loader
menu
© 2024 Eddyburg

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
di Martin Niemöller



Prima di tutto vennero a prendere gli zingari.
E fui contento perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei.
E stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

queste parole, declinate in diverse versioni e diverse lingue girarono il mondo negli anni in cui il nazismo da partito divenne regime


MARZO
di Salvatore Di Giacomo

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.

N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.

Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.

Qui il link alla canzone di Roberto Murolo Marzo

ribelle che sonnecchi,
non cedere alle lusinghe,
non farti buono,
di sterco e di sangue
è il mondo che attorno
ti puzza,
resta insano,
questo è il tuo posto,
ragazzo sulle barricate,
con un sasso in mano.


Henry Scott Holland (Ledbury, 27 gennaio 1847 -17 marzo 1918) è stato un teologo e scrittore britannico. Era profondamente interessato alla giustizia sociale e fondò il Pesek (Politica, Economia, Socialismo, Etica e cristianesimo), che condannava lo sfruttamento capitalista della povertà urbana. Nel 1889, ha fondato la Christian Social Union (CSU).


Death is nothing

«Death is nothing at all. It does not count.
I have only slipped away into the next room.
Nothing has happened.
Everything remains exactly as it was.
I am I, and you are you, and the old life that we lived so fondly together is untouched, unchanged.
Whatever we were to each other, that we are still.
Call me by the old familiar name.
Speak of me in the easy way which you always used.
Put no difference into your tone.
Wear no forced air of solemnity or sorrow.
Laugh as we always laughed at the little jokes that we enjoyed together.

Play, smile, think of me, pray for me.
Let my name be ever the household word that it always was.
Let it be spoken without an effort, without the ghost of a shadow upon it.
Life means all that it ever meant.
It is the same as it ever was.
There is absolute and unbroken continuity.
What is this death but a negligible accident?
Why should I be out of mind because I am out of sight?
I am but waiting for you, for an interval, somewhere very near, just round the corner.

All is well.
Nothing is hurt; nothing is lost.
One brief moment and all will be as it was before.

How we shall laugh at the trouble of parting when we meet again! »
La morte non è niente

La morte non è niente


Sono solamente passato dall'altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo! »

I PROFUGHI

Piegati da un peso
che non sempre si vede
avanzano nel fango o nella sabbia del deserto,
chini, affamati,

uomini di poche parole dai pesanti caffettani,
adatti a tutte le stagioni,
donne vecchie dai volti sciupati
che portano qualcosa, un neonato, una lampada
- un ricordo- oppure l'ultimo tozzo di pane.

Può essere la Bosnia, oggi,
la Polonia nel settembre '39, la Francia
otto mesi più tardi, la Turingia nel '45,
la Somalia, l'Afghanistan o l'Egitto.

C'è sempre un carro, o almeno un carretto,
colmo di tesori (il piumino, la tazza d'argento
e il profumo di casa che presto svanisce),
un'auto senza benzina abbandonata nel fosso,
un cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve,
troppa neve, troppo sole, troppa pioggia,

e quel caratteristico curvarsi,
come verso un altro pianeta, migliore,
con generali meno ambiziosi,
meno cannoni, meno neve, meno vento,
meno Storia (purtroppo un simile pianeta
non esiste, resta solo il curvarsi).

Tascinando i piedi,
vanno lentamente, molto lentamente,
verso il paese da nessuna parte,
verso la città nessuno,
sul fiume mai.

Adam Zagajewski

Dalla raccolta "Tradimento", Adelphi 2008, traduzione di Valentina Parisi.


Un altro sole
di Serena D’Arbela
Piangemmo l’ideale
l’amore offeso
giurammo di non credere più
l’anima rabbuiata
gli slanci ventenni
svaniti come nubi
invecchiammo
prima eletti in ardenti gironi
a soccorrere il mondo
poi avvizziti come bimbi
delusi da una fiaba
ci abbandonammo
ad amori privati
eppure abbiamo ancora
il vizio di scrutare in cielo
fugaci bagliori
cercando

un altro sole.

Per iniziare l'anno nuovo riproponiamo a chi ci segue questa traduzione di Enzio Cetrangolo delle parti del poema De Rerum Natura che narrano della nascita del nostro mondo (V, 922-995: 1008-1016) . Auguri per un migliore 2016




Venuta dalla dalla dura terra fuori nei campi

la stirpe degli uomini era piú dura:
senza malanni del corpo,
al gelo, al caldo, a qualunque sorta dicibo,
poteva egualmente resistere, tanto
era dentro connessa di solide ossa e più grandi,

legata di fortissimi nervi le carni.
Trascinavano come bestie una vitasparsa e lunga.
Il curvo aratro non c'era,
nessuno sapeva far molle il suolo colferro, aprirlo
ai virgulti e tagliare con la ronca
i rami secchi alle piante:
Un frutto che al sole e alla pioggia spuntasse,
dono terrestre, calmava quei petti. E mangiavano
sotto le querce le ghiande cadute,
gli àlbatri che allora crescevano
sempre e molti e piú grandi, e li vedi

che adesso diventano rossi soltantod'inverno.
Così del duro cibo che offriva
la florida infanzia del mondo ipoveri.mortali
si accontentavano.
Quando avevano sete i fumi lichiamavano
come la voce lontana dell’acqua

chiama ancora le bestie assetate sullerupi.
E andavano per le grotte silvestriguardando
i ruscelli che bagnano i sassimuschiosi
e vanno verso l'erba del piano.
Non sapevano ancora trattare le cosecol fuoco
e vestirsi il corpo delle spoglie
degli animali: ma stavano nelle macchie
e coprivano di cespugli le squallide membra
costretti dalla tempesta nelle fessure
delle montagne.
D'ogni costume, d'ogni legge ignoranti
non potevano curarsi del bene comune:
chi trovava una preda la teneva per sé,

da solo imparando il rischio dellavita.
E Venere univa i corpi degli amanti
nelle foreste: la foia invincibile
menava dal maschio la femmina o lastessa forza
dell'uomo o un compenso che era
una manciata di ghiande o un bel fruttomaturo.
Meravigliosamente erano agili nelle membra;
e armati di pietre o di grossi tronchi di alberi
cacciavano le belve per le boscaglie;
molte ne vincevano e altre poche scansavano
al riparo di qualche antro nascosto.
Di notte si mettevano per terra, nudi
sotto le foglie: e non cercavano
urlando per i campi la luce del giorno perduta
nelle ombre: ma sepolti nel silenzio del sonno
aspettavano che -il sole tornasse all'orizzonte:
avevano già visto da fanciulli la vicenda

del buio e della luce; e non c'eranessuna
meraviglia per loro, nessuna paura
che sparito per sempre il lume del sole
una infinita notte restasse sulla terra:
ben altro affanno avevano: c'erano le belve
a. rendere incerto, fatale il riposo.
E se un cinghiale appariva o un leone affamato
scappavano dai lor tetti rocciosi
e pallidi nel cuor della notte cedevano
agli ospiti feroci il giaciglio di fronde.
E come adesso allora i mortali
lasciavano in pianto il dolce lume della vita:
ciascuno era pasto alle belve: ciascuno
inghiottito dai denti vedeva il suo corpo
chiudersi vivo dentro un vivo sepolcro,
e le gole dei monti si riempivano di gemiti.
Chi poi straziato nel corpo riusciva a fuggire
tenendo le mani tremanti sulle piaghe
chiamava orribilmente la morte;
e morivano cosí spasimando e senza soccorso:

non sapevano cosa fossero le ferite.
E col tempo fecero le capanne,impararono
l'uso delle pelli per coprirsi e ilsacramento
del focolare
La donna fu paga di un solo connubio,
e quando si videro assomigliati neifigli
cominciarono a ingentilirsi.
Il fuoco fece che i corpi intirizziti
non potessero piú stare sotto il cielo scoperto;

l'amore quietava le forze
e i fanciulli ammansivano con lecarezze
la rude superbia dei padri.

(V, 922-995: 1008-1016)
traduzione di Enzio Cetrangolo


riferimenti

Sapete che nel vecchio archivio di eddyburg ci sono numerose altre poesie, che potete raggiungere facilmente qui, proprio nella cartella Poesie.





La parte e l’intero

Ogni parte aspira sempre
a congiungersi con l'intero
per sfuggire all'imperfezione;

L'anima sempre aspira
ad abitare un corpo
perché senza gli organi corporei
non può agire ne sentire.

Essa funziona dentro il corpo
come fa il vento
dentro le canne di un organo,
se una delle canne si guasta
il vento non produce più il giusto suono.


Vi ricordate che anche nel vecchio eddyburg c'erano molte poesie? Ci sono ancora, nel vecchio archivio, nella cartella Poesie, naturalmente.

nella traduzione di Pietro Marchesani, la rubiamo dal blog di Paola Somma (http://amoscrivere1258.wordpress.com/)


Contributo alla statistica

Su cento persone:


chene sanno sempre piu’ degli altri
– cinquantadue;

insicuria ogni passo
– quasi tutti gli altri;

prontiad aiutare,
purche’ la cosa non duri molto

– ben quarantanove;

buonisempre,
perche’ non sanno fare altrimenti

– quattro, be’, forse cinque;

propensiad ammirare senza invidia
– diciotto;

viventicon la continua paura
di qualcuno o qualcosa

– settantasette;
dotatiper la felicita’
– al massimo poco piu’ di venti;

innocuisingolarmente,
che imbarbariscono nella folla

– di sicuro piu’ della meta’;
crudeli,
se costretti dalle circostanze

– e’ meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quellicol senno di poi
– non molti di piu’
di quelli col senno di prima;

chedalla vita prendono solo cose
– quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;

ripiegati,dolenti
e senza torcia nel buio

– ottantatre,
prima o poi;

degnidi compassione
– novantanove;

mortali
– cento su cento.
Numero al momento invariato.

Altre poesie in eddyburg le trovate anche nella cartella Poesie del vecchio archivio

ASSIDUA RICERCA

Ma i lutti e i pianti e le tormentate incertezze
le lucide menti
le lotte senza respiro
l’assidua ricerca del vero
hanno nutrita.

Con l’altrui dolore
l’umano confronto
e le parole dette
sul pane, la casa, la pace per tutti
non bastarono
come le lacrime che lavano l’offesa
e l’ingiustizia dell’uomo sugli uomini.

Un canto ci voleva per tutti i petti

Postilla

Questa poesia l'avevamo scelta un paio d'anni fa (la trovate anche nell'archivio del vecchio eddyburg) tra quelle scritte negli anni Cinquanta da Franco Busetto, lucido comunista italiano e tenace combattente nella società e nelle istituzioni, negli anni della guerra e in quelli della pace. Sono state raccolte e pubblicate a cura di Franca Tessari e Mariuccia Gaffuri, Padova 2011, editrice Il Torchio.

E’ una poesia scritta negli anni anni in cui dagli orrori contro i quali si lottava non si potè uscire del del tutto perché , come ha scritto Busetto, «un canto ci voleva per tutti i petti», e non ci fu. Gli anni che stiamo attraversando sono solo "diversamente brutti". Speriamo che quel canto oggi ci sia... o magari domani.

Obra en marcha: Poesìa, 1965-1980 (Editorial Costarica, 1982, p.186), e dedicata a chi lotta per la difesa degli spazi pubblici

Alfonso Chase Le piazze sono i palazzi del popolo

Le piazze sono i palazzi del popolo

Sull’asfalto o la pietra
il passaggio è un coltello
e ogni labbro un grido

Da strada a strada il mondo cresce.

Anima il mormorio della folla
qualche verità imbavagliata
e svelata appena lanciata in aria

Credo che in ogni piazza
d’angolo in angolo e da strada a strada
il popolo si svela

Ci guardiamo ciascuno faccia a faccia
ognuno riconosce ciascun altro e diventa più forte

Prendi qualche parola dimenticata
e falla tua
così come quando fai l’amore
o senti l’aria.

La casa del popolo sono le piazze
e siamo lì tutti e nessuno.


(Traduzione illetterata di Edoardo Salzano, grato a chi glie ne invia una migliore)

l'immagine in icona ricorda il corteo che inaugurò il nuovo spazio pubblico ottenuto liberando dal traffico e dalle automobili una strada ad Arenzano (GE)
Qui sotto la poesia di Chase in originale e nella traduzione in inglese.


Da "Vista con granellodi sabbia. Poesie (1957-1993)" ripreso dal sito www.gironi.it

Che cos'e' necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e' vissuto
e' bene che il curriculum sia breve.
E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu' chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perche'.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta, non cio' che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Trovatori, Einaudi 2007. Segnalata da Vezio De Lucia il 25 aprile 2013

Andatelo a dire

“Andatelo a dire
ai caduti di ieri
che il loro morire

fu come le nevi...”
No, i fuochi di un tempo
non trovano pace...”
“La cenere al vento

riscopre la brace...”
“Una cosa il giudizio...”
“Un’altra la pietà...”
“Lottare per la morte...”
“O per la libertà ...”
“L’unica dignità
della nostra storia
è la memoria
della verità ...”
“Alla vecchia e alla nuova
Resistenza italiana...”
“Contro l’odio che odia...”
“Per l’amore che ama...”
“Andatelo a dire
ai caduti di ieri
che il loro morire
fu come le nevi...”

Assidua ricerca

Ma i lutti e i pianti e le tormentate incertezze

le lucide menti

le lotte senza respiro

l’assidua ricerca del vero

hanno nutrita.

Con l’altrui dolore

l’umano confronto

e le parole dette

sul pane, la casa, la pace per tutti

non bastarono

come le lacrime che lavano l’offesa

e l’ingiustizia dell’uomo sugli uomini.

Un canto ci voleva per tutti i petti

PostillaQuesta poesia L'abbiamo scelta tra quelle scritte negli anni Cinquanta da Franco Busetto, lucido comunista italiano e tenace combattente nella società e nelle istituzioni, negli anni della guerra e in quelli della pace. Sono state raccolte e pubblicate a cura di Franca Tessari e Mariuccia Gaffuri, Padove 2011, editrice Il Torchio.

E’ una poesia scritta negli anni anni in cui - come oggi(?) - dagli orrori contro i quali si lottava non si potè uscire del del tutto perché «un canto ci voleva per tutti i petti», e non ci fu.

Wislawa Szymborska,

Scrivere il curriculum

Che cos’è necessario?


E’ necessario scrivere una domanda,


e alla domanda allegare il curriculum.


A prescindere da quanto si è vissuto


il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.


Cambiare paesaggi in indirizzi


e malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,


e dei bambini solo quelli nati.


Conta più chi ti conosce di chi conosci tu.


I viaggi solo se all’estero.


L’appartenenza a un che, ma senza perché.


Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso


e ti evitassi.


Sorvola su cani, gatti e uccelli,


cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo del valore
e il titolo che il contenuto.


Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.


Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.


E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.


Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Quando si dileguò la notte

la mimosa rimase

in mezzo al campo

fra le case stupite.

Era sola

fiorita

un firmamento di polline

tremante

nel gelo del mattino.

All’alzarsi del vento

che ondeggiava

fra i rami del fico

ancora nudo

e il melograno secco

rabbrividì all'inganno.

Una febbre di primavera

un errore maligno

fremendo nelle vene

del suo tronco

l’aveva destata anzi tempo

spinta a quel fragile tripudio.

E ora

sulla terra ancora nera

spoglia d'uccelli

gemeva luminosa

nel cuore dell'inverno.

La poesia, senza titolo, è la prima della poemetto "Primavera" nel libro: Piero Bevilacqua, Il vento nella città, introduzione di Alberto Asor Rosa, Roma, Donzelli 2010,

La vita non è uno scherzo.

Prendila sul serio

come fa lo scoiattolo, ad esempio,

senza aspettarti nulla

dal di fuori o nell'al di là.

Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non é uno scherzo.

Prendila sul serio

ma sul serio a tal punto

che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,

o dentro un laboratorio

col camice bianco e grandi occhiali,

tu muoia affinché vivano gli uomini

gli uomini di cui non conoscerai la faccia,

e morrai sapendo

che nulla é più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio

ma sul serio a tal punto

che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi

non perché restino ai tuoi figli

ma perché non crederai alla morte

pur temendola,

e la vita peserà di più sulla bilancia.

Nazim Hikmet

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c'era rimasto nessuno a protestare.

------------------------------------------

C'e' una meta

per il vento dell'inverno

il rumore del mare

Anonimo

--------------------------------------------

Se manca il sake

velata

è la bellezza dei ciliegi in fiore …

Anonimo

--------------------------------------------

Oh, mondine -

di non fangoso

c'è solo il vostro canto

Raizan (1654-1716)

-------------------------------------------

Passerotti -

Sui pannelli di carta

delle porte scorrevoli,

l’ombra di foglie di bambù

Takarai Kikaku (1661-1707)

---------------------------------------------

Simile a pianta che non ha più fiori,

ormai tronco, posso contorcermi.

- Salici piangenti –

Chiyojo (1703-1775)

----------------------------------------------

Dallo zefiro

sospinta è la fanciulla…

irata beltà –

Kato Kyotai (1732-1792)

----------------------------------------------

Il sole dell’occaso

se ne sarà andato a gonfiare

le acque di primavera?

Takai Kito (1741-1789)

-----------------------------------------------

Nebbie della sera.

Assorto il pensiero indugia

sui ricordi indistinti di un tempo –

Takai Kito (1741-1789)

------------------------------------------------

Alla stagione delle piogge,

leva il capo

un’erba senza radici

Muratami Kijo (1865-1938)

------------------------------------------------

Stupore:

una margherita si frange,

suono di mezzanotte

Shiki (1867-1902)

------------------------------------------------

Raggi scarlatti

È come se ci fossero

- cielo d’autunno

Kyoshi (1874-1959)

--------------------------------------------------

Soffioni,

occhi di primavera ridenti

sul litorale sabbioso.

Ah, soffioni!

Ogivara Seisensui (1884-1976)

--------------------------------------------------

Peonia

petalo a petalo

palpiti,

ti apri,

ti ricomponi

Ogiwara Seisensui (1884-1976)

------------------------------------------

La sera, borsa di ghiaccio

bianco

il silenzio tra noi

Ogiwara Seisensui (1884-1976)

-------------------------------------------

Minuscolo, un fazzoletto di giardino:

malata, vi cade,

immensa,

una foglia

Tomiyasu Fusei (1885-1979)

-------------------------------------------

Mezzodì di piena estate:

la morte ci spia,

gli occhi socchiusi

Iida Dakotsu (1885-1962)

----------------------------------------

Sotto i miei passi

Solo il fruscio si sente

Di foglie secche.

Hisajo (1890-1946)

--------------------------------------------------

Nell’ombra del verde fogliame,

pagliuzze d’oro sinistro:

gli occhi di un gatto tutto inchiostro

Kawataba Bosha (1900-1941)

------------------------------------------------------

Non c’è mia moglie

Per due notti –e due notti

La via lattea

Kusatao (1901-1983)

------------------------------------------------------

Chiudo gli occhi

al tepore della fiamma

lontana

di un antico amore

Hino Soio (1901-1956)

-------------------------------------------

xChe cosa sono gli haiku


Infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare.


CORNO INGLESE

Il vento che stasera suona attento

- ricorda un forte scotere di lame -

gli strumenti dei fitti alberi e spazza

l'orizzonte di rame

dove strisce di luce si protendono

come aquiloni al cielo che rimbomba

(Nuvole in viaggio, chiari

reami di lassù! D'alti Eldoradi

malchiuse porte!)

e il mare che scaglia a scaglia,

livido, muta colore

lancia a terra una tromba

di schiume intorte;

il vento che nasce e muore

nell'ora che lenta s'annera

suonasse te pure stasera

scordato strumento,

cuore.

FALSETTO

Esterina, i vent'anni ti minacciano,

grigiorosea nube

che a poco a poco in sé ti chiude.

Ciò intendi e non paventi.

Sommersa ti vedremo

nella fumea che il vento

lacera o addensa, violento.

Poi dal fiotto di cenere uscirai

adusta più che mai,

proteso a un'avventura più lontana

l'intento viso che assembra

l'arciera Diana.

Salgono i venti autunni,

t'avviluppano andate primavere;

ecco per te rintocca

un presagio nell'elisie sfere.

Un suono non ti renda

qual d'incrinata brocca

percossa!; io prego sia

per te concerto ineffabile

di sonagliere.

La dubbia dimane non t'impaura.

Leggiadra ti distendi

sullo scoglio lucente di sale

e al sole bruci le membra.

Ricordi la lucertola

ferma sul masso brullo;

te insidia giovinezza,

quella il lacciòlo d'erba del fanciullo.

L'acqua' è la forza che ti tempra,

nell'acqua ti ritrovi e ti rinnovi:

noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo

come un'equorea creatura

che la salsedine non intacca

ma torna al lito più pura.

Hai ben ragione tu!

Non turbare

di ubbie il sorridente presente.

La tua gaiezza impegna già il futuro

ed un crollar di spalle

dirocca i fortilizî

del tuo domani oscuro.

T'alzi e t'avanzi sul ponticello

esiguo, sopra il gorgo che stride:

il tuo profilo s'incide

contro uno sfondo di perla.

Esiti a sommo del tremulo asse,

poi ridi, e come spiccata da un vento

t'abbatti fra le braccia

del tuo divino amico che t'afferra.

Ti guardiamo noi, della razza

di chi rimane a terra.

Da OSSI DI SEPPIA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco

lo dichiari e risplenda come un croco

perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l'ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,

sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano

a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com'è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Non rifugiarti nell'ombra

di quel fólto di verzura

come il falchetto che strapiomba

fulmineo nella caldura.

E' ora di lasciare il canneto

stento che pare s'addorma

e di guardare le forme

della vita che si sgretola.

Ci muoviamo in un pulviscolo

madreperlaceo che vibra,

in un barbaglio che invischia

gli occhi e un poco ci sfibra.

Pure, lo senti, nel gioco d'aride onde

che impigra in quest'ora di disagio

non buttiamo già in un gorgo senza fondo

le nostre vite randage.

Come quella chiostra di rupi

che sembra sfilaccicarsi

in ragnatele di nubi;

tali i nostri animi arsi

in cui l'illusione brucia

un fuoco pieno di cenere

si perdono nel sereno

di una certezza: la luce.

a K.

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida

scorta per avventura tra le petraie d'un greto,

esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi;

e su tutto l'abbraccio d'un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,

se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua,

o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua

e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie

sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma,

e che il tuo aspetto s'insinua nella mia memoria grigia

schietto come la cima d'una giovinetta palma...

Mia vita, a te non chiedo lineamenti

fissi, volti plausibili o possessi.

Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso

sapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vile

raro è squassato da trasalimenti.

Così suona talvolta nel silenzio

della campagna un colpo di fucile.

Portami il girasole ch'io lo trapianti

nel mio terreno bruciato dal salino,

e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti

del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,

si esauriscono i corpi in un fluire

di tinte: queste in musiche. Svanire

è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce

dove sorgono bionde trasparenze

e vapora la vita quale essenza;

portami il girasole impazzito di luce.

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Ciò che di me sapeste

non fu che la scialbatura,

la tonaca che riveste

la nostra umana ventura.

Ed era forse oltre il telo

l'azzurro tranquillo;

vietava il limpido cielo

solo un sigillo.

O vero c'era il falòtico

mutarsi della mia vita,

lo schiudersi d'un'ignita

zolla che mai vedrò.

Restò così questa scorza

la vera mia sostanza;

il fuoco che non si smorza

per me si chiamò: l'ignoranza.

Se un'ombra scorgete, non è

un'ombra - ma quella io sono.

Potessi spiccarla da me,

offrirvela in dono.

RIVIERE

Riviere,

bastano pochi stocchi d'erbaspada

penduli da un ciglione

sul delirio del mare;

o due camelie pallide

ne i giardini deserti,

e un eucalipto biondo che si tuffi

tra sfrusci e pazzi voli

nella luce;

ed ecco che in un attimo

invisibili fili a me si asserpano,

farfalla in una ragna

di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Dolce cattività, oggi, riviere

di chi s'arrende per poco

come a rivivere un antico giuoco

non mai dimenticato.

Rammento l'acre filtro che porgeste

allo smarrito adolescente, o rive:

nelle chiare mattine si fondevano

dorsi di colli e cielo; sulla rena

dei lidi era un risucchio ampio, un eguale

fremer di vite

una febbre del mondo; ed ogni cosa

in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati

come l'osso di seppia dalle ondate

svanire a poco a poco;

diventare

un albero rugoso od una pietra

levigata dal mare; nei colori

fondersi dei tramonti; sparir carne

per spicciare sorgente ebbra di sole,

dal sole divorata...

Erano questi,

riviere, i voti del fanciullo antico

che accanto ad una rósa balaustrata

lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci

parlano a chi straziato vi fuggiva.

Lame d'acqua scoprentisi tra varchi

di labili ramure; rocce brune

tra spumeggi; frecciare di rondoni

vagabondi...

Ah, potevo

credervi un giorno o terre,

bellezze funerarie, auree cornici

all'agonia d'ogni essere.

Oggi torno

a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore

par sciogliersi in ricordi lieti - e atroci.

Triste anima passata

e tu volontà nuova che mi chiami,

tempo è forse d'unirvi

in un porto sereno di saggezza.

Ed un giorno sarà ancora l'invito

di voci d'oro, di lusinghe audaci,

anima mia non più divisa. Pensa:

cangiare in inno l'elegia; rifarsi;

non mancar più.

Potere

simili a questi rami

ieri scarniti e nudi ed oggi pieni

di fremiti e di linfe,

sentire

noi pur domani tra i profumi e i venti

un riaffluir di sogni, un urger folle

di voci verso un esito; e nel sole

che v'investe, riviere,

rifiorire!

DORA MARKUS

1

Fu dove il ponte di legno

mette a Porto Corsini sul mare alto

e rari uomini, quasi immoti, affondano

o salpano le reti. Con un segno

della mano additavi all'altra sponda

invisibile la tua patria vera.

Poi seguimmo il canale fino alla darsena

della città, lucida di fuliggine,

nella bassura dove s'affondava

una primavera inerte, senza memoria.

E qui dove un'antica vita

si screzia in una dolce

ansietà d'Oriente,

le tue parole iridavano come le scaglie

della triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensare

agli uccelli di passo che urtano ai fari

nelle sere tempestose:

è una tempesta anche la tua dolcezza,

turbina e non appare,

e i suoi riposi sono anche piú rari.

Non so come stremata tu resisti

in questo lago

d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse

ti salva un amuleto che tu tieni

vicino alla matita delle labbra,

al piumino, alla lima: un topo bianco,

d'avorio; e così esisti!

2

Ormai nella tua Carinzia

di mirti fioriti e di stagni,

china sul bordo sorvegli

la carpa che timida abbocca

o segui sui tigli, tra gl'irti

pinnacoli le accensioni

del vespro e nell'acque un avvampo

di tende da scali e pensioni.

La sera che si protende

sull'umida conca non porta

col palpito dei motori

che gemiti d'oche e un interno

di nivee maioliche dice

allo specchio annerito che ti vide

diversa una storia di errori

imperturbati e la incide

dove la spugna non giunge.

La tua leggenda, Dora!

Ma è scritta già in quegli sguardi

di uomini che hanno fedine

altere e deboli in grandi

ritratti d'oro e ritorna

ad ogni accordo che esprime

l'armonica guasta nell'ora

che abbuia, sempre piú tardi.

E scritta là. Il sempreverde

alloro per la cucina

resiste, la voce non muta,

Ravenna è lontana, distilla

veleno una fede feroce.

Che vuole da te? Non si cede

voce, leggenda o destino...

Ma è tardi, sempre piú tardi.

ALLA MANIERA DI FILIPPO DE PISIS

NELL' INVIARGLI QUESTO LIBRO

...l'Arno balsamo fino.

Lapo Gianni

Una botta di stocco nel zig zag

del beccaccino -

e si librano piume su uno scrímolo.

(Poi discendono là, fra sgorbiature

di rami, al freddo balsamo del fiume.)

TEMPI DI BELLOSGUARDO

Oh come là nella corusca

distesa che s'inarca verso i colli,

il brusío della sera s'assottiglia

e gli alberi discorrono col trito

mormorio della rena; come limpida

s'inalvea là in decoro

di colonne e di salci ai lati e grandi salti

di lupi nei giardini, tra le vasche ricolme

che traboccano,

questa vita di tutti non piú posseduta

del nostro respiro;

e come si ricrea una luce di zaffiro

per gli uomini

che vivono laggiú: è troppo triste

che tanta pace illumini a spiragli

e tutto ruoti poi con rari guizzi

su l'anse vaporanti, con incroci

di camini, con grida dai giardini

pensili, con sgomenti e lunghe risa

sui tetti ritagliati, tra le quinte

dei frondami ammassati ed una coda

fulgida che trascorra in cielo prima

che il desiderio trovi le parole!

*

Derelitte sul poggio

fronde della magnolia

verdibrune se il vento

porta dai frigidari

dei pianterreni un travolto

concitamento d'accordi

ed ogni foglia che oscilla

o rilampeggia nel folto

in ogni fibra s'imbeve

di quel saluto, e piú ancora

derelitte le fronde

dei vivi che si smarriscono

nel prisma del minuto,

le membra di febbre votate

al moto che si ripete

in circolo breve: sudore

che pulsa, sudore di morte,

atti minuti specchiati,

sempre gli stessi, rifranti

echi del batter che in alto

sfaccetta il sole e la pioggia,

fugace altalena tra vita

che passa e vita che sta,

quassú non c'è scampo: si muore

sapendo o si sceglie la vita

che muta ed ignora: altra morte.

E scende la cuna tra logge

ed erme: l'accordo commuove

le lapidi che hanno veduto

le immagini grandi, l'onore,

l'amore inflessibile, il giuoco,

la fedeltà che non muta.

E il gesto rimane: misura

il vuoto, ne sonda il confine:

il gesto ignoto che esprime

sé stesso e non altro: passione

di sempre in un. sangue e un cervello

irripetuti; e fors'entra

nel chiuso e lo forza con l'esile

sua punta di grimaldello.

L'immagine è un quadro di Filippo De Pisis

Se chiamo

non vengono i miei morti

ma il treno si è fermato nel tramonto

fuori solo grilli e campi

e a un tratto

come da lontano una balera

un tango.

----------------------------------------------

Arrivavano all’alba

dalle campagne

il viso segnato dal sole

le mani nodose

e stavano ore

nere

in piedi

sulla piazza del mercato.

L’una era l’ora più vuota

contavano chine le uova invendute

le calze di seta svanite.

---------------------------------------------

Il paese era tutto un rammendo

ricambi di colli e polsini

giacche lise da rivoltare

un continuo disfare

vecchie vite

fianchi

corpetti ormai sfatti

e lei usciva da una scuola di taglio.

-----------------------------------------------

A un mese

era stata colpita dalla polio.

Giorni e giorni ha passato sul balcone

sulle panchine della stazione

al parco delle scuole.

Mai riusciva ad arrivare

dove muore l’argine.

È rimasta ad aiutare in casa

ha curato la bambina di sua sorella.

Giocava di nascosto

una lira una cartella

con le vecchie della tombola

in una stanza buia

il muro annerito dalle stufe

lei nella luce.

---------------------------------------------

A Messa andava all’alba

chiusa nella spilla da balia

sul cuore il taschino degli aghi

la stanza ingombra di pizzi

di sete

di rasi

una nuvola bianca

con punte di rosa

in un vicolo scuro

tutti veli da sposa.

-------------------------------------------

Li cuciva sul rovescio

intere notti

curva sulla Singer a pedali

i palloncini a spicchi dei mercati

che nessuno da bambina le comprava

e lei lì a fissarli

come per portarli tutti a casa

gialli verdi rossi.

Le hanno consumato gli occhi.

-------------------------------------------------

Persino le rosette

che sua madre portava dall’età di cinque anni

erano andate a suo fratello

e a sua cognata.

Lei non è tornata

a casa quella notte.

All’alba

sedeva ancora

muta

composta

in sala d’aspetto

di terza classe.

-------------------------------------------------

Un fazzoletto in testa

uno più grande in mano

quattro capi

due nodi

i tagli dei geloni

e i sogni

caldi come le stagioni

sotto la neve.


The Lady's First Song

I turn round

Like a dumb beast in a show,

Neither know what I am

Nor where I go,

My language beaten Into one name;

I am in love

And that is my shame.

What hurts the soul

My soul adores,

No better than a beast

Upon all fours.

Prima canzone della dama

Mi aggiro torno torno

Come una belva bruta messa in mostra,

Né so chi io sia

Né dove io vada,

Il mio linguaggio costretto

In un unico nome;

l o sono innamorata:

Tale è la mia vergogna.

Quel che all'anima nuoce

La mia anima adora,

Come fossi una bestia

A quattro zampe.

The Lady's Second Song

What sort of man is coming

To lie between your feet?

What matter, ave are but women.

Wash; make your body sweet;

I have cupboards of dried fragrance, 1 can strew the sheet.

The Lord bave mercy upon us.

He shall love my soul as though

Body avere not at all,

He shall love your body

Untroubled by the soul,

Love cram love's two divisione

Yet keep his substance whole.

The Lord bave mercy upon us.

Soul must learn a love that is

Proper to my breast,

Limbs a love in common

With every noble beast.

If soul may look and body touch,

Which is the more blest?

The Lord bave mercy upon us

Seconda canzone della dama

Che uomo verrà mai

A giacer fra i tuoi piedi?

Che importa, non siamo che donne.

Làvati; rendi il tuo corpo soave;

Ho credenze ricolme di aromi essiccati,

Ne cospargerò il lenzuolo.

Il Signore abbia pietà di noi.

Egli amerà l'anima mia

Come se non vi fosse corpo,

Egli amerà il corpo tuo

Indisturbato dall'anima,

L'amore sazi le due parti d'amore

Ma la sostanza ne conservi intiera.

Il Signore abbia pietà di noi.

L'anima deve imparare un amore

Che si addica al mio seno,

Le membra un amore in comune

Con ogni nobile animale.

Se l'anima ha la vista e il corpo il tatto,

Qual è il piú beato?

Il Signore abbia pietà di noi.

The Lady's Third Song

When you and my true lover meet

And he plays tunes between your feet,

Speak no evil of the soul,

Nor thínk that body is the whole,

For I that am bis daylight lady

Know worse evil of tbc body;

But in honour split his love

Till either neither bave enough,

That I may bear if we should kiss

A contrapuntal serpent biss,

You, should band explore a thigh,

All the labouring heavens sigh.

Terza canzone della dama

Quando tu e il mio amante fedele v'incontrate

Ed egli nel tuo grembo intona melodie,

Non dir male dell'anima,

Né credere che il corpo sia tutto,

Poiché io, sua signora di giorno,

So del corpo mali peggíori;

Ma con onore dividi in due l'amore

Sì che ciascuno non abbia abbastanza dell'una e dell'altro,

Ed io senta se ci baciamo

A contrappunto il sibilo del serpe,

E tu senta se una mano ti esplora la coscia

Il sospiro di tutti i cieli in travaglio.

The Lover's Song

Bird sighs for the air,

Thought for I know not where,

For the womb the seed sighs.

Now sinks the same rest

On mind, on nest,

On straining thighs.

Canzone dell'amante

L’uccello sospira per desiderio d'aria,

Il pensiero per non so qual luogo,

Per il grembo il seme sospira.

Ora scende un medesimo riposo

Sulla mente, sul nido,

Sulle cosce sforzate.

The Chambermaid's First Song

How carne this ranger

Now sunk in rest,

Stranger with stranger,

On my cold breast?

What's left to sigh for?

Strange night has come;

God's love has hidden hím

Out of all harm,

Pleasure has made him

Weak as a worm.

Prima canzone dell'ancella

Come venne questo invasore

Sprofondato ora in riposo,

Estraneo con estranea,

Sul mio freddo seno?

Per che cosa rimane da sospirare?

Strana notte è venuta;

L'amor di Dio lo ha posto ,

Al riparo da ogni male,

Il piacere lo ha reso

Debole come un verme.

The Chambermaid's Second Song

From pleasure of the bed,

Dull as a worm,

His rod and its butting head

Limp as a worm,

His spirit that has fled

Blind as a worm.

Seconda canzone dell'ancella

Dopo il piacere del letto

Torpido come verme,

La sua verga e la testa d'ariete

Flaccida come verme,

Il suo spirito che si è dileguato

Cieco come verme.

The Spur

You think it horrible that lust and rage

Should dance attention upon my old age;

They avere not such a plague when I was youngs;

What else bave I to spur me into song?

Lo sprone

Ti sembra orribile che lussuria e furia

Mi faccian scorta nella mia vecchiaia;

Non erano tanto assillanti quand'ero giovane;

Che altro mi resta per spronarmi a cantare?

Versione di Giorgio Melchiori, Einaudi


When you are old Quando sarai vecchia
When you are old and gray and full of sleep

And nodding by the fire, take down this book,

And slowly read, and dream of the soft look

Your eyes had once, and of their shadows deep;

How many loved your moments of glad grace,

And loved your beauty with love false or true;

But one man loved the pilgrim soul in you,

And loved the sorrows of your changing face.

And bending down beside the glowing bars,

Murmur, a little sadly, how love fled

And paced upon the mountains overhead,

And hid his face amid a crowd of stars.

Quando sarai vecchia e grigia e di sonno onusta,

e sonnecchierai vicino al fuoco, prendi questo libro

e lenta leggi, e sogna il dolce sguardo

che avevano un tempo i tuoi occhi, e la loro ombra profonda.



In molti amarono i tuoi attimi di felice grazia

e amarono la tua bellezza con amore falso o vero,

ma un uomo solo amò la tua anima pellegrina,

e amo le pene del viso tuo che incessante mutava.



Piegati ora accanto all’ardente griglia del camino

e sussurra, con qualche tristezza, come l’amore scomparve,

e vagò alto sopra le montagne,

e nascose il suo viso in uno sciame di stelle.

(traduzione di Paolo Cecchi)

A biography in english

Una biografia in italiano

© 2024 Eddyburg