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arcipelagomilano.org, 19 giugno 2018. Tutto l’opposto della città metropolitana milanese e dell’Italia in genere, dove i governi metropolitani non hanno reali poteri né di regia, né di controllo.

Da qualche tempo Arcipelago si interroga sul perché lenostre Città Metropolitane, e in particolare quella di Milano, raccolgano cosìpoco interesse da parte delle amministrazioni coinvolte e dei Sindaci – tutti!– là dove ci si aspetterebbe, a fronte di una importante innovazioneistituzionale, se non qualche entusiasmo almeno qualche segno di ‘messaggioricevuto’. Abbiamo avuto un Piano Strategico puramente retorico, quasi senzacifre, che non coglie i veri problemi, le vere sfide e le vere priorità del nostroterritorio; vediamo decisioni urbanistiche anche rilevantissime (come adesempio quelle in merito al futuro degli scali ferroviari milanesi e altrasferimento delle facoltà scientifiche dell’Università Statale nelle areeexEXPO) in cui la Città metropolitana non è né coinvolta, né considerata, némenzionata; una quota irrisoria del tempo politico-istituzionale degliamministratori locali viene dedicata agli affari metropolitani; un senso diinutilità dell’istituzione pervade ormai non solo la politica ma anche ilcomune sentire dei cittadini.

Perché?
La risposta sta in alcuni limiti – se non errori – vistosissimi della legge Del Rio, ampiamente identificati fin dall’inizio. Una controprova? Il cammino spedito, veramente innovativo, con normale confronto di interessi diversi ma ampiamente e consensualmente superati, dell’iter di costruzione e messa a regime delle Métropole francesi, avviate in perfetta contemporaneità con le nostre. Presento qui un sintetico bilancio di questa esperienza fino ad oggi nel caso della Métropole du Grand Paris.


L’esperienza del Grand Paris

Sotto la presidenza di Hollande, sono state approvatein Francia alcune leggi importanti per il governo e la gestione del territorio:la legge MATPAM (Loi de Modernisation de l’Action Publique Territoriale etd’Affirmation des Métropoles) del 2014 che ha individuato e prescritto unpercorso innovativo per l’istituzione di governi metropolitani con estesecompetenze (1) e, sempre nel 2014, la legge ALUR (Loi pour l’Accès auLogement et un Urbanisme Rénové) che, al Titolo Quarto (Moderniser lesdocuments de planification et d’urbanisme), attribuisce alle associazioniintercomunali, anziché ai singoli comuni, la competenza in materia dielaborazione dei piani urbanistici: il Plan Local d’Urbanisme/PLUcomunale dovrà dunque trasformarsi, nei tempi prescritti, in Plan Locald’Urbanisme Intercommunal PLUi) (2).
L’1 gennaio 2016 si è ufficialmente costituita la Métropoledu Grand Paris (Décret n. 2015-2012 del 30 settembre 2015) che raggruppa123 comuni appartenenti a 3 dipartimenti (Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis eVal-de-Marne) e altri 7 comuni di dipartimenti limitrofi: per un totale di 7milioni e mezzo di abitanti.
Parigi ha da sempre costituito un grande attrattore difunzioni pregiate concentrate nel comune centrale e, malgrado lo storico impegnoriequilibratore dello Stato (3), ha continuato a costituire un formidabilemagnete: perché nella capitale si sono accumulati i grandi progetti deiPresidenti della Repubblica di turno e perché anche a Parigi si è registratauna ri-centralizzazione delle funzioni terziarie nel cuore dell’areametropolitana negli anni ’80, gli anni della fortuna della deregolazioneurbanistica. Il risultato è stata una crescente disparità e dicotomiacento-periferia, una crescita abnorme dei valori fondiari e della congestionenella città centrale, una evidente sottoutilizzazione delle potenzialità disviluppo e di modernizzazione della corona metropolitana.
La risposta coerente è stata l’innovativo modello digoverno (e non solo di governance) avviato con l’istituzione della Métropoledu Grand Paris. Oggi essa è impegnata su due fronti principali: laistituzionalizzazione di un livello strategico di pianificazione a scalametropolitana e l’attribuzione di competenze in materia di pianificazioneurbanistica non più alla scala dei singoli comuni, ma di associazioniintercomunali di notevole estensione e dimensione demografica.
Si tratta in questo secondo caso di 12 Territoire –che hanno acquisito lo statuto di Établissements publics territoriaux (EPT)– relativamente omogenei e individuati come la “scala pertinente” (più di300.000 abitanti per ogni EPT) per svolgere compiti di attuazione e gestionedegli indirizzi e delle scelte del governo metropolitano, e per elaborare ipiani di destinazione d’uso dei suoli.
Questo progetto di vera e istituzionalizzatacooperazione intercomunale è affidato dunque alla regia, al coordinamento ealla valutazione di compatibilità da parte del neonato governo metropolitano.La Métropole du Grand Paris è infatti un Établissement public de coopèrationintercommunale (EPC) “à fiscalitè propre” (vale a dire dotato diautonomia fiscale) e costituisce l’attore strategico per l’elaborazione dellepolitiche di pianificazione, strategiche o di settore, di area vasta.
La prima differenza, dunque, rispetto allo sciaguratomodello proposto nella legge Del Rio e inverato nelle ectoplasmatiche CittàMetropolitane italiane, è immediatamente evidente. Nel caso della regioneurbana della capitale francese, così come per tutte le nuove Métropole(alcune, come Lione, ancora più avanzate nel loro statuto costitutivo data lalunga e positiva esperienza di pianificazione di area vasta) (4), consiste nelfatto che i comuni sono stati ‘obbligati’ a rinunciare a molte competenze inconsiderazione dell’efficacia maggiore di politiche e piani di scalaintercomunale.
Quali compiti spettano alla Métropole du Grand Paris? Sono moltoampi, per garantire una gestione lungimirante e integrata del territorio. Sitratta di tutti i piani di settore per lequestioni di rilevanza metropolitana (economia, ambiente, società, cultura,grandi servizi) e, naturalmente, di tutte le competenze in materia dipianificazione territoriale e urbanistica di inquadramento strategico (Schéma de Cohérence Territoriale/SCOT), grandiprogetti di rilevanza metropolitana, costituzione di riserve fondiarieattraverso l’esercizio del droit de preémption e la creazione di ZAD (Zonesd’Aménagement Differé), politica della casa e in particolare dell’edilizia residenziale pubblica,gestione di tutti i dispositivi contrattuali Stato/comuni relativi aifinanziamenti per le politiche sociali urbane, regia e controllo dei grandiprogetti di rigenerazione e trasformazione urbana attuati in partenariatopubblico/privato (ZAC) (5) – sottoposti oggi a una procedura di approvazionecongiunta Metropoli/Comuni -, gestione di tutte le risorse finanziarie allocatedal centro per la realizzazione di edilizia sociale. Solo per le strategie e legrandi decisioni in merito ai trasporti la competenza rimane saldamente attribuitaalla regione Île-de-France.
Il percorso di istituzione dei governi metropolitani èstato complesso, e non privo di resistenze e aggiustamenti, ma va nelladirezione giusta: quella di un modello istituzionalista/cooperativo nel quale –sia nelle grandi opzioni strategiche di riduzione della ‘doppia velocità’territoriale che nelle scelte locali di destinazione d’uso dei suoli e neigrandi progetti di trasformazione urbana – non è più il comune l’attore dellatrasformazione, ma la Métropole con compiti di regia e controllo dicompatibilità dei piani e progetti urbanistici intercomunali affidati ai Territoire(6).
Vediamo qualcosa in comune con il modello italiano diCittà Metropolitana? Qualcosa in comune con l’ectoplasma metropolitanomilanese?
Nulla!
Qui in Italia i governi metropolitani non hanno realipoteri né di regia, né di controllo, essendo entrambi nelle mani dei comuni enon avendo risorse finanziarie proprie: limiti macroscopici facilmenteprevedibili e previsti fin dall’inizio (7). Qui nella ‘Grande Milano’, malgradola sbandierata e continua evocazione della sua collocazione ai vertici delsistema urbano europeo (o addirittura globale!), il municipalismo ottuso e lacrescente doppia velocità cuore/hinterland rappresentano l’effetto perverso diuna totale assenza di progettualità alla scala territoriale pertinente.
Vediamo qualcosa in comune fra i nostri sedicentiprogetti di rigenerazione/trasformazione urbana e le ZAC?
Nulla!
In Francia, anche soltanto l’idea che un modello‘autoritativo’ possa essere sostituito da un modello ‘negoziale’ – comeautorizzato nella legislazione urbanistica lombarda e divenuto ormai prassinormale nel nostro paese (8) – sarebbe impensabile. Certamente i progettinegoziati hanno in quel paese una lunga tradizione, ma la regia e la decisioneè spettata, e continua a spettare, sempre e comunque all’attore pubblico; oggispetta ai governi metropolitani… con buona pace dei nostri amministratoricomunali, in particolare in area milanese, succubi agli obiettivi di rendita e capitalgain dei grandi proprietari fondiari (9) e pervicacemente ignari deivantaggi offerti dalla integrazione territoriale.

Note

(1) Per una comparazione critica più dettagliata della legge Del Rio in rapporto alla legge MATPAM, si veda Gibelli M. C. (2014), “Milano città metropolitana fra deregolazione e nuova progettualità” in Meridiana, n. 80.

(2) Una competenza esclusiva, quella sul piano urbanistico, faticosamente conquistata dai comuni francesi soltanto da ‘pochi anni’: dagli inizi degli anni ’80 dello scorso secolo e già in parte ridimensionata con la riforma urbanistica del 2000 e la conseguente trasformazione del POS (Plan d’Occupation des Sols) in PLU (Plan Local d’Urbanisme) sottoposto, dal 2000 in poi, a verifica di compatibilità con il piano di inquadramento sopracomunale (SCOT). Si veda al proposito: Gibelli M. C. (2018), “In Italia, ci pensa il mercato; invece, in Francia i piani urbanistici diventeranno intercomunali!”, eddyburg.it, 10 febbraio

.(3) Sono ben note le politiche molto interventiste sperimentate già negli anni ‘60 per attenuarne la primazialità: a livello dell’intero territorio nazionale con le Métropoles d’équilibre promosse dalla DATAR e, a scala metropolitana, a partire dallo SDAU di Delouvrier e la conseguente politica delle Villes Nouvelles interconnesse con il polo centrale dalla rete di treni regionali (RER).

(4) Gibelli M. C. (2015), “Grand Lyon Métropole e Città Metropolitana Milanese: un confronto impari”, eddyburg.it, 25 ottobre.

(5) La consolidata procedura di ZAC (Zone d’Aménagement Concerté), normata da leggi nazionali già negli anni ’60 e successivamente sempre migliorata, consente il ricorso a procedure in deroga al piano urbanistico nel tessuto consolidato, in aree degradate o sottoutilizzate della città, per realizzare progetti di rigenerazione/trasformazione urbana; ma a condizione che siano garantite trasparenza, equilibrio finanziario ed equa ripartizione dei benefici fra pubblico e privato. Naturalmente, è all’attore pubblico che spettano regia e controllo.

(6) La Métropole du Grand Paris sta attualmente sovrintendendo alla elaborazione in corso dei nuovi PLUi dei 12 Territoire.

(7) Camagni R. (2014), “Gli statuti metropolitani e l’esempio delle métropoles francesi”, arcipelagomilano.org, 14 ottobre.

(8) Altre legislazioni regionali si sono purtroppo allineate a questo nuovo ‘stile’: buona ultima, ma forse la peggiore, la legge urbanistica dell’Emilia Romagna, approvata nel dicembre scorso.
(9) Con qualche felice eccezione…ad esempio la variante al Piano di Governo del Territorio approvata dal Comune di Gorgonzola nell’aprile 2018 che ha tagliato le previsioni edificatorie contenute nel previgente PGT del 2011 di ben 1.500.000 mq, e introdotto il contributo straordinario per i piani attuativi in variante

    Il superuovo. 8 giugno 2018. Un articolo di introduzione a Auroville. Tra l'esperimento sociale e il sogno, la città è stata fondata nel 1968. Virtuosa da molti punti di vista, l'insediamento è più vicino a una riserva che a una città. (i.b.)

    Cinquanta anni fa un gruppo di giovani fondò la città di Auroville nello stato del Tamil Nadu, in India. L’idea fu di Mirra Alfassa, nota con il nome di “Mère” (“La Madre”), collaboratrice e seguace de filosofo indiano Sri Aurobindo. La “città dell’aurora” funziona in modo autosufficiente grazie all’energia solare e si fonda sull’agricoltura biologica ed il riciclaggio della quasi totalità dei materiali. Si struttura sulla proprietà collettiva, senza leggi e forze dell’ordine e coltiva l’arte spontanea, la quiete e la meditazione.

    Dal sito auroville.org


    Fin dai suoi albori è stata definità come la “città utopica“, tralasciando il fatto che, in quanto tale, è impossibile realizzarla concretamente. La città può crescere e sopravvivere grazie ai finanziamenti dell’Unesco, della Comunità Europea e del Governo Indiano. Il loro largo investimento nel progetto garantisce un bilancio annuale complessivo di circa cinque milioni. Ed ecco che vediamo decadere i maggiori motivi di prestigio e vanto dei cittadini dell’aurora: l’autosufficienza e la pace. I due valori sono strettamente legati tra loro e intrattengono una relazione triadica con l’elemento fondamentale: i soldi. Non possiamo non considerare questo fattore e tralasciare il triangolo che Renato Zero non aveva considerato: è naturale che con la disponibilità pressochè infinita di risorse i motivi di conflitto all’interno della comunità vengano meno; la città, nata da un impulso spontaneo e dalla volontà di meditazione, è diventata praticamente un mero esperimento sociale in cui l’artificialità fa da padrone.

    Dal sito auroville.org

    Il modo di vivere all’interno di Auroville ricorda la “città dei maiali” descritta da Platone nel secondo Libro della Repubblica: è una città giusta e ben funzionante ma emergono chiaramente due differenze rispetto alla città “sana” costruita mentalmente da Socrate: questa pone le sue fondamenta sul bisogno degli individui che può essere meglio soddisfatto all’interno di una comunità che vive all’insegna dell’okeiopragia ossia il principio di specializzazione. In un secondo momento Platone–Socrate introduce la moneta ed ecco la seconda differenza con Auroville: la città dei maiali è una città economica che intrattiene scambi commerciali con l’esterno pur mantenendo la sua autonomia ed autenticità. La città dell’aurora, invece, è quasi rinchiusa in una bolla, i suoi abitanti sembrano vivere un estraniamento dalla realtà poichè non costretti a guadagnarsi da vivere, ma sovvenzionati come cavie di un bell’esperimento che devono starsene buone, coltivare la terra, pregare, volersi bene e vivere felici e contente. L’esperimento è sicuramente riuscito, ma non può essere considerato come un modello esportabile e universale proprio poichè pecca di totale dipendenza da fonti esterne. E’ un ibrido tra un angolo di paradiso ed un inferno potenziale a rischio implosione nel caso si dovessero fermare i sovvenzionamenti. Una città che manca di specializzazione tra i suoi membri, inoltre, è probabilmente condannata a restare ferma e a non progredire, totalmente estraniata rispetto ad un mondo che forse il progresso lo rincorre in modo troppo vorace.

    Tornando a Platone e procedendo nella lettura del dialogo emerge ulteriormente l’inadeguatezza di una città come quella di Auroville: Glaucone, interlocutore di Socrate e signore del dialogo, evidenzia come l’uomo non può essere solo bisogno: l’uomo è desiderio e nella città dei maiali lo spazio per il desiderio non c’è; l’appellativo “suino” non è da intendere in senso dispregiativ, ma indica coloro che si accontentano di poco.

    Ovviamente la città del desiderio tanto lodata da Glaucone è Atene ed i problemi non mancano anche qui: una città desiderante è facilmente portata alla degenerazione ed è su questo filo conduttore che Platone porterà avanti i restanti otto Libri dell’opera.

    Nonostante tutti i suoi limiti è importante evidenziare che la città dell’aurora, pur essendo artificiosa, pur essendo poco realistica, pur essendo a tratti moralmente ingenua e quasi perbenista, offre lo spaccato di un mondo alternativo, non realizzabile,ma alternativo. I valori dell’uguaglianza, del rispetto della natura e del prossimo, della gentilezza, della riflessione, se attualizzati potrebbero costituire un punto di partenza per una riflessione meno sognante e più concreta sulla nostra realtà di uomini desideranti in un mondo altrettanto desiderante.

    Tratto dal sito qui raggiungibile.

    Qui invece potete raggiungere il sito di Auroville, nel quale potete anche trovare una sezione dedicata all'urbanistica e all'architettura.

    Negli ultimi 20 anni in Francia la pianificazione territoriale e urbanistica è stata oggetto di numerose riforme legislative: mai di ‘controriforme’, come invece è avvenuto in Italia.

    Negli ultimi 20 anni in Francia la pianificazione territoriale e urbanistica è stata oggetto, diretto o indiretto, di numerose riforme legislative: quattro le principali, tutte finalizzate a realizzare un modello di pianificazione e gestione della città e del territorio alla scala pertinente; tutte in direzione opposta e contraria rispetto a ‘controriforme’ come quelle che nel nostro paese sono state, per ora fortunamente solo ipotizzate (ma fino a quando???) a scala nazionale (Legge Lupi e Legge Lupi bis), ma purtroppo di fatto già legittimate in molte Regioni: buona ultima la Regione Emilia Romagna

    Dal 1967 (quando, con la Loi d’Orientation Foncière, si introdusse un doppio livello di pianificazione articolato nel POS - Plan d’Occupation des Sols -, di scala comunale e molto simile a un nostro PRG di ‘tradizione’, e nello SDAU - Schéma Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme - di scala sopracomunale) al 2000, la pianificazione urbanistica non è stata oggetto di riforme significative.
    A partire dal 2000, dopo un decennio di cauta, ma comunque nociva, deregolamentazione, l’attività riformatrice è stata molto intensa: una vera e propria riaffermazione della “puissance de l’état” in materia di governo e pianificazione del territorio. Quattro sono state le leggi più importanti approvate dal 2000 al 2014.

    Prima di tutto, una riforma della legge urbanistica nazionale. Con la SRU (Loi Solidarité et Renouvellement Urbains) del 2000, approvata durante il governo Jospin, si è avviato un percorso di innovazione (che verrà ulteriormente arricchito dalle due leggi Grenelle in materia di ambiente del 2009 e del 2010). La SRU sostituisce il Plan d’Occupation des Sols con il PLU (Plan Local d’Urbanisme): il nuovo piano comunale degli usi del suolo, comunque regolativo e prescrittivo, che però si arricchisce di un articolato progetto strategico dell’amministrazione locale formalizzato in tre documenti: Rapport de Présentation, “Projet d’Aménagement et de Développement Durables (PADD)”, e “Orientations d’Aménagement et de Programmation (OAP).
    Inoltre, lo SDAU cede il passo allo SCOT (Schéma de la Coherence Territoriale) e, per la prima volta, si sancisce che i PLU debbano essere compatibili con lo SCOT, di competenza delle associazioni intercomunali che dovranno obbligatoriamente esprimere un parere in proposito.

    Tre altre leggi più recenti, tutte approvate durante la Presidenza Hollande, hanno di nuovo migliorato sensibilmente le regole del gioco per il governo e la pianificazione del territorio alla scala pertinente: in una direzione per molti aspetti radicalmente innovativa e, appunto, in direzione opposta e contraria a quella, cinicamente e pervicacemente deregolativa, seguita (indipendentemente dalle maggioranze al potere) dai governi nazionali e regionali del nostro paese.

    La prima ha istituito i governi metropolitani - “Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles (MATPAM)” del 2014: una legge, molto complessa e articolata, che riconosce e legittima percorsi diversi per realtà metropolitane differenti, privilegiando un modello di governance multilivello, inquadrato comunque da rilevanti dispositivi di comando e controllo per quanto attiene alla ridistribuzione delle competenze.

    È su questo aspetto, della attribuzione di competenze all’ente metropolitano, che le due leggi, quella francese e quella italiana (la sciagurata, ma ormai pienamente delegittimata, legge Del Rio, approvata nello stesso anno) divergono in maniera sostanziale - oltre che sulle risorse finanziarie attribuite: cospicue nel primo caso, inesistenti nel secondo. Le Métropoles hanno ricevuto per delega tutte le funzioni di rilevanza metropolitana, sostituendo a pieno diritto i Comuni: economia, ambiente, società, grandi servizi, infrastrutture e, naturalmente, tutte le competenze in materia di pianificazione: Schéma de cohérence territoriale/SCOT, tutti i grandi progetti di rilevanza metropolitana, costituzione di riserve fondiarie, pianificazione di settore, politica della casa - e in particolare per l’edilizia residenziale pubblica -, gestione di tutti i dispositivi contrattuali Stato/comuni in materia di finanziamenti per le politiche sociali urbane, regia e controllo dei grandi progetti in partenariato pubblico/privato di trasformazione urbana che richiederanno una approvazione congiunta Metropoli/Comuni, gestione di tutte le risorse finanziarie allocate dal centro per la realizzazione di edilizia sociale e, infine, pianificazione dei trasporti metropolitani.

    Tutte le14 potenziali Métropoles previste dalla legge si sono già costituite come tali senza porre indugi, pur avendo previsto la legge dei percorsi flessibili e a geometria variabile: probabilmente, grazie anche alle cospicue dotazioni finanziarie garantite al nuovo livello di governo. Ma il numero sembra destinato ad ampliarsi: già ne sono previste altre 4 entro il 2018. Da sottolineare poi che tutte le Métropoles sono istituzioni locali a fiscalità propria: una riforma federalista con la quale la nostra legge sulle ectoplasmatiche Città Metropolitane non ha alcun elemento in comune.

    La istituzione dei governi metropolitani non è stata che un passaggio (anche se certamente importante) di una più ampia riforma delle amministrazioni locali che ha già ridimensionato il numero delle Regioni (che sono passate da 22 a 13) e che, sempre nel 2015, ha ridisegnato la struttura amministrativa del paese attraverso la Legge n. 991 del 7 agosto 2015 “portant nouvelle organisation territoriale de la République” (NOTRe): una legge che razionalizza e semplifica un sistema amministrativo plurilivello, troppo articolato e frammentato, reso inefficiente dalle molteplici sovrapposizioni di competenze e divoratore di risorse pubbliche, che i francesi hanno sempre definito icasticamente "millefeuille territorial”.

    Vengo ora all’ultimo dispositivo normativo importante, approvato nel 2014: si tratta della legge ALUR (Loi pour l'accès au logement et un urbanisme rénové) che affronta il problema del disagio abitativo e della crisi degli alloggi con l’intento di “favoriser l'accès de tous à un logement abordable”. Al Titolo IV (Moderniser les documents de planification et d’urbanisme), la legge inquadra le misure relative alla politica della casa in una prospettiva virtuosa di riforma complessiva del modello di pianificazione urbanistica e territoriale. Infatti, la seconda parte del titolo della legge - “urbanisme rénové”- si traduce nell’articolato non solo nell’obbligo perentorio alla copertura del territorio nazionale con i piani di area vasta intercomunali (SCOT) là dove ancora non sono stati approvati, ma, e questo è l’aspetto più innovativo, nell’obbligo al trasferimento alle associazioni intercomunali delle competenze, oggi comunali, in materia di elaborazione dei piani urbanistici d’uso dei suoli: tutti i piani di destinazione d’uso dei suoli (PLU) dovranno essere dunque sostituiti da PLUi (Plans Locaux d’Urbanisme intercommunaux) poiché ritenuti lo strumento operativo più adeguato per una gestione efficiente delle risorse territoriali.

    La legge ALUR ha previsto un trasferimento automatico delle competenze di elaborazione del PLUi alle associazioni intercomunali, secondo una tempistica rigidamente determinata: una caducità dei POS a partire dall’1 gennaio 2016 con il rischio per le amministrazioni locali, se non risultassero a quella data avviati i lavori per la revisione, di essere sottoposte al Règlement national d'urbanisme che limita drasticamente le possibilità di trasformazione urbanistica per le associazioni intercomunali che non abbiano avviato la procedura di PLUi. Contribuisce all’ottimismo sul successo di questa decisione così radicale anche il fatto che le spese relative alla elaborazione e gestione del piano risulterebbero, secondo una valutazione ex ante, letteralmente dimezzate: un incentivo alla cooperazione intercomunale anche su una materia tradizionalmente amministrata con grande spirito di autonomia dai Comuni.

    La legge ha inevitabilmente scatenato forti opposizioni, soprattutto da parte dei costruttori per quanto riguarda la prima parte relativa alle misure molto interventiste di regolamentazione del mercato delle abitazioni; ma anche per il PLUi: in questo caso le perplessità sono state avanzate da alcune grandi città, fra cui Lille. Il governo Valls 2, in merito a questo secondo conflitto, ha stabilito che i comuni più grandi (quelli che ospitano il 25% della popolazione urbana del paese) possano opporsi al piano urbanistico intercomunale. Ma la maggior parte dei governi metropolitani sta costruendo, sia pure con tempi dilatati, il consenso dei sindaci (la Métropole de Lyon ha già elaborato i ‘suoi’ PLUi; la Métropole du Grand Paris li sta elaborando: per 12 territoire intercomunali (già istituzionalizzati come Etablissements Publics Territoriaux - EPT) e che hanno una dimensione demografica di almeno 300.000 abitanti).

    Il PLUi diventerà dunque, sia pure in tempi più dilatati rispetto a quelli previsti dalla legge, il nuovo piano urbanistico: un piano che vuole costruirsi su un progetto comune alla bonne echelle e che detterà anche le regole in merito alla trasformazione dei suoli dei singoli territori comunali. Obiettivo: garantire una maggiore coerenza delle scelte insediative su un territorio, quello delle associazioni intercomunali (ormai completamente realizzate sul territorio francese dopo la grande riforma del 1999) che costituisce oggi la scala pertinente, perché in esso si svolgono la maggior parte delle relazioni quotidiane e perché in esso si è sviluppato un forte senso di appartenenza della comunità insediata.

    Il PLUi, elaborato in concertazione con gli élus dei singoli comuni, avrà un orizzonte di 10-15 anni; disciplinerà aménagement, trasporti, politiche per la casa, ambiente, clima e attività economiche. Come il ‘vecchio’ PLU, il PLUi dovrà essere costituito da: un Rapport de Présentation, dal PADD e dall’OAP; ma, soprattutto, come il precedente PLU, il PLUi costituirà lo strumento urbanistico regolamentare e prescrittivo alla scala locale. Indubbiamente, il PLUi ha costituito un ‘grande balzo in avanti’ nel percorso riformatore dell’urbanistica francese; una sfida impegnativa, ma davvero lungimirante: la co-pianificazione può infatti rafforzare la solidarietà fra comuni; garantire una maggiore coerenza fra il piano di inquadramento strategico (SCOT) e le procedure autorizzative a scala comunale in materia di concessioni edilizie; garantire una gestione più sostenibile delle risorse territoriali limitando la dispersione insediativa e il consumo di suolo, grazie anche alle competenze in materia di trasporti e di tutela paesaggistico-ambientale.

    Come concludere queste considerazioni?
    Ovviamente, e in primo luogo, sottolineando che in Francia le riforme propendono per garantire una trasformazione insediativa ancorata a regole: buone regole di destinazione d’uso dei suoli, sia pur rivisitate alla scala territoriale pertinente e supportate da visioni e strategie condivise. Non vi è alcuna traccia, né nelle leggi passate né in quelle più recenti, di ‘innovazioni’ quali la perequazione urbanistica (men che meno quella ‘estesa’), il mix funzionale libero, la possibilità per i privati di proporre progetti di trasformazione/rigenerazionee urbana in deroga agli strumenti urbanistici vigenti e affidati a procedure di approvazione semplificate ….e tutte le varie inverosimili affabulazioni e neologismi con i quali di fatto si è premiata la finanza immobiliare negli ultimi decenni nel nostro paese.

    Le riforme urbanistiche recenti del Bel Paese nulla condividono con le riforme sperimentate in Francia: in Italia, le riforme legislative si sono tutte indirizzate, se si eccettuano pochissimi casi di eccellenza – che sono già stati, o potrebbero essere nell’immediato futuro, delegittimati al mutare delle maggioranze o, semplicemente, dei governatori regionali, sindaci o assessori di riferimento all’interno di maggioranze stabili – a favore della rendita e della deregolamentazione; non certo della tutela del territorio come bene comune. L’ultima conferma di questa davvero devastante preferenza per il mercato è arrivata con la approvazione di una riforma urbanistica regionale che ha inverato il sogno (e nostro incubo) di Maurizio Lupi: da parte di una Regione, l’Emilia Romagna, stabilmente amministrata dalla ‘sinistra’ e vera testimonial in passato della buona urbanistica.

    «Esperienze di auto-determinazione di comunità locali. Poco importa se queste esperienze hanno differenze e grandi fragilità, una cosa è certa: ovunque gruppi di cittadini hanno smesso di delegare e dimostrano che è possibile creare luoghi sociali». Comune-info, 3 maggio 2016 (p.d.)

    In molte città europee, come conseguenza delle varie ondate di crisi politiche ed economiche del passato decennio, il settore pubblico ha gradualmente ridotto l’erogazione di alcuni servizi. In alcune città, organizzazioni e gruppi di attivisti si sono impegnati a fornire quei servizi che non erano più offerti dalla pubblica amministrazione. Parallelamente, molti architetti, urbanisti e attivisti sociali hanno riconosciuto che i modelli di finanziamento e di organizzazione tradizionali non erano in grado di supportare iniziative di piccola scala e progetti urbani con un impatto sulle comunità locali, e hanno cominciato ad elaborare alternative per aiutare i cittadini ad accedere a questi servizi.

    Il crescente bisogno di infrastrutture e servizi alternativi che fossero autosufficienti e comunitari, ha avuto un impatto significativo sulle nostre città. Gli attori di queste iniziative sono emersi come protagonisti (mediatori, organizzatori ed esperti tecnici) di un nuovo movimento che si focalizza sul coinvolgimento sociale e su interventi di piccola scala, mettendo a sistema le risorse locali con i bisogni delle comunità. Se da una parte la precarietà organizzativa ed economica di molte di queste iniziative ha portato alla conclusione di queste esperienze, dall’altra in alcuni casi ha comportato lo sviluppo di nuove sperimentazioni volte al consolidamento dei servizi di welfare alternativo erogati.Iniziative di questo tipo si sono sviluppate in varie città europee, con sfumature diverse a seconda del contesto specifico, e variano dalla gestione di spazi verdi a spazi culturali, da mense sociali a servizi di assistenza medica o educazione auto-organizzata.

    Questo articolo racconta le iniziative sviluppate ad Atene, Berlino, Liverpool e Rotterdam, mostrando come questo sia un trend crescente in Europa e mettendo in luce diversi aspetti del rapporto che si costruisce tra le comunità e gli altri attori locali.

    Atene: la rete di servizi civici
    Se nei Paesi del Nord-Est Europa riscontriamo uno spirito di imprenditoria sociale economicamente più solida, nel Sud Europa prevalgono le iniziative promosse da movimenti e gruppi di azione civica. Queste ultime non sempre hanno sviluppato modelli economici sostenibili, forse anche a causa di una differente cultura locale e storia imprenditoriale. Nel caso di Atene, nel settembre 2015 siamo andati a conoscere molte di queste iniziative civiche che hanno sviluppato servizi come giardini condivisi, mense sociali, servizi di assistenza sanitaria, educazione, sport e cultura. Nel quartiere di Metaxiria abbiamo incontrato la mensa socia leed il dopo-scuola auto-organizzati da Kostantinos e la sua associazione. Entrando nello spazio ci hanno spiegato di aver affittato un grande appartamento per metterlo a disposizione del quartiere, ospitando i ragazzi dopo le ore scolastiche nonché fornendo quotidianamente pasti caldi agli abitanti della zona ma anche ai rifiugiati che erano accampati nelle piazze di Atene. La bellezza della filantropia di Kostantinos e dei suoi colleghi ci hanno commossi, ma come garantire una sostenibilità di queste iniziative nel tempo? Pochi giorni dopo abbiamo conosciuto Boroume (Possiamo), un’associazione che funge da piattaforma logistica per la raccolta degli scarti alimentari da ristoranti e supermercati e la redistribuzione verso le innumerevoli mense sociali, sia comunali che auto-organizzate, come quella di Kostantinos. I fondatori dell’organizzazione ci spiegano come Boroume sia un servizio pubblico, svolto senza sovvenzioni pubbliche, che collabora con l’amministrazione i per ottimizzare la distribuzione degli alimenti. Gli stipendi delle otto persone dell’organizzazione sono pagati grazie a donazioni e finanziamenti di fondazioni. Discutendo del loro modello organizzativo ed economico ci spiegano come sia complessa in Grecia la crescita delle imprese sociali perché, a causa di una lunga storia di corruzione e oscuri finanziamenti a Ong vicine al potere, la credibilità degli operatori economici sia fortemente debilitata agli occhi del pubblico.

    Berlino: proprietà collettiva come spazio libero

    “ExRotaprint è un progetto di sviluppo urbano che affronta il mercato immobiliare e l’economia, le tendenze di separazione ed esclusione sociale, le strategie di politica urbana […] è un esempio di come sviluppare nuovi progetti nello spazio urbano. Qui esiste un orizzonte di possibilità, senza scopo di lucro, basato non su ideologie ma su accordi e consensi. […] The gGmbH non-profit ExRotaprint scardina i meccanismi della spirale speculativa del mercato immobiliare e si appropria dell’edificio tramite un diritto di superficie ereditario. È responsabile per tutti gli aspetti di sviluppo, finanziamento, affitto degli spazi e restauro dell’edificio. I partner di ExRotaprint non traggono profitto dalle attività dell’edificio e non possono creare un incremento del valore dell’immobile tramite la vendita della loro quota. Pertanto allo spazio è garantita una stabilità durevole che può essere creata dagli utenti dello spazio seguendo le loro esigenze.”
    Citazione da intervista con Daniela Brahm, ExRotaprint

    Il complesso industriale ExRotaprint, è situato in una vecchia fabbrica di macchine da stampa a Nord di Berlino, nel quartiere di Wedding, ed è stato venduto dal Comune di Berlino a un gruppo di abitanti nel 2009, con l’aiuto di due fondazioni interessate a investimenti sostenibili e a progetti comunitari socialmente responsabili, con l’obiettivo di togliere dal mercato speculativo le proprietà immobiliari. Il complesso conta 10.000 metri quadrati e oggi, una voltaesclusa la possibilità di venderlo a costruttori, ospita varie attività sociali, culturali e produttive grazie ad una gestione cooperativa, che crea abbastanza profitto da garantire il restauro dell’edificio.

    Nel 2009 un gruppo di artisti e di residenti decise di sviluppare un nuovo progetto per l’edificio ExRotaprint che era stato messo in vendita dal Comune di Berlino al miglior offerente. Dal momento che, sempre nel 2009, l’edificio era diventato patrimonio storico, non poteva essere abbattuto ma le sue funzioni future erano ignote. I residenti non furono inizialmente presi sul serio dal Comune, motivo per cui si consociarono in un’associazione di inquilini che avrebbe condiviso le stesse prospettive, portando avanti varie discussioni sul concetto di profitto e su come l’investimento di capitale avrebbe influito sul potere decisionale.

    “Nessuno aveva soldi ma l’idea di generare denaro, la fantasia del profitto fu una vera bomba. Èstata la parte più difficile del progetto, l’idea del profitto ha quasi distrutto il gruppo ancora prima che si formasse”.
    Citazione da intervista con Daniela Brahm, ExRotaprint

    La proprietà dell’immobile segue un modello piuttosto interessante: gli abitanti hanno comprato l’edificio per il quale pagano l’affitto, fra i 3 ed i 4,5 euro al mq, uno dei canoni più bassi a Berlino. Con questi fondi si ripaga il mutuo acceso con la Fondazione Trias in Germania e la Edith Marion a Basilea, in Svizzera. Nonostante il diritto di superficie ereditario, la proprietà del terreno è stata data per 99 anni alle Fondazioni mentre la ExRotaPrint gGmbH, l’azienda non-profit che gestisce il progetto, possiede l’edificio. Questo modello toglie l’immobile dal mercato e previene meccanismi di speculazione immobiliare. La gestione dell’edificio è portata avanti dalla ExRotaPrint gGmbH, dove dodici partner che rappresentano gli inquilini si incontrano mensilmente per prendere decisioni sullaregolare amministrazione dell’edificio, mentre quattro si incontrano ogni settimana. Inoltre le decisioni sono prese in accordo con l’Associazione di Inquilini. Tutti gli interventi di ristrutturazione dell’edificio sono pagati con un mutuo di 2,3 milioni di euro stipulato con Coopera Sammelstiftung Puch, un Fondo Pensionistico Svizzero, che ha una rata fissa del 4 per cento. Lo spazio è organizzato con una divisione equa delle attività a fini sociali, culturali e produttivi. Il progetto ha un bilancio annuo pari a zero, perché i profitti, che provengono dagli affitti degli spazi e dal bed&breakfast, vengono reinvestiti per pagare il mutuo di Coopera Sammelstiftung Puch, per le ristrutturazioni, e quelli con le Fondazioni Trias ed Edith Marion, per l’affitto del terreno.

    Sebbene il progetto abbia un importante impatto sociale, fornendo spazi a prezzi accessibili per attività di piccola imprenditoria, spazi culturali e sociali come corsi di lingua tedesca per migranti o scuole serali, esso è gestito completamente da privati, senza alcun tipo di cooperazione con l’amministrazione pubblica. Questo è anche il caso di Holzmarkt, una cooperativa che si è prefissata l’obiettivo di rigenerare l’ultimo spazio libero lungo il fiume Spree in modo da sviluppare un progetto sociale e inclusivo, o dello Spreefeld, un progetto di co-housing con 6.000 mq di residenze e 1.500 mq di servizi in parte accessibili anche al quartiere. Anche nel caso del Markthalle Neun, un mercato messo in vendita dal Comune di Berlino che a seguito di varie proteste cittadine acconsentì a dare l’edificio all’offerta migliore in termini di programma e offerta al quartiere con un prezzo fisso. Nel 2012 l’edificio è stato venduto ad un gruppo di giovani imprenditori e oggi ospita al suo interno un mercato di prodotti locali, oltre a un supermercato discount, caffetterie, ristoranti, fiere di vendita diretta dei produttori, un programma educativo, un parco giochi per bambini e uno spazio per piccoli spettacoli. Attualmente conta quaranta attività commerciali e dà lavoro a circa cento persone.

    Liverpool: nuovi modelli di gestione e accesso alla proprietà collettiva

    A seguito della Housing Market Renewal Initiative (iniziativa di Rigenerazione del Mercato Immobiliare) portata avanti dal governo britannico in molti quartieri popolari del Regno Unito, molte case furono evacuate in attesa di demolizione e ricostruzione. A causa della crisi economica del 2008, i lavori non sono iniziati e perciò rimangono ancora oggi intere strade con case abbandonate. Questo è il contesto del quartiere di Anfield di Liverpool, accanto al noto stadio, dove la comunità locale ha preso in gestione una panetteria, Homebaked (“cucinato a casa”) per sviluppare con la cittadinanza un centro di incontro e di dialogo per il futuro del quartiere. Dopo più di due anni di partecipazione, nel 2012 Homebaked è diventata una Community Land Trust con l’obiettivo di ristrutturare il complesso edilizio dove si trova la panetteria, creando spazi per imprese e abitazioni a prezzi accessibili. Un’esperienza simile è stata portata avanti dal progetti Granby Four Streets dove non lontano da Homebaked un’altra comunità locale ha preso in gestione un isolato del quartiere per creare abitazioni e spazi per imprese a prezzi calmierati, sempre tramite lo strumento del Community Land Trust. Queste ultime sono organizzazioni gestite dalle comunità locali che possono portare avanti una serie di attività, da abitazioni accessibili a giardini condivisi, dove la comunità gestisce il terreno garantendone l’accesso individuale nell’interesse della comunità. La proprietà del terreno e degli edifici è della comunità e non può essere oggetto di compra-vendite nel mercato immobiliare. Le forme di utilizzo, compresa la concessione in uso a famiglie, associazioni e imprese, sono decise dall’organizzazione, nell’interesse della comunità.

    Olanda: imprenditorialità civica come strumento di inclusione

    L’Olanda, grazie alla propria tradizione commerciale e alla propria cultura del compromesso, seguendo il “modello Polder”, ha sviluppato recentemente dei progetti dove la società civile ha mostrato spirito imprenditoriale e ha sviluppato collaborazioni sia con il settore privato che con quello pubblico.

    Questo è per esempio il caso di Zoho a Rotterdam, dove lo studio di pianificazione Stipo, assieme alla Associazione Edilizia Havensteder, ha sviluppato un progetto di rigenerazione di un’area degradata accanto alla stazione di Rotterdam.Attraverso le negoziazioni con i proprietari e sono state create le condizioni per attrarre rappresentanti del settore creativo, imprenditori locali e cittadini. In questo modo è stato possibile rigenerare il quartiere in termini sociali, economici e culturali.

    Una vicenda simile è stata portata avanti ad Amsterdam nel progetto De Ceuvel, dove è stato sviluppato unospazio per industrie creative e imprese sociali vicino al Canale Hasselt a Nord di Amsterdam. Il terreno è stato concesso con un permesso di dieci anni dal Comune ad un gruppo di sperimentatori che avevano vinto il concorso per la rigenerazione dell’area. Il sito era stato precedentemente utilizzato per usi industriali ed è oggi un esempio di sviluppo urbano sostenibile in Europa. Infatti, il terreno fortemente inquinato ospita oggi case-barca dislocate in una foresta di piante di bambù che purificano il suolo. Le barche sono state riutilizzate come abitazioni, uffici e laboratori e presto ospiteranno anche una sala da thè ed un bed&breakfast.Un’altra esprienza di auto-determinazione di una comunità è stata esplorata ad una scala di quartiere nel caso della Cooperativa Afrikaanderweik nel quartiere multi-etnico nell’omonimo quartiere nel sud di Rotterdam. La cooperativa è un’organizzazione che assolve la funzione di ombrello per collegare gli spazi di lavoro con negozianti, artigiani, associazioni e operatori del mercato di zona. Gli attori della zona hanno così potuto sviluppare una serie di servizi locali come una cooperativa energetica che crea un grande risparmio per le aziende locali come anche piccole imprese sociali di pulizia, catering o consegne a domicilio che operano nel quartiere includendo la popolazione locale.

    Quale morale in queste storie?
    Le storie che abbiamo raccontato brevemente sono soltanto un piccolo campione di un caleidoscopio di iniziative che si stanno moltiplicando, nelle città metropolitane di tutte le nazioni europee. La recente crisi economica è stata un’occasione di risveglio per molte comunità. Nonostante il grande entusiasmo verso queste nuove pratiche di sviluppo urbano partecipativo e di piccola scala, questo nuovo approccio non è privo di problemi . Se da una parte le comunità locali hanno cominciato ad avere un ruolo sempre più importante nello sviluppo locale dei quartieri, creando importanti infrastrutture come spazi pubblici, mense sociali o spazi culturali, dall’altro la maggior parte di loro sono tuttora molto fragili e precarie.

    Superare questa condizione di fragilità, senza dipendere da sovvenzioni pubbliche: è questa la sfida principale da affrontare per chi crede nelle potenzialità delle iniziative promosse da gruppi e associazioni di cittadini. Gli esempi del nord Europa ci confermano che la sfida si può vincere, anche lasciando all’amministrazione il solo compito di creare le condizioni minime perché le attività si svolgano in modo regolare. Se poi qualche amministratore virtuoso volesse favorire queste iniziative e integrarle all’interno dei processi inclusivi di trasformazione della città, basta che si preoccupi anche del valore d’uso che può derivare dal riutilizzo di edifici e aree dismesse, e non soltanto del loro valore di mercato.

    Funding the Cooperative City – Finanziare la Città Cooperativa, è un progetto di Eutropian Planning&Research che mira ad esplorare, promuovere e assistere esperimenti di sviluppo urbano comunitario nelle città europee. Si terrà a Roma un workshop il 5-7 Maggio e a Rotterdam il 28 Maggio, dove saranno invitate le iniziative selezionate dalla open call e faranno inoltre parte della pubblicazione “Funding the Cooperative City”.

    «Jane Jacobs. L’unica città funzionante è a misura di chi la abita. Contraria ai metodi di pianificazione, un ritratto dell’attivista e teorica critica dell’urbanistica moderna. Il suo saggio del 1961 ha segnato un punto di svolta per la sociologia urbana divenendo un punto di riferimento per accademici e non». Il manifesto, 21aprile 2016 (c.m.c.)

    Chiamato ad aprire il recente European Regional Meeting sugli habitat urbani Jan Gehl, probabilmente l’urbanista e designer di spazi pubblici più importante e rispettato oggi al mondo (o almeno in Europa) ha dedicato quasi interamente il suo intervento a Jane Jacobs. Nel successivo incontro tematico sugli spazi pubblici di Barcellona, il 4 e 5 aprile scorsi, sono stati pochi i relatori che non hanno fatto esplicita menzione del suo nome, o almeno implicito riferimento al suo pensiero.

    In entrambi questi appuntamenti, promossi sotto l’egida dell’Onu in preparazione della conferenza Habitat III per scrivere la «Nuova Agenda Urbana» e, nelle intenzioni, le linee guida dello sviluppo futuro delle città del mondo, è sembrato finalmente che a cento anni esatti della sua nascita la sua figura e il suo pensiero, dopo aver conquistato accademici, attivisti e addetti ai lavori, stiano finalmente raggiungendo anche il campo dei «decisori».

    Parliamo di Jane Jacobs, nata Jane Butzner a Scranton, Pennsylvania, il 4 maggio del 1916 e vissuta principalmente fra il Greenwich Village di New York – nell’amata casa al 555 di Hudson Street – e Toronto, in Canada, di cui fece la sua seconda patria. Priva di uno status ufficiale nel mondo accademico, consegnò i suoi interventi critici intorno ad architettura e urbanistica all’autorevole Architectural Forum. Il suo acuto spirito di osservazione e il suo approccio inedito, basato sull’osservazione diretta della vita urbana e del comportamento dei cittadini vincolato alla fisicità degli spazi, la resero presto un’interlocutrice obbligata in tutti i luoghi in cui si discuteva – e se ne discuteva parecchio, nell’America degli anni ‘50 – di ripristino, rinnovo, o «miglioramento» urbano.

    Vite insorgenti

    Mentre veniva accusata di mancare di basi teoriche («rimedi domestici» aveva definito le sue proposte Lewis Mumford, che pure la stimava, in un celebre articolo sul «New Yorker»), Jane Jacobs non credeva invece nella pretesa scientificità dell’urbanistica moderna, che guardava alla stregua di una serie di «formule magiche» di natura ideologica, dagli esiti non prevedibili quando non notoriamente nefasti. Eppure, oltre che autrice, Jane Jacobs fu anche attivista, lottando dalla parte dei deboli insieme a tutte le comunità urbane con cui entrò in contatto – prima nella sua New York e poi in Canada, dove si trasferì nel 1968 come atto polemico contro la guerra del Vietnam, ma anche subito dopo aver subito un arresto per «incitamento alla sommossa» durante le proteste contro la costruzione di un’autostrada che avrebbe tagliato in due la Lower Manhattan.

    Fu un’epica battaglia, di cui non fu l’unica ma certamente la più celebre protagonista, che la vide contrapporsi a Robert Moses, il più influente e potente pianificatore di New York, pari per autorevolezza, e anche per la radicale durezza delle sue soluzioni, a quel Barone Haussmann – cui lui stesso si paragonava – che aveva aperto i boulevard nella Parigi di Napoleone III, spianando interi quartieri della città vecchia considerati malsani, irrazionali e pericolosi. Con lo stesso piglio Moses voleva aprire grandi strade veloci nel cuore di New York, tagliando e spianando aree storiche come appunto una parte del Greenwich Village in cui però, per sua sfortuna, risiedeva Jane Jacobs. Il progetto di Moses procedeva dunque a gonfie vele, finché non si imbatté nell’opposizione di un gruppo di cittadini, e soprattutto cittadine, costituiti nel «Joint Committe to Stop the Lower Manhattan Expressway»: «Non c’è nessuno, nessuno contrario al progetto, tranne un gruppo di mamme», avrebbe gridato in occasione di un incontro uno stupito quanto contrariato Moses proprio all’indirizzo di Jacobs.

    È storia che alla fine la battaglia fu vinta dalle «mamme» e che l’autostrada urbana non si fece, anche grazie a un piano sperimentale, promosso proprio da Jacobs, che andava nella direzione opposta e proponeva di chiudere completamente al traffico delle auto l’area del quartiere attorno al Washington Square Park. Il libro cardine di Jane Jacobs, The Death and Life of Great American Cities, uscito negli Stati Uniti nel 1961 e relativamente presto tradotto anche in italiano grazie a Einaudi (Vita e morte delle grandi città, 1969) è considerato da alcuni come il singolo libro più importante nella storia della pianificazione urbana, e l’affermazione non è lontana dall’essere vera.

    Liberazioni urbane

    Esplicitamente polemico: «questo libro è un attacco contro gli attuali metodi di pianificazione e di ristrutturazione urbanistica» recita l’incipit, e primo fra i suoi diretti obiettivi era l’urbanesimo modernista della «Città Radiosa» di Le Corbusier, che aveva proposto una forma urbana, poi diventata canonica, concepita in funzione di una vita isolata (le celebri «unità di abitazione», che non mascheravano troppo il loro intento disciplinare) e dominata dagli spostamenti in auto. Allo stesso modo Jacobs non risparmiava critiche all’idea di «Città Giardino» propugnata da Ebenezer Howard che, apparsa anch’essa come un’utopia possibile per il risanamento materiale e morale delle città, aveva contribuito nella pratica a promuovere la forma dispersa e inefficiente dei moderni suburbi.

    Accomunava queste visioni, secondo la lettura di Jacobs, l’idea di separare, insieme con le funzioni degli edifici (con quartieri per negozi, per case, per uffici) e dei collegamenti (strade per le auto, per i mezzi pubblici, per i pochi pedoni rimasti) anche i cittadini, con la falsa pretesa di liberarli, perché la liberazione era intesa solo come liberazione dai loro bisogni. La presenza di grandi aree verdi – che pure accomunava i due disegni di Le Corbusier e di Howard – non poteva essere – e si rivelò non essere – una soluzione al «problema urbano», perché il tipo di problema che la città rappresentava era del tutto particolare.

    La città – dice Jane Jacobs – è una complessità auto-organizzata che procede per tentativi ed errori: toglierle con una pianificazione «ideologica» la possibilità di rigenerarsi attraverso scambi e combinazioni anche casuali significava ucciderne la vitalità e minarne il successo. La città funzionante è dunque un intensificatore di vita ed è piuttosto questo tipo di liberazione, tendente verso un incremento delle possibilità per chi le abita, che i pianificatori dovrebbero perseguire; uno dei suoi grandi lasciti da rimeditare oggi, in presenza di un’intensificazione dei fenomeni di urbanizzazione senza precedenti.

    Impegno diretto

    Certo il suo lavoro non è stato e non è esente da critiche. A partire da quelle originarie sulla debolezza dei suoi presupposti teorici fino ad altre più recenti che le rimproverano una certa fede aprioristica nelle capacità taumaturgiche del mercato. In effetti Jane Jacobs non mise mai in questione le strutture sociali e il predominio dell’economia (dopo The Death and Life of Great American Cities molti dei suoi successivi studi furono dedicati a questioni economiche, e lei stessa riteneva di aver dato in questo campo i suoi migliori contributi), ma valga come attenuante che il suo interesse fu sempre per il piccolo mondo della vita di quartiere, per le botteghe artigiane e un tipo di vita urbana che stimolasse la creatività.

    La si è anche accusata di «depoliticizzare» i cittadini, attraverso un’idea di auto-organizzazione che rischiava di apparire meccanicistico-organicista. Ma chi le ha mosso tale critica, come sottolinea bene Carlo Olmo nell’introduzione all’edizione italiana di The Death and Life, lo fa muovendo da una concezione politica che si risolve nel modello della democrazia liberale di tipo rappresentativo. Ben diversa dall’idea – e dalla pratica – di impegno diretto promossa da Jacobs, che mostra di aver retto alla prova del tempo.

    Wade Graham, quando affronta la sua figura nel recente Dream Cities, Seven Urban IdeasthatShaped the World (Harper) lo fa in un capitolo intitolato «Corals»: coralli, come le strutture che crescono e si sviluppano per azione collettiva in una forma cangiante e senza direzione. La sua critica riguarda la possibilità di creare nuove zone urbane – nuove edificazioni – che riprendano la varietà di forme e di funzioni delle città del passato senza cadere nell’artificialità. In effetti però Jacobs non sembra parlare mai di urbanizzazioni nuove, ma sempre del miglioramento o del mantenimento di quelle esistenti, e dunque la critica è da indirizzare non tanto a lei, quanto a una parte del movimento del «New Urbanism» che anche dalle sue idee prese ispirazione.

    L’urbanistica per Jane Jacobs non opera mai nel vuoto, e se dovessimo applicare il suo metodo all’espansione futura delle megalopoli dovremmo invece guardare a quella fascia di slums e insediamenti informali che le caratterizza come vita sorgente – verrebbe da dire: come potere costituente – con la sua dignità e le sue formazioni sociali spesso inedite, la cui energia e i cui equilibri sono l’energia e gli equilibri della città stessa,e non una sorta di tumore da debellare tramite l’uso ideologico della ruspa. Ma se queste sono lezioni utili per urbanisti, per politici e studiosi di fatti urbani, cosa possiamo imparare invece tutti e tutte da Jane Jacobs? Per esempio a guardare le città con i nostri stessi occhi, ad altezza d’uomo – e più ancora di donna – e a valutare con il nostro buon senso, perché non sempre i professori hanno ragione.

    *
    RICORRENZE. Il mondo festeggia i cento anni di Jacobs con iniziative da New York a Roma

    Per i cento anni di Jane Jacobs sono tante le iniziative in giro per il mondo pensate per ricordare il suo pensiero e la sua azione. Conformemente, si tratta per lo più di iniziative a carattere partecipativo e aperto. Il «Center for The Living City», fondato nel 2005 a New York per promuovere e continuare il suo lavoro ha lanciato «Gifts to Jane», una raccolta di contributi delle comunità alla vita delle città. L’iniziativa è legata all’Urban Acupunture Network, rete per l’agopuntura urbana: come nell’agopuntura bastano infatti piccolissimi interventi per migliorare la vita di un vicinato, di una strada o un quartiere (www.janes100th.org).

    Sempre a New York La Municipal Arts Society si è mobilitata con «Celebrating the City: Jane Jacobs at 100». Il tutto ruota attorno a un sito: www.jj100.org, un aggregatore in cui è possibile inserire o ricercare gli eventi. La stessa Municipal Arts Society è anche partner della «Jane Jacobs Medal» assegnata annualmente dalla Fondazione Rockfeller (che finanziò la ricerca alla base di The Death and Life of Great American Cities) a studiosi, attivisti o politici che hanno introdotto nuove visioni o strategie urbane. Per la prima volta nel 2016 le candidature saranno aperte anche al di fuori dagli USA.

    In Canada, patria di adozione della Jacobs, il contenitore si chiama «Jane100» (www.janejacobs100.ca) e fra le proposte spicca il New Urbanism Film Fest di Toronto, ma anche qui la formula – non potrebbe essere altrimenti – è aperta a nuovi contributi. In Europa la Facoltà di Architettura dell’Università di Delft organizza una più tradizionale conferenza dal titolo Jane Jacobs 100: her legacy and relevance in the 21st Century, che si svolgerà fra Delft e Rotterdam il 24 e 25 maggio. In Italia da un anno sono approdate anche a Roma le Jane’s Walk: passeggiate guidate alla scoperta della città, degli angoli dimenticati e delle storie dei quartieri. L’appuntamento è per il 7 e 8 maggio (http://janeswalk.org)

    Probabilmente molti lettori di eddyburg se ne ricorderanno, della campagna contro la legge cosiddetta Ammazzaparchi, campagna vittoriosa perché contro i progetti di una parte dello schieramento politico di centrodestra riuscì a coalizzarsi un insieme di forze molto trasversale, dall’ambientalismo, ai partiti dell’opposizione di centrosinistra, e in modo determinante sino ai rappresentanti della base leghista, che sulle tematiche del territorio e dell’identità aveva da sempre giocato i propri consensi. Premessa indispensabile, questa, se si vuol cercare di leggere in modo non del tutto teorico e/o ideologico quanto sta accadendo oggi su scala infinitamente più ampia e diversificata in Gran Bretagna, dove notoriamente si discute della riforma delle leggi nazionali urbanistiche, in una prospettiva sostanzialmente “semplificatrice” e con notevoli deleghe decisionali a enti locali e interessi particolari.

    Sono proprio questi interessi particolari che iniziano a configgere, forse preannunciando le modalità di confronto future, quando si indebolirà di molto la garanzia di equidistanza della legge, col previsto taglio da oltre 1.000 a meno di 100 pagine del planning framework che struttura gli obiettivi di massima delle trasformazioni territoriali. Il quotidiano popolare a orientamento conservatore The Telegraph ha annusato l’aria, in un paese dove la campagna da sempre, nella realtà e/o nel mito, fa parte integrante dell’identità nazionale, dove anni fa ha avuto notevole eco lo studio sistematico della CPRE sui vantaggi per la salute e l’economia della contemplazione del paesaggio, e dove tanti dei deputati tories vengono eletti in collegi rurali. Così più o meno dal momento in cui le associazioni per la difesa del paesaggio – National Trust e CPRE in testa – hanno iniziato a far muso duro nelle fasi di consultazione allargata sul progetto preliminare di legge, il quotidiano ha lanciato una propria campagna: Giù le mani dal nostro territorio!

    Che si struttura attorno a una raccolta aperta di opinioni dai cittadini comuni, e di interventi di osservatori privilegiati, politici, esponenti della società civile, giornalisti ecc. A dare il tono forse basta il breve testo che introduce le opinioni dei cittadini:

    "Il governo propone una riforma del sistema di decisione urbanistica, secondo la quale le amministrazioni locali dovranno in ogni caso essere “preventivamente favorevoli a progetti di trasformazione sostenibili”. Sostituendo i rigidi vincoli sulle costruzioni in aree rurali in vigore sin dagli anni ‘40.

    La maggioranza parlamentare ritiene che così si possa risolvere la crisi delle abitazioni, con problemi di sovraffollamento e persone del tutto prive di casa che rischiano di sfuggire del tutto al controllo, se non si interviene approvando la riforma urbanistica. Ma gli ambientalisti rispondono che invece il governo “sta anteponendo a tutto vantaggi economici di breve termine”.

    Siete convinti che così si devastino le campagne? Dobbiamo proteggere ad ogni costo le zone rurali del paese? Si sta davvero mettendo “il guadagno a breve termine” davanti a considerazioni ambientali di più lungo periodo?

    Oppure siete d’accordo con le riforme chieste dal governo di coalizione? É giusto mettere prima di tutto le esigenze della popolazione? Con queste riforme si risolve la crisi della casa? É l’unico modo per aiutare chi vorrebbe comprarne una, e allentare il problema del sovraffollamento? Chi si oppone alla riforma è solo un NIMBY?"

    Forse val proprio la pena di partire da quest’ultima considerazione, dalla parolaccia nimby, che curiosamente di solito è proprio accostata all’altro aggettivo, quello di territorio locale, su cui il ministro per le aree urbane Eric Pickles sta impostando il braccio secolare della Big Society di David Cameron. Scorrendo le risposte (una dozzina quelle disponibili in homepage, più o meno) del pubblico pare emergere da una lato una notevole articolazione di opinioni, dall’altro colpisce quanto due o tre generazioni di buona urbanistica abbiano saputo far germinare, anche nei lettori di un quotidiano per nulla elitario. Si va da chi sposa senza dubbio la causa della casa per tutti, senza badar più del dovuto alla tutela, ai difensori a spada tratta della campagna luogo di identità, a considerazioni decisamente articolate e mature, come la necessità di rivedere prima le politiche sulle aree urbane dismesse (che i conservatori hanno molto intiepidito), o evitare forzature come quella posizione “preventivamente favorevole alle trasformazioni sostenibili” senza chiarire cosa sia o non sia sostenibile.

    Gli interventi di testimoni privilegiati e specialisti appaiono naturalmente più sfumati e con meno sorprese, il quotidiano li propone già raggruppati in Favorevoli e Contrari, e anche qui naturalmente ci sono le posizioni che privilegiano aspetti socioeconomici, come quelle governative sulla casa, la crisi, il rilancio delle imprese, o il mondo ambientalista e associativo più incline, per usare le parole della presidente National Trust Fiona Reynolds, a esaminare gli aspetti di “fretta eccessiva” con cui si vorrebbe far partire un meccanismo che rischia di provocare “conseguenze imprevedibili, aumentare la confusione, determinare incertezze nel settore edilizio e ansietà nella popolazione e fra le amministrazioni”.

    Ricordando l’intervento di George Monbiot che sul Guardian ( riproposto anche su questo sito) giudicava un po’ populista la mossa del Telegraph con la sua campagna parallela alle associazioni ambientaliste, viene da pensare però a quale tono avrebbe potuto avere, nel nostro paese, una iniziative del genere, magari sulle pagine del il Fatto oppure sull’altro versante del Giornale, e come in realtà si possano già vedere spesso scontri ben più confusi e faziosi nella stampa locale. In conclusione, ferma restando da parte del sottoscritto una certa diffidenza nell’atteggiamento di “equidistanza” quando si tratta di temi tanto direttamente legati sia alla società che all’ambiente come in questi casi, suscita una certa invidia guardare da lontano tanta e diffusa maturità, anche se ovviamente non sfuggono prevedibili forzature, o pure e semplici balle.

    Ovviamente potremmo anche noi sviluppare una discussine a quei livelli. Come?

    Facile: dopo aver approvato e gestito con continuità un sistema moderno e democratico di planning per un paio di generazioni o giù di lì. Da dove si comincia?

    Già negli anni ’30 del primo automobilismo diffuso negli Usa, qualche urbanista notava come il mito della suburbanizzazione a bassa densità stesse ampiamente sbandando dal modello originale di Ebenezer Howard, anche reintepretato dalla Resettlement Administration rooseveltiana con le sue cittadine modello a bassa densità. Una sensazione di disagio confermata nel dopoguerra, quando nonostante tutti i trionfi di immagine e non del cosiddetto mito di suburbia qualche autore più attento iniziava ad esempio a notarne alcuni strascichi di ordine ambientale e sociale. La fede nel modello fortemente decentrato, anche da parte pubblica e col supporto della comunità scientifica, continuava però almeno fino ad anni ’60 inoltrati, sia sul versante dell’intervento privato che nel quadro di grandi piani regionali come quello per l’area della Capitale con le new towns, sponsorizzato da Lewis Mumford.

    È dagli anni ’70 (quelli delle grandi crisi urbane, della fuga delle imprese dalle downtown ecc.) che in qualche modo inizia una inversione di rotta, ad esempio nello stato del Maryland quando si riconosce da un lato una perversa tendenza di questo tipo di crescita socioeconomico-insediativa a mangiarsi risorse insostituibili, naturali e non solo, dall’altro la necessità di rimettere in discussione lo stesso impianto dell’intervento pubblico, che in un modo o nell’altro con le sue modalità di spesa e strategie di settore aveva promosso la dispersione. Sono i primi vagiti della cosiddetta smart growth, quella che forse conosciamo meglio nella versione professionale divulgativa e un po’ interessata della cultura new urbanism, in cui se ne enunciano i soli portati spaziali diretti. Spesso dando per scontate, quando non lo sono affatto, anzi, le grandi scelte a monte di investimento infrastrutturale, politiche e norme ambientali, fiscali, sulle imprese ecc. ecc.

    Beh, ci sono voluti quasi quarant’anni perché gli organismi creati ad hoc dal governo statale del Maryland arrivassero alla stesura semi-definitiva del Piano Territoriale Statale (uso questo termine perché mi pare il più adeguato a chiarire il concetto). Ma adesso a quanto pare ci siamo.

    Il modello del piano territoriale, oltre che per caratteri specifici di particolare trasversalità rispetto alle varie agenzie di settore, è anche molto diverso da altri pur avanzati interventi sulla forma insediativa come ad esempio il recente Senate Bill 375 della California voluto dall’ex governatore Schwarzenegger. Lì – come del resto in altre politiche, prima fra tutte quella molto discussa federale per la ripresa economica – si parte da un singolo elemento, nel caso specifico le emissioni con effetti climatici, per arrivare a cascata ad effetti sulla pianificazione regionale e di conseguenza locale. Quella del Maryland è invece una scelta direttamente territoriale, ovvero che a partire da esigenze complessive e trasversali costruisce una cornice di azione (il piano) e una di garanzia (un sottosegretariato speciale) perché tutti gli investimenti, singolarmente e nei rapporti reciproci, tengano sempre presenti alcuni obiettivi di assetto spaziale. Va anche sottolineato che i due Stati sono analoghi in pratica solo in quanto tali: gigantesca e geograficamente articolatissima la California, con 37 milioni di abitanti, relativamente piccolo il Maryland, marginale alla megalopoli della costa orientale Bos-Wash con l’area metropolitana di Baltimora (meno di tre milioni di abitanti a insediamento parecchio sparso) e una popolazione complessiva che supera di poco i 6 milioni.

    Nei 37 anni trascorsi da quando la prima legge sullo sviluppo urbano sostenibile individuava la necessità del Piano, i modi di urbanizzazione del territorio statale si sono caratterizzati ad esempio per una crescita esponenziale degli spazi privati (il lotto edificabile) e di conseguenza si sono occupate fasce sempre più esterne ai nuclei cittadini e metropolitano, con ritmi assai più rapidi rispetto all’aumento di popolazione e del numero di nuclei familiari. Risultano urbanizzati complessivamente 688.000 ettari, pari al 27% della superficie statale. E di queste aree circa il 60% risulta trasformato dopo il riconoscimento della necessità di far qualcosa con un Piano, nel 1973. In altre parole, se ci sono voluti tre secoli per urbanizzare 263.000 ettari di territorio, negli ultimi 37 anni se ne sono mangiati più di 400.000.

    Di questo passo se non si cambia strada, secondo i calcoli del Planning Department statale nel 2035 si saranno urbanizzati altri 163.000 ettari, e il Maryland avrà perduto oltre 91.000 ettari di superfici agricole e 71.000 a boschi. Oltre l’87% di tutte queste superfici sarebbe occupato da insediamenti residenziali a bassa o bassissima densità.

    Questa inesorabile marcia dello sprawl è spinta da un ciclo perverso e insaziabile: man mano si edificano nuove aree più esterne, che richiedono nuovi servizi, generano necessità di spostamenti pendolari più lunghi, fanno aumentare spesa pubblica e prezzi dei terreni, per trovare terreni meno cari allora ci si sposta ancora più lontano … Mentre invece al centro di queste onde concentriche ci sono infrastrutture sottoutilizzate e complessivo degrado.

    Il Piano Territoriale del Maryland ha come obiettivo di massima la rivitalizzazione e la crescita delle e nelle città e cittadine esistenti, stimolandone e sostenendone lo sviluppo economico. Con tre azioni parallele:

    Concentrare trasformazioni e densificazioni nei nuclei e aree consolidate e già dotati di infrastrutture.

    Tutelare le superfici rurali, le aree naturali e risorse rispetto alla trasformazione urbana.

    Promuovere una migliore qualità della vita in tutto il Maryland in una prospettiva di sostenibilità.

    Più specificamente il Piano promuove:

    Qualità della vita e sostenibilità: appare evidente come una migliore tutela del territorio, dell’aria, dell’acqua, una politica per le città sostenibili, possa se adeguatamente governata e promossa facilmente tradursi in qualità della vita per i residenti;

    Partecipazione dei cittadini: gli abitanti devono diventare interlocutori attivi nelle iniziative di programmazione ed essere resi consapevoli dei propri diritti e doveri negli obiettivi per il territorio;

    Poli privilegiati di sviluppo e forma urbana: la crescita dovrà privilegiare gli ambiti di insediamento residenziale e di attività economiche esistenti, ed eventualmente altri nuovi adeguatamente pianificati; la forma di questi insediamenti sarà compatta, spazi più fruibili a piedi e coi mezzi pubblici, per utilizzare nel modo migliore le risorse del territorio e salvaguardare spazi aperti, sistemi naturali, beni culturali e altre risorse;

    Infrastrutture e Trasporti: i poli privilegiati per lo sviluppo saranno quelli meglio collocate dal punto di vista geografico, delle infrastrutture, in grado di garantire impatti ambientali più contenuti anche in una logica di crescita. Per i trasporti ci si orienta verso un sistema multimodale che consenta una grande mobilità della popolazione per fruire di prodotti e servizi e spostarsi da e verso i posti di lavoro;

    Abitazioni: si vuole offrire un’ampia possibilità di scelta della casa sia dal punto di vista delle densità abitative, che delle tipologie, dimensioni, fasce di reddito ed età.

    Sviluppo economico: le attività più auspicabili sono quelle che sappiano sommare offerta di posti di lavoro, produzione di ricchezza, uso accorto di risorse naturali, rivolte a tutte le fasce di popolazione e coordinate coi servizi pubblici e infrastrutture.

    Tutela dell’ambiente e delle risorse naturali: territorio e acque, come quelle della baia di Chesapeake o delle altre zone costiere, sono adeguatamente tutelati e gestiti per l’indispensabile ruolo nel sistema ambientale. Allo stesso modo è promossa tutela e valorizzazione di boschi, zone agricole, spazi aperti e paesaggi.

    Garanzia di continuità e attuazione del Piano: la responsabilità di costruire un sistema insediativo adeguato è del governo statale, ma anche di imprese e cittadini, che collaborano ad equilibrare le esigenze dello sviluppo con quelle della sostenibilità e tutela. Per attuare il Piano con le sue scelte e strategie è essenziale procedure in modo integrato e trasversale nei vari settori e ai vari livelli dell’amministrazione, centrale e locale.

    Un aspetto importante riguardo all’ultimo punto, dell’attuazione del Piano, è il suo basarsi su leggi e norme esistenti, salvo eventuali aggiustamenti e modifiche suggeriti dai singoli uffici statali per quanto di loro competenza settoriale, e proprio per garantire il massimo coordinamento e trasversalità. Nel caso un’agenzia dello Stato individuasse l’esigenza di modifiche a leggi o norme, si procederà comunque per vie ordinarie.

    Resta aperta la questione del rapporto con le amministrazioni locali e la loro autonomia nelle decisioni riguardanti il proprio territorio. Il Piano è soprattutto di indirizzo e coordinamento dell’azione statale, e quindi della spesa e investimenti nei vari settori di competenza diretta: non può e non vuole scavalcare le autonomie locali e non chiede norme diverse in questo senso. Si capisce però che è proprio nella somma delle trasformazioni locali che si sostanziano poi gli effetti di qualunque politica territoriale, e quindi si richiede una partecipazione attiva delle amministrazioni.

    Uno dei compiti del Sottosegretariato alla Smart Growth responsabile per l’attuazione e il monitoraggio del Piano sarà appunto quello di tenere costantemente aperti i canali di comunicazione e concertazione, ad esempio perché i programmi locali possano adeguarsi e trarre il massimo vantaggio dai progetti statali (es. infrastrutture e trasporti, tutela ambientale, sviluppo rurale, risparmio energetico).

    Fra gli altri obiettivi del Sottosegretariato:

    Informare puntualmente tutti i soggetti coinvolti ai vari livelli e competenze.

    Promuovere e divulgare conoscenze specifiche nelle materie del Piano presso agenzie statali e amministrazioni locali, perché possano essere inserite nei loro strumenti operativi.

    Progettare migliori meccanismi istituzionali di collaborazione trasversale per la realizzazione del Piano

    Facilitare il percorso di norme e altri interventi per rendere più agevole l’attuazione.

    Per chi voglia leggersi tutto il PlanMaryland, un centinaio di pagine che comprendono anche la parte analitica e istituzionale qui necessariamente quasi sorvolate, allego di seguito il pdf della bozza in corso di discussione finale. Altre informazioni sul sito dedicato http://plan.maryland.gov/

    Titolo originale: Localism agenda at stake as battlelines are drawn over planning reform – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

    Se fossi il sottosegretario all’urbanistica, Greg Clark, o quello alla casa Grant Shapps, sarei terrorizzato. Proprio com’è successo alla responsabile per l’ambiente Caroline Spelman, che ha sbagliato di grosso a prendere le misure al paese quando pensava di privatizzare le foreste senza che nessuno reagisse, o ci facesse caso, allo stesso modo i due piacenti sottosegretari devono aver immaginato che fosse abbastanza semplice buttare alle ortiche il sistema di pianificazione, a tutto favore dei privati e degli affari.

    E hanno sbagliato. Negli ultimi tempi, l’incendio è iniziato prima con la pubblicazione del documento di indirizzo ( National Planning Policy Framework, che parte da una logica “semplificatoria” un po’ simile a quella del nostro ministro Calderoli n.d.t.) a luglio, ed è divampato sino a scatenare la rabbia in tutto il paese. Si stanno ora delineando gli schieramenti prima degli appuntamenti politici, che saranno inevitabilmente di sanguinoso scontro.

    In rapida successione si sono uniti tutti i principali gruppi di associazioni, ad esprimere profonda preoccupazione per quel documento di indirizzo, che potrebbe aprire le porte alla discrezionalità totale e intaccare il sistema di democrazia locale. Dal National Trust, alla Royal Society for the Preservation of Birds, agli Amici della Terra, alla Campaign to Protect Rural England, all’ Istituto Reale di Urbanistica alla Town and Country Planning Association e moltissimi altri fra cui Ramblers e Woodland Trust, da punti di vista e priorità diverse, ma individuando un terreno comune a collaborare per respingere gran parte della riforma.

    Martedì hanno aderito anche personalmente venticinque fra i più importanti urbanisti pubblici del paese. E si può prevedere che seguiranno celebrità, ambientalisti, associazioni di comuni, gruppi di volontariato, enti di valutazione e singoli parlamentari. Fiutando l’aria, il Daily Telegraph (quotidiano tendente a destra n.d.t.), ha subito lanciato una campagna per modificare la proposta. Il governo appare diviso, come già accaduto col caso delle foreste, e scioccato da queste reazioni. Sinora l’unico sostegno al documento di indirizzo arriva dagli ambienti che fanno riferimento al mondo immobiliare e delle costruzioni che dovrebbe guadagnarci. Ad esempio il Times mercoledì pubblicava (a pagamento) una intervista al responsabile uscente della Camera di Commercio Britannica a sostegno di un “governo saldo sulla sua linea” di riforma.

    I responsabili ministeriali hanno suscitato le ire di tutto il paese, ma devono temere in particolare il confronto con Fiona Reynolds, la responsabile del National Trust, che in uno dei suoi momenti ispirati da grande riformatrice sociale d’altri tempi si sta affermando come ufficiosa portavoce di tutto questo diffuso e qualificato movimento: una specie di Marianna da Rivoluzione Francese, simbolo di tenacia e buon senso comune.

    Settimana prossima la Reynolds scriverà a tutti i quasi quattro milioni di iscritti al trust (che sono il 10% degli elettori britannici) per chiedere non solo di firmare la petizione contro la riforma governativa, ma anche di esercitare pressioni dirette tramite il deputato del loro collegio. Si aspettano almeno centomila adesioni.

    A Cameron e al suo governo – possiamo dare per certo che siano iscritti del trust – andrà di sicuro di traverso il caffelatte della colazione, aprendo quella lettera. Ma non possono far finta che non sia successo niente come con il caso delle foreste, perché stavolta ci sono in ballo tanti e tanti soldi, per non parlare del programma sul localismo ( strumento attuativo sul territorio della Big Society n.d.t.).

    Prevedo che annunceranno entro qualche settimana grossi cambiamenti, o quantomeno che si convochi una conferenza di pace.

    Nota: di seguito scaricabile direttamente la bozza di documento gvernativo di indirizzo, che nella logica "semplificatrice" passa da parecchie centinaia a alcune decine di pagine, a comprendere tutti i settori anziché articolarsi su residenza, commercio ecc. Qui anche la PETIZIONE del National Trust (f.b.)

    Tutti si ricordano quelle barzellette sul carabiniere che per mungere la mucca la fa alzare e abbassare, restando immobile sullo sgabello; o per avvitare la lampadina manda decine e decine di colleghi a far ruotare la caserma. Ecco: adesso è arrivato l’americano geniale che applica le barzellette dei carabinieri all’urbanistica.

    L’idea, se proprio vogliamo chiamarla così, parte dal concetto di movimento da un luogo e una funzione all’altra. Perché non ribaltare tutto e far sì che siano luoghi e funzioni ad avvicinarsi sin quasi a coincidere? Ecco Clockwork City, una città sincronizzata come un orologio svizzero, i cui cerchi concentrici ruotano in direzioni opposte, consentendo agli abitanti di “saltare” da uno all’altro quando passa l’angolino desiderato.

    Dagli schemi proposti nel breve filmato visibile su Youtube, si scopre che almeno la howardiana greenbelt agricola, quella non si sposta. Memori dei danni che certi ingegneri svizzeri hanno già fatto in passato alle città, speriamo proprio che questa urbanistica a orologeria sia solo una scusa per farci un cartone animato. Che non venga in mente a nessuno di costruirci sopra delle teorie. Ce n’è già a bizzeffe, di urbanisti che le fanno girare.

    Guardatevi comunque direttamente tutto il capolavoro su Youtube, e speriamo proprio che sia solo un gioco di animazione.

    La nascita del «Grand Paris» sotto il segno di una sfida politica

    Nicolas Sarkozy sventola il Grand Paris come il «progetto faro» della sua presidenza e fa chiaramente intendere che questa sarà la sua carta alle elezioni per il secondo mandato nel 2012. Come ogni presidente francese che si rispetti, anche Sarkozy intende legare il proprio nome a un progetto di urbanistica che lasci il segno. In realtà il progetto, giunto alla fase dell'architettura e del confronto con il pubblico, si agita nell'aria già da anni e in effetti non è una proposta originale di Sarkozy. Il primo ad aver colto la necessità di legare l'avvenire di Parigi alla creazione di una metropoli solidale con il suo territorio è stato Bertrand Delanoë, socialista, che fin dalla sua elezione a sindaco nel 2001 ha avviato un «paziente e metodico lavoro d'ascolto e di collaborazione» con gli eletti della regione Ile de France e il loro presidente Jean Paul Huchon, anch'egli socialista, per negoziare una piattaforma di governance condivisa.

    L'occasione è stata fornita da una doppia scadenza. Nel 2004 viene avviato lo Schema direttore della regione Ile de France (Sdrif), il documento urbanistico che fissa le linee guida dello sviluppo della regione parigina. Nello stesso anno il comune di Parigi lavora all'ultima fase del suo Piano Locale Urbanistico. Incardinati sui principi dello sviluppo sostenibile, i due programmi condividono i temi della qualità ambientale, della solidarietà fiscale e della riduzione delle ineguaglianze sociali individuando nella riforma della rete della mobilità pubblica e nel risanamento delle periferie gli obiettivi chiave dello sviluppo metropolitano. Per dare un segno concreto della buona volontà politica, nel 2006 Delanoë crea con gli eletti della regione dell'Ile de France, la Conferenza Metropolitana, gettando così le basi della metropoli parisienne.

    L'arrivo di Sarkozy alla presidenza della Repubblica nel marzo 2007 modifica alcuni orientamenti del programma socialista. In occasione dell'inaugurazione di un nuovo terminal dell'aeroporto di Roissy il 26 giugno dello stesso anno, Sarkozy annuncia la revisione dello Sdrif per definire una «strategia efficace» per la ripresa economica di Parigi e della sua regione. Il programma ruota intorno al rafforzamento degli aeroporti e di alcuni poli strategici, in primo luogo il quartiere della Défense, alla costruzione di piattaforme tecnologiche in sette territori della Grande corona parigina, all'edificazione di settantamila alloggi nelle periferie e alla realizzazione di una linea della metropolitana di terza generazione (senza il conducente), la Rocade Blanc, per agevolare i collegamenti periferia-periferia.

    Pur essendo tutte le parti in causa, a sinistra come a destra, concordi sulla necessità di una ristrutturazione dell'agglomerato parigino, sul tavolo ci sono due modelli: quello governativo di Sarkozy che mira ad accorpare i dipartimenti della Piccola e Grande corona e a rinforzare il ruolo della capitale e quello socialista di Delanoë che spinge per realizzare una confederazione metropolitana, solidale e sostenibile, vicina alle esigenze della popolazione.

    Il Grand Paris è dunque anche una questione politica che ora, con l'approvazione della Rocade Blanc e l'inaugurazione dei progetti alla Cité de l'Architecture, pone gli avversari di fronte. Mentre Sarkozy si pronuncia a favore di una collettività metropolitana sollevando le critiche degli eletti dell'Ile de France che temono l'accentramento dello Stato, Delanoë lancia l'istituzione di Paris Métropole, un organismo di governance volto a definire un metodo finanziario di fondi di solidarietà fiscale. La sfida a chi realizzerà il Grand Paris è appena cominciata. Arbitri saranno i cittadini dell'Ile de France che vogliono essere parte in causa di un progetto che decide dello sviluppo del loro territorio.

    Scommesse PARIGINE

    A Parigi si respira aria di cambiamenti. Il progetto Le Grand Pari(s) de l'agglomération parisienne, la futura città metropolitana del bacino della Senna all'orizzonte del 2030, procede rapido. Il 14 marzo le dieci équipe di architetti e urbanisti chiamati a consultazione dall'Eliseo (i francesi Nouvel/Cantal-Dupart/Duthilleul, de Portzamparc, Grumbach, Castro/Denissof/Casi, Lyon e il gruppo Descartes e gli stranieri Rogers, Stirk, Harbour & Partners, Secchi e Viganò, MvRDV, studio AUC di Klouche, studio LIN di Finn Geipel) hanno consegnato la sintesi dei loro lavori, tre giorni dopo c'è stata una conferenza pubblica al Palais de Chaillot dove sono intervenuti studiosi del calibro di Saskia Sassen e Mike Davis e il 29 aprile è stata aperta alla Cité de l'Architecture et du Patrimoine la mostra delle diverse proposte, che saranno visibili al pubblico per sei mesi, fino al 22 novembre.

    Nel frattempo si sono moltiplicate le iniziative culturali per coinvolgere la cittadinanza. Al Pavillon de l'Arsenal, la attiva e frequentatissima casa dell'architettura di Parigi, è in corso da gennaio un dibattito intitolato Echanges Métropolitaines su mobilità, residenza, lavoro, attrezzature culturali, tempo libero al quale è possibile partecipare attraverso il social network appositamente creato (e di cui forse si sentiranno echi in un incontro, Quale futuro per Roma e Parigi? che si tiene stasera alla Casa dell'architettura di Roma, con la partecipazione, tra gli altri, di Massimiliano Fuksas, Renato Nicolini, Michel Cantal-Dupart, Jacqueline Risset).

    Da parte sua Pierre Mansat, braccio destro del carismatico sindaco socialista di Parigi Bertrand Delanoë, è responsabile di un blog espressamente dedicato all'avvenire dell'agglomerato parigino (www.pierremansat.com). Dopo anni di incubazione e di lavoro politico, il progetto Grand Paris comincia insomma a prendere forma.

    Binari paralleli

    Cosa sia il Grand Paris non è semplice da spiegare. A prima vista parrebbe un nuovo piano regolatore, ma pur trattandosi di un progetto di grande scala che mette mano alla struttura urbana di Parigi e del suo hinterland, il Grand Paris non è un piano regolatore. Meglio dire che il Grand Paris è un programma di sviluppo sostenibile e una prefigurazione che intende trasformare l'agglomerato della regione parigina in una metropoli policentrica di oltre dieci milioni di abitanti, solidale e ad alta qualità ambientale.

    La sfida è alta e come fa intendere la «s» di quel Pari(s) messa tra parentesi, si tratta di una scommessa (pari in francese significa scommessa). La posta in gioco è l'avvenire di Parigi nello scacchiere internazionale dei prossimi anni, in una prospettiva di ridimensionamento delle condizioni dello sviluppo poste dal protocollo di Kyoto. Si tratta di raccogliere la competizione globale cominciando a lavorare dal contesto locale. Il primo ostacolo da superare è infatti, la riforma dei limiti amministrativi tra i dipartimenti che costituiscono la cosiddetta Piccola e Grande corona di Parigi, tutta la vasta area urbana che circonda la capitale.

    La Parigi racchiusa dall'anello del Périphérique, il viale costruito sulle ceneri delle mura di Thiers, è una città relativamente piccola (un centinaio di chilometri quadrati) che non è più cresciuta dal 1870, mentre la regione dell'Ile de France è un territorio di dodicimila chilometri quadrati e oltre trecento comuni, densamente abitato e sede di importanti attività industriali e produttive che rappresenta un terzo dell'economia dell'intera Francia. Per anni lo sviluppo del territorio è andato avanti su binari paralleli, culturale e turistico da una parte, manifatturiero dall'altra, con la conseguenza che esistono due città, la borghese e ricca Parigi e l'operaia e multietinica banlieue. Queste due città sono necessarie l'una all'altra e il destino dell'agglomerato parigino è, ormai a detta di molti, l'eliminazione delle frontiere e la nascita di una confederazione urbana di dimensioni regionali. Ma per gettare le basi di una Paris Métropole il primo nodo da sciogliere è la diffidenza degli abitanti della regione dell'Ile de France, che vedono Parigi come la piovra che si interessa ai territori limitrofi solo per costruire i suoi cimiteri, le sue discariche e le sue fabbriche.

    La realizzazione di Paris Métropole è dunque subordinata al superamento dei problemi sociali e politici che dividono la capitale e la sua regione, senza per questo trascurare l'urgenza della riduzione delle emissioni dei gas serra posta dal protocollo di Kyoto. I dati divulgati dalle organizzazioni internazionali sui processi demografici e i livelli del consumo energetico nelle aree urbane hanno rivelato che il riequilibrio ambientale è legato a doppio filo alla questione dello sviluppo: le città crescono a dismisura, sono diventate delle megalopoli, consumano territorio e molta energia (quasi tre quarti dell'energia mondiale).

    Tra natura e artificio

    Di fronte a un processo che sembra inarrestabile, la domanda ricorrente è «che fare?». La consultazione voluta dall'Eliseo - si badi bene, non un concorso di idee - nasce dall'intenzione di aprire un laboratorio di lavoro coinvolgendo gli architetti in una riflessione multidisciplinare per imprimere al progetto dell'agglomerato parigino il segno della proposta esemplare. La scommessa infatti non è tanto quella di dare una rinfrescata a Parigi, ma di lavorare a una «terza città» capace di mettere insieme le istanze del riequilibrio ambientale con quelle del rilancio economico e della solidarietà sociale per «fare della capitale una "città-mondo" aperta, dinamica, attraente, creatrice di ricchezze e di lavoro».

    Tutti i lavori presentati concordano sul fatto che la futura metropoli parigina debba avere una dimensione territoriale. L'atelier Grumbach si è addirittura spinto fino a prefigurare una città sola da Parigi a Le Havre dove sono le foci della Senna, Christian de Portzamparc si richiama alla figura del rizoma di Deleuze e Guattari per proporre una città orizzontale e multipolare centrata su luoghi di addensamento urbano, il gruppo inglese di Rogers, Stirk Harbour insiste sul binomio concentrazione edilizia-mixité funzionale per risparmiare suolo e intensificare la mobilità «verde».

    La cultura del mezzo pubblico

    La futura Paris Métropole fa dunque leva sulla geografia del bacino della Senna per creare il palinsesto di una città-natura che, come ha detto Roland Castro, uno dei dieci progettisti, molto noto per la sua urbanistica militante, ponga al centro dei suoi obiettivi il diritto del cittadino all'urbano: «abitare in un edificio dignitoso, in un quartiere che sviluppi il senso di appartenenza alla comunità, in una città dove tutti i luoghi siano attraenti, in una metropoli che dia a ciascuno l'idea di poter essere qui e altrove».

    Lo slogan è costruire una solidarietà tra l'urbano e il rurale perché senza questa alleanza non c'è circolarità economica e equilibrio tra le differenti attività umane. Ma come fare per tenere insieme una metropoli di dimensioni territoriali, che deve essere aperta e accessibile a tutti i suoi cittadini, ovunque essi abitano? Come fare per rompere le gerarchie e favorire le relazioni «orizzontali», smettendola finalmente con le differenze tra la città bella e buona del centro e la città-non città delle periferie? La soluzione condivisa è intervenire su due parametri, densità edilizia e mobilità pubblica perché una città ecocompatibile è anche una città paritaria che deve dare case e servizi a tutti e i cui luoghi devono essere facilmente e velocemente raggiungibili.

    La sostenibilità non è soltanto questione di un giusto dosaggio tra natura e artificio, ma è anche questione di tempo e di distanze. Dunque per avere una città-natura che possa funzionare in modo fluido, il primo passo è rivedere il modello spaziale della città moderna e della griglia di Le Corbusier, vale a dire l'idea di una città basata esclusivamente sull'uso dell'automobile. Su questo fronte Parigi parte avvantaggiata, non tanto perché esiste una rete metropolitana ampiamente sviluppata, la quale, si sa, dovrà essere rivista in maniera radicale, ma perché nel dna dei parigini (come in quello dei francesi) è fortemente radicata la cultura del mezzo pubblico. Il vero parigino è colui che si sposta a piedi e con la metropolitana e oggi, dopo il varo di Velib (il sistema Velo+Liberté del bike-sharing) anche con la bicicletta.

    Spazi definiti dalla velocità

    Consapevoli di questa mentalità, gli architetti si sono sentiti autorizzati a rivoltare Parigi come un calzino e a immaginare di sostituire la struttura urbana radiocentrica con una «armatura» integrata di strade, linee ferroviarie e metropolitane aeree e a raso, corridoi ecologici, piste ciclabili e anche vie d'acqua (peculiarità del paesaggio della Senna oggi sottoutilizzato) secondo assialità e direzioni del tutto inedite rispetto a quelle tracciate dai grandi boulevards del barone Haussmann.

    Ogni architetto ha tessuto il telaio urbano alla sua maniera con scenari che non sono mai gli stessi. Se l'atelier di Jean Nouvel sogna di fare di Parigi un grande giardino irrigato da cui crescono, come alberi artificiali, delle ecocittà verticali, lo studio di Bernardo Secchi e Paola Viganò coltiva l'idea di una città porosa, permeabile e isotropa fondata su una struttura ecologica di zone umide e tre tipi di spazi definiti dalle velocità: alta (automobili), media (trasporto pubblico), bassa (percorsi pedonali e ciclabili).

    Da parte sua, il gruppo Descartes di Yves Lyon propone di densificare le aree verdi e di piantare una foresta per la produzione dell'energia e la regolamentazione del clima, mentre Roland Castro immagina di trasformare i grigi quartieri delle villes nouvelles in colorate oasi lungo il fiume, e gli olandesi MvRDV lanciano una provocazione riducendo Parigi a una città piccola e compatta per liberare i suoli e creare dei parchi eolici e solari.

    Le proposte sono ancora allo studio, ma in ogni caso la variabile in gioco è quella della durata in un regime di vincoli fluttuanti e costantemente mutevoli. Ecco allora che il progetto del Grand Paris si prefigura come un'occasione concreta per elaborare una «terza città» capace di andare oltre il determinismo del Moderno e l'utopia di una città perfetta. È interessante riprendere le parole di Jean Nouvel che in un'intervista ha detto: «Il progetto Grand Paris è già lì. I dieci milioni di parisiens sono lì, il territorio è lì. Si tratta dunque di trovare la giusta forma per organizzare quello che già esiste e costruire le condizioni per far vivere meglio la gente». Questa dichiarazione che parte dall'ovvietà di ciò che c'è, suona una rivoluzione culturale nel paese di Cartesio e di Le Corbusier (svizzero ma francese d'adozione) dove il pensiero razionalista moderno si è espresso in termini di tabula rasa e di costruzione del nuovo a partire dalle cancellazioni. Il progetto Grand Paris-Paris Métropole rovescia i termini della questione e parte dal riconoscimento dell'esistente.

    Per ora siamo solo ai primi passi e le incognite sono tante, ma la vicenda del Grand Paris merita attenzione, perché rappresenta forse l'occasione per realizzare un urbanesimo sensibile che adotti come strategie di progetto, il recupero e il riciclo per trasformare e investire di nuovi significati ciò che è a disposizione. Si sa che i francesi non mancano di coraggio e ogni volta che hanno voluto, hanno saputo rimettere in gioco le loro certezze. Sarà il Grand Paris il piano Haussmann del XXI secolo?

    Nota: sul medesimo argomento si vedano in eddyburg anche le raccolte di articoli precedenti; di seguito in allegato un documento originale con le idee del sindaco di Parigi Delanoe sulle riforme territoriali (f.b.)

    la Repubblica, 13 marzo 2009

    Verde e treni ecco la Parigi nell’anno 2030

    di Giampiero Martinotti,



    Un Central Park alle porte della capitale, una megalopoli estesa fino all’estuario della Senna, una regione con venti nuove città o un tessuto urbano ripensato per far posto a grattacieli e terrazze: c’è un po’ di tutto nei progetti presentati ieri da dieci équipe di architetti e urbanisti per ridisegnare Parigi e la sua regione. Un progetto lanciato da Nicolas Sarkozy per avviare una riflessione su come riorganizzare una piccola capitale (2 milioni di abitanti) attorniata da una enorme e affastellata banlieue (9 milioni di persone). Un rebus in cui si concentrano problemi politici, amministrativi, urbanistici, sociali ed ecologici, tant’è vero che le dieci équipe hanno mobilitato, oltre agli specialisti del territorio, anche sociologi e geografi. Ieri i dieci hanno presentato le loro prime conclusioni (2-300 pagine a testa) di fronte al Consiglio economico e sociale, oggi saranno all’Eliseo.

    A cosa potrà assomigliare la regione parigina fra venti o trent’anni? E’ questo l’interrogativo posto da Sarkozy quando ha lanciato l’idea di un «Grand Paris». Architetti e urbanisti hanno risposto in modo diverso. Qualcuno, come Roland Castro, ha preferito gli slanci lirici, immaginando una metropoli «dei poeti, dei flaneurs e del viaggio». Altri, come Christian de Portzamlparc, sono andati sul concreto, pensando soprattutto ai trasporti e a un avveniristico treno sopraelevato da costruire sopra il raccordo anulare. Altri ancora, come gli italiani Bernardo Secchi e Paola Viganò, puntano su una città «porosa», che dà spazio all’acqua e moltiplica «gli scambi biologici». Richard Rogers, partner di Renzo Piano nella costruzione del Beaubourg, pensa invece a una metropoli «policentrica», mentre Yves Lion caldeggia la creazione di «venti città durevoli», ciascuna con non più di 500 mila abitanti.

    Nella riflessioni dei dieci si miscelano annotazioni astruse e idee precise su come riorganizzare l’amministrazione. Per quanto possa sembrare strano, il problema amministrativo è uno dei più delicati: negli anni �60, Parigi è stata staccata dalla banlieue, il dipartimento della Senna è stato spaccato in quattro è oggi la capitale è al contempo un comune e un dipartimento. E il boulevard périphérique che la circonda, costruito sul tracciato delle vecchie fortificazioni militari, la separa fisicamente dalla periferia: «Non conosco nessun altra grande città con il cuore così staccato dalle membra», dice Rogers.

    Questa prima parte del progetto Grand Paris ha così permesso di raccogliere le idee, senza rivalità, visto che non c’è nessun concorso. Ma adesso si tratta di passare a un altro stadio, di fissare un calendario, stabilire chi debba guidare il progetto e coordinare. Su questo fronte c’è confusione: sull’idea del "Grand Paris" lavora anche un sottosegretario (che opera in gran segreto e non si è coordinato con le dieci équipes), mentre il sindaco della capitale, Bertrand Delanoe, ha da tempo lanciato una struttura per riflettere su "Paris Métropole". Il primo problema da risolvere sarà proprio questo: mettere in disparte le rivalità per concretizzare alcune delle idee esposte ieri dagli specialisti.

    Le Monde, 11 marzo 2009

    Dix façons de voir Paris en grand

    di Frédéric Edelmann,



    Jene connais aucune autre grande ville où le coeur est à ce point détaché de ses membres" : ainsi s'exprime, en un raccourci meurtrier, leBritannique RichardRogers, un des dix architectes appelés à répondre à la "Consultation internationale pour l'avenir du Paris métropolitain". Cet architecte, qui fut l'un des concepteurs duCentre Pompidou, est un habitué de la grande échelle. Il a été le conseiller très écouté deKen Livingstone, maire travailliste du Grand Londresde 2000 à 2008 ; c'est également à lui qu'a été confié le soin d'imaginer l'avenir de Moscou. Avec les neuf autres équipes, il doit présenter sa copie jeudi 12 mars au Conseil économique et social, devant le comité de pilotage (l'Etat, Paris, la région) et le conseil scientifique qui encadrent ce travail d'une ampleur sans précédent, fondé sur la concertation plus que sur la concurrence. La consultation porte sur deux thèmes majeurs : la métropole parisienne, après le protocole de Kyoto sur l'environnement, et le développement du futur "Grand Paris".

    Le 13 mars,Nicolas Sarkozyrecevra les équipes. Le 17, un débat est organisé à la Cité de l'architecture et du patrimoine, qui prépare une exposition pour avril. Le public pourra soumettre à la question chacun des dix experts, parmi lesquels des Français commeJean Nouvel,Christian de Portzamparc,Roland CastroouYves Lion. Les dix équipes (six françaises et quatre étrangères, toutes de renommée internationale) ont été choisies selon des critères opaques. Mais elles ont toutes su réunir un nombre inhabituel de compétences, architectes, urbanistes, géographes, sociologues ou ingénieurs.

    De deux à trois cents pages, c'est le poids de chacun des dix rapports que Le Monde a pu consulter. Des centaines d'heures de travail payées 200 000 euros par équipe, auxquels se sont ajoutés 40 000 euros versés par laMairie de Paris... Finalement, beaucoup de ces analyses se recoupent. Au moins par leur rejet des solutions simplistes, des pensées globales qui ont conduit en leur temps à la naissance ex nihilo de Chandigarh (Le Corbusier) en Inde ou Brasilia (Costa et Niemeyer)...

    Fini les théories sur la ville idéale, bonjour la ville-territoire, sans limites . "L'utopie n'est plus de ce monde", résume avec philosophie un membre du comité scientifique, qui, à l'unisson des cinq architectes du comité coprésidé parPaul Chemetovavec le géographeMichel Lussault, ajoute : "Jamais une réflexion aussi complexe n'a été conduite sur la ville à une telle échelle."Même son de cloche chezDominique Perrault, auteur de la Bibliothèque nationale de France à Paris, ou Patrick Berger, lauréat du concours du Forum des Halles, deux observateurs que tout oppose habituellement.

    Chaque équipe avait une totale liberté d'invention, aux réalités de la capitale près : on ne déplace pas facilement une tour ou une ligne TGV. De son rapport,Richard Rogerstire dix principes, dont beaucoup se retrouvent dans les autres projets. Y figurent la gouvernance de la région, la nécessité de la densité pour ne pas laisser la ville s'étendre sans fin, un rééquilibrage renforcé par des transports qui ne soient plus centralisés sur Paris. A quoi s'ajoutent des exigences de qualité architecturale, paysagère, écologique dont l'énoncé ainsi simplifié ne doit pas masquer l'extrême complexité.

    Parmi les équipes internationales, on trouve aussi le groupe LIN de l'Allemand FinnGeipel, adossé aux universités de Cambridge et de Berlin. Partant d'analyses proches de Rogers, il insiste sur l' "intensité" des pôles à développer pour compenser le poids de Paris, tout en imaginant une métropole "légère". Une sorte de mousse urbaine favorable à la protection d'un paysage à haute teneur en charme et en valeur nutritive (fruits et légumes)...

    L'équipe hollandaise deWiny Maas(MVRDV) a joué sur la densité et le choix paradoxal d'un "Paris plus petit". Provocante à souhait pour la mentalité française, elle suggère des méthodes radicales et pétulantes, qui font jaillir l'organisation de la ville de la réflexion des ordinateurs.

    Le Groupe 09, desItaliens Bernardo Secchi etPaola Vigano(avec les universités de Harvard, Paris-XII, Milan et Venise), dessine une ville "poreuse". Cette "éponge", balisée par des repères forts, fait la part belle aux réseaux aquatiques, renforçe les transports en commun, tout en les croisant avec des microsystèmes pour limiter les déplacements inutiles.

    Les six équipes françaises ont eu des attitudes contrastées. Deux d'entre elles ont devancé les demandes des médias en rendant publiques des images assez simplistes de leurs démarches. L'équipe Castro-Denisoff a fini par caricaturer sa pensée : elle propose un ticket de transport à tarif unique pour parcourir l'ensemble d'un territoire plein de vieux rêves démocratiques et de monuments, dont l'addition relève de l'Exposition universelle plus que de la métropole. A l'inverse,Antoine Grumbach, lui aussi prématurément publié, s'est placé à l'échelle d'un territoire, qui, suivant la Seine, va de Paris (pourquoi pas Troyes ?) au Havre. Une belle et poétique aventure, difficile (déjà vécue en Chine par Pékin et le port de Tianjin), qui a l'ambition de se fonder sur les vertus économiques et écologiques du fleuve.

    L'équipe la plus jeune est l'AUC, conduite parDjamel Klouche, aidée par l'école d'architecture de Versailles, l'université de Sendai (Japon), des paysagistes (Pascal Cribier), des graphistes... et un peintre et poète (Nicolas Rozier). Dans un jargon étrange, ils prennent la métropole pour ce qu'elle est, avec ses pavillons et ses grands ensembles, mais s'inspirent de Tokyo pour imaginer de multiples réseaux et laisser la ville vivre ses pulsions invisibles.

    Nouvel, Lion, Portzamparc... Les trois grands caciques de l'architecture française ne déçoivent pas et proposent des solutions d'une étonnante sophistication.

    Jean Nouvel a constitué une équipe impressionnante d'artistes et de penseurs. On y trouve l'architectePatrick Bouchain, le paysagisteMichel Desvignes, l'artisteDaniel Buren, l'Agence des gares AREP... Une vraie moisson d'intellectuels pour aboutir à un rapport titré Naissances et renaissances de mille et un bonheurs parisiens. Paysage par paysage, bâtiment par bâtiment, ils proposent une variété sans fin de méthodes, subtiles ou radicales, pour arriver à des mutations généralisées dans toute la métropole.

    Aussi vaillant, le travail de l'équipe Portzamparc reprend des thèmes chers à l'architecte de la Cité de la musique pour penser Paris comme le coeur d'un rhizome, ces plantes comme le bambou ou l'ortie, chères au philosopheGilles Deleuze, dont les racines envahissent le territoire, surgissant où bon leur semble (dans des pôles que l'architecte appelle "fenêtres"), sans crier gare. Les gares, justement, et les aéroports sont des éléments-clés dans cette réflexion où les événements architecturaux comme les tours jouent un rôle décomplexé, simultanément à la refondation de l'ordinaire urbain.

    Yves Lion, dissimulé derrière le groupe Descartes (équipe aussi foisonnante que celle de Nouvel, en plus austère), propose une analyse terre à terre et visuelle du territoire parisien. Travail de géographe-photographe qui le conduit à jouer l'amélioration de la vie dans chaque domaine : habitat, transport, liaisons manquantes, lieux de travail, de plaisir, de rencontre. Il se fait un peu chinois quand il propose la création de vingt villes de 500 000 habitants contrebalançant l'attractivité de Paris. Il est d'accord avec Rogers pour réduire les temps de déplacement à une demi-heure par jour, et avec le protocole de Kyoto pour réduire de 2 degrés la température attendue d'ici à 2100.

    Des chiffres simples pour faire comprendre un projet aux ramifications innombrables.

    Il Corriere della Sera, 13 marzo 2009

    La Grande Parigi di Sarkò:nuovi quartieri e tram veloci

    di Massimo Nava

    PARIGI - Voglio fare come Cesare Augusto a Roma», disse Napoleone III, confidando al barone Haussmann il compito di rifare la capitale dell'impero. Un secolo e mezzo dopo, anche il presidente Nicolas Sarkozy fissa l'ambizione di ridisegnare Parigi. Con altri obiettivi e metodi meno dirigistici. Dieci architetti di fama mondiale, sei francesi, quattro stranieri (fra i quali l'italiano Bernardo Secchi), sono stati chiamati a elaborare la metropoli del futuro, la Grande Parigi, territorio molto più esteso della Ville Lumière cara ai turisti (che conta meno di due milioni di abitanti), un'area di oltre dieci milioni, il 30 per cento della ricchezza nazionale, la regione economicamente più forte d'Europa.

    Nuovi quartieri, centri di sviluppo, vocazioni scientifiche e culturali, nuova mobilità, risanamento delle periferie, risanamento ambientale: ecco le linee del progetto complessivo, all'orizzonte del 2012/2020, sulle quali le équipes hanno avuto praticamente carta bianca, dando fondo alla fantasia. La presentazione dei lavori, giovedì a Parigi, offre soluzioni talmente avveniristiche che ci si chiede quante delle proposte vedranno effettivamente la luce, anche in considerazione delle risorse disponibili. C'è la versione parigina del quartiere Harlem-Central Park a New York che l'architetto Roland Castro pensa di trasferire in una delle banlieue più tristi e violente, la Courneuve, sulla strada dell'aeroporto. C'è un'ideale città ecologica, la valle della Senna, con un asse di sviluppo che va da Parigi a Le Havre, suggerita da Antoine Grumbach nella convinzione che le grandi città, nell'era della mondializzazione, debbano avere una vocazione portuale.

    Il progetto italiano di Bernardo Secchi punta sull'ecologia e su un sistema di trasporti ad alta velocità che modifichi radicalmente la mobilità dell'area metropolitana. È una visione che si ritrova anche in altri progetti (c'è ad esempio l'idea di un treno sopraelevato sull'anello della tangenziale o l'idea di costruire una ventina di cittadine ecologiche), essendo i problemi di trasporto e di vivibilità delle periferie quelli che affliggono parigini e francesi della regione. Ottantamila residenti all'anno e un quarto di coloro che raggiungono la pensione scelgono di trasferirsi fuori dall'Ile de-France, andando a popolare regioni più vivibili come la Bretagna. Molto discussa la proposta di Jean Nouvel, autore di alcuni dei progetti più innovativi degli ultimi anni (la Fondation Cartier, il museo del quai Branly, il museo del mondo arabo) che vede la città in altezza: avveniristiche torri, padiglioni e grattacieli, con giardini e serre realizzati agli ultimi piani. Alcuni progetti singoli (la tour Horizons, 90 metri a Boulogne, la nuova filarmonica a la Villette) sono in fase di approvazione.

    Il piano della Parigi futuribile sarà sottoposto al confronto con i cittadini e le realtà locali. Sul progetto, s'inseriscono due «architetture» istituzionali, il cui cammino è più accidentato di quello degli urbanistici. Il presidente Sarkozy ha affidato all'ex premier Eduard Balladur il compito di ridisegnare i dipartimenti francesi (l'equivalente delle nostre province) con la tentazione di accorparli o abolirne una parte. In questo quadro, matura la «Grande Parigi» istituzionale, che dovrebbe riunire i dipartimenti della Haute-de-Senne. Una comunità urbana che trova un'opposizione di metodo in molti sindaci della sinistra e nel sindaco di Parigi, il socialista Bertrand Delanoe, il quale ritiene che una sommatoria di comuni con un governo centralizzato non risolverebbe i problemi di governabilità e allontanerebbe i cittadini dalle istanze locali.

    La seconda «architettura», con obbiettivi più economici, è affidata a Christian Blanc, ex presidente di Air France. Nominato segretario di Stato allo sviluppo della regione-capitale, Blanc lavora alla creazione di poli di ricerca e industriali, quali la «silicon valley» nell'Essone e alla riorganizzazione di assi di trasporto, con l'obbiettivo di nuove linee di metropolitana al costo impossibile di 80 milioni di euro a chilometro. Intanto, si fanno i conti con la situazione sociale della capitale che, nonostante invasione di turisti e potere economico, vede il suo fascino intaccato da gravi problemi di vivibilità.

    Parigi «intra muros» moltiplica aree pedonali, piste ciclabili, parchi e musei. Nella cintura esterna, i francesi si misurano con inquinamento atmosferico, colossali ingorghi nelle periferie, sovraffollamento delle linee di trasporto pubblico, espulsione dei ceti più deboli dai quartieri centrali e cronico disagio della banlieue. «Non conosco città al mondo il cui corpo sia così disconnesso dalle sue membra», ha detto Richard Roges, l'architetto di Brasilia (*), fra gli urbanisti chiamati a sognare la Grande Parigi. In fondo, la volle così Napoleone III e da allora, nella capitale, vivono pochi abitanti e moltissimi pendolari.

    (*) mi permetterei di notare che Rogers "architetto di Brasilia" è una mostruosa sciocchezza, dovuta sicuramente a una ancor più mostruosa fretta nel chiudere l'articolo (f.b.)

    The Daily Telegraph, 12 marzo 2009

    Grand Paris: Architects reveal plans to transform French capital

    di Henry Samuel

    Nicolas Sarkozy, the French president, asked the architects, including Britain's Richard Rogers, to project 20 years into the future and dream up the world's most sustainable post-Kyoto metropolis.

    Among the more outlandish plans is Antoine Grumbach's proposal to extend the city all the way to the Channel port of Le Havre via Rouen along the Seine, maximising the green possibilities of the river. The idea was already mooted by Napoleon Bonaparte, who said: "Paris-Rouen-Le Havre: one single city with the Seine as its main road."

    Christophe de Portzamparc, the prize-winning French architect, has proposed building four economic "buds" in an "archipelago" around the capital and transferring a huge European train station to Aubervilliers, north of Paris, modelled on London's St Pancras.

    Roland Castro, the prominent 1968 Leftist who suggested moving the Elysée Palace to the tough northeastern suburbs, has proposed injecting "beauty" into a "Grand Paris of poets", which would include new cultural landmarks in a capital shaped like a huge eight-petal flower and with a New York-style Central Park on the grim housing project of La Courneuve.

    The Italian architects Bernardo Secchi and Paola Vigano have proposed enlarging the city and laying it out as a "porous sponge", where waterways are given pride of place.

    Yves Liot would like to create 20 "sustainable towns" of 500,000 within the Paris area. He would also double the number of forests and bring fields to Paris' outskirts so the urban dwellers could cultivate their own fruit and vegetables.

    Many thought that Mr Sarkozy would follow his predecessors' lead and bequeath one or two magnificent monuments, such as François Mitterrand's Louvre pyramid, Georges Pompidou's Centre or Jacques Chirac's Quai Branly museum.

    However, the president has set his sights much higher, asking the architects to re-imagine the entire city and its surroundings with concrete proposals but "the absolute freedom to dream".

    One crucial aim is to end the isolation of central Paris, with its two million inhabitants, which is currently cut off from the six million living in suburbs just outside its ring road, known as "le périphérique".

    As Rogers, the London-based co-designer of the Pompidou centre, observed: "I know no other big city where the heart is so detached from its arms and legs".

    His team, working with the London School of Economics and French sociologists, has proposed uniting cut-off communities, notably by covering up railway lines that dissect the city and placing huge green spaces and networks above them. One such green line would stretch all the way from central Paris to the run-down southeastern outskirts, mirroring the line from the Louvre to La Defense to the west of the city. Paris would be stuffed with renewable technologies and re-thought to reduce city dweller's travelling time to no more than 30 minutes per day.

    His project aims to end the "monoculture" of Paris' suburbs by overhauling high-immigrant enclaves like Clichy-sous-Bois, where urban riots erupted in 2005. Office and living space would be mixed with rich and poor and high-speed train lines extended.

    Mr Rogers and the other architects were given just 35 minutes on Thursday to explain their strategies for Grand Paris 2030 to a panel of experts.

    Before these grand plans can progress, the capital will have to resolve complex political wrangling over its administrative boundaries and the effects on different players' power bases. Bertrand Delanoë, Paris' Socialist mayor, among others, is watching closely.

    The architects will present their projects to the public and take part in a debate next week, and an exhibition of their plans opens on April 29.

    Nota: questa pur suggestiva rassegna di idee e intenzioni fa comunque riferimento al più ampio dibattito (contrastato e acceso) sulla gouvernance dell’area, come racconta un articolo da Le Monde tradotto su Mall ; di seguito si possono scaricare due brevi schede descrittive del piano per la "città porosa" di Secchi-Viganò; altre schede e informazioni sul sito dedicato del Ministero della Cultura francese ; il commento di Jonathan Glancey sul Guardian ripreso da Mall; per concludere una piccola curiosità: nel corso delle verifiche online per l'editing di questa rassegna, mi sono anche imbattuto per puro caso in un articolo dagli Annales de géographie del 1940 che ricostruisce fino a quella data Les projets d'aménagement de la région parisienne (f.b.)

    La serie di esperienze e resoconti contenuti nello strumento di lavoro predisposto dalla APA/American Planning Association, in collaborazione con la FEMA/Federal Emergency Management Agency (Protezione Civile), si propone di aiutare i pianificatori - tecnici e amministratori - ad affrontare le emergenze, valutare i rischi, contribuire a ridurli al minimo. I temi ricorrenti sono quelli del rapporto fra rischio e organizzazione dello spazio e delle sue componenti (casa, trasporti ecc.).

    Vengono esposte anche modalità di finanziamenti, collaborazione fra amministrazioni e livelli di governo, tipi di organizzazione degli uffici, ai sensi delle leggi americane (Disaster Mitigation Act 2000), e in base ad esperienze di vario tipo accumulate nel corso di un decennio di studi e piani.

    A riprova, se necessario, del fatto che le conoscenze teoriche e pratiche sul tema esistono e sono anche piuttosto consolidate. Quello che sembra mancare è, invece, la decisione politica di limitare alcuni “interessi particolari”, in favore di quello generale. Tanto più grave quando si tratta di tutelare la sopravvivenza fisica degli insediamenti umani nell’ambiente naturale. (f.b.)

    Di seguito, scaricabile il file PDF: Planning for a Disaster-Resistant Community - An AICP Professional Development Workshop for City and County Planners, Elected Officials, and Consultants, 2005 Annual Conference, American Planning Association

    APA_Plan_Disaster

    Le discussioni, anche tecnico-scientifiche, che si sono sviluppate a seguito del disastro provocato dall’uragano Katrina nell’area del delta del Mississippi e sulla città di New Orleans in particolare, convergono (come quasi sempre accade in questi casi) su un punto: la “fatalità” invocata dai vari livelli di governo, non è affatto tale. Lo dimostra tra l’altro il corposo documento allegato di seguito, sintesi di studi condotti da varie amministrazioni e discipline. Uno studio ostinatamente ignorato dall’amministrazione Bush, e che propone in sostanza – e per quanto possibile in un’area ampiamente antropizzata – la reimmissione attraverso grandi opere organizzate in sistema di elementi “naturali” tali da ricostruire un sistema almeno in parte autorigenerante, anziché interamente poggiato sulla rete degli argini, dei canali e dei sistemi di pompaggio. Un’operazione tanto più urgente, quando i dati sul riscaldamento globale, l’innalzamento del livello degli oceani, la previsione dell’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, riducono a ben poca cosa anche il più massiccio utilizzo di tecniche “artificiali”, per non parlare di quelle al limite della criminalità, come l’urbanizzazione indiscriminata di aree di esondazione, e comunque inadatte all’insediamento umano complesso.

    Ciò premesso, allego di seguito il rapporto Coast 2050: Toward a Sustainable Coastal Louisiana, predisposto congiuntamente da: Louisiana Coastal Wetlands Conservation and Restoration Task Force, e Wetlands Conservation and Restoration Authority nel 1998 (circa 180 pp. con illustrazioni, 2 Mb). Per inciso, in questi giorni di polemiche sulla mancata prevenzione del disastro, non si tratta di un documento facile da reperire in rete, anche e soprattutto nelle sedi delle pubbliche amministrazioni che l’hanno prodotto. Una descrizione di massima delle intenzioni di Coast 2050 si trova anche nell'interessantissimo articolo di Mark Fischetti sul tema, riportato da Eddyburg (f.b.)

    Titolo originale: Planning reform bill to be introduced – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

    Il Governo pubblica oggi il disegno di legge di riforma della legge urbanistica che ha provocato critiche da parte dei gruppi ambientalisti per i timori riguardo ai discussi progetti di autostrade e aeroporti che potrebbero avere una corsia preferenziale.

    Il Planning Reform Bill nasce per consentire al paese di rispondere al bisogno di abitazioni e infrastrutture, e rispondere alle sfide del cambiamento climatico, dell’energia, del carico sull’ambiente, affermano i responsabili.

    Il disegno di legge istituisce una Commissione responsabile per le infrastrutture e facilita la continuità delle procedure, ad esempio ad agevolare progetti di rilevanza nazionale.

    L’obiettivo è di garantire decisioni “puntuali e certe” in material di progetti infrastrutturali essenziali per la crescita economica, la fornitura di energia, la qualità della vita e la risposta al cambiamento climatico.

    Col nuovo sistema verranno sostituiti otto diversi ambiti di autorizzazione. Che riguardano produzione di elettricità, line elettriche, fornitura di gas, aeroporti, porti, strade, ferrovie, bacini idrici e smaltimento rifiuti.

    La responsabilità delle decisioni attualmente si distribuisce fra quattro diversi ministeri. L’iter è diverso per ciascuno degli otto ambiti.

    Si spera che le modifiche introdotte riducano i tempi medi delle decisioni sui grandi progetti a meno di un anno, ponendo fine ai lunghi rinvii per le opere infrastrutturali. Il governo sostiene che si risparmieranno così 300 milioni di sterline l’anno, complessivamente quasi 5 miliardi sino al 2030.

    Ma i gruppi ambientalisti sono preoccupati perché le riforme proposte consentono opere che indeboliranno la lotta al cambiamento climatico.

    La Campaign to Protect Rural England (CPRE) teme che il progeto di legge possa tagliari fuori i cittadini dalle decisioni di trasformazione, facilitando aeroporti, strade, centrali.

    Il direttore delle politiche di CPRE Neil Sinden ha affermato: “Protezione dell’ambiente e partecipazione dei cittadini sono il fondamento di un efficace sistema di piano”.

    “L’agenda di riforme in questo campo del governo sembra voler indebolire entrambi questi aspetti. E in modo perverso, probabilmente non soddisferà neppure il desiderio dei ministeri di decisioni più rapide sulle grandi opere”.

    Il direttore di Friends of the Earth Tony Juniper avverte: “Le proposte governative per il sistema di pianificazione pongono gli interessi dei grandi affari al di sopra di quello delle popolazioni locali e dell’ambiente”.

    “Progetti discutibili come quelli, dannosi per il clima, di aeroporti, inceneritori e strade, avranno una corsia preferenziale nel sistema delle decisioni”.

    “I ministeri devono assicurare una adeguata pubblicità ai grandi progetti, consentendo alle comunità locali di partecipare alle decisioni”.

    La pubblicazione del progetto di legge segue il discorso del primo ministro Gordon Brown al congresso annuale della Confederazione Industriali, dove ha sostenuto l’ampliamento di Heathrow e annunciato progetti di nuove centrali nucleari.

    La ministro alle aree urbane [ con deleghe anche all’urbanistica alla casa ecc. n.d.T] Hazel Blears oggi dichiarerà che le riforme significano non solo un sistema più rapido, ma anche più giusto, e che la conclusione di progetti fermi da lungo tempo sarà a vantaggio di tutti.

    “Spesso le popolazioni locali trovano complesso accedere ai processi: ora saranno previste a tutti i passaggi consultazioni pubbliche”.

    “Non possiamo ignorare il fatto che il sistema attuale di programmazione delle infrastrutture è inadatto al XXI secolo. Il Planning Bill offre una serie di misure per migliorare il processo decisionale, assicurando al tempo stesso che le procedure siano sottoposte a un rigoroso controllo e sottoposte ad ampia consultazione pubblica”.

    “Ci saranno sempre progetti controversi, che scuotono l’opinione e richiedono di assumere decisioni difficili. Ma avere un sistema più solido garantisce di acquisire tutte le opinioni – in particolare quelle del pubblico - tempestivamente. Prendere buone decisioni in meno tempo avvantaggia tutti”.

    Nota: di seguito scaricabile il testo completo del disegno di legge di riforma ripreso dal sito parlamentare; sull'evoluzione e le polemiche di questo disegno di legge, numerosi articoli su Mall, sia nella sezione Urbanistica/Piani per quanto riguarda il rapporto dell'economista Kate Barker, sia in Città/Spazi della Dispersione sui temi ambientali e della green belt (f.b.)

    here English version

    MADRID - Zapatero dichiara guerra al mattone selvaggio. Dopo decenni di cementificazione delle coste, il governo spagnolo ha deciso di porre non solo uno «stop» alle nuove costruzioni, ma si è impegnato anche ad abbattere gli edifici fuorilegge. Si comincerà dalla Costa Brava, il litorale della Catalogna, che proprio in seguito all´edificazione su larga scala di hotel e villaggi turistici, ha registrato un incontenibile boom turistico a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Ma l´esecutivo socialista non ha intenzione di fermarsi a questa fascia del litorale: la cementificazione selvaggia delle coste è un fenomeno che interessa da tempo (soprattutto gli ultimi vent´anni), la Costa del Sol in Andalusia (da Torremolinos a Marbella), e il litorale della Comunità Valenziana (con Benidorm e, in tempi più recenti, villaggi-vacanze come Marina d´Or).

    Lo strumento che Zapatero ha deciso di utilizzare per affermare l´urgenza di un intervento di risanamento delle coste è un rapporto accuratissimo affidato al Ministero dell´Ambiente: «Strategia per la sostenibilità» fissa misure drastiche, per cominciare, soprattutto per la parte settentrionale della costa di Barcellona e quella meridionale della provincia di Gerona. Per Madrid non è sufficiente la decisione della Generalitat, l´esecutivo regionale catalano, di blindare una parte della costa bloccando l´edificazione di nuovi insediamenti turistici. Il governo socialista fa un passo più lungo: prevede un piano per l´abbattimento di edifici che non sono stati costruiti nel rispetto delle norme e propone la sospensione di piani di costruzione già varati ma non ancora realizzati. Nel mirino del governo, il cemento che ha provocato lo scempio delle coste occupando i terreni a meno di 500 metri dal mare.

    Sulla Costa Brava e nella zona del Maresme, potrebbero presto sparire decine di alberghi, ristoranti, camping, edifici costruiti per essere affittati nella stagione estiva ai vacanzieri di tutta Europa. Una «guerra al cemento» che potrebbe presto restituire al litorale catalano il volto che aveva alcuni decenni fa, prima che cominciasse l´assalto urbanistico. Molti dei palazzi in questione vennero edificati tra gli anni ‘60 e ‘70, prima dell´approvazione della Legge sulle Coste, un periodo che ha contribuito a fare della Spagna una delle destinazioni preferite dai turisti di tutto il continente. Ma il ministero dell´Ambiente, nella sua operazione di risanamento, ha in mente anche un altro obiettivo: quello di smantellare una serie di porti turistici nel momento in cui scadrà la concessione che avevano ottenuto dalle autorità regionali.

    Per il momento, il piano del governo riguarda 260 chilometri di costa catalana. Ma presto la guerra al mattone potrebbe essere estesa al resto della Spagna.

    Titolo originale: Cities copied 'Seattle Way' in planning – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

    Jim Diers non sta parlando di birra quando usa il termine “ bottom-up”, anche se all’informale ex direttore dell’Ufficio Quartieri di Seattle non ne dispiacerebbe una.

    Sta invece parlando di quello che città come Melbourne, in Australia, Pechino in Cina, o Austin in Texas, chiamano “Il Metodo Seattle” una forma radicata, dal basso verso l’alto di pianificazione e progettazione dei quartieri, opposta al processo “ top-down” dirigista dell’amministrazione cittadina.

    Per quanto riguarda Diers, il primo funziona, il secondo no.

    Ma mentre le altre città cercano di emulare Seattle favorendo il coinvolgimento dei quartieri, ha spiegato settimana scorsa, la “Città di Smeraldo” si è allontanata dalle strategie che pure l’avevano fatta diventare un modello globale.

    “I vicini che interagiscono l’uno con l’altro e con le decisioni cittadine sono diventati un movimento presente ovunque, ma pare che a Seattle ci si stia muovendo nella direzione opposta” spiega, di passaggio in città fra una conferenza internazionale e l’altra a proposito di urbanistica.

    “I grandi centri di tutto il mondo vogliono fare le cose col metodo di Seattle. Vorrei che lo facesse anche la nostra città”.

    Diers, autore di Neighbor Power: Building Community the Seattle Way, riconosce come i suoi timori possano sembrare frutto di rancore personale. É stato il primo capo divisione licenziato dal sindaco Greg Nickels appena entrato in carica, ponendo fine alla riconosciuta carriera di Diers alla guida del dipartimento durata 14 anni, con un lavoro che si è sviluppato attraverso i mandati dei tre sindaci precedenti.

    Nominato da Charles Royer, confermato da Norm Rice e fortemente sostenuto da Paul Schell, Diers verso al fine degli anni ’90 ha coordinato l’attuazione di 38 piani locali: e di altrettanti progetti di parchi, abbellimento, animazione, arredo stradale, e altre opere consentite dai finanziamenti cittadini.

    “É prerogativa del sindaco cambiare le cose, e lui voleva muoversi in una direzione diversa” riconosce Tim Ceis, vicesindaco con Nickels.

    “Jim ha costruito un ottimo modello, ma il sindaco riteneva che ci fosse bisogno di un allargamento di partecipazione, che in 14 anni la città fosse diventata molto più diversa, e ci fossero fasce escluse dal processo di pianificazione (di quartiere)”.

    Nickels ha lanciato una iniziativa per la giustizia sociale e razziale per stimolare più diversità; chi ha sostituito Jim Diers a capo della divisione - Yvonne Sanchez, Bernie Matsuno (ex), e ora Stella Chao – appartiene a minoranze.

    “Diers non condivideva la decisione e l’ha detto molto esplicitamente all’epoca” continua Ceis. “Ma ha continuato a fare un altro lavoro, anche noi siamo andati avanti, tutti”.

    Ma Diers, attivista di quartiere da lungo tempo, che per oltre 30 anni ha abitato nella zona più diversificata della città dal punto di vista culturale e socioeconomico - Southeast Seattle – considera il proprio lavoro sui quartieri ampiamente inclusivo.

    Il sindaco semplicemente “vuole più controllo” su quanto accade nei quartieri, ha dichiarato di recente Diers. “Aiuto altre amministrazioni a organizzare i programmi da cui questo sindaco (Nickels) si sta allontanando”.

    Gli sviluppi del movimento per i quartieri a Seattle preoccupano Diers, che ricorda di essere “rimasto scioccato quanto tutti gli altri” ai tempi in cui l’allora sindaco Charles Royer lo nominò direttore del nuovo Settore Quartieri nel 1988. Appassionato delle questioni di partecipazione, non era esattamente un moderato.

    Ricorda ancora quando negli anni ’80 era fra gli attivisti che, chiedendo più voce nelle decisioni su una città allora in pieno boom edilizio, “liberarono un pollo vivo nell’ufficio di Charley (Royer) e organizzarono un picchetto davanti alla sua casa”.

    “Lui (Royer) si preoccupava che il processo di decisione sui piani per i quartieri avvantaggiasse gli abitanti più ricchi, che tendono ad essere meglio organizzati” ricorda Diers. “Temeva anche il NIMBYismo ( Not In My Back Yard) e che i finanziamenti andassero a premiare le zone ricche a spese delle aree meno privilegiate”.

    Ma non accadde niente del genere. Al contrario, consentire che i quartieri si gestissero da soli le priorità “produsse un modello di pianificazione completamente diverso”.

    “Prima, c’era un rapporto di rivalità fra i quartieri e l’amministrazione cittadina; si guardava ai problemi, e i quartieri dipendevano dalla città per la soluzione” ricorda Diers. “Sento ancora questa storia ovunque vado: con gli amministratori che dicono, Ma perché dobbiamo starli ad ascoltare (gli attivisti di quartiere); questi sono soltanto una scocciatura. E gli abitanti perdono fiducia nell’amministrazione”.

    Diers dice di essere un convinto assertore della responsabilità del governo, “ma non può fare tutto da solo”.

    “Se si crede davvero nella democrazia, il problema non sono gli attivisti di quartiere, ma il fatto che ce ne siano troppo pochi. La sfida, allora come oggi ... è, come può al meglio la città attingere alle risorse di artisti, architetti, urbanisti, giovani, anziani, disabili, immigrati e tutti quanti hanno qualcosa con cui contribuire?”.

    Questa filosofia ha prodotto un modello di collaborazione civica, da qui gli inviti da tutto il mondo per le conferenze di Diers.

    Dopo che Diers aveva parlato a una platea di leaders comunitari a Austin in maggio, l’editorialista dell’ Austin Chronicle Katherine Gregor ha scritto, “ Anche se ci sono luci e ombre naturalmente, in ciò che è accaduto nella Puget Sound, nello scorso decennio Seattle ha dimostrato un impegno impressionante a delegare un vero potere ai quartieri. La nostra sorella città progressista ha sviluppato molte riuscite politiche e pratiche, che meritano un esame più attento: in quanto modelli in grado di accelerare l’attuazione di piani di quartiere anche qui a Austin”.

    Nota: di un certo interesse nel sito Neighborhood Planning dell'amministrazione di Austin, la disponibilità di materiali informativi e divulgativi rivolti a varie fasce di età, sui principali temi della progettazione urbana, e addirittura del piano storico per la città degli anni '20 in versione scaricabile (f.b.)

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    1. Il governo dovrebbe pubblicare il suo White Paper sull’urbanisica mercoledì prossimo 16 maggio. La CPRE lo analizzerà il più rapidamente possibile, e sarà disponibile per i commenti in giornata.

    2. Nonostante il sistema di pianificazione sia stato rivisto nel 2004 col Planning and Compulsory Purchase Act, si anticipa che questo White Paper proporrà altri netti cambiamenti. La preoccupazione principale del governo sembra sia di ritenere l’attuale sistema troppo sbilanciato verso sostenibilità e tutela ambientale, con importanza non sufficiente accordata allo sviluppo economico. É questo ragionamento che sottende la recente revisione del sistema di piano coordinata da Kate Barker. La CPRE è fortemente preoccupata che il Planning White Paper avrà una forte caratterizzazione in senso economico, che può indebolire gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e frustrare i tentativi di partecipazione pubblica ai processi di piano.



    Premesse

    3. Nel dicembre 2005, Cancelliere e Vice Primo Ministro chiedono a Kate Barker “di esaminare come … politiche e procedure di pianificazione possano favorire una crescita economica e produzione di ricchezza …”. Il documento Barker Review of Land Use Planning Final Report – Recommendations è pubblicato nel dicembre 2006. Il lavoro della Barker sulla pianificazione si svolge parallelamente a quello di Sir Nicholas Stern sull’economia del cambiamento climatico e di Sir Rod Eddington sui trasporti. Tutti e tre i rapporti hanno una forte focalizzazione economica, e molto probabilmente avranno una forte influenza nei rispettivi campi di applicazione negli anni a venire, soprattutto visto che Gordon Brown, che come Cancelliere li ha co-commissionati, è destinato a diventare Primo Ministro.

    4. Il Planning White Paper probabilmente tratterà una vasta gamma di questioni controverse. Arriva alla vigilia del sessantesimo anniversario del Town and Country Planning Act 1947. Da allora, la pianificazione è stata considerate da tutte le parti come processo democratico, mediatore fra i vari interessi: locali e nazionali, economici e ambientali, di breve e lungo termine. I problemi con cui si confronta il sistema di pianificazione sono complessi. Qualche volta le risposte sono sbagliate, spesso le risposte che si danno possono non essere soddisfacenti per alcuni interessi. Ma la CPRE ritiene che i complessi problemi trattati dalla pianificazione non saranno resi più semplici pasticciando col sistema di piano, o collocando gli interessi economici al di sopra di quelli delle comunità e dell’ambiente.

    5. Obiettivo centrale e fondamentale della pianificazione dovrebbe essere uno sviluppo sostenibile. Il che comprende anche promuovere lo sviluppo economico, ma è molto di più. Comporta integrare una ampia gamma di obiettivi sociali, ambientali ed economici, riconoscendo l’importanza critica dei limiti di carattere ambientale.

    6. La pianificazione consente che le decisioni sul futuro delle varie aree siano democratiche, verificabili, prese nell’interesse collettivo. Assicura il consenso pubblico agli interventi necessari. Contribuisce alla realizzazione di interventi che non possono dipendere soltanto dal mercato, come le case economiche, la rigenerazione urbana, gli spazi aperti e le infrastrutture urbane. L’urbanistica trae la propria legittimazione, in quanto processo decisionale, attraverso la fiducia delle comunità locali e dei gruppi volontari che ne sono coinvolti a tutti i passaggi, entro un processo che deve essere trasparente, verificabile e accessibile.

    7. In particolare, la CPRE ritiene la pianificazione uno strumento chiave per conseguire obiettivi ambientali. Contribuisce a realizzare contesti ambientali di elevata qualità, assicurando la tutela sul lungo termine e l’ampliamento degli habitat naturali, dei paesaggi e dei valori storici, in città e in campagna. Ciò è di beneficio alle persone, e anche alle imprese. La pianificazione deve assicurare adeguata tutela, conservazione, miglioramento degli ambiti di importanza internazionale, nazionale, locale, e riconosce che elementi di valore dal punto di vista della fauna e flora, del paesaggio, esistono anche al di fuori degli spazi ufficialmente classificati come tali. Il sistema di piani deve dare un contributo anche maggiore alla riduzione e contenimento del cambiamento climatico, per esempio riducendo il bisogno di spostamenti.

    8. La pianificazione è anche uno strumento chiave per facilitare il conseguimento di obiettivi economici. Consente che si realizzi il tipo di insediamento giusto nel luogo giusto, offre certezze agli investitori, e consente di ricomporre interessi divergenti, verso lo scopo comune di assicurare modi di sviluppo sostenibili. Per farlo, ha bisogno di maggiori risorse, di un più chiaro orientamento alla sostenibilità, di un maggior sostegno politico.



    Alcune proposte essenziali previste nel prossimo Planning White Paper

    Grandi infrastrutture

    9. Il governo ha espresso il timore che l’iter per le grandi opere infrastrutturali richieda troppo tempo. Ad ogni modo, gli elementi di ritardo individuati spesso hanno più a che fare con la vastità delle questioni sollevate da progetti complessi, come il reperimento delle risorse, oltre che conseguenza di proposte mal concepite.

    10. Prevediamo che si proporrà di istituire un percorso autonomo per quanto riguarda le grandi infrastrutture, come autostrade, aeroporti, inceneritori, centrali e invasi.

    11. Lo White Paper probabilmente proporrà che il governo fissi una politica di orientamento nazionale [ policy statements] per i vari tipi di infrastrutture. Il proponente del progetto di una particolare opera sarebbe così anche responsabile del processo di consultazione pubblica preliminare. Si formerebbe una nuova Independent Planning Commission (IPC) per le indagini sui progetti, per stabilire se l’iter possa proseguire.

    12. La CPRE teme che questo tipo di approccio metta in pericolo la partecipazione delle comunità locali e degli interessi pubblici generali nel processo decisionale, e una adeguata considerazione degli impatti ambientali. Vorremmo una IPC con un ruolo consultivo, non decisionale, che risponda democraticamente, assicuri una efficace partecipazione pubblica, consenta una approfondita disamina dei dati, sia in grado di gestire le consulenze ambientali.

    Sbilanciamento a favore dell’attività di trasformazione

    13. Prevediamo che il Planning White Paper proponga un orientamento di massima orientato alla trasformazione. Il governo sembra propenso a riequilibrare il sistema di pianificazione a favore dello sviluppo economico, pur non essendo dimostrabile che il sistema ostacoli in qualche modo la produttività. Ciò è contrario ai principi dello sviluppo sostenibile, che cerca di integrare gli obiettivi e assicurare che si operi entro limiti ambientali.

    14. La CPRE ritiene che non esista il bisogno di modificare il quadro generale normativo e giuridico da questo punto di vista.

    Rigenerazione urbana: la “verifica dei bisogni”

    15. L’attuale politica urbanistica nazionale ha con successo promosso vitalità e solidità economica dei centri urbani. Prevediamo che il Planning White Paper proporrà l’abolizione della “verifica dei bisogni” che ha aiutato le amministrazioni locali a resistere alle spinte verso gli insediamenti commerciali extraurbani. Ciò indebolirebbe le aree centrali e la rigenerazione urbana. La CPRE vorrebbe che la verifica dei bisogni fosse non solo mantenuta, ma rafforzata.

    Partecipazione ai piani cittadini

    16. Il coinvolgimento delle comunità locali e degli enti di pubblico interesse nei processi decisionali di piano è vitale. Ed è particolarmente importante nelle prime fasi di un progetto, per ottenere piani che incontrino il sostegno locale. La CPRE si opporrà a qualunque proposta che riduca le occasioni di coinvolgimento pubblico attraverso una accelerazione negli iter per la redazione dei piani locali.

    Flora e fauna, gli habitat e la Green Belt in pericolo

    17. Temiamo che il Planning White Paper non riconoscerà l’importanza di un sistema naturale di elevate qualità sia per le imprese, che per le persone, sia in sé. Mettendo al primo posto lo sviluppo economico, si mettono in pericolo paesaggi e ambienti naturali nelle fasce urbane esterne e nelle campagne. Al contrario, si devono invece sviluppare politiche urbanistiche tali da offrire una maggiore protezione agli spazi di valore, per riconnettere sistemi naturali frammentati e consentire a flora e fauna di adattarsi al cambiamento climatico, per portare la natura più vicina a dove vive la gente.

    […]

    Nota: i temi del presente comunicato erano già stati anticipati dall'articolo di Max Hastings sul Guardian del 4 luglio 2006, riportato a suo tempo qui su Eddyburg e ripresi recentissimamente (con opinioni autorevole come Peter Hall e altri, da Peter Hetherington che ha intervistato tra l'altro il ministro Yvette Cooper); e si tratta di un "movimento" praticamente globale, contro l'urbanistica in genere, come dimostra ad esempio questo contributo di un economista consulente del governo australiano riportato su Mall o per altri versi la breve nota "Case Preziose" di Sandro Roggio sul sito Centro Studi Urbani (f.b.)

    here English version

    UK Department for Communities and Local Government, Permitted Development Rights for Householder Microgeneration, Consultation paper, aprile 2007 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini

    […] Turbine a vento – Premesse

    89. Il rapporto dell’Entec [agenzia tecnica del Ministero per le Aree Urbane n.d.t.] indica che le turbine a vento sono con ogni probabilità al terzo posto in quanto a potenziale tra le forme di microgenerazione domestica, molto meno diffuse di quella solare e che possono raggiungere qualunque dimensione. Ma dato che le tecnologie relative alle turbine sono in continuo sviluppo, il loro contributo probabilmente è destinato ad ampliarsi significativamente, se come sembra esse saranno più promosse dal punto di vista commerciale e diventeranno un prodotto più corrente.

    90. L’energia prodotta da una turbina dipende dalla “area coperta” dal rotore. Ciò significa che una turbine a “asse orizzontale” con un rotore del diametro di 2 metri produrrà circa quattro volte tanta energia rispetto a una col rotore del diametro di 1 metro.

    91. Tutte e turbine a vento hanno un rotore collocato entro un flusso d’aria. Tale rotore viene fatto girare dal vento e questo movimento rotatorio si trasmette poi a un mulino, a una pompa, a un generatore elettrico. Venti più veloci contengono più energia di venti più deboli. C’è anche una variazione che dipende dall’altezza rispetto al suolo; maggiore l’altezza, più forte il vento. Ciò significa che, tradizionalmente, le turbine a vento vengono collocate su alte torri. Comunque, più di recente ne sono state introdotti sul mercato tipi concepiti per essere installati sui normali edifici. L’analisi dell’Entec ha considerato dunque sia le turbine installate in modo separato che quelle inserite negli edifici. I risultati indicano come un impianto a vento da 1 chilowatt con una pala rotante del diametro di 1,75 metri può coprire circa il 15-20% dei consumi annui di una famiglia, e in località rurali o comunque più ventose questa quota può aumentare significativamente.

    Turbine a vento – Problemi e raccomandazioni

    92. Da un punto di vista urbanistico, le turbine a vento di tipo domestico hanno una serie di caratteristiche tali da rappresentare impatti potenzialmente superiori rispetto ad altre tecnologie di microgenerazione. L’Entec sottolinea quattro ambiti da prendere in considerazione per l’impatto urbanistico-edilizio delle piccole turbine: dimensioni e proporzioni; sicurezza; disturbo e danni ai pipistrelli.

    93. Una considerazione ulteriore che necessita di riflessione è quella degli impatti sui radar. La questione verrà sviluppata parallelamente al processo di discussione pubblica di questo documento, e comporta un lavoro comune con il settore produttivo della microgenerazione, il Ministero della Difesa, i servizi nazionali del traffico aereo e la Civil Aviation Authority. La sicurezza dei voli aerei è ovviamente di grandissima importanza, e dunque le proposte che seguono saranno soggette ai risultati di questi ulteriori sviluppi, oltre che alle risposte generali al presente documento di discussione, nella elaborazione delle proposte finali sull’autorizzazione di turbine domestiche.

    94. L’Entec ritiene che l’impatto visivo delle turbine a vento possa essere considerato di piccola entità sul paesaggio locale, se esse sono di dimensioni relativamente contenute. Per quanto riguarda le turbine installate autonomamente, è l’altezza del pilone su cui sono montate la considerazione base. Le informazioni raccolte dall’Entec mostrano come, là dove molte amministrazioni locali hanno preso in considerazione gli impatti visivi come elemento chiave per il rilascio di autorizzazioni, dove il progetto di turbina riguardava un palo sino a 10 metri di altezza, esse sono state rilasciate. E quindi l’Entec, raccomanda di fissare questa altezza come diritto acquisito. Ciò, si osserva, consente l’installazione di molti prodotti che generano energia sufficiente per le necessità di una famiglia, senza indebite interferenze visive.

    95. Per quanto riguarda gli impianti installati sugli edifici, Entec ha cercato di definire un tipo di impatto comparabile a quello delle turbine autonome. Si è indicata in 3 metri sopra la linea del tetto di un edificio, una altezza paragonabile ai 10 metri dell’impianto stand-alone. Questi tre metri valgono per molte circostanze diverse, e consentono di “leggere” la turbina come facente parte dell’edificio, riducendo così l’impatto visivo. In termini di diametro del rotore, il Governo accetta la raccomandazione dell’Entec che una misura massima di 2 metri rappresenti un ragionevole compromesso fra produzione energetica e potenziali impatti.

    96. L’Entec raccomanda anche di considerare per l’impatto visivo cumulativo che la turbina installata sia soltanto una, su un edifico “normale”. Si indica comunque che nel caso di grossi edifici ad appartamenti (non conversioni di case più piccole) si possano raggiungere anche le quattro turbine, senza indebiti impatti visivi. Il Governo accetta le basi di questa impostazione, ma propone che l’approccio rispecchi più da vicino quello delle autorizzazioni per le antenne, senza differenza fra tipi di edifici (convertiti oppure no), ma con criteri differenziati a seconda delle altezze dei fabbricati. Di conseguenza, fino a 15 si consentirà una sola turbina, oltre questa altezza si potrà arrivare a consentire sino a 4 turbine.

    97. Gli impatti visivi, naturalmente, non sono determinati solo da dimensioni e numero degli impianti, ma anche dalla vicinanza delle turbine l’una all’altra. Come accade coi pannelli solari ad installazione autonoma, anche per le turbine montate su un pilone si deve calcolare il rischio di rovesciamento nel prendere in considerazione i limiti all’uso di queste tecnologie. Dato che a qualunque restrizione si aggiunge anche la distanza di 10 metri di qualunque impianto stand-alone dalla più vicina stanza abitabile per il problema del rumore, l’Entec indica in 5 metri la distanza minima di uno di questi impianti da una strada e in 2 metri quella dai confini di una proprietà adiacente.

    98. Dopo aver considerato attentamente questo problema, il Governo è orientate verso un approccio simile a quello usato per gli impianti solari, ovvero a fissare un unico limite sia per la distanza dalla strada che dai limiti della proprietà. Dato che va considerato il rischio di rovesciamento, e che l’altezza massima di una turbina sarebbe di 11 metri (ovvero una pala rotante del diametro di 2m montata su un pilone di 10m) il Governo propone che la distanza venga fissata a 12 metri.

    99. Restano le questioni più complesse, relative al disturbo e alle interferenze col sonno. Si accetta che le turbine a vento possano causare rumori. Ma, come affermato nella Sezione 3, non è semplice definire limiti a questi rumori in modo chiaro, semplice e praticabile. In particolare, le turbine installate sugli edifici pongono particolari difficoltà dato che molto probabilmente si troveranno più vicine ad altre proprietà. Per gli edifici aggregati in linea o abbinati, dove vengono montate sulla medesima struttura della proprietà adiacente, esiste un problema più difficile riguardo alle questioni del rumore e delle vibrazioni.

    100. Comunque, come meglio esposto nella Sezione 3, il Governo propone limiti al rumore per assicurare che tutti i potenziali impatti vengano controllati sia all’interno che all’esterno per gli alloggi vicini.

    101. Ulteriore problema è quello delle vibrazioni trasmesse attraverso la struttura dell’edificio, che pone una questione di sicurezza e disturbo degli alloggi vicini. Come riconosce l’Entec, le turbine installate sui fabbricati trasmettono parte dell’energia al proprio sostegno. Le questioni di stabilità strutturale devono essere coperte dai regolamenti edilizi. Comunque, in relazione al disturbo, è stato sviluppato un lavoro in collaborazione con la Defra per determinare quali livelli di vibrazione risultino non fastidiosi. Il Governo propone un livello considerato accettabile, sulla soglia della percettibilità. […]

    102. Anche se esiste un potenziale impatto generale su siti e specie protette, l’Entec sottolinea preoccupazioni particolari rispetto al rapporto fra pipistrelli e turbine. Si riconosce comunque che non esistono conoscenze tali per determinare un possibile livello di rischio. Tutte le specie di pipistrelli e i loro spazi di posa sono già tutelati attraverso le Conservation Regulations (Natural Habitats, &c.) del 1994 e il Wildlife and Countryside Act del 1981 (e successivi aggiornamenti), ampliato nel Countryside and Rights of Way Act del 2000. Tutte queste leggi hanno condotto allo sviluppo di una serie di procedure per ridurre al minimo i potenziali effetti sui pipistrelli di qualunque impianto, quando se ne conosce o presume la presenza; il Governo ritiene siano sufficientemente tutelati.

    103. A partire dalle raccomandazione di Entec, il Governo propone che vengano consentiti impianti di microgenerazione a turbine eoliche alle seguenti condizioni:


    Turbine eoliche su edifici Limiti
    Altezza (compresa la pala) al di sopra della linea più alta del tetto 3m
    Diametro del rotore 2m
    Rumore Vedi allegato 2
    Vibrazioni Vedi allegato 2
    Numero di turbine Una su edifici fino a 15m.

    Quattro su edifici oltre 15m
    Restrizioni per le aree di conservazione e Patrimonio Mondiale Non consentiti impianti
    Turbine eoliche autonome
    Altezza (inclusa la pala) 11m
    Diametro del rotore 2m
    Romore Vedi allegato 2
    Vibrazioni Vedi allegato 2
    Restrizioni per le aree di conservazione e Patrimonio Mondiale Impianti prospicienti una strada e visibili da essa

    […]

    Nota: la versione originale e integrale, che comprende anche gli impianti solari, biomasse, allegati ecc. è scaricabile direttamente da qui (f.b.)

    microgeneration_development

    Due indagini recentissime sul posizionamento strategico delle grandi città hanno, ancora una volta, evidenziato i punti di forza e i punti di debolezza delle città italiane rispetto alle loro più dirette competitrici in ambito internazionale. Ci riferiamo al rapporto annuale di Cushman&Wakefield che valuta l’attrattività di 32 grandi città relativamente alla offerta di spazi ad uso uffici, ed allaTerritorial Review sull’area metropolitana milanese realizzata dall’OCSE per conto della Provincia di Milano[1].

    Dalla prima indagine, molto specifica ma anche molto apprezzata dagli operatori economici internazionali, emerge un risultato chiaro e inequivoco: nella graduatoria delle migliori città europee quanto ad offerta di uffici, l’Italia è presente nelle posizioni alte di classifica con due sole città, Milano e Roma. Entrambe risultano nell’ultimo anno aver perso competitività, sia per quanto riguarda il rapporto prezzo/qualità che l’offerta di superfici ad uso terziario-direzionale: Milano scende dal 26° posto in graduatoria al 29° per quanto riguarda il primo indicatore e dal 20° al 25° per il secondo; Roma rispettivamente dal 28° al 30° e dal 26° al 29°. Sempre di Kushman&Wakefield, un’altra graduatoria delle “migliori città per gli uffici” in Europa dal 1990 al 1996 vede Milano passare dal 9° al 12° posto. Monaco di Baviera nello stesso intervallo di tempo si riposiziona, in maniera esattamente speculare, dal 12° al 9°.

    La Territorial Review dell’OCSEsu Milano restituisce i risultati di un’indagine molto più articolata e complessa dedicata ad evidenziare i punti forza e di debolezza della regione urbana milanese. Fra questi ultimi, l’OCSE ha sottolineato due principali fattori di criticità:

    - la particolare gravità della questione ambientale ed, in particolare, della congestione del traffico (nella graduatoria europea delle 30 città meno inquinate, Milano si colloca al 29° posto, seguita soltanto da Mosca) e

    - la elevata frammentazione amministrativa.

    Senza una governance alla scala della regione urbana, senza un progetto di lungo periodo ed una strategia condivisa, senza la promozione di una “immagine di marca” non effimera e quindi capace di attrarre investimenti e professioni qualificate dall’estero (che richiederà, appunto, di avviare coraggiosi progetti attenti al miglioramento della città pubblica e misure decise per la riduzione della congestione e dell’inquinamento), Milano, sottolinea il rapporto dell’OCSE, potrebbe soccombere nei confronti delle sue dirette concorrenti in ambito europeo (Vienna, Lione, Barcellona e Monaco di Baviera) rispetto alle quali appare già oggi in grave ritardo.

    Quale lezione trarre in particolare da Monaco di Baviera, una metropoli che con il capoluogo lombardo condivide una posizione di eccellenza nella funzione fieristica, ma che gode però di indiscutibili vantaggi competitivi sia nella struttura economica, molto più specializzata in settori avanzati e di eccellenza, sia per la qualità della vita e la efficienza del sistema di trasporto pubblico, sia in termini di virtuosa “propensione alla governance”?

    Monaco ha molte affinità con Milano ma, rispetto a Milano, appare avanti anni luce. Ha realizzato in tempi brevi la rilocalizzazione del quartiere fieristico nell’area aeroportuale dismessa di Riem, ma ha collocato questo grande progetto in una strategia organica di riqualificazione urbana e territoriale rappresentata dal piano “Perspektive Munchen” del 1998, elaborato dalla municipalità in stretta sinergia con il governo bavarese, l’associazione volontaria dei comuni della regione metropolitana e le rappresentanze degli interessi[2]. Ha riutilizzato l’area molto centrale precedentemente occupata dalla fiera (Theresienhöe) secondo il modello “compatto-urbano-verde” privilegiato dalla municipalità: vale a dire, densità in linea con quelle esistenti nelle zone più centrali della città, buona diversificazione funzionale, una offerta di abitazioni che per il 27% è di edilizia sociale e per il 20% è in accordo con il “modello Monaco” (destinata cioè alle famiglie giovani e con figli), servizi pubblici di quartiere (fra cui un nido, una scuola materna ed un centro per i giovani) e servizi di rilevanza urbana (il Museo dei trasporti e della mobilità) realizzati in parallelo alla concessione ai privati dei permessi di costruire, 11,2 ettari di aree dedicate a verde pubblico e strutture per il tempo libero su un totale di 47 ettari.

    A 7 anni dall’avvio di quel piano strategico, il Dipartimento di Pianificazione Urbanistica della città ha pubblicato un bilancio accurato dei risultati ottenuti e proposto un aggiornamento alla luce delle nuove sfide e di nuovi obiettivi (City of Munich, 2005)[3].

    Shaping the future of Munich è un documento interessante per la sua autentica natura strategica: non è, come spesso avviene in Italia, un documento puramente qualitativo e descrittivo di elencazione di “buone intenzioni” e di “grandi progetti”; fornisce anzi dati quantitativi e valutazioni sui risultati sia in termini di coerenza con i principi generali del piano strategico del 1998, che di compatibilità/conformità con gli obiettivi specifici a suo tempo individuati.

    Ciò è stato possibile poiché si è realizzato un processo di monitoraggio e valutazione continua del piano, alimentato da indicatori di prestazione disaggregati a livello locale e da surveys periodiche dedicate a verificare il livello di gradimento da parte dei cittadini.

    Gli ambiziosi e lungimiranti principi di base che hanno guidato il piano strategico di Monaco di Baviera fino dai suoi inizi sono ulteriormente ribaditi con laconica assertività nella prima parte dedicata alla messa a fuoco delle sfide future: “ sustainable, permanently environmentally friendly development and urbanity in keeping with times, based upon the fundamental values of the European city – openness, tolerance and integration”.

    La seconda parte affronta le questioni dei principi e delle associate azioni e progetti in maniera molto articolata e con una valutazione approfondita degli esiti e delle ulteriori iniziative da promuovere.

    Qui ci soffermeremo soltanto sulle tematiche relative alla pianificazione spaziale e trasportistica: quelle in cui le ricerche comparative più sopra citate hanno segnalato la debolezza relativa delle grandi città italiane.

    Il primo tema cruciale, sintetizzato nel principio “qualified internal development”, è riferito al riuso delle aree dismesse o sottoutilizzate che è ormai da anni sintetizzato nella parola d’ordine “compatto, urbano, verde”. La elevata offerta di spazi per uffici e la recente caduta relativa della domanda (la quota di uffici vacanti è passata dall’1% del 2001 all’11% del 2005), e la persistente elevata domanda di abitazioni (malgrado la cospicua realizzazione di edilizia residenziale che ha rispettato gli obiettivi fissati dalla Municipalità: 7.000 alloggi/anno con una significativa quota di edilizia sociale) stanno rafforzando l’impegno a favore della diversificazione del mix locale (“ socially compatible land use”). Inoltre, in tutti i progetti di riuso di aree dismesse, fino a 2/3 dell’incremento di valore dei suoli determinato dal cambiamento di destinazione d’uso devono essere destinati alla realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici: si applica dunque un principio di redistribuzione della rendita a favore della realizzazione di capitale fisso sociale urbano che si traduce operativamente in una regola perentoria di tipo quantitativo (di principi analoghi non si ha traccia nella pianificazione per grandi progetti all’opera ad esempio nel contesto milanese, e ciò ci fornisce già qualche indizio significativo per spiegare la differente qualità urbana e, in ultima istanza, il diverso posizionamento delle due metropoli).

    Un secondo tema cruciale riguarda la “mobilità urbana compatibile”. Il problema della efficiente gestione del traffico su gomma, che è in continuo aumento, viene affrontato alla scala territoriale pertinente, integrando cioè il piano dei trasporti municipale con quello della regione metropolitana. La direttiva “risolvere insieme i problemi del traffico” ha visto Monaco, il governo bavarese, le amministrazioni locali dell’hinterland costituite in associazione volontaria intercomunale e le rappresentanze degli interessi privati convenire sulla impossibilità di consentire ulteriori incrementi di traffico automobilistico e sulla necessità di investire sui sistemi di modalità ecocompatibili (potenziamento delle metropolitane e del sistema ferroviario regionale, park+ride, bike+ride, rete di piste ciclabili a scala metropolitana, etc.).

    Il terzo tema si riferisce ai rischi associati al crescente consumo di suolo e alla compromissione di risorse ambientali e di territorio agricolo. La strategia di controllo dello sprawl ( “housing development and mobility”) ha privilegiato il policentrismo: nella regione metropolitana le nuove opportunità di realizzazione di quartieri residenziali in aree greenfield si stanno concentrando esclusivamentesui centri dell’hinterland inseriti nella rete del sistema ferroviario regionale e dotati di una rete locale efficiente di trasporti pubblici. Per realizzare questa strategia, di nuovo è stato necessario costruire un accordo intergovernativo stabile fra le authority preposte ai trasporti, il comune di Monaco e le amministrazioni locali dell’hinterland. Ma occorre sottolineare che alla scala della regione urbana si sta consolidando una buona propensione alla cooperazione intercomunale i cui obiettivi di sviluppo spaziale sono strettamente coordinati con quelli del piano strategico di Monaco: si veda al proposito il piano “Munich Region 2030” a cura della associazione volontaria di comuni appartenenti alla Munich Regional Planning Association.

    Per quanto riguarda il soddisfacimento della elevata domanda abitativa, l’obiettivo formulato nel piano strategico del 1998 poneva al centro il tema della coesione sociale. Esso si è tradotto nel programma di azione “Living in Munich II” lanciato nel 2001 che ha introdotto incentivi economici ma anche elementi prescrittivi, sia di carattere quantitativo che qualitativo, per gli interventi privati nel settore delle nuove abitazioni: l’obiettivo quantitativo è di 7.000 nuovi alloggi/anno, di cui 1.800 alloggi/anno di edilizia sociale; sono stati erogati incentivi anche per l’edilizia residenziale destinata alle famiglie a medio reddito con due o più figli, così da garantirne la permanenza in città (il cosiddetto “modello Monaco”), e incentivi alle iniziative immobiliari che operino nel comparto delle abitazioni in affitto. Il rapporto conferma che gli obiettivi sono stati pienamente realizzati.

    Il documento si conclude con il quesito classico del piano strategico: dove vogliamo andare da questo punto in poi?

    Perspective Munich non sembra avere dubbi o perplessità: “occorre saper affrontare le sfide del futuro in un quadro di azioni certamente condizionato dalle problematiche demografiche, economiche e sociali, ma anche da principi normativi e finanziari dettati dalla azione della municipalità in sinergia con gli altri enti territoriali. In questo contesto, la pianificazione urbana deve assolvere al compito precipuo di ‘difensore del bene comune’ ”.

    La costruzione progressiva di un modello di governance metropolitana associato ad un piano strategico realizzato alla scala territoriale pertinente e finalizzato alla crescita della città pubblica ha in definitiva certamente costituito un fattore importante nel migliorare la qualità della vita e potenziare l’attrattività della capitale bavarese.

    E’ guardando avanti ed elaborando strategie condivise, piuttosto che praticando esclusivamente la strada della semplificazione e della flessibilizzazione urbanistica in una dimensione confinata all’ambito comunale, che anche le grandi città italiane potranno aspirare a salire di rango, anziché scendere come inesorabilmente continuano a fare da ormai troppi anni.

    [1] Cushman&Wakefield (2006), Office Space Across the World; OECD (2006), OECD Territorial Reviews – Milan, Italy, OECD Publishing, Paris; OECD (2006), OECD Territorial Review – Milan, Italy, OECD Publishing Company, Paris

    [2] Camagni R., Gibelli M. C. (2003), “Strategie di lungo periodo e riqualificazione urbana a Monaco di Baviera: il progetto Messestadt Riem”, in Sviluppo&Organizzazione, n. 195, 2003

    [3] City of Munich, Department of Urban Planning and Building Regulation (2005), Shaping the Future of Munich, Perspective Munich . Strategies, Principles, Projects, Munich

    Chiunque può usare o riprodurre questo articolo, alla condizione di citare l’autore, così come compare nel sito, e la fonte originaria in modo visibile e con la seguente dicitura: “tratto dal sito web eddyburg.it”.

    Titolo originale: Uniting for Solutions Beyond Shelter. Action Plan – Traduzione e estratti a cura di Fabrizio Bottini

    [...] INTRODUZIONE

    La Città di New York ha creato il sistema di servizi ricovero più integrato e vasto del mondo. Nell’ultimo decennio, sono stati spesi circa 4,6 miliardi di dollari nella costruzione e gestione di una rete di rifugi di emergenza, l’incredibile numero di 416.720 persone, tra cui 163.438 bambini, ha ricevuto un servizio di alloggio in questo arco di tempo. Gli abitanti di New York possono andare fieri di questa solidarietà e generosità, che caratterizzano la risposta della città a chi ha bisogno.

    Ma per quanto ampie le risorse ed energie concentrate sulla creazione e mantenimento di questa ampia rete di ricoveri, la discussione su come affrontare meglio il tema degli homeless si è trasformata in un solo dibattito sulla messa a disposizione di un rifugio, anziché sulle soluzioni di lungo termine.

    Come risultato di ciò, e a causa della persistente e significativa crisi degli alloggi economici, il numero delle persone ospitate rimane a livelli estremamente elevati. Le statistiche quotidiane del sistema di ricoveri per i primi 9 mesi dell’anno fiscale 2004 calcolano circa 38.200 persone, tra cui 16.100 bambini. Parecchie altre migliaia di donne e uomini rimangono per le strade cittadine. Ad enfatizzare la necessità di una risposta diversa agli homeless da parte delle strutture pubbliche, degli altri erogatori di servizi, privati e associazioni non-profit, il fatto che:

    • la vita da homeless sulla strada non dovrebbe essere accettata come fatto normale nella vita della città. Oggi è così.

    • i bambini non dovrebbero crescere nei rifugi per i senzatetto. Oggi lo fanno.

    • gli incentivi non dovrebbero incoraggiare o allungare senza motivo la dipendenza dai ricoveri. Oggi fanno esattamente questo.

    • il passaggio diretto da altri servizi verso i ricoveri rappresenta un fallimento del sistema pubblico. Oggi questi passaggi avvengono con frequenza.

    • la presenza prolungata rappresenta un fallimento del sistema e un risultato negativo per chi ne fruisce. Oggi si tratta di una situazione comune.

    • i proventi fiscali destinati al tema homeless dovrebbero servire a sostenere soluzioni di prevenzione, contributo all’affitto, abitazioni pubbliche. Oggi principalmente sostengono i rifugi.

    • nessuna responsabilità pubblica – a ben vedere nessuna singola competenza – può da sola risolvere il complesso problema homeless nella sua cronicità.

    Oggi, la risposta di prima istanza della città a qualunque tipo di instabilità di alloggio – ad esempio sfratti potenziali, tensione abitativa, emergenza sanitaria, morosità – è un ricovero. Nonostante il fatto che il sistema dei rifugi è stato pensato espressamente per proteggere le persone dalla vita di strada, esso è diventato in realtà la risposta istituzionale a un ampio raggio di bisogni: a molti dei quali ci si sarebbe potuti rivolgere meglio con interventi più sfumati e flessibili che aiutino le persone verso un alloggio stabile, a mantenere i legami con la comunità, o in un passaggio dalla collocazione in istituti o centri di custodia ad abitazioni pubbliche.

    Assicurare un accesso ai rifugi da parte di chi ne ha bisogno resta un valore centrale. Ma una risposta “i rifugi innanzitutto” a qualsiasi bisogno o crisi degli alloggi, continuerà ad aumentare costi e uso delle strutture, spostando l’attenzione lontano da prevenzione, abitazioni di sostegno e altri interventi urbani volti a risolvere il problema homeless.



    L’AZIONE

    Nel novembre 2003 il sindaco Bloomberg convocò un gruppo inedito di funzionari pubblici e rappresentanti del settore privato e delle associazioni non-profit per sviluppare una strategia decennale multisettore che si rivolgesse a questi temi, a rafforzare la risposta della città. Un comitato di coordinamento composto da 41 membri, oltre a centinaia di partecipanti con competenze specifiche ed esperti si riunì dal novembre 2003 all’aprile 2004, a comporre una strategia su nove punti. Essa mira a:

    1. Superare la situazione degli homeless di strada

    2. Prevenire la condizione di senzatetto

    3. Coordinare il sistema di uscita da altri istituti

    4. Coordinare i servizi e sostegni economici cittadini

    5. Ridurre al minimo la divisione delle famiglie di cui non si riesce a prevenire la condizione di senzatetto

    6. Ridurre al minimo la durata della condizione di senzatetto

    7. Spostare risorse vero altre, preferibili soluzioni

    8. Mettere a disposizione risorse per i gruppi più vulnerabili, per l’accesso e conservazione di un alloggio

    9. Commisurare i risultati, valutare gli aspetti positivi, investire per un continuativo miglioramento

    In modi piccoli e grandi, queste strategie ridefiniranno l’approccio cittadino all’assistenza agli homeless di New York e a chi è a rischio di diventarlo. Collettivamente si dovrà:

    • Definire un percorso per investire nuove risorse e riorientarne altre dai ricoveri a un sistema diffuso in tutta la città di prevenzione e altre soluzioni di alloggio.

    • Aumentare il livello di consapevolezza pubblica e coinvolgimento nella sfida ad andare oltre una semplice accettazione collettiva degli homeless, sia nelle strade che nei ricoveri.

    • Mettere insieme gli uffici pubblici in una campagna coordinata per massimizzare l’assistenza governativa disponibile a chi ne ha bisogno, e ridurre il passaggio da un’istituzione all’altra che produce la condizione di homeless.

    • Invertire la tendenza secondo cui famiglie e individui che diventano homeless rimangono tali per periodi di tempo eccessivi, con particolare attenzione a prevenire le situazioni croniche nei ricoveri e sulle strade.

    • Assicurare accesso ai rifugi a chi ne ha bisogno, ribadendo la responsabilità di chi utilizza il servizio di muoversi verso l’autosufficienza.

    Arrivare a riforme di queste dimensioni richiederà una diversa priorità nelle spese, politiche e programmi. Questo documento comprende principi, concetti e indicazioni di politiche tali da guidare la città nel prossimo decennio.



    PROSSIME AZIONI

    Dopo la pubblicazione di questo piano, entro 60 giorni verrà sviluppata una completa strategia di attuazione. Verranno individuate le autorità responsabili per ciascun obiettivo, e un piano operativo con scadenze temporali. La strategia comprenderà punti di arrivo intermedi e momenti di verifica, in cui si valuteranno i progressi secondo i seguenti indicatori chiave:

    • Diminuire il numero delle persone che vivono sulle strade e in altri spazi pubblici

    • Aumentare il numero delle persone che escono dai ricoveri verso forme di abitazione permanente

    • Aumentare l’offerta di abitazioni minime economiche e dotate di servizi

    • Diminuire la quantità di richieste per i ricoveri

    • Diminuire la durata della permanenza in ricovero

    • Diminuire il numero totale delle persone nei ricoveri

    Il presente documento Uniting for Solutions Beyond Shelter presenta il potenziale degli sbocchi per le persone a rischio di situazione homeless, e per chi già lo è a New York City. Adottando il meglio della riflessione e dei contributi dal settore privato, dagli uffici pubblici e dalle associazioni non-profit, questo potenziale per una reale campagna a dimensione urbana a ridurre efficacemente il problema homeless e affrontare quello delle categorie a rischio, può tradursi in realtà.



    METTERE FINE AD UNA SITUAZIONE CRONICA



    Il dibattito nazionale si sta spostando dalla “gestione” al “porre fine” al problema dei senzatetto, in particolare alle situazioni croniche. New York City adotta l’obiettivo di eliminare la cronicità in 10 anni. Allo stesso tempo, le modalità in cui a New York si manifesta il problema homeless sono diverse da quelle delle altre situazioni. Anche gli obiettivi specifici del presente Uniting for Solutions Beyond Shelter, quindi, devono essere diversi.

    Un più ampio impegno a prevenire e riorientare i senzatetto, trovando rapidamente alloggio a coloro che entrano in questa condizione, farò molto per superare la condizione di massa ora presente a New York City. Allo scopo di valutare i progressi verso la fine delle situazioni croniche, verranno utilizzate le definizioni che seguono:

    • Un caso di cronicamente senza tetto è chiunque (adulti soli o coppie) sia in questa condizione per almeno 365 giorni negli ultimi due anni, non necessariamente in modo consecutivo; oppure chiunque sia attualmente in questa situazione e lo sia stato per 730 giorni degli ultimi 4 anni, non necessariamente in modo consecutivo.

    • Una famiglia cronicamente senzatetto lo è quando è stata in queste condizioni per almeno 365 giorni degli ultimi 2 anni, non necessariamente in modo consecutivo.

    [...] PRINCIPI GUIDA

    Tutti i singoli e famiglie devono avere un alloggio sicuro e alla loro portata.

    • Assicurare a tutti i newyorkesi un alloggio sicuro e accessibile richiede un’efficace collaborazione fra tutti gli interessati.

    • Deve essere reso disponibile il necessario sostegno e servizio prevenzione ad assistere le famiglie ed evitare la condizione di homeless.

    • Individui o famiglie che possono essere sostenuti all’interno del loro attuale adeguato alloggio non devono entrare nel sistema homeless.



    Singoli o famiglie homeless devono poter accedere a ricoveri temporanei sicuri; deve immediatamente cominciare la predisposizione di un alloggio permanente.

    • Se gli interventi preventivi non bastano a sostenere un singolo o famiglia a rischio nell’attuale situazione di alloggio, ne deve essere messo a disposizione uno temporaneo.

    • L’alloggio temporaneo è un intervento di breve periodo, non un sostituto della soluzione permanente.

    • Le persone e famiglie homeless devono essere oggetto di approfondita valutazione per quanto riguarda la collocazione in un ricovero dotato di servizi che rispondano ai loro particolari bisogni e faciliti una rapida collocazione definitiva.

    • Singole persone e famiglie hanno la responsabilità di mettere a disposizione informazioni complete e precise sulle proprie condizioni e bisogni.

    • I servizi devono essere culturalmente sensibili e disponibili entro il gruppo del cliente allo scopo di mantenere i legami comunitari.

    • I bambini nelle famiglie homeless devono aver accesso assicurato a una solida educazione riducendo al minimo le interruzioni scolastiche che possono avvenire a seguito della condizione di homeless.

    • i servizi devono essere strutturati in modo tale da assicurare che l’alloggio permanente sia preferibile al ricovero temporaneo, e venga mantenuto una volta ottenuto.



    Le persone non devono avere come casa la strada o altri luoghi pubblici; devono essere disponibili alternative sicure e a misura d’uomo.

    • I singoli che vivono sulla strada devono essere efficacemente raggiunti e incoraggiati ad accettare servizi e ricoveri.

    • Non devono essere sostenute le pratiche che incoraggiano gli individui a vivere per strada, e che sono controproducenti.

    • Devono essere offerti ambienti sicuri che sostengano adeguatamente gli individui che temono l’inserimento nei servizi.



    Tutti i singoli e famiglie possono e devono partecipare in modo attivo allo sviluppo e messa in pratica di un proprio progetto di vita indipendente.

    • Ognuno, singolo o famiglia, merita rispetto.

    • Singoli e famiglie devono ricevere informazioni chiare e servizi concreti nel momento in cui attraversano il sistema dei ricoveri.

    • Le forze individuali e familiari devono venire integrate attraverso piani di servizi.

    • Singoli e famiglie devono essere responsabili per conseguire l’indipendenza, e devono essere informati sul monitoraggio del completamento del proprio piano di servizi, e come queste aspettative si relazionano all’ottenimento di un alloggio permanente.

    • Singoli e famiglie devono trattare con rispetto ogni persone impegnata nella loro cura, gli altri abitanti dei ricoveri temporanei, e lo spazio che occupano.

    • Singoli e famiglie devono avere un alloggio permanente che corrisponda ai loro verificati bisogni, compresi quando necessario i servizi di sostegno alla permanenza.



    Tutte le entità responsabili devono operare in collaborazione per assicurare il successo del risultato per i singoli e famiglie homeless o che possono diventarlo.

    • Gli uffici pubblici devono coordinare i servizi per assicurare che le proprie azioni non causino ad alcun individuo o famiglia la condizione di senza tetto.

    • Il raggiungimento dell’obiettivo di un alloggio permanente per singoli e famiglie dipende dalla responsabilità, collaborazione e cooperazione inter-agenzia.

    • Si devono praticare pianificazione nell’uscita dai servizi e coordinamento delle risorse, per facilitare un sicuro e rapido passaggio di individui e famiglie gestiti da una molteplicità di sistemi amministrativi.



    I servizi devono essere offerti con l’obiettivo di raggiungere i massimi livelli operativi, attraverso un continuo miglioramento della qualità.

    • Ogni operatore ha un ruolo significativo nel raggiungimento di risultati positivi per i clienti, indipendentemente da titolo e posizione.

    • Una comunicazione aperta e onesta, in un ambiente privo di timori, è un elemento critico di successo.

    • Deve essere compiuto ogni sforzo per coinvolgere i clienti in una partecipazione attiva nell’erogazione e programmazione dei servizi, e per rispondere alle sollecitazioni che arrivano da loro.

    • Gli operatori devono ricevere una formazione adeguata, e risorse in grado di raggiungere risultati positivi.

    • L’informazione deve essere utilizzata per migliorare risultati e qualità, e deve essere resa pubblica.

    • Si devono sviluppare sistemi di valutazione per verificare adeguatamente e individuare i progressi.

    • Ogni operatore è responsabile per il raggiungimento di determinati livelli e di risultati positivi per i clienti.

    PRINCIPI PER LA PREVENZIONE

    Tutti, singoli e famiglie, devono avere alloggi sicuri e a prezzi accessibili.

    • Assicurare alloggi sicuri e accessibili per tutti i newyorkesi richiede un’efficace collaborazione fra tutti i soggetti interessati: operatori, uffici pubblici, organizzazioni di cittadini e clienti.

    • Servizi e sostegni devono assistere singoli e famiglie per evitare la condizione di homeless mantenendo una attuale sistemazione adeguata.

    • Deve essere compiuto ogni sforzo per evitare che singoli e famiglie dotati di alloggi adeguati entrino nel sistema dei ricoveri.



    Deve essere compiuto ogni sforzo per assistere singoli e famiglie non appena possibile, ad evitare crisi che possano causare la condizione di homeless.

    • Devono essere posti in essere interventi a livello comunitario prima che si raggiunga il punto di crisi, a evitare le rotture e instabilità che si creano con lo stato di homeless, o il rischio di diventarlo.

    • Si deve attuare un coordinamento a servire singoli e famiglie in modo olistico, rivolgendosi alle cause e circostanze che precedono la condizione di homeless.

    • Agenzie e operatori devono offrire servizi unificati, a singoli e famiglie gestiti da un sistema multiplo.



    I servizi per prevenire la condizione di homeless devono offrire un’assistenza flessibile che vada incontro ai bisogni di singoli e famiglie.

    • I servizi di prevenzione devono essere culturalmente sensibili e facili da raggiungere a livello di comunità, se necessario.

    • I servizi devono essere flessibili e rispondere ai bisogni del cliente, assicurando l’intervento più tempestivo possibile attraverso una serie di azioni articolate.



    Le agenzie che erogano servizi ai clienti in spazi istituzionali devono assicurare un’uscita positiva dalle strutture, verso alloggi stabili e duraturi.

    • Si devono mettere in pratica una pianificazione dell’uscita e un coordinamento delle risorse per facilitare un sicuro e rapido passaggio che assicuri a singoli e famiglie di non entrare nella condizione di homeless.

    • La pianificazione dell’uscita deve comprendere la previsione di adeguati servizi o un riferimento ad essi, quando necessario.



    Tutti i singoli e famiglie che ricevono un servizio meritano rispetto e devono rispettare.

    • Singoli e famiglie devono essere a conoscenza della disponibilità di servizi preventivi.

    • Singoli e famiglie devono essere consapevoli dei propri diritti e responsabilità come inquilini e clienti, così come dei diritti e responsabilità dei padroni di casa.

    • Singoli e famiglie che ricevono un’assistenza preventiva devono avere informazioni chiare, servizi reattivi, informazioni sui propri diritti e sulle competenze delle agenzie.



    I servizi preventivi devono essere guidati da statistiche e ricerca.

    • Prevenzione e interventi sulle cause della condizione di homeless, devono essere informati dalla disponibilità di dati.

    • Lo sviluppo delle politiche deve essere aggiornato di norma dalla ricerca.

    • L’erogazione dei servizi si deve basare su dati sia quantitativi che qualitativi, ivi comprese le informazioni da clienti e operatori.

    • Agenzie e operatori devono essere verificabili nel raggiungimento di determinati livelli e risultati positivi per i clienti. [...]

    Nota: per un confronto, su Eddyburg un documento simile descrive un'esperienza australiana nella città di Brisbane (f.b.)

    here English version

    Riverside County, California, General Plan, 2003, Capitolo 3: Uso del Suolo [estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini]

    [...] La Riverside County si trova in California meridionale, a est della Orange County, a nord delle contee San Diego e Imperial, a sud della San Bernardino e di quella di Los Angeles. La Riverside County è la quarta contea dello stato per quanto riguarda la superficie, coprendo circa 19.200 kmq, ed estendendosi verso ovest dal corso del fiume Colorado sino a una ventina di chilometri dall’Oceano Pacifico, per un totale di 320 chilometri. Le dimensioni sono più o meno quelle dello stato del New Jersey. La Riverside County ospita una spettacolare serie di elementi geografici quali deserti, cime coperte di neve e frastagliati crinali, profonde valli, foreste, fertili zone agricole. Nel quadro di questo ricco paesaggio vari insediamenti umani, consolidati e in via di sviluppo, di tipo urbano, suburbano e rurale. L’insieme delle caratteristiche fisiche offre un ambiente ad una notevole diversità di habitat naturali e risorse biologiche. In più, la diversificazione della Riverside County provvede uno spazio di vita adatto ad ogni gusto: città dense, énclaves suburbane, luoghi di villeggiatura, comunità rurali e agricole, aree abitate “equestri” e altre zone a popolazione sparsa.

    La Riverside County è sommariamente divisibile fra la parte est e quella ovest dalle catene montuose San Jacinto e Santa Rosa. Una profonda valle chiamata San Gorgonio Pass, fiancheggiata dalle montagne di San Jacinto e San Gorgonio, crea un corridoio accessibile tra queste due parti. Le montagne delle catene di San Bernardino e Little San Bernardino definiscono una parte del confine settentrionale, mentre altre numerose catene minori, tra cui quelle della Santa Rosa Wilderness e Cleveland National Forest, fungono da margini lungo i confini meridionali e occidentali della contea.

    Le due metà, orientale e occidentale si distinguono per caratteristiche fisiche e modalità storiche di sviluppo. La porzione occidentale della Contea è più o meno rande la metà di quella orientale, definita dalle montagne di Santa Ana e dalla Cleveland National Forest a ovest, e dalle montagne San Jacinto Mountains e San Bernardino National Forest a est.Rispetto alla parte orientale della Riverside County, quella occidentale contiene la principale concentrazione demografica, e subisce le maggiori spinte alla crescita. La maggioranza della popolazione si concentra nelle circoscrizioni municipali di Corona, Riverside, Beaumont, Banning, Norco, Lake Elsinore, Perris, Hemet, San Jacinto, Moreno Valley, Calimesa, Canyon Lake, Murrieta, e Temecula.

    Il fiume Santa Ana, che nasc dalle montagne di San Bernardino, scorre attraverso la porzione settentrionale della zona occidentale della contea, e poi nella Orange County fino a raggiungere l’Oceano Pacifico. Il fiume San Jacinto, che nasce dalle montagne di Santa Rosa e San Jacinto, taglia più o meno nel mezzo la parte occidentale della contea e finisce nel lago Elsinore. Parecchi laghi artificiali, che provvedono scorte d’acqua e spazi per il tempo libero, sono collocati in questa parte della contea, come Lake Mathews, Lake Perris, Lake Skinner, Vail Lake, e Diamond Valley Lake.

    La porzione orientale della Riverside County è delimitata dal fiume Colorado a est, e dalle montagne di Santa Rosa e San Jacinto a ovest. Questa parte della contea si distingue da quella occidentale per i terreni desertici e dalla relativamente minore popolazione, con meno centri congestionati.

    La gran parte della popolazione di quest’area della contea si concentra nella Coachella Valley, nelle circoscrizioni municipali di Desert Hot Springs, Palm Springs, Cathedral City, Rancho Mirage, Indian Wells, Palm Desert, La Quinta, Indio, e Coachella. Molti di questi centri sono conosciuti per la notevole presenza di seconde case, abitazione di pensionati, pratica del golf. Lo Joshua Tree National Park, noto per i suoi importanti habitat desertici, costituisce un margine naturale a settentrione della Coachella Valley. Il torrente Whitewater, corso d’acqua stagionale che si forma nelle montagne di San Bernardino, scorre attraverso la Coachella Valley sino a sfociare nel Salton Sea all’estremità meridionale della valle. Nella valle si è sviluppata una ricca economia agricola, che contribuisce al carattere rurale della parte orientale della Riverside County.

    Una vasta area di territorio desertico separa la Coachella Valley dal corso del fiume Colorado. La città di Blythe si trova nella Palo Verde Valley lungo il fiume, in una delle aree agricole più produttive della contea.

    [...] QUADRO GENERALE DEL PIANO [...]

    Al centro della visione generale per la Riverside County sta la volontà di mantenere e sviluppare le peculiari caratteristiche della contea, come le straordinarie risorse naturali e caratteristici centri urbani, individuando chiaramente le zone da tutelare e conservare. Elemento chiave per conseguire tale obiettivo è concentrare la crescita futura secondo modalità che siano complementari e comprendano i sistemi di mobilità e quello degli spazi aperti. In sintesi, lo sviluppo futuro dovrà orientarsi verso aree ben servite da strutture pubbliche e servizi, con particolare attenzione alle caratteristiche ambientali più significative, come i bacini di drenaggio, le zone soggette a rischi naturali, le zone di rilevanza paesistica. Elemento centrale di questo Piano Generale non è proseguire a separare gli usi dello spazio, ma costituire e connettere comunità “integrali”. Questa prospettiva per la Riverside County vuole realizzarsi attraverso gli elementi base che seguono:

    • Realizzare centri di città in posizioni strategiche e riorganizzare quelli esistenti secondo un insieme di funzioni adattate al trasporto collettivo e integrate fra commercio, residenza, attività economiche, verde, funzioni civiche, per il tempo libero, culturali, raggiungibili a piedi dalle strutture di trasporto. Questi centri città sono pensati per contenere una parte dello sviluppo futuro consentendo maggiori densità e intensità per ridurre lo sprawl e le superfici necessarie alle infrastrutture pubbliche;

    • Costituire un sistema di spazi aperti integrato e multifunzione che offra varie possibilità, tra cui: costituire una cornice allo sviluppo insediativo che risponda ai bisogni di tempo libero attivo e passivo; fungere da elemento separatore fra i centri abitati; mantenere le caratteristiche storiche della Riverside County;

    • Organizzare un sistema di trasporto multimodale che serva ad una popolazione in crescita e sia integrato con i vari usi del suolo attraverso un tipo di insediamento e infrastrutture adatti allo scopo. Questo sistema di trasporto sarà connesso a scala regionale e locale, comprendendo il trasporto veicolare privato, quello pubblico, il programma Oasis, collegamenti pedonali e piste ciclabili, sentieri, collegamenti aerei, varie forme di trasporto non motorizzato. Il sistema è adattato a ciascun centro e deve offrire possibilità di spostamento attraenti e sicure;

    • Consentire un’equilibrata miscela di usi del suolo urbano, come funzioni commerciali, uffici, industrie, agricoltura, spazi aperti, e insieme una varietà di tipologie residenziali, densità, intensità in localizzazioni adeguate che si rivolgano ad una moltitudine di segmenti di mercato. Il piano urbanistico prevede vari tipi di insediamento residenziale, da quello a carattere rurale sino agli appartamenti urbani;

    • Organizzare le varie comunità della Riverside County, che stanno crescendo ciascuna secondo una propria direzione, ritmi e contesto. Ciò comprende la tutela del carattere locale in alcuni casi, l’inserimento dello sviluppo in altri, un insieme di crescita e conservazione in altri ancora;

    • Cooperare a scala regionale sulle questioni della mobilità, lo sviluppo dei sistemi di trasporto, la riduzione della congestione da traffico, acque e aria pulita, gestione dei bacini idrici, reti ecologiche; infine

    • Utilizzare un sistema di incentivi pensati per facilitare il raggiungimento di questi fini generali in un contesto di libero mercato.

    La parte sull’uso del suolo del General Plan istituisce una complessa interrelazione di funzioni nello spazio che contribuiscono al raggiungimento di molti degli obiettivi del piano. Aderendo strettamente alle linee fissate, è possibile sviluppare uno spazio di contea autosufficiente, con caratteristiche fisiche e una qualità di vita altamente desiderabili. La realizzazione del piano dipenderà dalla definizione di ben concepiti e generali strumenti di attuazione, dal sostegno costante e capacità di visione dell’amministrazione di Contea.

    [...]



    POLITICHE DI DESTINAZIONE D’USO DEL SUOLO

    La sezione che segue descrive le Componenti Fondamentali per quanto riguarda le destinazioni d’uso del suolo e offre orientamenti per il tipo di interventi adeguati all’interno di ciascuna categoria, così come illustrato sia dalla carta del General Plan che da quelle dei Piani d’Area.

    Le destinazioni d’uso sono organizzate secondo una duplice gerarchia, così come mostra la tabella successiva: quelle fondamentali del Piano Generale e quelle dei Piani d’Area. Le componenti del piano generale descrivono la natura generale e scopo di ciascuna delle cinque funzioni base: Agricoltura, Spazio Rurale, Insediamento Rurale, Spazio Aperto, Sviluppo Urbano. Queste componenti fondamentali sono di carattere generale e non definiscono specifici usi del suolo su singole proprietà localizzate entro i confini dei Piani d’Area. Questa specificazione delle funzioni è invece contenuta sulle singole carte di questi piani d’area. [...]


    Componente Fondamentale Destinazione dei Piani d’Area

    Agricoltura

    Agricoltura

    Spazio Rurale

    Rurale Residenziale (dimensione minima del lotto: 2 ettari)

    Rurale Montano (dimensione minima del lotto: 4 ettari)

    Rurale zone Desertiche (dimensione minima del lotto: 4 ettari)

    Insediamento Rurale

    Residenziale Rurale densità “tenuta” (dimensione minima del lotto: 0,8 ettari)

    Residenziale Rurale densità molto bassa (dimensione minima del lotto: 0,4 ettari)

    Residenziale Rurale densità bassa (dimensione minima del lotto: 0,2 ettari)

    Spazio Aperto

    Spazio Aperto Conservazione

    Spazio Aperto Conservazione-Habitat naturali

    Spazio Aperto – Tempo Libero

    Spazio Aperto – Rurale

    Spazio Aperto – Acque

    Spazio Aperto – Risorse Minerali

    Sviluppo Urbano

    Residenza densità “tenuta” (dimensione minima del lotto: 0,8 ettari)

    Residenziale densità molto bassa (dimensione minima del lotto: 0,4 ettari)

    Residenziale bassa densità (dimensione minima del lotto: 0,2 ettari)

    Residenziale media densità (5-12 abitazioni ettaro)

    Residenziale densità medio-alta (12-20 abitazioni ettaro)

    Residenziale alta densità (20-35 abitazioni ettaro)

    Residenziale densità molto alta (35-50 abitazioni ettaro)

    Residenziale massima densità (oltre 50 abitazioni ettaro)

    Commercio al dettaglio

    Turistico

    Uffici

    Community Center

    Industria leggera

    Industria

    Business Park

    Servizi Pubblici

    Aree Mixed Use

    [...] Destinazioni d’uso a Zone Commerciali



    Le funzioni commerciali sono critiche per la stabilità economica e fiscale di lungo termine della Contea. Queste attività contribuiscono ad offrire posti di lavoro per gli abitanti, allo sviluppo ed equilibrio economico dei centri, facilitano la formazione di una base di contribuenti che aiuta ad offrire le necessari strutture e servizi pubblici. Le fasce commerciali non espressamente pianificate, sottoutilizzate, prive di manutenzione si trasformano in elementi tali da ledere la qualità urbana, e ostacolare l’efficienza degli assi stradali che le attraversano. Scopo di questo piano generale è di trovare spazi adeguati alla domanda commerciale, stimolare lo sviluppo di centri, organizzare una varietà di funzioni, ed assicurare che i complessi nuovi o ristrutturati migliorino le caratteristiche delle varie zone e siano integrati entro le comunità a cui si rivolgono. Come recita il documento di programmazione della Contea,

    “Si creano raggruppamenti di attività simili in aree a ciò destinate, per la creazione di posti di lavoro, e il nostro sistema generale di formazione offre preparazione e addestramento per i lavori svolti in tali luoghi.”

    Le funzioni commerciali nell’ambito delle zone di sviluppo urbano si articolano in tre destinazioni per quanto riguarda i piani di area: commercio al dettaglio, uffici, attività connesse al turismo.



    Commercio al Dettaglio – Questa destinazione d’uso consente le funzioni commerciali a livello di quartiere, urbano e regionale, oltre a studi professionali e usi commerciali orientati al turismo. È consentita compatibilmente agli usi circostanti, e in base alla quantità di superfici commerciali già realizzate entro il territorio di contea non appartenente a circoscrizioni comunali [ unincorporated n.d.T.]. Le quantità di superfici destinate a Commercio al Dettaglio nel piano generale di contea superano quelle stimate necessarie alla popolazione di contea, se completamente sfruttate. Questa sovraofferta assicura che si mantenga una certa flessibilità nella scelta delle localizzazioni per gli interventi futuri. L’indice di fabbricabilità varia da 0,2 a 0,35. (allo scopo di prevedere più accuratamente il potenziale di sviluppo commerciale all’interno del territorio di contea, e i relativi impatti ambientali e sul traffico, le proiezioni statistiche utilizzate per la Valutazione di Impatto del piano hanno assunto che in definitiva si possa utilizzare a scopi commerciali il 40% dell’area a questa destinazione. In più è stato presunto che il rimanente 60% delle superfici probabilmente sarà utilizzato per la destinazione Residenziale Media Densità).



    Turismo – La destinazione commerciale/turismo consente le attività commerciali connesse al turismo come alberghi, campi da golf, spazi per il tempo libero e il divertimento. Questi usi sono consentiti se compatibili con le funzioni circostanti. Indici di fabbricabilità da 0,2 a 0,35.



    Uffici – La destinazione commerciale/uffici consente varie funzioni terziarie, come istituti finanziari, servizi legali, assicurativi, e altre attività. Le funzioni sono consentite compatibilmente a quelle circostanti. Indici di fabbricabilità da 0,35 a 1,0.

    [...] Destinazioni d’uso Community Center

    Uno dei concetti centrali sia del programma generale di contea che del Piano, è la creazione di centri comunitari. Come affermato nel programma:

    "I nostri centri abitati mantengono le proprie particolari caratteristiche, di essere circondate nella maggior parte dei casi da spazi aperti o usi non intensivi, il che contribuisce alla loro identità. I centri comunitari, luoghi di incontro, particolari punti focali distintivi di ciascuna comunità, rafforzano questa sensazione".

    Lo scopo dei community centers è multiplo: contenere gli sviluppi futuri, stabilire un nuovo tipo di sviluppo per la contea, definire e individuare i centri abitati, conseguire altri aspetti del programma di contea come una migliore mobilità o la tutela e offerta di spazi aperti. Essenzialmente i community centers sono pensati per accogliere densità superiori e ridurre lo sprawl. Ciò a sua volta contribuirà a tutelare gli insediamenti rurali, le caratteristiche tipiche e gli spazi aperti.

    Questi community centers sono appositamente concepiti per operare in modo diverso dal classico insediamento a singole e segregate funzioni. Usi del suolo e attività sono pensati insieme secondo modi integrati a creare un ambiente urbano dinamico che funga da centro di attività per l’area circostante. Spazi e funzioni che si trovano nei community centers contribuiscono a costruire una “identità spaziale”. Qui si trovano varie densità residenziali, altre attività, spazi pubblici il tutto integrato in modo da promuovere il traffico pedonale e ridurre al minimo la dominanza dell’automobile. Funzioni pubbliche e semipubbliche come edifici civici, scuole, spazi aperti, strutture culturali e per il divertimento fanno pure parte integrante dei community centers. A causa della natura più intensiva e compatta del complesso edificato, questi centri possono ospitare e sostenere più facilmente un servizio di trasporto pubblico insieme ad altre forme di mobilità come quella pedonale e ciclabile.

    I community centers normalmente consistono di due livelli di intervento: un “nucleo centrale” che contiene le funzioni a più alta intensità, e una “area semicentrale” in cui l’intensità edilizia decresce man mano ci si allontana dal centro. Questo tipo di destinazione d’uso consente un insieme di interventi organizzati in orizzontale e verticale su uno o più lotti, e può costruirsi sia in una serie di strutture indipendenti che combinate in un solo edificio.

    Questi centri devono essere progettati in modo da incoraggiare ambienti pedonali sicuri e vivaci, servizi e commercio al pianterreno e uffici e residenza a quelli superiori.

    Scala, dimensioni e miscela funzionale dei community centers variano a seconda del carattere dell’area circostante. L’articolazione è per quattro tipi che riflettono varianti di dimensione, scala, ruolo e miscela funzionale: Centri di Villaggio, Centri di Cittadina, Centri di Attività, Centri per il Tempo Libero. Gli specifici ruoli di ciascun centro previsto dal piano sono descritti nei singoli Piani d’Area che li contengono.

    Centri di Villaggio – Sono community centers a orientamento pedonale che servono le zone residenziali vicine. Si tratta dei centri di scala minore, e sono pensati per riprodurre un’atmosfera da villaggio o centro di paese. Sono particolarmente adatti in ambiente suburbano. Le funzioni consentite nei Centri di Villaggio comprendono:

    • Residenza a densità Alta e Molto Alta nel nucleo centrale;

    • Residenza a densità Alta nella zona semicentrale;

    • Commercio al dettaglio;

    • Uffici;

    • Servizi Pubblici; infine

    • Spazi Aperti e per il Tempo Libero.

    Le funzioni tipiche possono comprendere quelle pubbliche o semipubbliche (scuole, piazze, centri culturali, verde), commercio di quartiere o di scala urbana, usi per il tempo libero, uffici, residenza organizzata per corti o in linea. Di particolare importanza in genere le varie funzioni in cui si articola il Commercio, come alimentari, drogheria e altri, o gli Uffici, di tipo professionale o di servizi finanziari. Le densità residenziali variano da 12 a 50 abitazioni per ettaro, mentre le intensità non residenziali vanno da un indice di fabbricabilità di 0,2 sino a 0,5.

    Centri di Cittadina – Consentono mescolanze più complesse e intense di funzioni rispetto ai Centri di Villaggio. I Centri di Cittadina possono essere collocati entro aree urbane dense o servire da nucleo di riferimento per una vasta zona suburbana. Offrono funzioni come quelle tradizionali di un distretto “ downtown”. Vi si trovano elementi di attrazione a scala regionale, oltre alle strutture e servizi a servizio dei residenti e lavoratori locali. Le funzioni consentite comprendono:

    • Densità Residenziale Massima entro o nelle adiacenze del nucleo centrale;

    • Densità Residenziale Molto Alta nel nucleo centrale e zona semicentrale;

    • Commercio al dettaglio;

    • Uffici;

    • Attività Turistiche;

    • Servizi Pubblici; infine

    • Spazi Aperti e per il Tempo Libero

    Le funzioni caratteristiche di un Centro di Cittadina sono quelle del commercio e degli uffici.

    L’offerta può comprendere servizi di scala sia locale che regionale come ristoranti, libreria, negozi specializzati di livello superiore, complessi per uffici anche sviluppati in altezza, servizi alle imprese, sanitari, day care, alberghi. Le funzioni pubbliche sono quelle associate all’idea di “ downtown” come biblioteche, strutture culturali, spazi comunitari, sportivi e per il tempo libero, teatri, piazze, parchi urbani. Tra le altre funzioni, residenze multifamiliari e monofamiliari. Le densità variano da 25 a 100 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali da un indice di fabbricabilità di 0,5 sino a 3,0.

    Centri di Attività – Possono essere considerati un punto di concentrazione di posti di lavoro. Variano in scala e dimensioni, ma sono tutti pensati per offrire un servizio a scala regionale che mescoli business park e altri uffici, sostenga funzioni commerciali al dettaglio e residenza ad alta densità. Gli usi consentiti sono:

    • Densità Residenziale Massima entro il nucleo centrale;

    • Densità Residenziale Molto Alta nel nucleo centrale e nella zona semicentrale;

    Business Park;

    • Industria leggera;

    • Commercio al dettaglio;

    • Uffici;

    • Servizi Pubblici; infine

    • Spazi Aperti e per il Tempo Libero.

    Le attività dei Business Park e Industria Leggera comprendono imprese di ricerca e sviluppo, manifattura, assemblaggio, istituti di ricerca pubblici e privati, istituti accademici, strutture mediche, funzioni di supporto al commercio. Nei Centri di Attività non sono consentite le funzioni di Immagazzinaggio e Commercio all’Ingrosso.

    Le varie funzioni commerciali e servizi collaterali servono le necessità quotidiane di imprese e dipendenti. Usi caratteristici sono ristoranti, lavanderie a secco, negozi alimentari, centri di stampa e riproduzione, servizi di telecomunicazioni, uffici professionali, palestre, day care, commercio di servizio a un’area regionale come pompe di benzina, alloggi, banche, tempo libero e altre collaterali. Le residenze comprendono abitazioni unifamiliari in linea e multifamiliari organizzate a corte o ad appartamenti. Le funzioni pubbliche o semipubbliche all’aperto possono comprendere strutture culturali e per l’istruzione, governative, parchi urbani. Le densità residenziali variano da 35 a 100 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali variano da un indice di fabbricabilità di 0,1 sino a 0,5.



    Centri per il Tempo Libero– Variano di dimensioni, scala e scopo specifico, da complessi turistici a centri di varie intense attività. I Centri per il Tempo Libero si propongono a scala regionale come destinazione turistica e strutture in grado di sostenere anche altre attività commerciali e terziarie. Le funzioni consentite sono:

    • Residenza a Densità Molto Alta entro il nucleo centrale;

    • Residenza a Densità Alta nel nucleo centrale e zona semicentrale;

    • Attività Turistiche;

    • Commercio al dettaglio;

    • Uffici;

    • Servizi Pubblici; infine

    • Spazi Aperti e per il Tempo Libero.

    La funzione principale dei Centri per il Tempo Libero è quella delle attività di intrattenimento e turistiche a scala regionale. Gli usi specifici possono comprendere parchi divertimenti, alberghi, campi da golf, giochi acquatici, sale giochi, complessi sportivi/stadi, parchi regionali e campi di atletica. Altre funzioni caratteristiche possono essere le residenze su piccoli lotti, sia singole che aggregate, spazi pubblici e semipubblici come quelli per i visitatori, commercio locale e regionale, uffici anche mediamente sviluppati in altezza.

    Tra le funzioni commerciali e terziarie ci possono essere ristoranti, negozi specializzati, servizi alle imprese e finanziari. Le densità residenziali vanno da 20 a 50 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali variano da un indice di fabbricabilità di 0,5 sino a 3,0.

    L'esperienza di piano della Riverside County è stata presentata tra l'altro come politica anti-sprawl "non-ideologica" da un articolo per Planetizen dell'urbanista Rick Bishop (f.b.)

    here English version

    Western Australian Planning Commission, Linee per una politica di piano 3: Sviluppo urbano e territoriale, Stesura provvisoria, aprile 2005, Predisposta ai sensi della sezione 5AA del Town Planning and Development Act 1928 (e successive modifiche); Titolo originale: Statement of Planning Policy 3: Urban Growth and Settlement – Traduzione di Fabrizio Bottini

    2. Introduzione e premesse

    Questo documento fissa principi e considerazioni relativi alla pianificazione urbana e territoriale in Western Australia. Si tratta di un ampio ambito di politiche nel quadro dello Statement of Planning Policy No. 1 : State Planning Framework. Le linee qui fissate verranno poi attuate attraverso altre più specifiche indicazioni per le questioni particolari degli insediamenti urbani che richiedono orientamenti aggiuntivi.

    Un’ampia proporzione degli abitanti della Western Australia (oltre il 90%) abita in città e piccoli centri. I caratteri insediativi e la qualità dell’ambiente urbano sono quindi di grande significato per lo stile di vita della popolazione. Un sistema insediativo ben pianificato e coerente, un attento governo dello sviluppo urbano e delle trasformazioni, sono elementi critici per il conseguimento di migliori obiettivi sociali, economici, ambientali, ad esempio offrendo una maggior scelta rispetto alle abitazioni e ai modi di vita, una più facile accessibilità ai luoghi di lavoro, opportunità di servizi e tempo libero per le persone di tutte le età e abilità, un forte e condiviso senso di appartenenza comunitario, una buona progettazione urbane e di quartiere che sappia creare spazi altamente vivibili, piacevoli, efficienti.

    La Western Australia è uno stato con un insediamento discontinuo. La maggioranza della popolazione, circa 2 milioni di abitanti, è concentrata a sud-ovest di una linea fra Lancelin e Albany. L’area metropolitana di Perth è il fulcro di popolazione e di attività economiche con 1,5 milioni di abitanti (compresa Peel). Altre concentrazioni di popolazione nel sud-ovest si trovano a Bunbury, Busselton, Collie, Northam e Albany.

    Nelle altre parti dello stato, il sistema insediativo riflette lo sviluppo socioeconomico delle diverse regioni: predominanza dell’allevamento e dell’attività mineraria al nord e all’est, agricoltura nel mid-west e nella “fascia del grano”. Si tratta di un sistema di porti, centri pescherecci e di vacanza lungo la costa, città minerarie remote a nord e a est, localizzate vicino ai giacimenti, e piccoli centri sparpagliati attraverso le regioni agricole. La maggioranza della popolazione è concentrata nei centri di Kalgoorlie-Boulder, Geraldton, Esperance, Carnarvon, Karratha, Port Hedland, Broome e Kununurra.

    Lo stato è in crescita e sta cambiando. Negli ultimi trent’anni la popolazione è quasi raddoppiata sino a circa 2 milioni e si prevede che aumenterà sino a 2,9 entro il 2031. Lo sviluppo più rapido sta avvenendo nella regione di Perth e lungo la costa. La popolazione dell’area metropolitana di Perth, compresa Peel, si prevede raggiungerà i 2,2 milioni entro il 2031, a rappresentare il 76% di una popolazione statale calcolata in 2,9 milioni. Esiste una continua pressione allo sviluppo insediativo nelle aree costiere, in particolare per progetti legati al turismo, seconde case, e da parte di chi cerca un tipo di vita diverso da quello della città. Spesso i piani per questi insediamenti sono carenti dal punto di vista dell’offerta di posti di lavoro e servizi, oltre ad essere totalmente dipendenti dall’uso dell’automobile. L’insediamento costiero deve essere pianificato con cura per assicurare tutela a spiagge, dune, sbocchi dei corsi d’acqua, zone umide, perché possano essere prevenuti i rischi dei danni delle tempeste e l’erosione della linea di costa, collocando lo sviluppo urbano dove possano essere predisposte le infrastrutture essenziali, posti di lavoro, servizi e trasporti pubblici. Lo Statement of Planning Policy No.2.6 State Coastal Planning Policy predisposto dalla Commissione fissa i principi della pianificazione e tutela delle coste incoraggiando la concentrazione dello sviluppo urbano attorno ai centri esistenti, in particolare quelli dotati di servizi e infrastrutture.

    Nell’area metropolitana di Perth e in molte città e cittadine della regione, molti dei nuovi interventi hanno preso la forma di insediamenti suburbani a bassa densità. Questo tipo di sviluppo rappresenta una risposta alle preferenze dei consumatori da parte delle forze di mercato dell’epoca. Lo sviluppo suburbano riflette la volontà collettiva delle famiglie di un’abitazione isolata con giardino, di una mobilità senza vincoli. Esiste un riconoscimento crescente del fatto che la diffusione dell’insediamento urbano intensifichi la pressione su importanti risorse di terra e acqua, imponga costi per la fornitura di servizi e infrastrutture, aumenti la dipendenza dall’auto privata e crei potenziali disparità fra chi abita nei sobborghi esterni, dove le occasioni di lavoro e i servizi non sono immediatamente disponibili. Alcuni suburbi sono carenti in quanto a senso comunitario, e le persone si sentono isolate. Esistono altri costi, a causa della dipendenza dall’auto per gli spostamenti quotidiani, quando sarebbe facile che le persone camminassero o si spostassero in bicicletta verso le proprie destinazioni. Le speranze e preferenze collettive si stanno ora spostando verso un tipo di edificazione più compatta. Anche le famiglie stanno diventando più diversificate. La popolazione invecchia ed esiste una proporzione crescente di piccoli nuclei in cerca di una gamma più ampia di tipologie abitative, diverse dalla convenzionale casa suburbana. Più persone vengono attirate dagli insediamenti compatti a funzioni miste che li liberano dall’onere della manutenzione di vasti giardini e dalla dipendenza dall’automobile. C’è un maggiore interesse al ritorno nei vecchi quartieri. Anche nei nuovi suburbi esiste una tendenza a tornare alle forme del vecchio quartiere con maggior senso comunitario e più accessibilità a posti di lavoro, servizi e trasporti pubblici. La tendenza è a creare comunità più vivibili nei nuovi quartieri, rivitalizzare e rilanciare quelli già esistenti nelle zone urbane, offrire una gamma più ampia di abitazioni e ambienti di vita, allargare le possibilità di scelta dei mezzi di trasporto, conservare le risorse ambientali, offrire una maggiore possibilità di interazione sociale.

    Nelle altre regioni, mentre i centri più grandi come Geraldton, Kalgoorlie, Broome e Esperance hanno continuato a crescere, alcune delle cittadine minori di campagna hanno subito un declino a causa della riduzione delle possibilità di lavoro e alle trasformazioni sociali, con la popolazione che si è spostata dall’insediamento rurale verso i centri urbani. Nel settore minerario ed estrattivo, i miglioramenti nella mobilità con una riduzione dei costi, hanno generato una crescita della forza lavoro di tipo fly-in fly-out che trova posto direttamente sui siti minerari dove esistono scarse possibilità di contribuire ad una crescita economica e urbana locale. Scopo generale della politica è di facilitare modalità sostenibili di sviluppo urbano e territoriale fissandone i criteri, e determinando in linea di massima le linee di crescita e trasformazione. Le indicazioni dovranno essere tenute presenti nella predisposizione delle strategie urbanistiche regionali e locali, nei piani regolatori e loro varianti, trovare spazio nelle decisioni normative riguardanti lo sviluppo urbano e territoriale.



    3. Applicazione della presente politica



    Questa politica si applica a tutto il territorio della Western Australia.



    4. Obiettivi della presente politica



    Gli obiettivi di questa politica sono:

    ● promuovere un tipo di insediamento sostenibile e ben pianificato in tutto il territorio statale, su superfici di terreno sufficienti e adatte ad offrire una vasta gamma di abitazioni, occasioni di lavoro, spazi e strutture per il tempo libero, zone libere.

    ● governare la crescita urbana in risposta ai bisogni sociali ed economici della comunità, riconoscendo valori e vincoli ambientali.

    ● promuovere lo sviluppo di quartieri in forme vivibili e sostenibili assicurando nello stesso tempo faci accesso a posti di lavoro e servizi attraverso varie modalità di trasporto, offrire scelta qualitativa e di prezzo per le abitazioni e creare spazi dotati di identità propria in ogni comunità.

    ● coordinare i nuovi insediamenti con la realizzazione di infrastrutture e servizi efficienti ed economici.

    5. Criteri di attuazione



    5.1 Creare città sostenibili

    La presente politica è orientata a creare città, cittadine e altri luoghi che offrano alti livelli occupazionali e di sviluppo economico, comunità solide, vivaci, inclusive, un’efficace tutela dell’ambiente, un uso cauto delle risorse. Gli elementi chiave per le città sostenibili sono:

    ● una base economica solida, diversificata, sostenibile che assicuri accesso al mercato del lavoro;

    ● terreni sufficienti e adatti nelle localizzazioni adeguate per abitazioni, attività economiche, commercio, tempo libero e altri usi, coordinati con un’efficiente ed economica offerta di trasporti, infrastrutture essenziali e servizi alla persona;

    ● varietà e possibilità di scelta nelle dimensioni, tipologie, prezzi delle abitazioni, a rivolte a una vasta di dimensioni, fasce di età e reddito delle famiglie;

    ● massima efficienza nell’uso delle risorse attraverso l’utilizzo migliore dei terreni nelle zone urbane, in particolare di spazi ed edifici liberi o sottoutilizzati, alte densità dove esse possano essere ottenute senza detrimento dei caratteri dei quartieri, uso attento delle risorse rinnovabili, quali terre e edifici urbani, scuole e servizi comuni, sistemi infrastrutturali e quartieri consolidati; infine promuovendo e incoraggiando uno sviluppo urbano coerente a un uso efficiente dell’energia;

    ● promuovere maggiori densità residenziali dentro e attorno alle città e centri di quartiere, nodi di trasporti pubblici e interscambio ad alta frequenza, grandi strutture terziarie e sanitarie, vicinanza a spazi per il tempo libero di alto livello quali coste e parchi;

    ● concentrare commercio, uffici, divertimenti e altre attività che attraggono un numero elevato di persone in centri organizzati attorno ai principali nodi del trasporto pubblico in modo da ridurre le necessità di spostamento, incoraggiare le modalità non automobilistiche e creare centri attraenti, gradevoli e a funzioni miste;

    ● accessibilità a tutti gli spazi per il lavoro, la salute, l’istruzione, il commercio e la socialità, a piedi, in bicicletta o col trasporto pubblico anziché dipendere dall’auto (anche riconoscendo la convenienza degli spostamenti in automobile in alcuni casi, e la possibilità limitata di offrire alternative negli abiti rurali e nelle regioni remote);

    ● una buona progettazione urbana che crei e migliori l’identità locale, il senso degli spazi, la vivibilità e l’interazione sociale; un’idea di ambiente urbano che riduca le possibilità e le paure di azioni criminali;

    ● un’adeguata considerazione dell’ambiente, riconoscendo la necessità di tutelarlo e ripristinarlo, proteggendo la biodiversità e riducendo al minimo gli impatti dell’urbanizzazione sui suoli, le acque, l’uso di energia, i minerali e le altre risorse che concorrono all’economia urbana e allo sviluppo sociale; infine

    ● una cornice di piano propositiva che miri attivamente a facilitare e promuovere una buona qualità dell’edificazione, anziché concentrarsi su regole e controlli, in modi che contribuiscano alla crescita economica, sostengano comunità sicure sostenibili e vivibili, migliorino la qualità della vita, coinvolgano adeguatamente la comunità nella pianificazione.

    All’interno della State Planning Strategy, lo sviluppo futuro dell’area sud-ovest del territorio statale è contenuto in quello del sistema urbano, ulteriormente precisato e articolato nella strategia per l’area metropolitana di Perth. La crescita di Perth sarà accuratamente governata allontanandosi dal tipo di espansione urbana verso le fasce esterne, con il consolidamento delle aree esistenti mantenendo al contempo un’adeguata offerta di terreni per la crescita nelle zone a ciò destinate. Bunbury, Busselton e Albany continueranno a svilupparsi come centri principali. I terreni fra le città e cittadine verranno mantenuti all’uso rurale per la produzione agricola, la tutela del paesaggio, la qualità generale della vita.

    Per le altre regioni, la State Planning Strategy promuove il consolidamento e crescita dei sistemi esistenti, per rendere le città regionali comunità sostenibili sul lungo periodo. C’è probabilmente la necessità di evitare nuovi insediamenti specializzati isolati lontani dai servizi, esistenti e previsti, che creerebbero forme di concorrenza e declino delle cittadine esistenti.

    Gli elementi chiave della State Planning Strategy sono confermati nelle presenti indicazioni. Obiettivo preponderante è di costruire nelle città esistenti per sostenere le economie locali e regionali, concentrare gli investimenti nei servizi e infrastrutture, migliorare la qualità della vita di queste comunità.

    Si deve pensare a nuovi insediamenti e grosse espansioni urbane quando si abbia una prevista base economica e occupazionale, quando possano essere efficientemente serviti da infrastrutture locali e regionali come trasporti, acquedotto, fognature e scarichi, reti elettriche, parchi, scuole, negozi, strutture per il tempo libero e altri servizi. Qualunque importante nuovo intervento, sia esso un nuovo nucleo o un’espansione urbana, non deve consistere di sole abitazioni ma essere pensato come comunità sostenibile con una miscela di funzioni produttive, commerciali, per l’istruzione e altro.

    Nelle zone di nuova edificazione, l’obiettivo deve essere di ottenere densità residenziali superiori e offrire una certa gamma di tipi di abitazione. Questi quartieri ad alta densità e funzioni miste devono essere incoraggiati vicino ai nodi del trasporto pubblico e centri di attività.

    Al di fuori della zona metropolitana e dei centri di sviluppo regionale, qualunque proposta per grossi nuovi insediamenti, sia per importanti aggiunte ad altri esistenti che per nuovi nuclei isolati, poco probabilmente rappresenterà una opzione sostenibile, data la difficoltà di assicurare una base occupazionale certa, il costo di realizzazione di tutti i servizi e infrastrutture necessari, da possibilità di distogliere popolazione e risorse dai centri esistenti e contribuire così al loro declino. I nuovi insediamenti si dimostreranno sostenibili solo quando si rivolgeranno a una significativa carenza di alloggi nella regione, avranno una base occupazionale certa, dimensioni sufficienti a sostenere una serie completa di servizi locali come scuole, negozi, attività, e non esista alcuna alternativa sostenibile.

    Nuovi insediamenti possono essere necessari per offrire sistemazione relativa a progetti minerari ed estrattivi in aree remote. La preferenza è per il collocamento della forza lavoro mineraria entro i centri più vicini, se il sito della miniera è sufficientemente prossimo ed esistono spazi per queste abitazioni, le infrastrutture e i servizi per questi lavoratori. In tal modo la forza lavoro mineraria sosterrà l’economia della cittadina a avrà accesso ai servizi locali disponibili.

    5.2 Il governo dello sviluppo urbano e territoriale della Western Australia

    Lo State Planning Framework, che comprende la State Planning Strategy, i programmi di scala regionale, sub-regionale, e altre politiche, offre indicazioni per le modalità future di sviluppo urbano e territoriale, oltre alla base per le decisioni riguardo alle specifiche proposte di progetto. Lo State Planning Framework costituisce il contesto dei piani regionali e locali, che devono tenerne conto nella redazione.

    Le strategie regionali sono predisposte dalla Commissione e riguardano una regione o sub-regione. L’orizzonte di piano in genere è di 30 anni. Le strategie regionali riflettono e sviluppano politiche e proposte fissate nella State Planning Strategy. Esse devono offrire indicazioni chiare riguardo al futuro dello sviluppo territoriale della regione e individuare le zone di crescita tenendo conto dei bisogni della popolazione e di case entro il periodo di validità, coerentemente ad uno sviluppo sostenibile.

    Nelle strategie regionali devono essere individuati gli ambiti con potenziale di crescita tenendo conto delle possibilità economiche, occupazionali, di accessibilità, offerta di servizi e infrastrutture essenziali, possibilità di organizzare questo sviluppo entro un buon quadro economico, sociale, ambientale. La pianificazione dovrà agevolare la crescita entro questi ambiti traendo vantaggio dalle possibilità di crescita.

    Il Metropolitan Development Program e il Country Land Development Program rispettivamente riguardano i piani di land release per l’area metropolitana di Perth e le maggior città e cittadine dello stato. Essi offrono chiare indicazioni riguardo alla disponibilità di terreni urbani tenendo conto della crescita di popolazione, della domanda di abitazioni, delle caratteristiche dei lotti residenziali, dell’offerta di servizi e infrastrutture, delle principali opere e programmi, delle combinazioni finanziarie. Questi piani sovrintendono all’ordinata ed efficiente edificazione dei terreni urbani nella regione metropolitana e negli altri centri urbani regionali assicurando che i tempi dell’urbanizzazione siano coordinati alla realizzazione di infrastrutture e servizi alla comunità.

    Le strategie di piano locali sono gli strumenti principali che consentono alle amministrazioni di quei territori di programmare il proprio futuro. Esprimono una visione in prospettiva, politiche e proposte dell’amministrazione locale e riflettono necessità e aspirazioni della comunità. Sono anche lo strumento chiave per tradurre le politiche statali e regionali in azioni locali e offrire un quadro di razionalità allo zoning e alle altre previsioni dei piani regolatori urbani. Le strategie locali devono riflettere e realizzare concretamente le politiche di sviluppo urbano e territoriale fissate a scala regionale, i piani di land release, applicandoli in dettaglio su scala locale tenendo conto di bisogni e specificità. Le strategie locali devono cercare di individuare quantità sufficienti di terreni per i bisogni futuri della popolazione e delle abitazioni, su un arco di almeno 10 anni.

    Nella preparazione delle strategie di piano locali, le amministrazioni devono valutare il bisogno abitativo e il tipo di residenze aggiuntive da prevedere. Le strategie di piano locali devono assicurare un’adeguata miscela di tipi residenziali, alla luce della domanda di abitazioni e della mutevole composizione delle famiglie. Le amministrazioni locali devono adottare un approccio sistematico nell’individuare le località adatte per i nuovi sviluppi residenziali, i progetti di rinnovo, di infill e le possibilità di aumento di densità, in particolare attorno a centri di servizi e nei pressi dei nodi di trasporto pubblico. Un’ordinata previsione di sviluppo urbano e territoriale sarà facilitata da structure plans, che tengano conto strategicamente delle caratteristiche fisiche dei luoghi, siano alla base della crescita di quartieri sicuri comodi e attraenti, rispondenti ai vari bisogni della comunità, assecondino una logica e coordinata realizzazione di infrastrutture e servizi. Gli structure plans possono consistere in una gerarchia di previsioni che vanno da quelle ampie di distretto a quelle più dettagliate di zone e quartieri.

    Le proposte di crescita urbana saranno definite tenendo conto di:

    State Planning Strategy e strategie regionali e sub-regionali entro lo State Planning Framework;

    ● previsioni demografiche fornite dal Department for Planning and Infrastructure;

    ● piani di land release pubblicati dalla Commissione; e infine

    ● strategie di piano locali predisposte dalle amministrazioni e approvate dalla Commissione.

    In genere, non saranno approvate proposte riguardanti aree non individuate entro le strategie regionali e locali e nei piani di land release.

    Allo scopo di giudicare adeguatamente e valutare i principali progetti di sviluppo urbano coerenti a questa politica, la Commissione può richiedere ai proponenti di presentare una descrizione dettagliata della coerenza del proprio progetto rispetti agli obiettivi di pianificazione regionale e sostenibilità. Sarà basata sull’analisi della coerenza della proposta con il quadro regionale e gli obiettivi di crescita economica, progresso sociale, conservazione delle risorse naturali e dell’ambiente. Elementi chiave dell’analisi saranno la capacità di offrire posti di lavoro, gli investimenti di capitale necessari per le infrastrutture e servizi (quali la partecipazione alle spese) e i costi e benefici generali del progetto, tenendo conto degli impatti sociali, ambientali ed economici (che possono essere negativi o positivi). Metodologia e dati utilizzati per l’analisi devono essere adeguati, trasparenti e verificabili, e possono far parte di un processo di consultazione riguardo al progetto. Dovranno anche essere fissati i dettagli di qualunque accordo o meccanismo attuativo della proposta.

    5.3 Il governo dello sviluppo urbano nell’area metropolitana di Perth

    Se un governo efficace dello sviluppo urbano è importante su tutto il territorio dello stato, esso diventa critico per un futuro sviluppo sostenibile dell’area metropolitana di Perth. La crescita di questa zona dovrà essere pianificata e governata secondo le attuali strategie:

    ● consolidando gli insediamenti residenziali nelle aree esistenti e orientando l’espansione urbana verso le aree a ciò destinate, che sono o saranno ben fornite dal punto di vista dell’offerta di posti di lavoro e trasporti pubblici;

    ● conferendo priorità allo infill development nelle aree urbane consolidate, in particolare attraverso processi di rigenerazione e intensificazione dell’edificato sui terreni sottoutilizzati, pur nel rispetto delle caratteristiche locali;

    ● collocando alte densità residenziali in posizioni accessibili a trasporti e servizi, come all’interno o attorno al distretto terziario centrale, nei centri regionali e di distretto, nei corridoi di attività, nei poli scolastici di istruzione superiore, in zone scelte di alto valore paesistico sulla costa e le sponde dei corsi d’acqua;

    ● concentrando lo sviluppo delle attività commerciali, culturali, sanitarie e per il divertimento all’interno e nei pressi dei centri e corridoi di attività con buon accesso al trasporto pubblico e dai bacini di popolazione;

    ● sviluppando un tipo di uso del suolo integrato che riduca la dipendenza dall’automobile e ampli le opzioni di trasporto, rendendo più facile per il pubblico usare i trasporti collettivi, camminare o andare in bicicletta verso le proprie destinazioni, fissando nei corridoi di mobilità la rete principale per il movimento di merci e persone;

    ● proteggendo la biodiversità e le aree di valore ambientale, e promuovendo l’idea di un sistema di spazi aperti regionali e locali strutturato a rete continua; infine

    ● proteggendo le risorse idriche, e riducendo lo sfruttamento di quelle non rinnovabili e che generano sprechi.

    5.4 Progettare quartieri di alta qualità

    La politica della Commissione denominata Liveable Neighbourhoods intende il quartiere come elemento base per uno sviluppo urbano di parti interconnesse e integrate, raggruppate entro ben definiti centri grandi e piccoli. Le nuove zone urbane verranno pianificate in modo integrato come comunità sostenibili con strutture e servizi locali, trasporti pubblici, possibilità occupazionali facilmente raggiungibili a piedi o in bicicletta, riducendo la dipendenza dagli spostamenti su auto privata. Oltre a rispondere ai bisogni quotidiani, i quartieri verranno anche progettati per costruire un forte senso dello spazio e comunitario, per offrire una miscela di vari tipi di abitazioni per vari tipi di famiglie, creando occasioni di interazione sociale, ambienti a dimensione umana, così che le strade siano attraenti, comode e sicuri spazi pubblici.

    I principi per i Liveable Neighbourhoods si applicano alla redazione dei piani regionali e structure plans per le nuove aree di sviluppo, ai piani regolatori locali per le nuove lottizzazioni, ai progetti di rivitalizzazione e riorganizzazione dei quartieri esistenti. Questi principi sono:

    ● senso comunitario e forte identità locale e spaziale nei quartieri e nelle cittadine;

    ● una struttura urbana per quartieri percorribili a piedi raggruppati a definire centri di funzioni miste per ridurre la dipendenza dall’auto con facile accesso ai luoghi di lavoro, al commercio e ai servizi urbani;

    ● circolazione attraverso una rete di strade integrata dove sia piacevole e sicuro sia camminare, che andare in bicicletta, che guidare;

    ● accesso comodo e sicuro a servizi e strutture progettati per ogni tipo di utenza, compresa quella dei disabili;

    ● fronti strada attivi con edifici tesi a migliorare la sicurezza personale attraverso presenza e sorveglianza;

    ● nuovi insediamenti che sostengano l’efficienza del trasporto pubblico dove disponibile, e offrano un accesso diretto a sicuro a tutti gli abitanti;

    ● insediamenti urbani multifunzionali che offrano una vasta gamma di occasioni di vita, lavoro e tempo libero, in grado di adattarsi nel tempo alle trasformazioni della comunità, con adeguate caratteristiche di salubrità, sicurezza, bellezza;

    ● una varietà di dimensione dei lotti e dei tipi residenziali che risponda ai diversi bisogni di abitazione presenti nella comunità, ad una densità che sia in grado di sostenere l’offerta locale di servizi;

    ● forme urbanistiche ed edilizie che possano adattarsi a bisogni mutevoli e contenere graduali intensificazioni della densità;

    ● tutela delle aree ambientali più importanti e inserimento delle caratteristiche significative di tipo culturale e naturale all’interno dei progetti;

    ● approccio integrato alla progettazione degli spazi aperti, governo del sistema delle acque urbane; infine

    ● insediamenti efficienti, economici, ecologici, per promuovere l’abitazione a buon mercato.

    5.5 Coordinamento di servizi e infrastrutture

    La previsione di una nuova crescita urbana e di sviluppo del territorio deve essere coordinata con una economicamente efficiente di infrastrutture e servizi come strade, trasporti pubblici, acqua, fogne e scarichi, spazi aperti, scuole, strutture sanitarie e sportive.

    Gli structure plans regionali e locali devono individuare gli spazi necessari per le future strade, linee di trasporto, infrastrutture, servizi alla comunità. Verranno consultati gli erogatori di servizi nella predisposizione di questi piani, per assicurare che la disponibilità del servizio sia coordinata con il processo di urbanizzazione.

    Il piani di land release della Commissione devono guidare i programmi per nuovi insediamenti su aree libere e i principali interventi di infill/rinnovo urbano nella regione metropolitana e nei centri regionali, per assicurare la realizzazione tempestiva delle infrastrutture e servizi.

    I contributi dei proprietari per le infrastrutture saranno regolati dalle politiche della Commissione. Nelle aree caratterizzate da una frammentazione delle proprietà, verranno considerate le ripartizioni dei costi per assicurarne un equilibrato finanziamento.

    Agli insediamenti che avvengano su terreni liberi staccati dai margini attuali dell’edificato verrà richiesto di finanziare il prolungamento delle infrastrutture, come strade e servizi a rete, che sarebbero stati altrimenti realizzati dagli enti responsabili, in mancanza di un accordo fra costruttori e stato riguardo al finanziamento delle principali infrastrutture. È anche possibile che emerga il bisogno di contributi fissi per sostenere i costi di gestione generati da questi insediamenti.

    5.6 Il governo dell’edificazione residenziale-rurale

    Il sistema della residenza in zona rurale è un’importante componente dell’organizzazione territoriale in alcune aree dello stato. Gli insediamenti rurali-residenziali offrono un’opportunità di stile di vita e il potenziale per rivitalizzare le comunità rurali.

    Questo tipo di insediamento però può anche avere una serie di impatti negativi. Le hobby farms e residenze rurali possono rappresentare potenziali conflitti con altri usi dello spazio e risorse come i prelievi d’acqua, alcune materie prime, zone naturali e paesaggi. C’è anche un certa pressione esercitata sul governo statale e sulle amministrazioni locali per i servizi e le infrastrutture, che sono difficili da fornire economicamente a causa del tipo di insediamento disperso. Nella regione metropolitana e nei pressi dei centri regionali, gli insediamenti di residenza rurale possono anche limitare le possibilità di un futuro sviluppo urbano frammentando i suoli, e rendendo più difficile l’accorpamento e più costosa la fornitura di servizi.

    C’è dunque necessità di collocare e progettare gli interventi residenziali-rurali in modo sostenibile e integrato nel quadro territoriale generale.

    La Statement of Planning Policy No. 2.5:Agricultural and Rural Land Use Planning della Commissione è rivolta al tipo di pianificazione degli insediamenti rurali-residenziali. Nel progettarli sarà necessario:

    ● evitare le terre agricole produttive, le risorse naturali importanti, zone boschive ad alto rischio di incendio o ambientalmente sensibili;

    ● evitare aree di cui è prevista l’urbanizzazione o comunque adatte allo sviluppo urbano per le loro caratteristiche e prossimità ai servizi;

    ● preferire le localizzazioni vicine ad insediamenti esistenti dotati di servizi e strutture che possano sostenere la comunità ed evitare una domanda di costose estensioni;

    ● ridurre al minimo le possibilità di conflitti con attività incompatibili associate a funzioni rurali produttive o gestione di risorse naturali;

    ● comprendere solo aree adatte a questo tipo di interventi, ad esempio terreni topograficamente vari, visivamente attraenti e con particolari caratteristiche ambientali; infine

    ● mantenere un approccio realistico destinando quantità di superfici proporzionate alla domanda di abitazione rurale, e non speculare sulla trasformazione d’uso.

    5.7 Un piano per le comunità Aborigene

    Anche se molti Aborigeni vivono in ambienti di tipo rurale o urbano, molti risiedono in townships e centri che sono governati dalla comunità Aborigena.

    La Commissione sovrintende al progetto statale Planning for Aboriginal Communities per predisporre piani di insediamento che orientino la localizzazione di nuove abitazioni e edifici comuni destinati alle comunità Aborigene stanziali più remote. Lo Statement of Planning Policy No.3.2: Planning for Aboriginal Communities della Commissione prevede la cornice di piano per progetti di insediamenti e loro inserimento entro i piani regolatori urbani.

    6. Attuazione



    L’attuazione della presente politica avverrà attraverso altri documenti di statement, strategie regionali, locali, e piani regolatori regionali e locali. L’attuazione avverrà anche attraverso il processo quotidiano di decisione sulle trasformazioni d’uso, gli structure plans, le lottizzazioni, i progetti, e l’azione di altri uffici statali nello svolgere i propri compiti.

    Agenzie statali e amministrazioni locali dovranno tener conto della presente politica per assicurare decisioni coerenti e integrate nella pianificazione dello sviluppo urbano e del territorio.

    Here English version

    Western Australia Planning Commission, Network City: community planning strategy for Perth and Peel (2004-2005); Capitolo 3: Verso una città più vivibile [Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini: si propongono qui la parte generale del Capitolo, e la Strategia sulla riorganizzazione dei nuclei centrali; il documento integrale originale, PDF 5Mb, è scaricabile dalla versione inglese degli estratti]

    Questo capitolo prende in considerazione quello che è necessario per fare di Perth la città più vivibile del mondo entro il 2030. Si inizia tratteggiando alcuni aspetti importanti della vivibilità, poi si fissano alcuni principi generali a guidare le decisioni. In seguito si propone una serie di strategie ad ognuna delle quali (se necessario) corrisponde un testo esplicativo, e un certo numero di azioni chiave per attuarle.

    Cosa vogliamo

    Una città vivibile è fatta di caratteristiche tali da creare e alimentare spazi e insediamenti vivibili, che offrano un’alta qualità di vita, con la capacità di rimanere efficienti sul lungo termine, in quanto strutture adatte all’interazione sociale, alla comunicazione e allo sviluppo culturale. Gli abitanti di Perth conferiscono un alto valore a queste caratteristiche. Spesso chiamato semplicemente “vivibilità”, questo concetto può variare in modo significativo coi punti di vista e i contesti. Anche se è difficile tentare di fissarne una definizione univoca, questo programma Network city assume che la città vivibile debba avere le seguenti caratteristiche:

    ● pulita, verde, attraente e particolare;

    ● buoni trasporti pubblici e reti di mobilità pedonale;

    ● eguaglianza, accoglienza, sicurezza e prosperità;

    ● offre alti livelli nelle abitazioni, nell’istruzione e nella sanità;

    ● mantiene alti livelli occupazionali;

    ● è tollerante e accoglie la diversità;

    ● è culturalmente e intellettualmente stimolante; infine

    ● dà alle persone identità, orgoglio e appartenenza.

    In pratica, questi sono tutti aspetti del modo in cui le città sono progettate, e vivono, con qualche tipo di impatto sui modi di vita delle persone. Esistono una serie di fattori, con la capacità di influenzare la vivibilità, che in questo capitolo vengono utilizzati per strutturare alcune strategie. Non possono comunque restituire pienamente la complessa rete di fattori che determinano la vivibilità in una moderna città in crescita.

    Il processo di Dialogo partecipativo [ utilizzato per la costruzione del piano n.d.T.] ha individuato una serie di fattori chiave della vivibilità a cui gli abitanti di Perth attribuiscono valore, fra cui:

    ● livello di vita (valori del mercato immobiliare ecc.);

    ● stile di vita (informale, amichevole, all’aperto ecc.);

    ● spazi (molto verde, la spiaggia, luoghi non affollati ecc.);

    ● ambiente naturale (fiume, oceano, colline ecc.);

    ● “salute” ambientale (un relativamente basso livello di inquinamento atmosferico, congestione, ecc.); infine

    ● accessibilità all’abitazione, ai servizi e ai posti di lavoro (case a buon mercato, diversificazione, possibilità di scelta ecc.).

    Anche se uno degli obiettivi centrali del piano Network City è la tutela e miglioramento delle qualità urbane, sviluppare azioni di sostegno alla vivibilità richiede la comprensione di quali aspetti della vita in città possano trarre beneficio da un intervento. È possibile sostenere che a Perth:

    ● Animazione, ricchezza culturale, accoglienza e spiritualità sono limitate.

    ● Non tutti hanno la possibilità, o la capacità, di godere pienamente dei benefici dello stile di vita cittadino: le restrizioni fisiche o di accessibilità economica di alcune occasioni e servizi significano per alcuni soggetti e luoghi un relativo svantaggio, e declino.

    ● Esistono già alcuni segni di stress urbano a Perth: crescente inquinamento atmosferico e congestione da traffico, un fiume in pericolo, problemi nell’approvvigionamento idrico, carichi su infrastrutture e servizi e problemi sociali.

    Vista la crescita di popolazione prevista per Perth da qui al 2030, esiste il rischio che questi problemi avranno impatti crescenti sulla vivibilità, e che ne possano emergere altri. Network city propone un contesto spaziale e decisionale al mutamento, realizzato attraverso azioni che consentano alla crescita prevista di trovare adeguata sistemazione, mentre gli elementi di vivibilità attuali e altamente valutati non ne vengono compromessi.



    Principi di piano

    I principi ed elementi chiave per progettare una città vivibile sono:

    Organizzare la crescita urbana secondo lo schema Network city, e riorganizzare i nuclei urbani:

    • creando centri di attività a densità alta e media (villaggi urbani) a sostenere corridoi di vitale trasporto pubblico; e

    • offrire una vasta gamma di scelte residenziali ad alta qualità.

    Proteggere e incrementare ambienti naturali, spazi aperti e beni cuturali:

    • tutelando bellezza e accessibilità delle spiagge, parchi e fiumi;

    • proteggendo e migliorando la qualità dell’aria e dei corsi d’acqua;

    • proteggendo le risorse idriche, sia di superficie che di falda; e

    • proteggendo e valorizzando i beni ambientali, culturali e paesistici, inclusi quelli Indigeni.

    Offrire a tutti una migliore qualità di vita, sostenuta con le nostre forze:

    • offrendo un’adeguata e distribuita risposta a particolari bisogni e per quanto riguarda la casa popolare;

    • offrire a tutti (tutte le età e i livelli di bisogno) accessibilità a una vasta gamma di strutture locali, preferibilmente in centri di quartiere;

    • offrire uno stile di vita sano dentro a città sicure;

    • collaborare con le amministrazioni locali a progetti dimostrativi che siano esempi di una diversa qualità della vita urbana;

    • verificare che i posti di lavoro vengano creati nei centri sostenendo città economicamente sane, che offrano occupazione localmente e a tutti i gruppi sociali.

    Altri fattori di vivibilità che vanno oltre quelli di base, e che dovremmo tendere a realizzare o migliorare in ogni zona di Perth, comprendono:

    • Una maggiore scelta per la casa, il lavoro, il tempo libero e le opzioni di stile di vita e occasioni.

    • Più diversità e ricchezza culturale: arte, divertimenti, vita sociale in rapporto alla storia locale, legami coi luoghi, eventi locali e culturali che amplino le possibilità di esperienza e riflettano i vari interessi e tradizioni della comunità.

    • Più identità locale: differenziazione dei luoghi, spazi con un determinato scopo che abbiano caratteri distintivi derivanti da valori comunitari, dalla storia, dall’eredità culturale, dalla localizzazione e ruolo rispetto alla città.

    • Una migliorata inclusione ed equità sociale: eliminare le distanze, ridurre la vulnerabilità socioeconomica, fermare il declino.

    • Vivibilità per tutto il corso della vita: andare incontro ai vari bisogni connessi alla vivibilità e alle aspettative delle persone in tutti gli stadi della vita.

    • Vivibilità trasversale fra i vari gruppi di popolazione: andare incontro ai bisogni connessi alla vivibilità e alle aspettative di tutti i gruppi demografici.

    • Infine, forse più importante nel contesto di Network city, saper governare gli impatti della trasformazione, ovvero trovar posto alla crescita gestendo al tempo stesso i potenziali conflitti fra i vari obiettivi, e conservando e valorizzando gli elementi di vivibilità a cui normalmente attribuiamo valore.

    [...]

    Strategia 3-10: Rivitalizzare i centri esistenti e sobborghi migliorandone qualità e attrattività, vitalità economica, sociale e culturale, identità e sicurezza.

    Se il governo della crescita nelle fasce esterne rappresenta un elemento fondamentale nel progetto di una città vivibile e sostenibile, esiste anche una pressante necessità di prendere in considerazione il futuro delle zone consolidate, che in alcuni casi presentano un insieme di infrastrutture obsolete o inadeguate, il che diminuisce l’accessibilità ai servizi e alle occasioni sociali ed economiche.

    L’edificazione e riedificazione nelle aree urbane esistenti, rendendo più efficiente l’uso delle strutture esistenti, è di aiuto nel governo della crescita urbana, ma deve essere sviluppata in modi che riconoscano e rispettino le qualità delle varie aree, e valori e aspettative delle comunità locali.



    Azioni chiave per attuare la Strategia

    ● Usare gli interventi in zone sottoutilizzate o disponibili per dimostrare il potenziale dell’edificazione nelle aree già urbanizzate, con l’applicazione dei migliori principi di valutazione e pratiche di approvazione dei progetti.

    ● Lanciare e attuare un programma di insediamenti orientati al trasporto pubblico, collegato ovunque possibile con la realizzazione o ampliamento di centri di attività e corridoi così come individuati nella strategia spaziale [ vedi documento integrale n.d.T.].

    ● Sviluppare il “programma delle comunità” per offrire assistenza alle amministrazioni locali nell’intraprendere progetti di partecipazione, urbanistici e di intervento tesi a rivitalizzare zone di Perth.

    ● Istituire un registro dei progetti legati alla rivitalizzazione di Perth, che funga da base per costruire un tipo di approcci più efficaci, la condivisione di informazioni, la pubblicità delle varie iniziative, l’identificazione di problemi da risolvere per promuovere e facilitare programmi di rivitalizzazione più efficaci.

    ● Utilizzare il tipo di collaborazione istituzionale descritto nella Strategia n. 5 del Cap. 2, e intraprendere progetti e programmi di rivitalizzazione nel quadro di obiettivi concordati di vivibilità, che individuino e mettano al primo posto spazi con particolare necessità di intervento.

    ● Continuare a sostenere e promuovere modelli come quello della collaborazione per la città sostenibile realizzato a Maddington-Kenwick per evidenziare le possibilità di convergenze finalizzate alla rivitalizzazione suburbana.

    ● Nell’ambito della predisposizione del programma attuativo, individuare luoghi adeguati per progetti di rivitalizzazione che sostengano l’idea di Network city. Per esempio, alcuni quartieri e piccoli nuclei da considerare parte di iniziative di rivitalizzazione urbana. [...]

    here English version

    Sintesi della legge urbanistica della Catalogna, approvata nel 2005, appositamente scritta per Eddyburg da Maria Lluisa Marsal, Departament d'Urbanisme i Ordenació del Territori, Escola Técnica Superior d'Arquitectura del Vallès, Universitat Politécnica de Catalunya

    Uno dei primi impegni del nuovo governo socialista della Catalogna è consistito nel promuovere la revisione della legge urbanistica 2/2002 approvata dal precedente governo di centro. Si tratta della “Llei 10/2004, de 24 de desembre de modificaciò de la Llei 2/2002, del 14 de marc, d’urbanisme, per el foment de l’habitatge assequible, de la sostenibilitat territorial i de l’autonomia local”: a partire dalle revisioni ed innovazioni introdotte da questa legge, è stato recentemente approvato il Text refòs de la Llei d’Urbanisme, decreto legislativo 1/2005 del 26 luglio.

    Occorrerà ricorrere ad altri testi di ambito e competenza statale per completare la legislazione in materia urbanistica in Catalogna (legge 6/1998 sulle valutazioni, vari regolamenti…). La redazione di leggi sulla materia continua a buon ritmo, con la preparazione della nuova Llei d’Habitatge, nel contesto del Decret del Pla pel Dret a l’Habitatge (2004-2007).

    Le modifiche proposte dalla L.10/2004, rispetto alla precedente L. 2/2002, perseguono l’introduzione di alcuni miglioramenti che si concentrano su due obiettivi molto chiari: il suo carattere sociale e territoriale, insieme ad una grande preoccupazione dedicata a chiarire e riformare concetti che non erano sufficientemente chiari nella legislazione anteriore.

    Una prima definizione migliorata è quella che appare nello stesso titolo della legge, in materia di sostenibilità. Il prologo della legge definisce il territorio catalano come una realtà ambientalmente sostenibile, funzionalmente efficiente, economicamente competitiva e socialmente coesa.

    Ben diversa e fortemente contradditoria era la definizione contenuta nel testo di legge precedente (L. 2/2002), che recitava in ordine sparso: “...questa legge si pronuncia chiaramente a favore di uno sviluppo urbanistico sostenibile, sulla base dell’ utilizzo razionale del territorio, per rendere compatibili la crescita urbana e il dinamismo economico necessari con la coesione sociale, il rispetto dell’ambiente e la qualità di vita delle generazioni presenti e future.”

    Allo stesso modo, continuando ad esaminare la premessa della L. 2/2002, si esprime la preoccupazione per fenomeni non desiderati, però includendo anche il loro contrario. Si individua la dispersione dell’urbanizzazione, la specializzazione funzionale dello spazio e il rischio della segregazione indotta dal mercato immobiliare, (…) rispondendo con la difesa della compattezza degli insediamenti, la diversificazione funzionale e l’integrazione sociale(…). Ma queste buone intenzioni non trovano una traduzione coerente negli articolati della legge.

    Per concludere questa introduzione, centrata sull’analisi degli obiettivi che si perseguono nelle due leggi, faremo riferimento a un aspetto che non serve né chiarire né migliorare, ma semplicemente sradicare: la speculazione.

    La L. 2/2002, credeva erroneamente che la disponibilità di più suolo avrebbe ovviato alle distorsioni del mercato e alla speculazione, “(…) questa legge modifica, attualizza e semplifica le procedure con l’obiettivo di imprimere celerità ed efficacia al processo decisionale così da disporre in ogni momento di suolo debitamente urbanizzato, come metodo per lottare contro le distorsioni del mercato e contro la speculazione, con la convinzione che non è soltanto il suolo urbanizzabile, bensì il suolo urbanizzabile necessario e, soprattutto, quello urbanizzato in anticipo, ad evitare situazioni di tensione nella domanda e ripercussioni conseguenti sul prezzo finale dei prodotti immobiliari.

    La revisione introdotta con la L. 10/2004è molto piùambiziosa, poiché vuole promuovere nuove soluzioni che rafforzino i meccanismi esistenti per risolvere le problematiche relative al mercato delle abitazioni (si veda il punto successivo),

    Possiamo a questo proposito distinguere le innovazioni introdotte dalla nuova legge e ordinarle secondo i due principali obiettivi che persegue, in ambito sociale e territoriale.

    Con lo scopo di promuovere l’accesso della popolazione alla casa, un primo e nuovo strumento riguarda la realizzazione di un parco di abitazioni pubbliche(viviendas dotacionales publicas) per l’accoglienza temporanea di categorie di persone con bisogno di assistenza o emancipazione, all’interno di politiche sociali previamente definite. L’introduzione dell’abitazione come servizio pubblico è un concetto realmente corretto che però perde forza quando, dalla lettura dell’articolato di legge, si deduce che le risorse per realizzare questa offerta abitativa andranno detratte da quelle disponibili per i servizi pubblici locali, in misura pari al 5% al massimo. La percentuale che si propone non è molto rilevante (presuppone un totale di 1000 m2 in un nuovo settore di sviluppo di 10 ha., con una densità di 100 abitazioni/ha ); inoltre, è basata su un trasferimento di risorse dalla dotazione di servizi pubblici all’abitazione pubblica, con pregiudizio in uno dei due ambiti.

    Sempre in materia di pianificazione residenziale, si introducono i Piani direttori urbanistici per la programmazione di politiche sopracomunali relative all’uso del suolo e alla casa, per la elaborazione dei quali si promuove la cooperazione intercomunale.

    La pianificazione territoriale delle abitazioni è importante quanto molti altri aspetti, ragion per cui reclameremmo la stessa territorialità per questi ultimi, al fine di scaricare di responsabilità la pianificazione comunale, erroneamente titolare di queste funzioni.

    Allo scopo di garantire la coerenza fra i Piani direttorie i Piani comunali, questi ultimi dovranno incorporare un nuovo documento, la memoria social, dedicato a garantire la produzione di abitazioni pubbliche e di altri tipi di edilizia sociale di competenza della legislazione di settore.

    Una novità che rappresenta un progresso significativo rispetto alla L. 2/2002, è l’incorporazione di tutte le cessioni di titolarità pubblica con trasferimento al patrimonio municipale di suoli e abitazioni; patrimonio che, separato da altri beni municipali, sarà destinato alla attuazione delle politiche abitative, garantendo delle quote minime anche nei piccoli comuni.

    Queste cessioni ai comuni dovranno corrispondere, nella maggior parte dei casi, al 10% delle opportunità edificatorie concesse ai privati nei settori di nuova urbanizzazione.

    La nuova legge continua dunque a perseguire l’obiettivo di rendere prioritario lo sviluppo di nuovo suolo urbanizzabile, e pertanto gli interventi per la realizzazione di edilizia sociale si localizzeranno anche nei nuovi settori. Con l’introduzione della medesima regola di cessione di un 10% vigente nella città costruita, ma non consolidata, si otterrà una certa omogeneizzazione della rendita nei due ambiti urbani (è opportuno sottolineare che questa ultima ipotesi di cessione sarà valida nel caso di settori di riqualificazione urbana o comunque in aree di intervento che generino plusvalore).

    Alla luce di quanto detto, è facile vedere che la grande questione aperta è la città costruita e consolidata, dove la mobilizzazione dello stock costruito è realmente un problema che si traduce in segregazione a causa della modesta diversificazione delle attività economiche e dei gruppi sociali. Il meccanismo possibile, probabilmente l’unico, persegue un’osmosi di usi fra i settori lucrativi e quelli non lucrativi.

    Si amplia l’ipotesi di realizzazione di abitazioni pubbliche nelle cosiddette zone(gli ambiti affidati alla promozione da parte degli operatori privati). Se con la legislazione anteriore (L2/2002)la riserva obbligatoria di suolo era corrispondente al 20% del totale della superficieresidenziale realizzabile, ora vi si aggiunge un 10% addizionale nei comuni con più di 10.000 abitanti o nelle capitali di comarca. È opportuno sottolineare che la costruzione di queste abitazioni da parte del privato sarà condizionata da un calendario stabilito dal piano; il mancato rispetto dei tempi potrà determinare l’espropriazione dei terreni.

    Il piano regolatore, generale o particolareggiato, potrà stabilire le riserve di abitazioni senza la necessità di approvare un nuovo piano o un nuovo programma municipale, prevedendo allo stesso tempo una distribuzione omogenea di queste abitazioni con lo scopo di evitarne la concentrazione spaziale.

    Con la riserva di abitazioni pubbliche su suolo privato, 30% in molti casi, sommata a quella realizzata su suolo pubblico che va ad aggiungersi al patrimonio municipale di suolo e abitazioni, 10% in più, e all’opportunità di realizzazione delle viviendas dotacionales publicas (di cui sopra) si equipareranno praticamente gli stock di edilizia residenziale pubblica e privata. Si tratta di valori uguali o inferiori a quelli già realizzati nel resto delle comunità autonome (ad esempio: Madrid, 50% di abitazioni pubbliche, Paesi Baschi, 60%).

    Dalle innovazioni introdotte dalla nuova legge urbanistica, che saranno ulteriormente approfondite dalla futura Llei d’Habitatge, si evidenzia un deciso impegno a favore dell’accesso all’abitazione per i gruppi più deboli, al fine di ridurre le distorsioni del mercato ed arginare la speculazione.

    Il secondo cavallo di battaglia della legge è la sostenibilità territoriale, la tutela del suolo non urbanizzabile, la protezione del paesaggio e l’uso razionale delle risorse territoriali.

    Una volta individuato e riconosciuto l’indesiderabile fenomeno della dispersione insediativa, la legge si propone di contrastare l’occupazione indiscriminata del territorio, con il divieto di urbanizzare terreni con pendenza superiore al 20% (sempre, e quando non si renda assolutamente impossibile la crescita di nuclei esistenti), o di classificare come urbanizzabili terreni che abbiano perduto i loro valori forestali per l’effetto di incendi.

    Sulla stessa linea, e finché non si introdurrà la direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla valutazione di determinati piani e programmi di tutela ambientale, si prescrive che i piani debbano incorporare la valutazione di impatto ambientale.

    Infine, si deve sottolineare la preoccupazione dedicata a rendere più agile la gestione urbanistica in tutti gli ambiti, da quello comunale a quello privato. Si aumentano le competenze dei comuni, autorizzandoli ad approvare piani e programmi municipali. In questo modo si velocizza l’attività urbanistica dei comuni.

    Per quanto riguarda la pianificazione attuativa,si elimina una delle regole anteriori che obbligavano a mantenere una quota, eguale o superiore al 45% di suolo privato nei nuovi settori di sviluppo. A questa disposizione si aggiunge un ampliamento della legislazione anteriore: la possibilità di delimitare ambiti e settori discontinui non soltanto nelle aree di proprietà pubblica, ma anche privata. In questo modo si ritiene di poter progettare interventi migliori che aiutino a compensare gli squilibri nella città esistente, consentendo al comune la realizzazione di una propria strategia di intervento.

    Allegati:

    - il testo in lingua originale

    - il testo della legge

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