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Lodo Meneghetti
L’inquinamento atmosferico e l’inquinamento automotoristico
15 Maggio 2019
Lodovico (Lodo) Meneghetti
Notizia bomba dell’11 aprile 2019. Da «La Stampa»: È per «l’inquinamento di Milano», causa di una broncopatia acuta, che il tenore Marcelo Alvarez ha dovuto rinunciare ad alcune delle recite di Manon Lescaut in scena alla Scala. (segue)

Notizia bomba dell’11 aprile 2019. Da «La Stampa»: È per «l’inquinamento di Milano», causa di una broncopatia acuta, che il tenore Marcelo Alvarez ha dovuto rinunciare ad alcune delle recite di Manon Lescaut in scena alla Scala. (segue)

Inquinamento atmosferico

Notizia bomba dell’11 aprile 2019. Da La Stampa: È per «l’inquinamento di Milano», causa di una broncopatia acuta, che il tenore Marcelo Alvarez ha dovuto rinunciare ad alcune delle recite di Manon Lescaut in scena alla Scala. Il cantante argentino ha motivato il forfait sui suoi profili social. Ha saltato tre rappresentazioni di Manon Le­scaut. «Mi sto riprendendo – ha aggiunto. Spero di guarire completamente nei tempi previsti per questo tipo di ma­lattia e ritornare a cantare prima possibile». Non era mai accaduto!

I dati numerici elementari e conosciuti dai cittadini mostrano che Milano e Torino, con 40 μg/mc di Pm10, sono a capo del gruppo di città che ha superato ampiamente per anni il limite della concentrazione media annua di polveri fissato dall’Oms in 20 μg/mc/giorno. Inoltre l’anno 2018 reca l’insegna milanese di «codice rosso»: i 50 μg/mc/giorno sono stati superati in 75 giorni (35 il limite di legge). Considerando anche il limite stabilito per l’ozono, le giornate fuorilegge sarebbero 135; in questo caso il primato spetterebbe a Brescia (150 giorni), sicché l’istinto auto-consolatorio milanese può compiacersi per la comune aria.

Il cielo azzurro intenso per diverse settimane di quest’inverno ci ingannava. Lo smog è come il diavolo, si annida nei dettagli. Per esempio: i pneumatici delle ruote di tutti i veicoli rilasciano al manto stradale milioni d’invisibili particole di gomma o di altro materiale sintetico, che esse stesse risollevano così le respiriamo facilmente.

Abbiamo sopportato per decenni l’inesorabile contributo dei motori diesel all’emissione di particelle immediatamente captate dai nostri bronchi. Erano false le notizie sulla loro minor nocività diffuse dalle aziende automobilistiche e da ingegneri embedded. La stessa insistenza a ripetere che altre fonti, innanzitutto le caldaie alimentate a gasolio, fossero altrettanto o maggiormente responsabili ha in seguito comprovato la capziosa spinta diversiva (peraltro a Milano molti impianti sono stati convertiti al metano).

L’assunzione di «aria diesel» deriva per una parte dal privilegio concesso ai mezzi di trasporto, specialmente ai famosi «camioncini» (in verità molti sono «camion» di media stazza) per il carico e lo scarico delle merci fin nel centro del centro storico: secondo orari che parrebbero scelti da sconosciuti inesperti di vita urbana. Infatti, il permesso dalle 10 alle 14, dalle 16 alle 18 (per i generi alimentari) e dopo le 19 parrebbe riguardoso delle ore di punta riservate al traffico automobilistico, quando i cittadini e gli stessi pendolari sanno che non è più questa la condizione metropolitana. Passate in qualsiasi zona pedonale dalle ore 10 in poi, vedrete mezzi di trasporto e carrelli in continuo andirivieni. Uno spettacolo assurdo giacché ammesso in ore buone per lo spostamento e la sosta pedonali, per lavoro, per svago, per riposo. (Tralasciamo i torpedoni turistici: quando mai se ne sono visti in altre grandi città scaricare, come a Milano, i trasportati insieme a nuvole di gasolio per portarli troppo vicini agli alberghi del centro?).

Le nascite a Milano sono poche, tuttavia è facile credere il contrario osservando la numerosità di pas­seggini e relativi bambini condotti spericolatamente da giovani madri e padri o da nonni lungo i marciapiedi e dove sia possibile non essere immediatamente abbattuti. Lo scarico delle automobili transitanti lungo il bordo del marciapiedi o, peggio, ferme a motore acceso lì o sopra, è all’altezza delle boccucce e dei nasini: sicché, stante un’attesa di vita seconda solo a quella dei giapponesi, i benpensanti non dubitano dell’effetto di mitridatismo, ossia lo stato di immunità grazie all’assunzione costante della materia velenosa in dosi non mortali. Già. Non negano, essi, l’esito effettivo: vita lunga, ma richiedente costante attenzione sanitaria per la minor efficienza dell’apparato respiratorio.

Nondimeno, una ricerca nell’ambito dell’associazione italiana di epidemiologia ci avverte: per incrementi di 10 μg/mc di PM10 si osserva un effetto immediato sulla mortalità naturale (+ 0,51%). Intanto, a sparare raffiche di ve­leno sui piccoli si aggiungono le motoci­clette, con il loro tubo quasi a contatto fisico del piccolo quando esse vagano ondulando sui marciapiedi a motore acceso, dirette velocemente al punto di parcheggio più comodo, im­proprio e illegale; talvolta in posti tracciati in area pedonale.

Le misure antismog attivate a Milano dal 1° gennaio rientrano nel protocollo comune di Lombardia, Pie­monte, Ve­neto ed Emilia-Romagna. Temporanee e misere: divieti orari ai diesel euro 4 e riscaldamento urbano fino a una temperatura massima di 19 gradi, quest’ultimo obiettivo talmente irrealistico che chi lo ha proposto sapeva di con­traffarlo.

La lotta contro la mal-aria, per essere vincente, deve trasformarsi in attacco possente contro: l’inquinamento automotoristico

Inquinamento automotoristico

Il pedaggio che le automobili … (et al.) pagano per l’accesso al centro risente del pensiero originario volto soprat­tutto a combattere lo smog. Pollution charge, la parola d’ordine. Ci son voluti anni di sperimenta­zione per com­prendere (e non tutte le autorità ci sono riuscite) che il nemico della vita urbana è il traffico in se stesso dei mezzi privati, fossero anche tutti dotati di motori senza emissioni dannose e di copertoni in materia incorruttibile. È di Con­gestion charge che è necessario discutere, proponendola molto più costosa mentre maturerà la co­scienza nelle persone che le percorrenze delle automobili devono presentare ostacoli sempre più difficili da aggirare.

Non abbiamo mai sentito sindaci e assessori sostenere progetti di calming traffic e attuarli, tranne l’installazione di qualche cartello o avviso dipinto sul manto stradale indicante «zona 30». Il calming traffic favorisce la tranquillità di vita nel quartiere o nella parte di città mediante un’organizzazione degli spazi residenziali profondamente umaniz­zata, di modo che il passaggio benché lento di un’auto apparirà come quello di un animale feroce in un recinto di eleganti gazzelle. Insomma, ostacolare la motorizzazione privata è un principio da cui può nascere la nuova condi­zione di vita urbana incentrata sul benestare e il benessere dei cittadini, sulla bellezza della nuova vi­sione di strade e piazze coronate dalle case non rovinata dal serpentone di automobili in movimento o fermo al loro piede.

(Il crollo della produzione di automobili, per ora non rispecchiato dall’uso, dovrebbe essere giudicato, in­vece che calamità entro il processo economico, un segnale verde di una sperata liberazione da una sog­gezione affliggente e in definitiva, osiamo crederci, rivoluzione di una forma attuale di vita prossima all’imbarbarimento: vuol dire ricon­quista dell’umano personale e collettivo, corporeo e immate­riale).

La limitazione imposta ai diesel conferma la propensione a trattare l’aria, non l’immane violenza verso la specie umana che la massa di entità mo­torizzate esercita senza tregua. Insufficienti i provvedimenti in favore della bici­cletta (il tema delle piste ciclabili davvero appropriate è sempre all’ordine del giorno), secondario l’effetto bike sha­ring, so­prattutto ingannevoli le dichiarazioni sul rafforzamento del trasporto pubblico. Dovrebbe, quest’ultimo, già in facile prima posizione di una classifica riguardante le sole città italiane, raggiungere tanta nuova potenza da ribal­tare il rapporto col trasporto privato (il cui uso per i pendolari è quasi un obbligo).

È ai tram che occorre assegnare il compito di surclassare i motori personali. Invece l’ultima «razionalizzazione» delle linee (falsità di turno) è consistita in tagli radicali: sbagliata, peccaminosa senza remissione nella misura in cui ha tradito soluzioni tecniche e sociali di cui la tradizione aveva mostrato la giustezza; come le linee tranviarie da pe­riferia a periferia transitanti per il centro. Oggi, altro che rafforzamento: ritenute troppo lunghe sono state brutal­mente amputate di uno dei capilinea, trasposti e concentrati in strade attorno al Duomo, in spazi ardui, inadatti. Ri­configurato lo schema da periferia a periferia, la trasformazione dovrebbe comportare anche il ripristino di binari ab­bandonati e la costruzione di nuove linee.

A proposito di lunghezza. È quella smisurata di certi tram ritenuti esempio di modernizzazione che dovrebbe essere rivista. I milanesi si aspettavano che ne sarebbe derivato l’aumento d’attesa alle fermate, del resto programmato dall’autorità «tecnica» (ma politica!) che li aveva voluti. E si sono adattati a prendere due tram invece di uno rad­doppiando il tempo, se non forzati a tornare all’auto non amata.

Dovremmo osservare la variazione del rapporto numerico fra popolazione residente e automobili; urge però dare la precedenza a quelle dei pendolari. Infatti, credevamo che in quarant’anni gli ingressi giornalieri in Mi­lano fossero diminuiti da circa 800.000 a 500-600.000. Invece, sui quotidiani del 14 aprile e sul sito di Sinistra per Milano ab­biamo letto: «La sorpresa di Area B. Ogni giorno un milione di ingressi in città. Corrette dalle telecamere le vecchie stime di 600 mila. L’assedio delle auto che da fuori irrompono ogni giorno a Milano sarebbe ben più asfissiante di quanto si è sempre pensato. Il nuovo calcolo è un risultato “collaterale” dell’avvio di Area B: in base ai registri delle prime telecamere accese da oltre un mese e mezzo ai limiti estremi della città, i tecnici di Palazzo Marino stanno “correggendo” le stime su cui fino ad oggi si era sempre studiato il traffico».

Abbiamo capito: hanno commesso un errore madornale, da licenziamento immediato, invece restano lì come imbullonati alle loro poltroncine mentre tutto è cambiato. Quasi una particolare applicazione del pronunciamento di Tancredi, il nipote del principe di Salina, nel romanzo di I Viceré di Federico De Roberto. Il Sindaco dichiara subito: «più trasporto pubblico e metrò fino a Monza per ridurle». Siamo alla banalità, nonché del male, dell’improvvisazione in-attitudinale di tutti i comandanti, politici e funzionari.

Dove va questo esercito impressionante per numerosità di armati dopo aver varcato i confini del comune? Si muove dividendosi per tutta la città e quando essi cercano sosta, lo fanno in qualsiasi maniera (rispettosa o no delle regole) nelle strade e nelle piazze, anche eludendo i vecchi ricoveri sotterranei (noto esempio, la maggioranza, di una scelta urbanistica fallimentare: richiamo delle auto verso il centro e rovina strutturale dell’estetica urbana). Ad ogni modo i numeri provano che la crisi economica non ha inciso sull’impiego di automobili da parte dei pendolari mentre ha comportato una diminuzione poco indicativa della quantità appartenente ai cittadini residenti.

La popolazione milanese, dopo la lunga ca­duta demografica dal 1972 al nuovo millennio, è ricresciuta soprattutto grazie all’arrivo di stranieri (meno «automobilisti», in proporzione). Questa la condizione attuale: residenti quasi 1.400.000, venti per cento di stranieri, automobili possedute circa una ogni due persone. Sappiamo che una parte non esce dal ga­rage essendo i proprietari abituati a servirsi dei mezzi pubblici, ma il rapporto 1/2 rappresenta un primato negativo nella classifica delle principali città europee. L’obiettivo-sogno comune in Europa sarebbe una città purificata della moto­rizzazione, dotata di una fitta rete tranviaria garante della mobilità come diritto assoluto delle persone: quando l’organizzazione degli spazi sia essa stessa dipendente dal sogno.

Per depurare sia l’aria sia il traffico non possiamo ignorare l’invasione delle motociclette (vedi lo svolgimento del tema nell’articolo Anche l’occhio vuole la sua parte: di orrore. Motociclisti i campioni dell’indisciplina?) Le stimiamo cresciute con il nuovo secolo in progressione più che aritmetica dacché ostentano una quasi naturale capacità riproduttiva, soprattutto a causa dell’inopinato favore che ogni giunta comunale ha loro dispensato e dispensa tuttora. Moderni Minotauri che di moderno non hanno niente, anzi regrediscono verso la condizione di Moloch selvaggio, insofferente di qualsiasi condizionamento.

Insomma, i motociclisti con il loro destriero spadroneggiano nella città senza alcun ritegno: superano del doppio e oltre i cinquanta Km/ora (e ci spaccano i timpani …), occupano la strada a sciami come cavallette, sgusciano veloci sui marciapiedi fra persone e cose senza spegnere il motore, disprezzano i divieti e corrono contromano, percorrono le ciclopiste, superano i tram da entrambi i lati … La vocazione dei motociclisti è la trasgressione, premiata con l’esenzione dalle contravvenzioni e da un pedaggio fosse anche minimo (p. es. 1 €) per accedere all’Area C. Assessori hanno affermato che l’aumento delle motociclette provoca la diminuzione delle automobili. Non è così. La quantità di motociclette è aggiuntiva, non sostitutiva: lo dimostra la disamina sui pendolari e i residenti.

Articolo uscito in contemporanea su Arcipelago di Milano.

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