche parte di un unico condominio. E qui è evidente che hanno anche accordi condominiali.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“Loro sostengono che c’era un modus vivendi in precedenza accettato. Ad esempio anche Le Vele è stato fatto in questo modo.”

Presidente Soru:

“E’ possibile. Se qualche volta c’è stato un modus vivendi diverso, io non lo so. Noi abbiamo il modus vivendi di far rispettare le cose.”

Assessore Depau:

“Io ho da aggiungere qualcosa sull’inizio di questa procedura. Il primo incontro con il sindaco Taccori, il precedente sindaco di Sestu, è stato fatto nell’estate del 2004, quindi poco dopo il nostro insediamento. Lui è venuto in assessorato, con i suoi dirigenti, ha precisato che era una vicenda del comune, ha assicurato che le carte erano in regola, da lì abbiamo iniziato un’interlocuzione perché l’assessorato ha chiesto l’accesso alle carte ecc., e infine siamo arrivati fino al nuovo sindaco proprio perché noi avevamo di fronte un comune e abbiamo iniziato a trovare un modo di poter controllare una vicenda che già si identificava come ‘pesante’: c’erano già le denuncia degli altri commercianti, che venivano a lamentarsi di questa vicenda - per cui è un processo che è iniziato da subito dopo il nostro insediamento -. Poi con il nuovo sindaco, dopo che abbiamo visto che non arrivavano le carte, abbiamo incominciato a scrivere.”

Presidente Soru:

“Abbiamo iniziato a scrivere e ci hanno risposto dopo 5 mesi.”

Roberta Secci (Agenzia Italia):

“Questo ricorso al Tar, invece, questo è un ricorso contro il comune.”

Presidente Soru:

"Si è un ricorso che serviva contro la risposta del 16 gennaio che diceva che era tutto apposto e che non era obbligato agli atti conseguenti, alla revoca. Io voglio concludere. Per noi la cosa più importante è questa qui: non ci sono, non ci possono essere modus vivendi. L’unico modus vivendi è quello delle regole, è quello del puntale rispetto delle leggi. E noi abbiamo l’obbligo di farle rispettare a tutti. E le facciamo rispettare a tutti i piccoli operatori commerciali: agli ambulanti, ai chioschi sulle spiagge. E qualche volta siamo severi, a volte, perché la legge è qualche volta netta e severa con i piccoli commercianti. E dobbiamo essere netti e severi anche con le grandi imprese e non farci scoraggiare e intimidire. Io credo che la grande distribuzione, che è arrivata fino adesso, sia arrivata all’interno delle leggi: c’era una panificazione commerciale, c’erano dei metri quadri per le superficie di vendita e sono stati dati; ad un certo punto non ce n’erano più : ne erano rimasti 5000. E bisognava utilizzare quei 5000 e non inventarsene degli altri. Per fare una cosa che loro stessi dicono nel sito - e che raccontano nel loro materiale - non essere nemmeno provinciale. Per loro il bacino d’utenza è tutta la regione. Ma questo si può fare al di fuori di ogni regola? Vi volevo dire una cosa: la Regione sta facendo tutto il possibile per evitare lo spopolamento dei comuni, per rafforzare la crescita e la possibilità di vita dei piccoli comuni. È evidente che ciò che agisce sul bacino d’utenza regionale è del tutto contrario a questo tipo di interessi. Siamo interessati a far crescere la città; siamo interessati a far crescere la vivibilità e l’attrattiva turistica di Cagliari; siamo interessati a promuovere la crescita dei nostri piccoli operatori commerciali. Come sapete la nuova legge regionale, ma anche la legge finanziaria, mette a disposizione quasi 10 milioni di euro per i centri commerciali naturali. Quindi è vero che la politica regionale va assolutamente in senso opposto a questo tipo di strutture che sono un grande trasferimento di valori di immobiliari dal centro della città alle periferie. Sono tanti a perdere valore immobiliare e sono pochissimi quelli a guadagnare, in pochissime settimane, delle cifre molto importanti. Oltre a ciò il danno sociale che si fa nei piccoli comuni, nella città di Cagliari e ai tanti operatori commerciali. Un fatto emblematico: un negozio di via Garibaldi, che è stato fotografato, ha già un cartello: ‘Trasferito a Sestu’. Non se ne inventano altri, si chiude a Cagliari e si apre a Sestu. E noi non siamo interessati a svuotare la città.

Nota: a proposito di questo discusso progetto, qui su Mall si vedano anche gli interventi inediti di Sandro Roggio e Antonietta Mazzette, del Centro Studi Urbani dell'Università di Sassari (f.b.)

Sintesi della conclusione

Nove anni di applicazione della legge regionale 5 del 1995 sono sufficienti per tentare di tracciare alcune parziali conclusioni.

1. Grande mobilitazione amministrativa e politica

Il primo punto conclusivo è legato all’attenzione pubblica su un nuovo modo di governare che la legge ha portato nell’agorà del dibattito e della gestione del territorio: 255 comuni su 287, cioè l’89% dei comuni della Toscana, che avviano il procedimento con le nuove norme di legge portano ad una incredibile mobilitazione delle coscienze, del dibattito politico, della gestione dei fatti amministrativi, dell’esigenza del governo pubblico del territorio, che io definisco un vero e proprio successo amministrativo e politico della Regione Toscana e del sistema delle autonomie.

2. Tempi contenuti in un mandato amministrativo

Di questi 255 piani avviati, ben 136 cioè il 47% dei comuni della Toscana (interessanti il 40% della superficie e il 55% della popolazione) sono giunti all’adozione e ben 93 (interessanti il 26% della superficie e il 37% della popolazione) all’approvazione finale in tempi assolutamente contenuti: una media di 775 giorni per la costruzione del piano (dall’avvio all’adozione), quindi poco più di 2 anni, cui si aggiungono i tempi per l’approvazione: una media di altri 392 giorni, poco più di un altro anno. Quindi in circa 1.167 giorni (3 anni e 2 mesi) con le norme della 5/95 l’intenzionalità politica fatta all’avvio del procedimento si trasforma in governo del territorio.

Se poi aggiungiamo anche i tempi globali che servono per portare all’approvazione anche del Regolamento Urbanistico, a una media di 592 giorni (tra avvio, adozione, approvazione), cioè altri 18 mesi, possiamo dire che in un tempo medio di 4 anni e mezzo, quindi all’interno di un mandato amministrativo è possibile formalizzare un piano pubblico e dunque dare corso ai progetti pubblici e privati.

Questo lo chiamo successo politico e nuova intelligenza procedurale che ha portato ad una grande mobilitazione pubblica. Mai nella storia di questa Regione una legge sulla pianificazione aveva destato tanto interesse e applicazione.

La novità di questa mobilitazione è anche legata alla trasparenza della intenzionalità politica locale. Prima della Lr 5/95 non era possibile conoscere i tempi della discussione. Quando si diceva che un vecchio piano regolatore generale impiegava 7-8-9 anni per completare la procedura, i tempi erano calcolati dopo l’adozione del piano: l’unico tempo certo conosciuto.

Certo ci sono criticità che non vanno nascoste: ancora troppi comuni che hanno avviato il procedimento e non lo hanno concluso; come altri pur avendo approvato un piano strutturale non hanno dato corso al successivo Regolamento urbanistico.

3. Deciso freno all’espansione dell’urbanizzato

La ricerca dell’IRPET ha un grande merito: aver analizzato non un campione di Piani Strutturali, ma tutti i Piani strutturali che hanno concluso l’iter procedurale. Sono 93, la maggior parte dei quali ricadenti nelle aree più dinamiche della Regione: il valdarno e la costa settentrionale.

La 5 ha introdotto concetti e temi nuovi, tra cui il concetto di «carico massimo ammissibile»calcolato in funzione delle risorse territoriali.

Il concetto non sempre è stato declinato in modo innovativo. Molti professionisti lo hanno inteso come il vecchio e tradizionale «fabbisogno». Non è così, la 5 è più avanti e pone sfide di sostenibilità dello sviluppo del tutto nuove: sfide di censimento e riconoscibilità delle risorse; sfide di sostenibilità dello sviluppo; sfide di giustificazione della crescita; sfide di miglioramento delle condizioni di vivibilità per territori e per città; sfide di migliori alternative possibili e di priorità definite attraverso un sistema di valutazioni.

Dalla ricerca emerge che il cammino è ancora lungo, ma la sfida più forte da vincere: quella di un freno all’espansione dell’urbanizzato sembra evidente.

Il carico massimo ammissibile nei 93 Piani strutturali studiati è il 12% di incremento rispetto al patrimonio abitativo e il 13,7% rispetto alla popolazione al 2001.

Non bisogna dimenticare che si sta parlando di Piani strutturali, che per legge hanno tempi di validità indefiniti, e che hanno lo scopo specifico di tracciare le linee strategiche di lungo periodo, partendo dalle specificazioni strutturali del territorio.

Attenzione, fatto 100 il carico massimo ammissibile, ben il 25% (con punte del 36,7% nella Toscana dell’Arno) è rappresentato dal residuo di previsione urbanistica previste dai vecchi piani regolatori vigenti prima dell’entrata in vigore della 5.

La frenata dell’impegno di suoli è più evidente nei comuni con più di 40.000 abitanti, rispetto agli altri. Questo è un segno assai positivo.

Se andiamo a rivedere i tassi medi di crescita nei decenni precedenti e nei piani prima della 5, la distanza è netta, evidente e lampante. Nei casi in cui ciò è possibile: come a Prato dove il vecchio PRG era dimensionato per 386.000 abitanti teorici al 1987 (il comune, secondo il censimento del 2001 ha una popolazione di 172.000 abitanti). Il Piano strutturale di Prato ha un dimensionamento di 194.600 abitanti teorici, con un incremento rispetto ai dati del 2001 di appena il 12,8%.

Questi sono dati che non possono essere sottovalutati. L’incremento del 12% (che comunque si trascina dietro il residuo dei vecchi PRG) è utile e si spiega con le profonde trasformazioni socio-economiche (si pensi all’ampiezza media delle famiglie) che impongono nuove modalità residenziali che non sempre possono essere soddisfate all’interno del tessuto edilizio esistente.

4. Il Regolamento urbanistico è uno strumento operativo a tempo

Un punto ancora da rafforzare è il secondo segmento del nuovo piano regolatore della Toscana. I Comuni che hanno anche approvato il Regolamento urbanistico sono 57 (cioè il 61% di quelli che hanno approvato il Piano strutturale).

Il passaggio dal Piano strutturale all’approvazione del Regolamento urbanistico è un punto di criticità: è troppo lento una media di 592 giorni deve essere compattato.

Questa considerazione, tuttavia, mi porta ad affermare che se esiste una percezione diffusa che la legge 5 ha riavviato l’edilizia in Toscana, questa percezione non è legabile alla Pianificazione strutturale, né al Regolamento urbanistico, quanto ai residui dei vecchi piani regolatori vigenti avvalendosi delle nuove procedure dell’art. 40.

Un punto di ulteriore criticità è il prevalente utilizzo del carico massimo ammissibile nel primo Regolamento urbanistico. Non è sbagliato in assoluto, è forse inopportuno, perché le sue previsioni pubbliche decadono dopo cinque anni dall’approvazione. E’ dunque auspicabile che la quota di carico ammissibile del Regolamento segua e sia armoniosa con le previsioni pubbliche.

5. Le strategie vanno nella direzione di uno sviluppo attento alle risorse

Elemento di rilievo è il grande sforzo argomentativo che tutti i Piani strutturali tendono ad avere. Questo significa che ci si interroga molto e che i quadri conoscitivi tendono ad avere delle letture ampie.

Anche i temi prevalenti vanno in questa direzione, seppur emerge ancora una certa dispersione delle strategie locali in un numero alto di temi e di obiettivi. Ma la Toscana è ricca di localismi e di particolarità, e non ha bisogno di omologazioni.

6. I punti del Modello Toscana

Il modello Toscana di governo del territorio che è contenuto nella riforma della legge 5 e nei suoi sviluppi evolutivi ha questi punti:

- Il territorio è patrimonio collettivo indivisibile

- Nessuna risorsa del territorio può essere ridotta in modo significativo e irreversibile

- Sviluppo e qualità: valorizzazione delle diverse identità

- Superamento delle pianificazioni separate: il procedimento deve riunificare soggetti e competenze

- Stato, Regioni, Province, Comuni: sussidiarietà e pari dignità

- La valutazione a sostegno della responsabilità, la partecipazione a garanzia di trasparenza

- Tutti gli strumenti della pianificazione hanno un contenuto statutario e uno strategico

- Compete alle istituzioni definire preventivamente valori comuni non negoziabili

- Piano pubblico, progetti pubblico-privati: verso un piano capace di generare progetti

- Coincidenza tra programmazione generale dello sviluppo e strategie della pianificazione territoriale

- Ogni livello di piano contiene lo Statuto del territorio

- Lo Statuto del territorio proietta nel futuro regole non negoziabili e indirizzi per l’evoluzione del paesaggio

- La Toscana della qualità: il governo del territorio per una società coesa e solidale.

Vietato tutelare le coste. Il governo contro Soru

COSTANTINO COSSU

In Sardegna la Casa delle libertà apre la sua campagna elettorale di opposizione usando l'artiglieria pesante, quella del governo nazionale. Ieri il consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale che per un anno vieta qualsiasi costruzione sulle coste in una fascia di due chilometri dal mare. Berlusconi e soci sono ricorsi all'articolo 127 di quella stessa Costituzione che stanno alacremente lavorando a smantellare; articolo che dà all'esecutivo, quando ritenga che una legge approvata da un consiglio regionale ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali, di rinviare il testo allo stesso consiglio regionale. E visto che c'era, il governo impugna anche il blocco, votato dall'assemblea sarda, dei cantieri per la costruzione di centrali eoliche.

Il presidente della giunta sarda, Renato Soru, risponde con una nota dai toni molto duri: «Dalla lettura delle motivazioni non si capisce che cosa vuole dire il governo. La Regione tutela troppo o troppo poco il suo territorio? Può disporre di una delle sue risorse fondamentali, l'ambiente, oppure non deve farlo perché il governo pensa di poterne fare una tutela migliore? E in attesa che lo faccia, dobbiamo assistere impotenti alla distruzione definitiva di questo bene?».

Soru rivendica l'autonomia della Regione: «Mettono in discussione i poteri e la nostra autonomia speciale in maniera anacronistica, quando una Regione a statuto ordinario, la Toscana, solo pochi giorni fa ha avuto riconosciute le competenze in materia di tutela del patrimonio artistico e culturale, e ha ottenuto questo risultato nonostante l'opposizione del governo. Questo ci incoraggia nella rivendicazione del nostro diritto di programmare responsabilmente l'uso delle nostre risorse in funzione dello sviluppo».

Forte del sostegno della sua maggioranza, che va dall'Udeur a Rifondazione comunista, Soru dice che lui non mollerà: «Credo che siamo dalla parte giusta. E a leggere le motivazioni non mi viene nessun dubbio su quello che abbiamo fatto nei mesi scorsi. Il ricorso è così singolare in quella prima parte, che spinge a pensare che l'intento del governo sia quello di bloccare la norma che impedisce che la Sardegna diventi la piattaforma eolica del Mediterraneo. La Sardegna sta già facendo abbondantemente la sua parte e non può essere obbligata a fornire da sola la quasi totalità della produzione di energia eolica italiana.

Questo, in realtà, stava accadendo. Dopo le servitù militari non può esserci imposta anche la servitù eolica nazionale. E dopo, cos'altro?». Ieri a Cagliari c'era Fausto Bertinotti, che partecipava ad un'assemblea precongressuale di Rifondazione. Dal segretario del Prc è venuta una dichiarazione di sostegno alla giunta Soru: «Siamo in presenza di un tentativo di rivincita del partito del condono. Sono davvero curiosi questi federalisti, che non trovano di meglio», osserva il segretario del Prc, «che intervenire centralisticamente contro i pronunciamenti democratici di una comunità che difende l'integrità del suo territorio. In realtà non sarebbero intervenuti se i sardi avessero deciso di devastare le coste con la speculazione».

Sul fronte delle associazioni ambientalistiche, Legambiente si è fatta sentire con il segretario nazionale, Roberto Della Seta, e con il segretario sardo, Vincenzo Tiana: «E' l'ennesima dimostrazione di come il governo non abbia minimamente a cuore la tutela del paesaggio e del territorio della Sardegna ed è vergognoso che dopo aver reso possibile la sanatoria degli abusi edilizi, abbia il coraggio di impugnare l'unica legge in grado di tutelare il paesaggio e l'ambiente della regione. E' un atto grave e per di più paradossale, perché la legge regionale assume come riferimento per il piano paesistico della Sardegna proprio il codice Urbani, redatto da questo stesso Consiglio dei ministri».

BERLUSCONI

Uno stop interessato

SANDRO ROGGIO

Le questioni che riguardano le autonomie regionali sono materia delicata che non può essere trattata secondo gli interessi in gioco. Ma ormai è chiaro che la devolution funziona per il governo come meglio conviene, e se conviene ci si può contraddire quante volte serve. Tocca ora alla Sardegna subire l'ultimo tentativo di prevaricazione e su un aspetto delicato appunto. Se ne parlava da tempo e non stupisce, che il Consiglio dei ministri abbia deciso di impugnare per aspetti di legittimità costituzionale la legge regionale sulla tutela del territorio costiero in vigore dal novembre scorso.

Una legge importante per la Sardegna. La maggioranza che sostiene il presidente Soru ha dato con questo atto il primo segno concreto di cambiamento: ponendo un vincolo provvisorio per una fascia di due km dal mare, in attesa di un piano paesistico adeguato al valore dei paesaggi litoranei.

Un atto di grande civiltà, salutato da molti, anche fuori della Sardegna, con soddisfazione: un provvedimento che decide finalmente l'inclusione delle straordinarie coste isolane tra i grandi beni culturali del paese. E che consente di immaginare un uso turistico fondato sulla valorizzazione e non sul consumo di risorse limitate. Ma sono le argomentazioni dei vari detrattori di questa linea, tutti molto interessati a lasciare le cose com'erano, che spiegano la giustezza della misura. L'attacco del centrodestra, in prima fila i sindaci galluresi è nel nome dell'«autonomia comunale violata» da un provvedimento che, si dice, è «contro lo sviluppo». Una linea arretrata che i sardi che non hanno interessi da difendere hanno dimostrato di non condividere in questi mesi ( il programma elettorale di Soru - vincente - metteva ai primi punti e con evidenza questo argomento). Dopo avere perso al Tar i sindaci dei comuni costieri del centrodestra hanno chiesto aiuto a Berlusconi che di buon grado ha schierato il governo.

Avrebbe dovuto lasciar perdere. Sia per rispettare la decisione di una Regione (la cui autonomia ha più di cinquant'anni) e che è frutto di un dibattito faticoso e partecipato. Sia perché ancora una volta risalta e stride il suo conflitto d'interessi. La famiglia Berlusconi detiene, come tutti sanno, la proprietà di quella vasta area in comune di Olbia dove era previsto, molto vicino alla linea di battigia, un intervento edilizio di notevoli dimensioni che la nuova legge regionale sospende e che dovrà attendere al pari di altri progetti l'approvazione del piano paesistico. Lo statuto sardo prevede i poteri nelle materie dell'urbanistica e del governo del territorio. Me è bene non azzardare un'ipotesi sulla decisione della Corte che dovrà dire se il Consiglio regionale sia andato al di là delle proprie competenze invadendo quelle statali. E' il minimo dire però che anche questa volta il presidente Berlusconi non è stato elegante.

E' davvero singolare che la storia in qualche modo si ripeta. Nel 1989 il governo De Mita, sollecitato dalle proteste di alcuni imprenditori edili, rinviava con cinque rilievi la prima legge urbanistica che conteneva importanti norme per la tutela del territorio obbligando il Consiglio regionale ad apportare alcune modifiche non sostanziali. Una caso clamoroso, con reazioni di sdegno in Sardegna e prese di posizione fuori dall'isola tra cui quella di Antonio Cederna che denunciava la mentalità incolta e reazionaria del governo dell'epoca e degli imprenditori che avevano fatto pressioni. I lettori di questo giornale non faranno fatica a individuare almeno uno di quegli imprenditori.

DALLA PARTE DEL MATTONE

La mossa di Pisanu per riprendersi l'isola

CO. COS.

Tra pochi mesi in Sardegna si voterà per le amministrative. La Casa delle libertà, sconfitta nelle elezioni regionali del giugno 2004 da una coalizione di centrosinistra allargata a Rifondazione e ai movimenti, è in forte difficoltà. I sondaggi più recenti confermano la popolarità della giunta di centrosinistra e di Renato Soru, stabile nei livelli di consenso altissimo che gli hanno consentito di sconfiggere Mauro Pili, il candidato di Forza Italia. E' evidente che l'iniziativa politica del centrodestra a Cagliari, in Consiglio regionale, contro la maggioranza non ha sortito grandi effetti. Da giorni il tam tam delle indiscrezioni dava per sicuro ciò che poi è effettivamente accaduto. I dirigenti sardi di Forza Italia hanno fatto pressing su Silvio Berlusconi per ottenere una clamorosa bocciatura della legge salvacoste da utilizzare in campagna elettorale. Il calcolo della Casa della libertà, e di Forza Italia in particolare, è il seguente: in molte zone dell'isola la legge salvacoste solleva una fortissima opposizione, che bisogna cavalcare per tradurla in termini di consenso elettorale. Il partito della cementificazione ha ramificazioni vaste nella società sarda, muove interessi trasversali e compra sostegni. Su questo - anche su questo - punta il centrodestra sardo per recuperare voti. Uno dei tramiti della manovra di pressione della Cdl sarda verso il governo è il ministro dell'Interno, Beppe Pisanu. Ma un ruolo importante svolgono anche l'ex candidato governatore alle regionali, Mauro Pili, che ha rapporti personali strettissimi col Cavaliere, e il sindaco forzaitaliota di Olbia, Settimio Nizzi, che dalla legge sul blocco delle costruzioni si è visto annullare progetti urbanistici che avrebbero deturpato un vastissimo tratto di costa. Tra i piani di cementificazione approvati dalla maggioranza di centrodestra c'è anche quello di Costa Turchese, a sud di Olbia, un mega-villaggio turistico che doveva essere costruito da una società di cui è presidente Marina Berlusconi. Quindi, la legge impugnata dal governo affonda un progetto imprenditoriale di una impresa diretta dalla figlia del capo dell'esecutivo. Ma questo piccolo dettaglio sembra interessare poco e nulla Forza Italia e alleati. La legge che fissa a due chilometri dal mare il limite per nuovi insediamenti è stata approvata dall'assemblea sarda il 24 novembre 2004 dopo una maratona di un mese, tra mille polemiche e una battaglia dell'opposizione all'insegna di un duro ostruzionismo. Sindaci e amministratori del centrodestra, da subito in prima linea contro il provvedimento di salvaguardia varato a maggioranza dal Consiglio regionale, l'altro ieri hanno preso carta e penna e hanno scritto a Silvio Berlusconi: «La legge salvacoste è incostituzionale e arreca un grave pregiudizio economico-finanziario agli enti locali che perderanno svariati milioni di euro di entrate Bucalossi e Ici».

E' la riproposizione di un modello di sviluppo turistico di rapina, che devasta il territorio senza creare alcuna prospettiva stabile di crescita economica. La stessa filosofia che porta il centrodestra ad opporsi, dappertutto in Sardegna, all'istituzione di parchi e di aree protette. Due giorni fa il ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, ha annunciato che il governo cancellerà il parco del Gennargentu. Un altro spot elettorale della Casa delle libertà. Forza Italia ieri si è fatta sentire con Enrico La Loggia, ministro per gli Affari regionali, che ha bollato come «polemiche strumentali e becere» le contestazioni dell'opposizione. Perché il governo non poteva fare diversamente lo spiega bene il Verde Marco Lion, capogruppo alla Camera in commissione Ambiente: «Con questa decisione la Cdl si schiera dalla parte degli speculatori. E' gravissimo che questo governo, dopo aver impugnato cinque leggi regionali che cercavano di ridurre i danni dello sciagurato condono edilizio voluto dal centrodestra, aggredisca ora una norma di gestione del territorio capace di garantire prospettive di sviluppo in Sardegna».

IL CASO VILLA CERTOSA

Costruita proprio sul mare, in località Punta Lada (non proprio in Costa Smeralda ma quasi) ampliata grazie all'acquisto di 40 ettari di terreno, Villa la Certosa è la casa al mare dove Silvio Berlusconi riceve i suoi ospiti, presidenti e capi di stato. E' all'interno di una zona protetta eppure è sottoposta a lavori pesantissimi, gallerie sotterranee ma anche un anfiteatro, sui quali è calato il silenzio. Segreto di stato per esigenze di sicurezza del primo ministro: la Certosa, è stato detto ai magistrati di Tempio Pausania, deve considerarsi sede del governo. Una sanatoria ad hoc è prevista nella delega ambientale, approvata con la fiducia.

MA QUALE DEVOLUTION

«E' assurdo che un governo che parla tanto di devolution e autonomie locali si comporti in questo modo ogni volta che una regione mette in atto la propria indipendenza in maniera positiva». E' il commento di Italia Nostra alla decisione del governo di impugnare la legge salva coste della regione Sardegna. «Siamo indignati, è campata in aria la motivazione secondo cui la legge bloccherebbe il turismo, visto il recente calo di visitatori sull'isola non si capisce il bisogno di nuove strutture».

SMENTISCONO CIAMPI

«La legge sarda dava finalmente una risposta ferma e precisa, nel nome dell'interesse pubblico, a una miriade di piccoli e grandi progetti speculativi», dice il Wwf. Secondo l'associazione impugnando la legge il governo è in contrasto «con l'appello alla legalità lanciato poco fa dal presidente Ciampi».

CON GLI SPECULATORI

«Dopo aver impugnato 5 leggi regionali che cercavano di ridurre i danni del condono edilizio, il governo si schiera con gli speculatori e aggredisce una norma capace di garantire tutela e prospettive di sviluppo alla Sardegna».

«POLEMICHE BECERE»

Tante critiche fanno arrabbiare il ministro agli affari regionali Enrico La Loggia, l'unico del governo a reagire: «Polemiche becere e strumentali».

sull'argomento anche:

Eddytoriale 60 (17.12.2004)

Eddytoriale 55 (28.9.2004)

Eddyytoriale 53 (28.8.2004)

PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE: CONFERENZA STAMPA

CAGLIARI, GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2006, ASSESSORATO ENTI LOCALI.

Assessore Sanna:

''Allora, cominciamo, grazie della vostra presenza. Abbiamo convocato un incontro con voi perché abbiamo appena ultimato il primo ciclo di conferenze che hanno avviato la co-pianificazione. Abbiamo tenuto complessivamente 24 conferenze, di cui 22 che hanno riguardato gli ambiti paesaggistici, che come voi sapete sono 27, e abbiamo aggiunto una conferenza esclusivamente attinente alle problematiche delle province.

Abbiamo incontrato le province l’altro giorno e ieri abbiamo concluso con tutte le associazioni degli industriali della cooperazione, del commercio e dell’artigianato, cercando di affrontare con loro le problematiche specifiche che riguardano quelle organizzazioni. I comuni interessati in questa fase sono stati 72, della fascia costiera, e hanno partecipato complessivamente alle conferenze 93 comuni. Ci sono stati una ventina di comuni che, per interesse e per conoscenza, si sono aggiunti ai 72. Alle 24 conferenze hanno partecipato circa 1.000 persone registrate, oltre quelle che ovviamente hanno partecipato a titolo personale e quindi non sono state registrate: una media di 70 persone a conferenza. Di queste persone, circa 300 erano amministratori comunali e provinciali, in rappresentanza delle 8 province e dei 93 comuni appunto. Hanno partecipato 160 dirigenti, tra funzionari, e funzionari tra comunali e provinciali, 30 consulenti dei comuni, 130 rappresentanti di enti e associazioni e società, 200 liberi professionisti e numerosi cittadini e studenti universitari.

Le conferenze hanno avuto una durata complessiva di circa 90 ore di lavoro e ci sono stati, da parte dei partecipanti, circa 320 interventi e depositi di altrettante memorie con le prime indicazioni sulle osservazioni e le precisazioni che hanno inteso portare. Nel corso delle conferenze tutti i partecipanti hanno sottolineato l’importanza di questo provvedimento: dell’esigenza che la Regione si doti di strumenti di tutela e soprattutto di certezza di diritto sull’uso del territorio; e tutti si sono impegnati a una collaborazione che porti a una migliore stesura, sia degli elaborati che degli elementi normativi. Per cui, a partire dalla conclusione delle conferenze, i responsabili delle singole conferenze che hanno appunto la funzione di raccordo con ogni singola amministrazione comunale e provinciale, stanno già cominciando a canalizzare - ne abbiamo già alcuni programmati - i singoli incontri che le strutture comunali e provinciali faranno con gli uffici del piano e con l’Assessorato. Questo perché, entrando nel merito specifico delle singole problematiche, si possa perfezionare la conoscenza, i dubbi interpretativi e le esigenze informative per quanto riguarda tutta la documentazione e la banca dati che noi, solo in parte, abbiamo potuto far vedere nel corso delle conferenze, ma che fanno parte del patrimonio conoscitivo abbastanza vasto che deteniamo nell’ufficio. Quindi, da ora e per i prossimi tre mesi, come abbiamo sempre detto in tutte le conferenze, affronteremo, Comune per Comune, tutti i passaggi singoli.

E’ stata fatta anche richiesta, da parte di Associazioni, ma anche di organizzazioni dell’Impresa (le ultime appunto le abbiamo avute ieri), richieste specifiche di incontri settoriali per affrontare, anche con le organizzazioni imprenditoriali, gli aspetti più di merito che riguardano le problematiche connesse al piano paesaggistico. E’ stata molto apprezzato il ciclo di conferenze, come si può desumere dai verbali, di cui noi abbiamo una parte, perché abbiamo inteso rendere trasparente questa procedura - e quindi sul sito Internet si trovano tutti i verbali che vedete lì e tutti li potranno leggere. E tutti i comuni hanno manifestato appunto l’apprezzamento per questa iniziativa che è servita certamente, rispetto alle informazioni molto episodiche e frammentate di cui disponevano, a entrare proprio nella conoscenza, in maggior dettaglio, del piano paesaggistico.

Il piano paesaggistico, come abbiamo detto nel corso delle conferenze, induce un cambiamento metodologico e anche culturale nell’approccio dell’uso del territorio, che non è una scelta, diciamo così, episodica, della Regione, ma il governo regionale ha inteso dare seguito coerente a quello che è un indirizzo, ormai internazionale, europeo, sull’adeguamento della strumentazione dell’uso del territorio, con riguardo ai caratteri dello sviluppo sostenibile.

Abbiamo anche preso atto che siamo la prima Regione che avanza una proposta compiuta di piano paesaggistico, e proprio per questo ci sentiamo impegnati a fare un lavoro che sia anche produttivo di un confronto positivo, anche con le esperienze che seguiranno nelle altre regioni. E’ un processo culturale che inizia e che cambia la visione nell’uso del territorio e tutti hanno rilevato, come per esempio, dentro il piano paesaggistico, sia molto importante questa scelta, che noi induciamo, di una visione sia del paesaggio, ma anche del ruolo che i comuni, che i centri urbani, anche non costieri, immediatamente costieri, devono svolgere nel processo di valorizzazione turistica. Un ruolo combinato, fra mare e interno, con la rivalutazione dei centri storici, con la ottimizzazione di questo immenso patrimonio di case vuote - che purtroppo abbiamo e che sono considerevoli: stiamo parlando di circa 208.000 abitazioni su 800.000 complessive in tutta la Sardegna - che non è un dato dal quale la Regione può sfuggire.

E’ un dato macroscopico sul quale si motiva e si sostanzia anche, la strategia che già a partire da questa finanziaria, come abbiamo detto, la Regione intende perseguire e che, complessivamente, tra fondi regionali, fondi comunitari, bandi e la legge 29, stiamo mettendo in campo già a partire da questo anno. Stiamo parlando di circa 150 milioni di euro, che è una cifra considerevole - credo mai messa a disposizione per un intervento così mirato nei confronti dei comuni nella loro totalità - perché ci sono azioni mirate a comuni di dimensione demografica elevata, quindi aree metropolitane, e interventi ancora più mirati per i piccoli comuni. Proprio perché lì riteniamo che debba essere fatto un forte investimento, proprio per creare le prerogative di un ripopolamento, perlomeno di un arresto di questo processo di ripopolamento e di connessione funzionale dei processi di sviluppo.

Mi sembra che possiamo dire che, anche a detta dei partecipanti, il bilancio sia positivo. E’ solo l’avvio. Abbiamo spiegato che le conferenze di co-pianificazione non fanno la co-pianificazione, ma avviano la co-pianificazione, nel senso che per poterla fare è indispensabile la conoscenza puntuale di ciò di cui si parla, in termini corretti, per poter poi da lì partire, come faremo nei prossimi tre mesi in un confronto chiaro, leale, disponibile, tra l’altro con l’ammissione dei limiti che tutti dobbiamo sempre dare al nostro lavoro.

Il piano paesaggistico è fatto in un anno di grandi sacrifici e di grande lavoro, ma sappiamo anche che possiamo produrre errori, imprecisioni, e il confronto lo riteniamo assolutamente indispensabile perché, non solo si bada al miglior prodotto possibile, ma anche perché è nostro preciso intendimento raggiungere il processo di condivisione più ampia di questo piano. Un piano paesaggistico che non sovverte assolutamente i principi di autonomia di tutti gli enti locali che vi partecipano, ma li riordina, secondo un processo di condivisione e di cooperazione, perché la concertazione, o la concertazione istituzionale, non può essere e non è un sistema nel quale si confondono le responsabilità. Ognuno ha assegnato dalla legge un suo compito, lo deve esercitare nel miglior modo possibile e questa volta dialogando l’uno con l’altro.

Voi pensate il lavoro immane che noi abbiamo dovuto fare solo per ricostruire lo stato di fatto dello sviluppo costiero, dal momento che era invalsa l’abitudine che i piani attuativi dei comuni non venivano neppure trasmessi alla Regione per le opportune documentazioni e conoscenze. Noi invertiamo questo, ci vuole trasparenza, conoscenza e capacità di tenere a governo tutto. Questo non toglie ai comuni la prerogativa di progettare, di ideare, di proporre, e quindi di esercitare compiutamente il loro ruolo alla luce di un piano paesaggistico che, intanto, produrrà come primo effetto - cosa che mi sembra stia già producendo - l’idea di un’attenzione certamente nazionale e internazionale su questo processo, che è ancora più motivato in una Sardegna che è ritenuta da tutti un bene naturale prezioso e sul quale dobbiamo investire.

Abbiamo avuto anche riconoscimento, da parte delle organizzazioni degli imprenditori, che hanno forse affrontato in maniera più precisa i contenuti del piano, avendo la consapevolezza che questo è un piano che non significa solo vincolo, ma significa l’uso corretto del vincolo per mettere in evidenza anche le buone pratiche che si possono e si devono realizzare. Quindi è un piano che dà una regolazione di funzionamento e viene usato questo esempio: se a Cagliari non funzionassero, non esistessero i semafori, alle otto del mattino, quando la gente entra per andare a lavorare, ci sarebbe un caos e i cittadini sarebbero certamente meno sicuri delle condizioni dove, invece, un elemento crea una regolazione, un ordine, un funzionamento armonico. Il piano paesaggistico è una sorta di semaforo che agisce all’interno dell’uso del territorio, imponendo dei vincoli, dando dei lasciapassare e indicando anche delle prudenze, degli atteggiamenti cautelativi nell’uso di un bene che non è di ciascuno, ancor meno dei comuni, ancor meno della Regione, ma è della collettività, in quanto - è stato ricordato anche dal decreto Urbani - che stiamo assolvendo a una delega di carattere costituzionale, compiuta nelle indicazioni che questo comporta. Io mi fermerei qua.

Filippo Peretti (La Nuova Sardegna):

''Su alcuni rilievi politici, che sono stati fatti, anche da settori della maggioranza, uno riguarda i comuni, il rischio cioè che i comuni possano, come è successo per i piani paesistici, alla fine ottenere l'annullamento del Piano paesaggistico, del piano regionale. Il secondo rilievo invece è, diciamo, sulla trasparenza e sulle volumetrie, sulle zone dove è possibile costruire. Cioè, evidentemente, per evitare speculazioni, così è stato detto, sarebbe opportuno conoscere già la situazione, in modo da rendere tutto già ancora più trasparente, anche sotto questo profilo degli acquisti, delle vendite, delle plusvalenze, eccetera, eccetera''.



Presidente Soru:

''La domanda sembra ben posta, interessante. Io credo che le polemiche nascano da una non puntuale conoscenza di quello che è il piano paesaggistico regionale e delle sue norme di attuazione e di quello che si sta facendo: ho riscontrato, insieme all’assessore, che tutte le volte che si è parlato, le persone sono andate via più consapevoli, più tranquille, e direi anche più convinte della bontà di questo processo in atto. Per questo non mi aspetto una grossa quantità di ricorsi dei comuni. Peraltro, erano stati già minacciati durante la discussione della legge 8. Qualcuno, motivato forse da appartenenze politiche piuttosto che da considerazioni di merito, ha presentato ricorsi, ha promosso la presentazione di ricorsi, e il risultato di quei ricorsi lo sappiamo tutti com’è andato, con una solenne dichiarazione da parte della Corte costituzionale, circa le prerogative della Regione e le sue responsabilità, con una sentenza talmente solenne, appunto, che incoraggia la nostra regione ad andare avanti, non solo in tema di tutela, non solo in campo urbanistico, ma in campo di tutela dei Beni culturali, e altri ancora.

Quindi, di fatto, è stata un’esperienza molto positiva, questo ricorso, che si è conclusa con la sottolineatura di tutti i diritti e tutti i doveri di questa nostra regione. E’ come una sollecitazione ad andare avanti, oltre a non trascurare le nostre responsabilità. Molto opportunamente, avviene in un momento in cui il Consiglio regionale sta per approvare la Consulta statutaria, in cui si parla di Statuto, in cui nei prossimi mesi come sapete, questa assemblea regionale vuole approvare una nuova proposta di Statuto dell’autonomia. I precedenti piani paesaggistici regionali sono decaduti, non perché eccessivamente severi, ma perché poco severi, e sono decaduti non per eccesso di tutela, ma sulla base di troppe deroghe alla tutela, o poche severità in alcune fasi. Quindi, non è un accostamento giusto quello dei precedenti piani paesaggistici, e noi stiamo cercando di essere appunto più attenti, e più severi, più conseguenti sulle cose che abbiamo detto, cercando di non inserire nelle norme del piano, dei meccanismi per cui alla fine si trovano le modalità per farle fuori.

Quindi non credo che ci saranno ricorsi da parte delle associazioni ambientaliste, che sono quelle che hanno fatto decadere i precedenti piani, e non credo nemmeno che ci saranno ricorsi da parte dei comuni, quantomeno non credo che ci saranno ricorsi motivati da parte dei comuni. Per questo motivo: perché non stiamo espropriando le competenze dei comuni, in alcun modo. A qualcuno può venir facile, tirare fuori questo slogan, siamo anche vicini alla campagna elettorale, sollecitare il malumore dei sindaci, o di amici dei sindaci. Ma in realtà non c’è nessuna espropriazione di prerogative da parte dei comuni.

Il Piano paesaggistico regionale si può riassumere in poche parole, per come la vedo io: ha definito una fascia costiera, la legge 8 nel momento in cui ha fatto una tutela temporanea questa fascia l’ha definita in due chilometri dalla costa ora più opportunamente, dopo un anno di lavoro, questa fascia abbiamo detto è come una sinusoide, si avvicina e si allontana dalla costa a seconda della natura del terreno, del paesaggio, dei dati storici, a seconda quindi della situazione particolare. C’è una linea che si avvicina e che si allontana dalla costa, forse mediamente è intorno ai due chilometri, ma qualche volta è di meno e qualche volta è di più. Questo è quello che chiamiamo l’ambito paesaggistico costiero e abbiamo detto che quello lì è un bene che non appartiene a nessuno, che appartiene a tutta la regione. E’ un bene che non appartiene ai proprietari dei terreni, non appartiene al singolo comune, appartiene a tutta la collettività regionale, e tutto quello che si fa lì dentro, deve essere fatto in considerazione degli interessi dell’intera collettività regionale, non negli interessi di un singolo privato, di una singola società, o di un singolo comune, ma in considerazione degli interessi di tutta la collettività regionale.

E abbiamo detto una cosa: in questo Ambito paesaggistico costiero non ci sono più le zone F, quelle che venivano considerate ‘le cubature’. Le cubature in zone F non ci sono più. Non è che ce ne sono di meno, ne sono state cancellate venti, ne rimangono quindici chissà dove. La risposta alla sua domanda è molto semplice: ne rimangono zero, da nessuna parte. Non ce ne sono, quindi non è che gli dobbiamo dire dove saranno. Questo è abbastanza chiaro: non c’è la lista delle cubature che rimangono, perché di cubature non ne rimangono nell’ambito costiero. Ce n’erano 45milioni, circa 15 milioni sono stati realizzati, 15 milioni erano ancora lì da utilizzare per chi li voleva utilizzare, quindi riguardavano progetti speculativi eccetera, che sono stati cancellati del tutto e altri 15 riguardano un po’ di cose, per cui alcune cubature che sono state fatte salve dalla legge 8, laddove appunto erano stati iniziati gli interventi di lottizzazione, erano state fatte: modifiche irreversibili dei luoghi, del reticolo stradale e così via.

Tutto il resto, quello che non è stato bloccato dalla legge 8 non esiste più. E non c’è nessuna discrezionalità, da parte della Regione o di qualsiasi ufficio regionale o di qualsiasi organo regionale, di dire in questo pezzo di territorio, prevediamo, mille o diecimila metri cubi. Non esiste, sono stati tutti cancellati.

Che cosa si fa nell’Ambito costiero, è scritto chiarissimo nel Piano paesaggistico, per chi lo vuole leggere, per quello che è, senza pregiudizi. Per quello che è, perché nel Piano paesaggistico, le norme di attuazione sono esattamente quello che c’è scritto lì. Nell’ambito costiero si possono fare solamente progetti di riqualificazione. Li abbiamo chiamati ‘a regia regionale’, per dire che c’è una visione complessiva da parte della Regione, che non vuol dire che la Regione comanda e impone quello che ci sarà. Ci dice che ci saranno conferenze di co-pianificazione coordinate dalla Regione. Per i motivi che dicevamo prima, perchè è un Ambito complessivo e anche dove entra nel particolare di un singolo territorio, lo fa comunque nell’interesse complessivo della collettività. Allora queste conferenze di co-pianificazione decideranno, loro, che tipo di riqualificazione si può fare: modificare un villaggio, risistemarlo, ristrutturarlo, magari dargli un premio di cubatura, perché trasforma seconde case in un albergo, oppure dargli un aiuto perché da un albergo di seconda categoria si fa un albergo di quattro o cinque stelle aperto tutto l’anno, ma lo decideranno le conferenze di co-pianificazione. Un altro punto determinante di questa conferenza, che evidentemente non è stato compreso, è che queste conferenze non decideranno per alzata di mano, per cui la Regione ha cinque voti e il Comune ha un solo voto; queste conferenze dovranno decidere assieme come si farà quell’intervento di riqualificazione. Quindi non ci sarà nessuna imposizione della Regione che dirà: ‘Lì si fa così e lì imponiamo un certo numero di cubature’. Insieme, d’intesa si deciderà su quella riqualificazione. Quindi aldilà dei numeri dei componenti, aldilà del fatto che magari c’è il Comune, c’è la Provincia, c’è la Regione, aldilà di questo il principio che noi vogliamo portare in queste conferenze di co-pianificazione è l’intesa: ecco perché non c’è nessun esproprio, né più né meno dello stesso principio che la Regione ha già adottato in materia di cave.

La Regione può dire che una cava può insistere in un certo territorio, ma se il Comune non la vuole, quella cava non si farà. Viceversa, un Comune può dire che vuole una cava nel suo territorio, ma se la Regione dice che quel territorio è soggetto a un vincolo paesaggistico, quella cava non si farà. Si fa solamente se c’è l’intesa, lo stesso varrà per gli interventi di riqualificazione urbana. Quindi: nessun esproprio perché sul dettaglio si va assieme, nessun mistero sull’elenco delle cubature semplicemente perché di cubature non ce ne sono.

Approfitto, per dire che la Giunta regionale non ha ricevuto nessuna lettera, non ne ricevuto neanche l’assessore e credo che non sia nemmeno mai stata spedita una lettera di questo genere''.

Giuseppe Mereu (L’Obiettivo):

''Tornando alle conferenze di co-pianificazione e a questo metodo dell’intesa a cui ha appena accennato, io ho avuto modo di vedere il disegno di legge urbanistica della Giunta, lì se non vado errando si parla esplicitamente di decisioni prese con un voto di maggioranza in cui in caso di parità il presidente della Giunta vale doppio''.

Presidente Soru:

''Quello è un disegno di legge, che naturalmente ora andrà in commissione e verrà discusso. Io l’ho detto, l’orientamento della Giunta è quello di fare in modo che non ci sia esproprio nel governo di un territorio e che ci sia l’intesa, perché, come dicevo prima, l’Ambito paesaggistico costiero appartiene a tutta la Regione. Lo dobbiamo trattare con cura e devono essere presenti tutti gli interessi: gli interessi dei privati, gli interessi dell’intera comunità e gli interessi della comunità regionale. E d’intesa riusciremo a salvaguardare tutti questi interessi.

Poi, è chiaro, una possibilità, per concludere, ci deve essere sempre. Il principio dell’intesa vale anche sulla nomina delle Autorità portuali, oppure sulla nomina dei presidenti dei parchi nazionali, per cui c’è un intesa e si prova e si riprova fintanto che non si raggiunge. Occorre anche salvaguardarsi dall’immobilismo e quindi qualche possibilità deve essere immaginata e deve essere studiata''.

Jacopo Onnis (Rai3):

''Molti dei giornalisti presenti a questa conferenza stampa, stanno venendo da un’altra conferenza stampa tenuta da tutta la Commissione urbanistica, presieduta dall’onorevole Pirisi che ci ha detto: ‘Ci apprestiamo a fare una serie di audizioni con gli enti locali, ci sposteremo in tutte le otto province, non saranno delle contro conferenze di co-pianificazione che sta portando avanti la Giunta’. Ha rimarcato però con molta decisione il ruolo del Consiglio. ‘Spetta al Consiglio – ha detto - fare le leggi, non siamo una camera di compensazione, non faremo inutili minuetti, perché procederanno tra l’altro, loro, con uno stralcio, collegato alla finanziaria, recante norme urbanistiche, che serve come copertura legislativa, supporto legislativo, al Piano paesaggistico regionale’. In questa delicata materia dell’urbanistica, qual è il ruolo della Giunta? E qual è il ruolo del Consiglio? Poiché traspare una certa sottolineatura polemica di competenze. E’ una Giunta anche che, chiedo all’assessore Gian Valerio Sanna, ci ha detto l’onorevole Pirisi: ‘Abbiamo letto alcuni verbali delle conferenze di co-pianificazione e mi è parso di rilevare alcune espressioni irriguardose nei confronti della Commissione e nei confronti del Consiglio. Inviteremo a una maggiore ottemperanza verbale nei confronti dell’assemblea regionale’. Tutto qui, la cronaca è sin qui''.

Presidente Soru:

''E’ chiaro che è un tema importante, dove ci sono gli interessi di semplici cittadini, che vogliono una Regione che cresca, che sia capace di creare sviluppo, lavoro; semplici cittadini che vogliono vivere in un ambiente non devastato, che vogliono mantenere alta la loro qualità della vita, anche vivendo in un ambiente bellissimo, come quello che abbiamo, gli interessi delle amministrazioni comunali, ma anche gli interessi di chi vuole fare tanti soldi. Purtroppo in un’economia molto povera come la nostra, in cui in pochissimi hanno fatto industria e in cui in tanti hanno fatto gli immobiliaristi, togliere un settore in cui in molti si sono arricchiti facilmente, crea qualche perplessità. E quindi ci sono un po’ di nervi scoperti.

Su chi faccia le leggi non c’è alcun dubbio. La Giunta applica le leggi che fa il Consiglio quindi non occorre nemmeno ribadirlo. Noi abbiamo fatto il nostro lavoro e faremo un disegno di legge e di proporlo al Consiglio per la discussione e per l’approvazione. Per la discussione, per il miglioramento, per l’approvazione.

Poi io mi ricordo anche che questa Giunta non è che sia calata da Marte; questa Giunta è l’espressione della maggioranza, della maggioranza in Consiglio regionale, della maggioranza nella commissione urbanistica. L’Assessore è un signore che ha avuto autorevoli responsabilità politiche, nel suo partito; io rappresento quella maggioranza di centrosinistra che è stata eletta alle scorse elezioni. Quindi siamo due pezzi della stessa maggioranza che vogliono lavorare assieme per fare la migliore legge possibile. Ognuno col suo ruolo, ognuno con le sue capacità e dobbiamo lavorare assieme, e aldilà delle tensioni, aldilà delle battute, aldilà delle cose, il dato di fatto è che stiamo andando avanti molto bene. Il dato di fatto è che pochi giorni fa abbiamo approvato la legge finanziaria, abbiamo messo l’elenco dei collegati alla legge finanziaria. Nell’elenco dei collegati c’è anche la norma, la legge urbanistica per quel tanto che serve ad approvare speditamente il Piano paesaggistico regionale. Ed è stato votato quell’ordine del giorno con otto votazioni segrete: in otto votazioni segrete non abbiamo perso neanche un voto. Non è che non abbiamo perso una votazione, non abbiamo perso neanche un voto in otto votazioni segrete.

Questo è lo stato della maggioranza sul piano paesaggistico regionale, perché in quella stessa giornata la maggioranza ha discusso se la legge urbanistica doveva andare dentro o doveva andare fuori e io mi sono ritrovato tutta la Giunta.. ci siamo ritrovati pienamente a condividere la decisione di approvare come legge, come collegato la parte necessaria per approvare immediatamente il Piano paesaggistico regionale avendolo operativo. Prevedendo la possibilità di discutere maggiormente il resto delle norme che regolano il territorio regionale. La legge urbanistica. La nuova legge 45 sono felice di discuterla più a lungo. Perché sarà un tema su cui la maggioranza si confronterà, potrà essere creativa, potrà essere innovativa rispetto al passato, rispetto anche a quello che accade nelle altre regioni italiane. Ci sarà un momento in cui potranno essere richiamati dei principi importanti; essere conseguenti rispetto alla legge Bucalossi, ormai di molti decenni fa, che aveva iniziato a separare tra diritto di proprietà e diritto di edificabilità. Forse questa maggioranza di centrosinistra può iniziare a dire qualcosa, che c’è una specie di diritto imprescindibile delle persone alla casa e quando la casa non gliela possiamo costruire, forse una specie di diritto imprescindibile ad avere una cubatura e legare il diritto alla cubatura più alle persone che ai proprietari di terreni, ad esempio. Ci sono delle cose che posso essere affrontate, discusse; per cui siamo tutti più contenti di discutere più a lungo la nuova legge 45.

Così come ringrazio ancora una volta, l’ho fatto l’altro giorno in Consiglio regionale, questa maggioranza che pure su argomenti così importanti, così delicati, alla fine ha votato otto volte a scrutinio segreto e non ha perso neanche un voto. Anche sulla legge urbanistica”.

Assessore Sanna:

''Ma se posso aggiungere, ne approfitto perché ricordo quello che ho detto e se sono apparso irriguardoso ne approfitterò per chiarirlo e per scusarmi eventualmente. Io ho molto chiaro, ho alle spalle un pochino di esperienza per capire che il processo di governo è un processo complicato e faticoso e che ha bisogno di tutti, non di una parte. E io ho solamente fatto riferimento al fatto che era assolutamente legittimo che la Commissione facesse le sue attività, nella distinzione delle competenze, nel senso che noi abbiamo un mandato di legge approvato da quel Consiglio regionale a fare quello che stiamo facendo, né più e né meno. Stiamo cercando di ottemperare con fatica anche alle tempistiche, che non sono facili, e che al Consiglio regionale spettano anche altre cose. Infatti ho comunicato, Presidente, che io parteciperò come rappresentante della Giunta a queste loro attività, così come io in Consiglio regionale a dicembre in sede di discussione della mozione del piano paesaggistico ho formalmente invitato tutto il Consiglio nella sua interezza a partecipare alle conferenze. Molti consiglieri regionali l’hanno fatto, anche più volte. Siamo stati lieti di averli tra noi: il rapporto è questo, e non mi sembra che si debba accentuare di più un tono che è solo quello che deve portare al rispetto dei ruoli reciproci, sapendo che ci sono dei punti sui quali noi dobbiamo assolutamente collaborare.

Abbiamo presentato un disegno di legge pensando che forse la strumentazione necessaria per far funzionare il Piano paesaggistico potesse anche dare l’idea attraverso una legge che non facesse riferimento alla 45, a una nuova fase dell’urbanistica, abbiamo accolto l’idea che forse la riflessione più generale ha bisogno di più tempo, questo però non toglie che gli strumenti che sono necessari a dare compiutezza a questo processo devono essere.

Io l’altro giorno sono stato in Commissione, abbiamo parlato di questo, affronteremo prima la discussione generale e poi io proporrò per conto della Giunta una proposta di sintesi a quel disegno di legge col quale ci confronteremo con la Commissione per vedere qual è la sintesi di quello''.

Giuseppe Meloni (Unione Sarda):

''Presidente, lei ha difeso molto chiaramente i principi del Piano. Alcuni ambienti della maggioranza, non solo i Ds, dicevano: ‘Nessuno discute la filosofia generale del Piano, magari sul rapporto con i comuni, su queste cose, ci sarà bisogno di qualche correzione’. Lei ritiene che questo sia possibile o che vada sostanzialmente bene già così com’è il rapporto delineato dal Piano paesaggistico?''.

Presidente Soru:

''No. Ho detto che alcune cose possono essere sicuramente migliorate, per esempio le regole di funzionamento delle conferenze di co-pianificazione possono essere chiarite. Possiamo chiarire che ci sarà un rapporto reciproco, un rapporto dove si cerca l’intesa innanzitutto, secondo il principio di reciprocità. La Regione non imporrà nulla ai comuni e i comuni non imporranno nulla alla pubblica ...” .

Assessore Sanna:

“Posso aggiungere una cosa Presidente… Su questo punto, si vedrà da qui a poco quando approveremo lo stralcio, proprio il livello di continuità che c’è tra il nuovo regime e il ruolo dei comuni e delle province. I soggetti della pianificazione contenuti nella legge 45 sono i comuni, la Provincia e la Regione. Gli strumenti della pianificazione territoriale contenuti nella 45 sono quelli segnati nella 45 e noi siamo in condizioni di poter dire che nella nuova dimensione sia i soggetti che gli strumenti rimangono inalterati.

Però qualcuno nella ricerca costante del ruolo dei comuni deve fare uno sforzo per capire quale è il ruolo della Regione. Credo che il Presidente l’abbia spiegato bene, limitatamente a quella che è la verifica e la salvaguardia degli interessi collettivi demandati da una legge dello Stato alle funzioni della Regione, la Regione li assolverà d’intesa con i comuni ai quali è chiesto un di più di partecipazione, di condivisione delle scelte che fino a oggi sono state fatte. Per esempio tra comuni, io credo che sia un vantaggio per tutti. Nella migliore delle ipotesi, quella che poteva essere una lottizzazione in una zona marina, fino a ieri poteva essere noto alla comunità di quel comune alla sua amministrazione e al soggetto interessato. La comunità regionale non ne era a conoscenza. Io credo che intervenendo in un’area di appartenenza, e la Corte costituzionale dice sempre che i diritti collettivi prevalgono e vengono prima dei diritti individuali, io credo che sia un’azione di trasparenza, di arricchimento complessivo che questo elemento diventi di dominio pubblico attraverso delle procedure che siano note e che di per sé garantiscano pari opportunità e pari diritti da parte di tutti”.

Presidente Soru:

''Volevo ricordare una cosa brevissima. Esiste un ufficio del Piano che ha fatto il Piano paesaggistico regionale; l’ha fatto con grande competenza e con capacità di usare tutti gli strumenti di conoscenza, tecnologia. Io credo che sia utile per tutti quanti che questo ufficio del Piano continui a essere utilizzato anche nella pianificazione territoriale di dettaglio del singolo comune. Io sento solamente sindaci che si lamentano di avere un solo geometra nell’ufficio tecnico, o sindaci di città importanti che dicono di avere un solo ingegnere nell’ufficio tecnico; ne vogliamo tener conto. La norma costituzionale parla del principio di sussidiarietà ma anche di quello di adeguatezza, di efficacia. Io credo che sia più adeguato che ci lavoriamo assieme ai progetti di riqualificazione urbana. Ci lavoriamo assieme, ognuno con le sue competenze, e assieme produrremo i progetti migliori per la comunità comunale e per la comunità regionale''.

Fabbricati agricoli che diventavano ville con tanto di sauna e lavanderia. Succede anche questo a Capalbio. Il Comune della cittadina maremmana, in accordo con la Regione Toscana, ha deciso di stoppare queste speculazioni edilizie attraverso l’adozione di nuove regole in materia di costruzioni agricole. Le speculazioni in questione, come hanno spiegato ieri a Firenze il sindaco Lucia Biagi (eletta con una lista civica nel giugno 2004) e l'assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti, si sono verificate per un'applicazione di comodo della legge regionale 64 del 1995 che regolava le costruzioni rurali. La legge era stata emanata per permettere agli agricoltori di costruire opere per migliorare il proprio fondo agricolo, consentendo agli agricoltori e alle loro famiglie di proseguire la loro attività.

In realtà, come ha spiegato il sindaco Biagi, molti imprenditori avrebbero chiesto di edificare ville in zone di pregio, spacciandole per ristrutturazioni agricole. Secondo la legge regionale bastava possedere tre ettari di terreno coltivato o avere un impianto floro-vivaistico per costruire un’abitazione.

Per porre fine a questi abusi edilizi l’amministrazione capalbiese ha quindi approvato nuove regole in materia. Che prevedono il divieto di costruire nuovi fabbricati nel centro storico o in altre aree di particolare pregio paesaggistico come zona della grande uliveta o la zona di Poggio Capriolo. Le nuove norme vietano anche la costruzione di nuovi impianti floro-vivaistici. Il provvedimento del Comune è passato con i voti della lista civica che comprende anche esponenti di centro-destra, ma non sono mancate sorprese politiche. Infatti il centro-sinistra a Capalbio è spaccato perché alcuni esponenti come Luigi Bellumori sostengono la giunta, i Ds e la Margherita sono all'opposizione. I consiglieri di centro-sinistra al momento del voto sono usciti dall'aula; perché, pur condividendo l'obiettivo del provvedimento, contestano il metodo scelto dal primo cittadino. «Con questo provvedimento - spiega il sindaco - Capalbio ha messo delle regole certe contro una gestione un po’ anarchica del territorio. Noi non siamo contro gli agricoltori ma contro coloro che vogliano speculare nel nostro comune». «La Regione sostiene questa iniziativa del comune maremmano - dice l’assessore Conti - perché dobbiamo fermare l'edilizia selvaggia in Toscana. Deve esser chiaro che qui non esiste nessun territorio senza limiti dove i privati possono costruire dove vogliono. Siamo per la collaborazione tra pubblico e privato ma con regole certe».

CAGLIARI. La giunta Soru ha istituito la Conservatoria delle coste. Un organismo sul modello del National Trust inglese e del Conservatoire du littoral francese che ha il compito di promuovere acquisizioni di terreni lungo i 1.850 chilometri di costa anche attraverso sottoscrizioni, lasciti, permute, da privati e da altri enti, e di tutelare questo patrimonio dai rischi ai quali è sottoposto.

Naturalmente l'istituzione del «conservatore» delle coste da solo così non è sufficiente e pertanto, per l'attuazione pratica, servirà una legge organica che sarà fatta a breve scadenza. Secondo la delibera della giunta regionale, la Conservatoria delle coste sarde potrà agire su più livelli. Gestirà i beni immobili costieri di rilevante interesse paesaggistico e ambientale facenti già parte del patrimonio e del demanio regionale, ma potrà anche acquisire i territori costieri più fragili o a rischio di degrado e compromissione: sia attraverso accordi con Stato, enti e amministrazioni locali, sia attraverso donazioni, sia attraverso l'acquisto mediante sottoscrizioni pubbliche. Nel caso di

donazioni o lasciti, i terreni verranno acquisiti al demanio regionale con specifico vincolo di destinazione alla Conservatoria. Dopo l'acquisizione, la Conservatoria potrà attuare i lavori di ripristino naturale delle località e poi predisporre i piani di gestione, che saranno successivamente affidati a enti e comunità locali, a cooperative, società o associazioni ambientaliste che assicureranno l'accesso al pubblico.

Coerentemente con la linea dell'amministrazione — si legge nella deliberazione della giunta — la Conservatoria non sarà un nuovo ente, ma avrà una struttura agile che vedrà nel presidente della Regione il garante del coordinamento delle politiche paesaggistiche e ambientali.

Il Comitato d'indirizzo, con competenze politiche e programmatiche, sarà formato dallo stesso presidente della Regione, dagli assessori dei Beni culturali, degli Enti locali, della Difesa dell'Ambiente, della Programmazione, del Turismo, affiancati da tre esperti che saranno nominati dalla giunta con incarico triennale. La struttura tecnica e operativa verterà su un nuovo servizio interassessoriale che verrà istituito nella presidenza della Regione e che si avvarrà di risorse degli assessorati interessati. Questo secondo livello si occuperà dell'attività giuridico-amministrativa (ad esempio acquisizione delle aree, istruttorie, predisposizione delle sottoscrizioni pubbliche); curerà e attuerà i piani di gestione delle aree costiere; predisporrà i monitoraggi paesaggistici, ambientali e naturalistici; curerà le campagne di informazione e di educazione su paesaggio e ambiente; promuoverà il turismo sostenibile nelle aree interessate. Per proteggere e valorizzare i 1.850 chilometri costieri della Sardegna, la Conservatoria dovrà raccordarsi con uffici di tutela del paesaggio, Corpo Forestale, con l'agenzia per l'ambiente, l'Arpas, e, più in generale, con tutte le strutture regionali competenti in materia di ambiente e paesaggio.

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