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Mario Agostinelli et al.
Clima
13 Febbraio 2019
Clima e risorse
In anteprima per eddyburg, la sintesi del tavolo sul «Degrado ambientale e profughi, transizione energetica, rinnovabili, decarbonizzazione» al Forum Associazione Laudato Si’: Un alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale del 19 gennaio 2019. (i.b.)

In anteprima per eddyburg, la sintesi del tavolo sul «Degrado ambientale e profughi, transizione energetica, rinnovabili, decarbonizzazione» al Forum Associazione Laudato Si’: Un alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale del 19 gennaio 2019. (i.b.)

19 gennaio 2019 - Milano
FORUM ASSOCIAZIONE LAUDATO SI’
UN’ALLEANZA PER IL CLIMA, LA TERRA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

Un’iniziativa promossa dal gruppo consiliare Milano in Comune con Casa della carità, Osservatorio Solidarietà - Carta di Milano, Associazione Diritti e Frontiere (ADIF), CostituzioneBeniComuni, Associazione Energia Felice, Ecoistituto della Valle del Ticino. Qui il programma completo.

Sintesi del Tavolo Clima
a cura di Mario Agostinelli (coordinatore)

Intervengono:

Massimo Scalia - docente Fisica matematica Università La Sapienza, già presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie
Karl Ludwig Schibel - coordinatore italiano dell’Alleanza per il Clima delle città europee
Angelo Consoli - direttore dell’Ufficio Europeo di Jeremy Rifkin
Andrea Donegà - segretario Fim Cisl Lombardia

La protezione dell'ambiente o, detta altrimenti, la salvaguardia del creato, deve diventare sempre di più un compito prioritario, vitale, perché non ci impegna soltanto a difendere i beni ricevuti gratuitamente quanto a consegnarli alle generazioni future. Ma finora non c’è stata una diffusione capillare del grido della terra nelle coscienze e nemmeno la politica sembra essersi risvegliata. Forse è prevalsa la preoccupazione di sentirsi continuamente sul banco degli imputati.

L’Enciclica “Laudato Sì’” ricorda che il 20 percento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da togliere alle nazioni povere e alle nuove generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere. In un pianeta grande ma di dimensioni limitate la produzione e il consumo di oggetti, utili e superflui avviene soltanto sottraendo risorse naturali (acqua, prodotti agricoli e forestali, minerali, fonti di energia) dal pianeta e con l’inevitabile formazione di scorie e rifiuti che rendono meno utilizzabili l’aria e le acque, rendono meno fertile il suolo e, soprattutto sconvolgono irreversibilmente il clima. Più difficile continuare ad abitare.

La falsa narrazione delle destre reazionarie, xenofobe e razziste opera quotidianamente con l’indice puntato contro i migranti. Agita i pericoli e le paure derivanti dal rischio presunto dell’invasione di orde che minaccerebbero l’ordine e il benessere acquisito. Spesso si tratta del benessere di quanti, nel loro orizzonte consumistico, pretendono che le risorse siano messe esclusivamente a loro disposizione.

Viviamo in un sistema ignaro delle persone e dei corpi ed in cui il pensiero dominante, che presuppone che non ci sia spazio per tutti su questo Pianeta e che addirittura non basti una Terra sola, non mette in conto il degrado ambientale né gli effetti di un aumento della temperatura sulle possibilità di sopravvivenza, innanzitutto di chi abita - frequentemente in condizioni di povertà - i territori più vulnerabili. Nel corso di poche decine d’anni sono peggiorate le opportunità di sostentamento e di esistenza che - in maggiore o minor misura a seconda della collocazione geografica - sono esposte all’intensità di eventi climatici. Anziché risalire all’origine - cioè alla responsabilità antropica - di uno dei cambiamenti più rapidi registrati nella storia recente dell’atmosfera terrestre, si applica la forza e si nega il diritto, scaricando non soltanto le conseguenze ma anche i costi della crisi ecologica su chi sta in basso. Il respingimento di quanti cercano di rifugiarsi nei territori meno colpiti, si rivela così brutale da concorrere consapevolmente al rilancio di quelle categorie di esclusione e di identità che sono state all’origine di autentiche tragedie nella storia. Ma non si tratta solo di avversare decisioni perfide: bisogna cambiare registro. Se il clima non diventa un’emergenza per l’umanità tutta, prima o poi tutti saremo migranti. E’ il capitalismo neoliberista e insieme negazionista che ha bisogno di aggiungere la xenofobia alla rapina delle risorse naturali e allo sfruttamento del lavoro, creando così un ulteriore strumento di sfrangiamento sociale. Bisogna prendere atto di una capacità inesauribile di adattamento alla contingenza, che passa dall’individualismo competitivo ad una sorta di “individualismo della paura” (forse questo distingue Berlusconi da Salvini…) contro, ovviamente, l’ecologia integrale e in opposizione così incomponibile da prevedere l’esclusione dai diritti di cittadinanza - e perciò di esistenza politica - per gli stranieri costretti a migrare. Lo scopo è quello di lucrare consenso in sovranità “protette” per perpetuare l’ingiustizia sociale più generale, intrinseca ad un modello di crescita innaturale. Si conferma per antitesi quanto giustizia climatica e sociale procedano necessariamente in parallelo. In definitiva, ci troviamo per la prima volta di fronte ad uno schema economico e tecnocratico che, mentre cancella la cura della casa comune e la piena occupazione, promuove un’umanità frantumata. Un sistema che caldeggia il superamento dell’umano, da duplicare asessuato e sostituire magari con braccia e intelligenza artificiali.

Non bastano più le chiavi interpretative che ci fornisce la “cassetta degli attrezzi” ereditata da una cultura e da un’idea dello sviluppo continuo, spiazzate dalla velocità dei flussi della globalizzazione e dalla concentrazione della ricchezza. Non siamo affatto - bisogna riconoscerlo - padroni già di un’autentica rivoluzione culturale. Ci proviamo con tutta la memoria ed andando oltre le ricette del passato. Quando il nuovo quadro sarà reso più organico, vista la portata della posta, ci troveremmo – come dice Riccardo Petrella, esagerando, ma non troppo «nelle condizioni dei copernicani segnati a dito dai tolemaici».

Ascoltandoci e scambiando esperienze, ci proponiamo già dalla riunione odierna di cogliere e praticare una direzione diversa da quella della globalizzazione univoca. A questo proposito, una consapevolezza di massa del significato del cambiamento climatico non è rinviabile. L’impresa sta in una torsione che potremmo definire verso il “terrestre”: l’unica prospettiva che risponda ad un’evoluzione dell’umanità con le sue differenze, ma non divisa e in sintonia con la biosfera e il limite della natura. Emergono infatti con sempre maggior evidenza e discontinuità fattori che mettono in relazione il futuro della società umana con la cura per l’ambiente nella sua interezza. La scienza moderna, che ricostruisce quasi per intero la storia e l’evoluzione dell’Universo dalle sue origini, fa emergere la singolarità della vita sul nostro pianeta; spiazza altresì la visione antropocentrica e fornisce l’interpretazione della biosfera come un insieme di processi, di rigenerazioni e di riparazioni che combattono e dilazionano nel tempo il disordine e il degrado. Aver cura coscientemente della Terra diventa l’orizzonte da condividere; negare le implicazioni sociali di questo obbligo e erigere muri per delimitare inclusi e scarti equivale a perdersi irrimediabilmente, oltre a precludere il diritto della pace e l’universalità dei diritti civili e sociali conquistati.

Sia l'economia capitalista che il clima mondiale rappresentano sistemi complessi e dinamici. L'incertezza rispetto al cambiamento climatico e ai suoi effetti economici ha a che fare con l'interazione di questi due sistemi complessi. A peggiorare le cose, sia il sistema climatico che l'economia umana sono sottoinsiemi della biosfera e sono inseparabilmente interconnessi in modi estremamente complessi con innumerevoli altri processi biogeochimici. Molti di questi vengono trasformati dall'azione umana. Secondo l’IPCC siamo molto vicini alla rottura dell’equilibrio, al di là del quale lo stato energetico complessivo del pianeta raggiungerà un punto di non ritorno. E non sarà semplicemente un cambiamento graduale, un aumento del disagio cui adattarsi con mezzi economici e tecnologici. Le previsioni più aggiornate (dall’IPCC al Pentagono) indicano come probabile un cambiamento brusco, con un massiccio sconvolgimento sociale, una ridislocazione incontrollabile di nativi costretti a spostarsi fuori dai loro paesi. Inaspettatamente, le stesse previsioni segnalano un’eterogeneità molto significativa nel peggioramento delle performance economiche e nel tenore di vita medio, proporzionalmente più a sfavore dei paesi ricchi (USA e Brasile) e di quelli con maggior popolazione (India e Cina). In ogni caso, l’instabilità climatica sarà lo scenario delle prossime decadi.

600 milioni di schiavi sono stati deportati nelle Americhe; 250 milioni di nativi sono stati uccisi nel Nuovo Continente; si calcola che 2 milioni di fanciulli lavorino in condizioni massacranti nelle miniere africane e del Brasile. Le strategie economiche delle multinazionali in Asia ed Africa sono tutt’ora la causa per cui una parte consistente di emigranti parte per evitare regimi di schiavitù. Ma sempre più saranno la siccità, le inondazioni e l’innalzamento del livello dei mari ad obbligare a trasferirsi a qualunque costo dalla terra d’origine. Ogni minuto 60 persone sono costrette ad abbandonare le proprie case a causa di conflitti, persecuzioni e mutamenti ambientali. A metà 2018 sono registrati come migranti in tutto il mondo 65.6 milioni di persone, un numero senza precedenti costretto a fuggire dal proprio Paese. Di queste persone circa 22.5 milioni sono registrate come rifugiati, più della metà con età inferiore ai 18 anni. Ci sono inoltre 10 milioni di apolidi cui vengono negati una nazionalità e l’accesso a diritti fondamentali quali istruzione, salute, lavoro e libertà di movimento.

La transizione energetica richiede profondi tagli delle emissioni di CO2 (dall'80- al 95% entro il 2050) in presenza di un marcato sviluppo delle fonti rinnovabili, chiare vincitrici anche nella competizione per il costo del KWora prodotto. In questa prospettiva, la maggior parte delle riserve di combustibili fossili deve rimanere sottoterra incombusta, mentre va riconvertito un apparato industriale ed un sistema di distribuzione e mobilità ancora per la maggior parte dipendenti dal sistema fossile centralizzato. La chiave non è tanto tecnologica quanto logistica e organizzativa: la rivoluzione industriale aveva disconnesso completamente i territori dalle fonti, ma ora è possibile rimettere a fuoco città e territori, che vanno ridisegnati come sistemi in cui l'energia è distribuita più vicino alla domanda; la fonte è diffusa e di provenienza solare diretta; le perdite di rete sono minimizzate; l’efficienza e il risparmio vengono incentivati; gli edifici possono diventare passivi e mettere in rete essi stessi il surplus accumulato, con l’obiettivo di fondo di una rapida decarbonizzazione dell’economia. Le comunità dell’energia si stanno diffondendo: su di esse sarebbe opportuno spostare le risorse destinate ai fossili, che in Europa gravano oggi per 600 €/anno a cittadino.

I cambiamenti climatici avvengono a dimensione globale, ma una governance globale è solo sulla carta. Se teniamo conto che è in pericolo la base naturale della specie umana e che i meeting mondiali indicano solo vagamente limiti che dovrebbero essere cogenti, la salvezza viene dal locale. Non basta mobilitarsi per le generazioni future: in gioco c’è la dignità di noi stessi, ora, e, perciò, va sviluppata una narrativa che penetri nel mondo vitale delle persone da raggiungere in carne ed ossa. L’idea di una buona vita rende condivisibile la preoccupazione per il clima. Pur nel rigore dei contenuti, l’educazione e la narrativa sul clima deve saper coinvolgere diverse appartenenze e ispirazioni nonché responsabilizzare tutte le forze politiche e le istituzioni (es. in Lombardia 160 Comuni sono governati dalla Lega).

Una Proposta di Legge di iniziativa popolare, lanciata a Roma in Gennaio, fissa l’inversione di tendenza all’aumento di emissioni di climalteranti in Italia a partire dal 2020, per azzerarle entro il 2050. Si basa su 100% rinnovabili e sull’uso dell’idrogeno come vettore e serbatoio di energia, da usarsi sia per fini industriali, sia di mobilità che per celle a combustibile per gli edifici. Una legge analoga è stata proposta in Francia e approvata nel 2015, ma una sua estensione veicolata dalla direttiva RED II dell’Unione Europea trova profondi contrasti nei governi del “gruppo di Visegrad.”

A titolo di esempio di cooperazione nel campo energetico da parte di ONG, in Senegal, nel cuore della savana ad una decina di km dal fiume Gambia, è in corso di realizzazione un orto di 25 Km quadrati, sostenibile al 100% con energia solare, dotato di un impianto di irrigazione a pioggia, in grado di approvvigionare sei villaggi e impiegare 17 contadini locali.

La programmazione di lavoro dignitoso e di crescita dell’occupazione trova nel passaggio dalle fossili alle rinnovabili concrete opportunità di successo. Nel campo delle “energie verdi” l’innovazione porta lavoro qualificato e, al contrario dell’automazione nel manifatturiero tradizionale (la famosa 4.0…), non è “labour saving”. La manifattura per eccellenza, che sforna da decenni auto individuali e l’intero comparto petrolifero sono giustamente accusati di concorrere all’insostenibilità, sia per gli effetti inquinanti prodotti dal binomio, sia per le conseguenze redistributive della tassazione dei veicoli e dei carburanti. Nel convegno è stata suggerita la versione della “carbon tax” alternativa alle “ecotasse”, per cui, alle compagnie che operano nel campo dei combustibili fossili, verrebbe addebitata una “tassa sul carbonio” (per tonnellata di CO2 emessa) imposta alla sorgente, al pozzo minerario o al punto d’ingresso del processo attivato dal carburante. L’ammontare del prelievo risulterebbe neutrale rispetto al bilancio statale perché, una volta incassato, sarebbe ridistribuito per intero come dividendo su base pro capite alla popolazione che paga le tasse (potremmo definirlo un reddito di cittadinanza ecologica).

Aggiunte finali del curatore
Non si può ignorare l’enorme rischio che l’Amazzonia, il polmone del mondo, sta vivendo dopo l’elezione del nuovo presidente brasiliano. Si prospetta uno scenario di attacco ai popoli della foresta e alla foresta stessa, a favore dell’interesse dei grandi proprietari terrieri e delle grandi società dei minerali, del petrolio, della soia, del legname. Va ricordato che il Consiglio Comunale di Milano, 30 anni fa, quando fu dedicato a Chico Mendes in piazza Fontana un cippo ed un albero in ricordo del suo sacrificio, prese l’impegno di proseguire la sua lotta in difesa della foresta. Nella regione dell’Acre, della cui Camera del Lavoro Chico fu segretario, sono state assunte misure e progetti cooperativi e comunitari che hanno rivoluzionato il rapporto tra cittadini brasiliani, campesinos, indigeni, siringueros, togliendo l’egemonia dei cocaleros lungo il confine con la Bolivia. Occorre dar seguito ad un percorso che è risultato esemplare per tutta l’Amazzonia.

Reinventare le nostre infrastrutture ad alta intensità di carbonio è fondamentale e pregiudiziale se si vogliono raggiungere realmente e non lasciare sulla carta gli obiettivi dell'UE e dei documenti su cui si svolgono le Cop sui cambiamenti climatici globali. Il raggiungimento di riduzioni delle emissioni dell'80-95% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050, deciso in ambito UE con scarsa convinzione, richiede un processo di "decarbonizzazione" dell’economia a tutti i livelli. L’Italia e l’Europa continuano a usare come paravento il minor impatto in climalteranti del gas rispetto agli altri fossili. Si tratta di un autentico escamotage per mantenere inalterate le strutture centralizzate del vecchio sistema. E’ fuor di dubbio che la realizzazione della TAP, in una fase in cui la questione climatica assume una valenza discriminante, assumerebbe davvero tutto l’effetto simbolico di una sottomissione a “quell’Ancien Regime” di cui le lobby sono sostenitrici.

La decarbonizzazione avrebbe implicazioni di grande valenza sull’area mediterranea oggi al centro della tragedia dei migranti e sottomessa in una pluralità di Paesi a regimi autoritari e a forme di sfruttamento intensivo delle risorse naturali. La forma territoriale dell’approvvigionamento energetico distribuito e la cultura cooperativa che lo ispira, avrebbero grande influenza sulla convivenza dei popoli che si affacciano alle rive del Mare Nostrum, favorirebbero legami culturali più aperti ed una autentica integrazione dall’una all’altra sponda sia per le comunicazioni che per la mobilità. Si renderebbero automatici e oltremodo utili scambi di esperienze, integrazioni di standard ed un trasferimento di tecnologie e ricerca applicate all’industria e all’agricoltura, rendendo più labile la linea di demarcazione tra Nord e Sud Europa. L’Europa per prima ne trarrebbe beneficio, optando per una autonomia energetica fondata su sole, vento e acqua anziché su petrolio gas e carbone. (C’è una alternativa alle trivelle in mare…)

Contrariamente a quanto viene sostenuto dalla Commissione Europea, vanno promosse aziende energetiche municipali pubbliche, incaricate non solo di fornire energia elettrica rinnovabile per le proprie strutture, ma anche per cittadini e aziende. L’Utility pubblica dovrebbe avere per missione una particolare attenzione ed una diffusione della democrazia energetica. In particolare, dovrebbe facilitare la produzione autonoma di energia rinnovabile da parte dei cittadini e di altri attori locali da mettere in rete, promuovendo il networking tra nuovi produttori e incoraggiando la creazione di cooperative di piccoli produttori sotto gli auspici della municipalità. Per condomini ed edifici, un ruolo di ESCO dell’azienda municipale assicurerebbe garanzie finanziarie ai cittadini e un rendimento degli investimenti. Risolverebbe infine un ruolo decisivo e democraticamente validato per la pianificazione urbanistica in chiave energetica.

Va impresso un forte impegno politico per combattere la povertà energetica: la questione della povertà di carburante è dilagante: colpisce un europeo su sei.

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