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Salvo Torre
Portare il vivente al centro del conflitto
27 Agosto 2019
Proposta
Effimera, un saggio per comprendere appieno l'incompatibilità tra capitalismo e vita umana, che la crisi ecologica ha messo in tutta evidenza. Occorre trovare una nuova forma di mondo capace di rivoluzionare il rapporto distruttivo che passa attraverso i processi di valorizzazione e di successiva determinazione di prezzo di qualsiasi aspetto del vivente. (a.b.)

Effimera

La crisi ecologica globale è uno scenario in cui agiscono anche alcune tra le nuove prospettive critiche che stanno attraversando il dibattito planetario da decenni, obbliga a costruire nuove dinamiche dell’azione politica e richiede anche di ridefinire le pratiche in relazione alle possibilità concrete di costruire nuove forme di socialità. Si sta determinando, in modo sempre più evidente e su scala planetaria, un conflitto socio-ecologico che ancora non è definito nelle sue dirette conseguenze, ma che è necessariamente un campo di azione del pensiero critico. Per poter costruire un mondo radicalmente diverso bisogna confrontarsi con questo scenario, con la crisi in atto e con le possibilità concrete di mutamento.

1. Il vivente è una categoria rivoluzionaria

Al centro della mia riflessione c’è un assunto reso evidente dalla crisi socio-ecologica: il capitalismo è incompatibile con la perpetuazione del vivente. È incompatibile anche con la stessa struttura della biosfera, con il suo funzionamento e i suoi tempi, inoltre il capitalismo nella sua storia ha costantemente mirato a inglobare e ridefinire il funzionamento della vita. Dalla base biologica però è riuscito a passare alla sua espressione più generale, con il termine vivente intendo infatti qualcosa di più ampio: è l’insieme delle capacità produttive della vita, comprende, ad esempio, anche la capacità di produrre il pensiero e di definire la realtà, è tutto ciò che è vivo.

Il conflitto tra capitalismo e vivente è stato il fulcro centrale della storia degli ultimi secoli, ha prodotto in forme dirette una lunga serie di diversi metodi di sfruttamento e adesso ci ha portato alla crisi ecologica globale. È una fondamentale contraddizione interna al capitalismo, l’ennesima potenzialmente fatale per il sistema. Più di altre contraddizioni può però essere un luogo di mutamento perché si tratta di una contraddizione particolarmente radicale, in cui viene direttamente coinvolta anche la sopravvivenza generale della biosfera. Non si tratta della sussunzione della natura alla sfera della produzione, ma della progressiva tendenza, che si manifesta dall’inizio della modernità capitalista, ad inserire l’intera biosfera nei processi di produzione e di creazione del valore. Il capitalismo fin dalla sua nascita ha la tendenza ad incorporare gli stessi processi di funzionamento del vivente, la sua più intima natura e le modalità di riproduzione che ne rappresentano le fondamenta. Arrivati a questo punto, bisogna però ribaltare il punto di vista sulla questione, perché il problema riguarda il processo fondamentale che è iniziato con l’affermazione della modernità capitalista e adesso è giunto alle sue estreme conseguenze: bisogna considerare il vivente come una categoria potenzialmente rivoluzionaria.

Ristabilire il principio che il lavoro di riproduzione, per come è stato definito nel dibattito femminista, si debba contrapporre allo schema della produzione capitalista significa anche pensare ad un modo radicalmente differente di far funzionare le comunità umane in relazione alla biosfera, di ricomporre la frattura storica che tende a dividerle. Buona parte del dibattito critico costruito intorno alla questione della crisi ecologica globale è in realtà direttamente collegata ad una parte del pensiero rivoluzionario. Penso inoltre che sia evidente quanto già le prime formulazioni teoriche sulla crisi ecologica abbiano espresso una critica radicale all’ecologia filo-capitalista, così come al modello di produzione sovietico, ponendosi al di fuori della storia del modello industriale e dell’idea di crescita che ha caratterizza la modernità capitalista. Si può sicuramente definire quella critica come una forma di ambientalismo operaio. Adesso ritengo necessario mantenere il dibattito sulla crisi ecologica globale nel campo della critica indirizzata alla costruzione di un mondo diverso, un mondo non capitalista. Non si tratta semplicemente di discutere sulle conseguenze dell’affermazione del neoliberalismo; nel caso europeo, l’analisi delle contraddizioni che emerge sempre più chiaramente all’interno dei conflitti ecologici può trovare, ad esempio, una forte radice nell’impianto teorico dell’operaismo. Da alcuni nodi del dibattito dell’operaismo italiano, pesantemente represso anche nelle sue espressioni di critica ecologica, proviene, tra le altre cose, una seria indicazione di azione nel campo dell’ecologia politica. Non si tratta neanche di costruire una relazione tra due questioni separate, per cui l’ecologia politica di stampo marxista cerca di incorporare nel proprio discorso alcuni nodi del dibattito operaista. Al contrario è proprio la naturale conseguenza di un percorso che ha determinato l’allargamento progressivo dei campi di azione e di lotta, dal soggetto sociale alla generalità del mondo costruito dal capitale.

2. La macchina converte il vivente

«Dalla riformulazione della questione dell’accumulazione all’attenzione ai processi attuali come nodo centrale su cui agire. […] il lavoro si presenta come un organo cosciente […] nella forma dei singoli operai vivi; frantumato, sussunto sotto il processo complessivo delle macchine» [1].

Per comprendere il legame forte tra l’operaismo e l’attuale sviluppo teorico dell’ecologia politica, bisogna necessariamente ripartire da quello che da Panzieri in poi, con il decisivo apporto di Negri, è diventato il nostro Marx, quello dei Grundrisse, soprattutto del frammento sulle macchine. Quel passo deve la propria fortuna anche alla capacità di ribaltare completamente il modo in cui i testi marxiani sono stati letti per almeno un secolo. Quel dibattito ha aperto una strada per il superamento della visione monolitica del marxismo e dei processi rivoluzionari, attraverso la sua proposta di rilettura dei testi di Marx e della visione della società e della storia che ne emergevano. Soprattutto ha esaltato l’enorme portata filosofica del pensiero marxiano e la sua caratteristica di lavoro incompiuto, come devono essere necessariamente tutti i lavori rivoluzionari. Lo sforzo intellettuale che emerge da quella rilettura dei Grundrisse è chiaramente qualcosa di ancora più ampio di quanto contenuto nel Capitale e soprattutto permette di rivedere un progetto generale di cui la critica dell’economia politica era solo una parte. Personalmente non sono mai riuscito a vedere il pensiero di Marx come quella struttura monolitica e inflessibile proposta dai partiti comunisti europei né come un percorso compiuto che si potesse concretizzare solo in una specifica forma politica.

Come i sistemi di potere per perpetuarsi devono adattarsi facilmente al mutamento, così un pensiero rivoluzionario deve essere capace di preconizzare le scelte del sistema che intende cambiare e agire su piani differenti. Il dibattito operaista ha consentito finora proprio di liberare dal loro interno quelle riflessioni sulla rivoluzione che correvano, ad esempio, il rischio costante di cadere nella tentazione dell’esaltazione della fabbrica, come se non fosse il luogo della massima alienazione e dello sfruttamento. Lo stesso approccio, comune a molti dei vecchi partiti comunisti, che ha tentato di far diventare altro, di far mutare pelle alla grande proposta di liberazione dentro cui ci siamo mossi sempre, con il passo incerto di chi deve disegnare i propri sentieri. Si tratta di un lavoro folle e grandioso che continua ad aprire un potenziale conflittuale enorme e in cui in qualche modo siamo coinvolti su tutti i fronti nella nostra quotidianità e in cui adesso agiscono consapevolmente migliaia di esperienze conflittuali a livello planetario.

Il frammento sulle macchine ha una relazione fortissima con molte altre parti del pensiero di Marx e ne rivela un’interpretazione precisa, riesce infatti a chiarire parti complesse e più rigide, come i capitoli XX e XXI del libro II del Capitale, necessari a comprendere il processo di riproduzione complessiva del sistema. Quei passaggi ci dicono che il capitalismo riesce a produrre il proprio mondo e che il mondo è diventato la fabbrica di sé stesso; è uno dei principi che hanno guidato la composizione di un’area che si è data uno statuto politico molto forte e che ha saputo mettere in discussione la supposta radicalità del pensiero socialista europeo. Gli spazi di vita sono interni ad un sistema che ha bisogno di convertire a spazio di accumulazione ogni aspetto e luogo del vivente.

La città-fabbrica è lo stesso spazio in cui agiscono Lefebvre e Gorz, è lo spazio in cui è nata l’ecologia politica di stampo marxista, prima che si ponesse il problema della crisi ecologica globale. Il mondo prodotto dal capitale è lo spazio in cui deve agire adesso un pensiero della trasformazione costruito sulle dinamiche del vivente. Di fronte all’avanzare del processo di distruzione non c’è però possibile via d’uscita, non si può evitare di riconsiderare le cose anche in vista delle modalità con cui si inasprisce la crisi e con cui il sistema si articola nelle sue forme di controllo. Non c’è altra via d’uscita perché la soluzione deve per forza essere radicale e fornire alternative di vita e deve farlo per tutto il vivente. La proposta che emerge adesso si trova esattamente dove doveva essere: nel solco dell’esperienza aperta dalla critica operaia al capitale.

Come ha chiarito il dibattito sul capitalismo cognitivo, il frammento sulle macchine rende esplicito il fatto che il problema non risiede nella struttura fisica della macchina, ma nel suo funzionamento, nelle modalità attraverso cui realizza una trasformazione che determina un cambiamento nella vita dei lavoratori, nel modo in cui la macchina è un mezzo per trasformare il lavoro vivo. Ciò perché a fondamento del sistema c’è la capacità del capitalismo di tramutare il vivente in valore e il valore in prezzo. Lungo tutto il testo di quel frammento, che è chiaramente parte di un progetto più ampio, l’autore riesce a chiarire in modo risolutivo che sarà necessario aprire un campo preciso di azione politica e ci dice che ancora è necessario andare avanti, proseguire nello sforzo di ampliamento del campo di conflitto.

3. Ricostituire il processo di vita reale

«In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale – in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa»[2].

Il tempo di lavoro è un’altra questione che si colloca a fondamento di una riflessione sulla liberazione delle potenzialità del vivente. Si tratta di un problema perfettamente interno allo stesso dibattito perché non si può scindere la riflessione sul tempo di lavoro dalla ricerca della compatibilità ambientale. La totalizzazione del tempo di produzione ha coinvolto progressivamente la biosfera, si tratta di uno dei processi costitutivi del capitalismo cioè della tendenza a portare all’interno dei processi di produzione di valore la biosfera, ad usarla liberamente come riserva a cui attingere, a convertirne le basi e i tempi riproduttivi.

La stessa frattura metabolica, un elemento centrale della separazione con quella che Marx definisce natura, che rappresenta un tema importante dall’area marxista dell’ecologia politica, in realtà risulta un processo interno a questa tendenza, non l’origine del problema. Si realizza proprio nella relazione di lavoro e nell’uso delle macchine, ma soprattutto nella creazione di un modo per convertire anche i tempi della biosfera in tempi di produzione e di creare valore da quel furto di tempo. Il tempo di produzione e il tempo di lavoro non sono compatibili con i tempi di retroazione ambientale, i ritmi della biosfera non possono coincidere con l’accelerazione del capitalismo, che arriva, ad esempio, a produrre gli animali destinati alla macellazione riducendo i tempi della loro fase di crescita o a distruggere intere aree del pianeta per l’estrazione mineraria in poche ore.

La capacità di riproduzione comprende anche la capacità di creazione dell’informazione come risultato dell’azione del vivente. I sistemi biologici funzionano seguendo uno schema di produzione dell’informazione, quello stesso schema di cui la produzione capitalista è riuscita ad appropriarsi[3]. Il vivente produce informazioni, anzi è l’unica struttura in grado di trasformare in informazione i principi fisici di funzionamento del mondo. Lo stadio finale del capitalismo è dunque l’appropriazione delle capacità creative del vivente, da quelle riproduttive a quelle cognitive, è questo il motivo per cui la liberazione dal lavoro capitalista riguarda tutto il complesso del vivente.

4. Bloccare l’accumulazione e uscire dai processi di valorizzazione capitalista

«La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici, ecc.. Essi sono prodotti dell’industria umana: materiale naturale, trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana; capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del General Intellect, e rimodellate in conformità ad esso; fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale»[4].
La contraddizione insanabile tra il capitale e il vivente, espressa già all’inizio della grande critica al capitalismo, si esprime quindi compiutamente nella collocazione del lavoro vivo all’interno del valore. Il campo di azione è però adesso chiaramente la modalità con cui si può impedire la conversione del vivente in capitale, il principio generale di funzionamento del sistema. Quel campo resta ancora il lavoro umano, nella sua azione produttrice generale e nelle modalità con cui rappresenta ancora la forza determinante del general intellect. Nel quadro della crisi ecologica questo ci pone un enorme problema di carattere politico: liberarsi dal lavoro deve comportare una liberazione dei processi vitali, deve necessariamente includere la possibilità di costruire una relazione con il vivente liberata dai processi di valorizzazione. Nonostante ci siano moltissime esperienze di lotta che da decenni si muovono su questo terreno, è evidente che ancora siamo lontani dall’aver elaborato una chiara linea di azione, anche se la grande novità è che abbiamo ricominciato ad elaborare forme di prefigurazione della società futura, idee e proposte su come il nostro mondo può concretamente funzionare al di fuori del sistema capitalista. Il processo che comporta l’appropriazione progressiva del vivente in tutti i suoi aspetti va chiaramente fermato; quale possa essere il risultato di una trasformazione così profonda, che porterebbe alla strana forma di un mondo devalorizzato, è ancora da definire. Liberarsi dal valore di scambio è un progetto politico molto più complesso di quanto sembri anche sul piano pratico e comporta la capacità di proporre un mondo altro, radicalmente diverso, in cui non esista più il corrispettivo della vendita del tempo e della determinazione del valore in termini di prestazione di lavoro. Ricondurre il vivente al centro di un progetto rivoluzionario rimane però un passaggio essenziale per poter costruire un reale percorso di liberazione.

Note

[1]K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Milano, La Nuova Italia, 1968, p. 399. Per comodità ho utilizzato l’edizione italiana del 1968 curata da Enzo Grillo, sebbene proprio su quel frammento siano state poste diverse questioni di traduzione.

[2]K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, cit., p. 401.

[3]Dal Gobbo A. e Torre S., (2019). Natura Valore Lavoro. Logiche di sfruttamento, politiche del vivente. Etica & Politica / Ethics & Politics, XXI, 2019, 1, pp. 165-171.

[4]K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, cit., p. 402.

Tratto dal sito di Effimera, qui raggiungibile
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