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Alessandro dal Piaz
La Città Metropolitana di Napoli ha pubblicato il piano territoriale
27 Gennaio 2018
Napoli
Un'occasione d'oro per tentare di dare ordine, vivibilità e tutela delle qualità naturali e storiche del territorio e delle comunità che lo abitano. Ma si impegneranno su questo terreno le forze alternative ai «poteri forti dell’avidità speculativa e della sopraffazione»?

Un'occasione d'oro per tentare di dare ordine, vivibilità e tutela delle qualità naturali e storiche del territorio e delle comunità che lo abitano. Ma si impegneranno su questo terreno le forze alternative ai «poteri forti dell’avidità speculativa e della sopraffazione»?

Lo scorso 19 dicembre la Città metropolitana napoletana ha pubblicato il piano territoriale, dando a comuni, associazioni e cittadini 60 giorni per la presentazione di osservazioni.

Com’è noto, la “legge Delrio”, la n. 56 del 2014, ha modificato radicalmente consistenza e procedure di formazione degli organi elettivi delle province, sostituendo queste ultime, per gli ambiti dei 9 più grandi capoluoghi regionali, con un nuovo ente, denominato appunto “città metropolitana”.

Esso è amministrato ope legis dal sindaco del capoluogo con l’ausilio di un consiglio metropolitano eletto fra di loro, con voto ponderato in relazione alla dimensione demografica dei comuni, dai soli sindaci e consiglieri comunali dell’ambito coincidente con il territorio della preesistente provincia. Una rappresentanza indiretta di questo genere determina una straordinaria debolezza politica del nuovo ente, percepito come lontano dagli interessi sociali dei territori e percorso da accordi feudali fra i partiti. La legge ammette il passaggio ad un ente con organi eletti direttamente a suffragio universale subordinandolo però a condizioni non facilmente conseguibili, quali la suddivisione del territorio metropolitano in “zone omogenee”, definita d’intesa con la regione, e quella del territorio comunale del capoluogo in municipalità, le une e le altre dotate di significative autonomie amministrative. A valle del conseguimento di tali condizioni, sarà poi necessaria l’approvazione di un’apposita legge elettorale statale.

A Napoli lo statuto metropolitano è stato approvato dalla conferenza metropolitana (l’assemblea di tutti i sindaci), su proposta del consiglio metropolitano, con qualche ritardo, solo al termine della primavera 2015. In aderenza alle indicazioni della legge Delrio, esso considera centrale per l’ente e le sue attività il “piano strategico” triennale (da aggiornarsi annualmente), con il quale deve rapportarsi, fra gli altri strumenti, il “piano territoriale metropolitano”, articolato in una componente strutturale, valida a tempo indeterminato, ed una operativa, di validità triennale.

A quasi tre anni di distanza dall’approvazione dello statuto, a conferma dei limiti politici del nuovo ente, le attività per la formulazione del piano strategico stentano ancora ad avviarsi, mentre si presenta meno arduo il percorso relativo al piano territoriale. Quello ora pubblicato, infatti, è in sostanza il piano territoriale di coordinamento proposto nel 2008 e aggiornato nel 2014 dalla provincia di Napoli. La città metropolitana aveva già deciso di adottarlo con delibere del sindaco metropolitano del gennaio e dell’aprile 2017, che avevano incontrato reazioni contrastanti dei comuni e delle forze sociali. Va sottolineato, innanzitutto, che la legge regionale sul governo del territorio, la 16/2004, cui sono state apportate più volte modifiche parziali, non è stata adeguata in merito, ragion per cui non sono ancora formalmente definiti né i contenuti del piano territoriale metropolitano né le procedure per la sua approvazione. In riferimento a tale situazione di incertezza giuridica, gli atti della città metropolitana dichiarano con chiarezza la volontà di interpretare l’iniziativa in corso come l’avvio di un percorso “ponte” verso il futuro strumento di governo territoriale.

La coincidenza temporale con la campagna elettorale per il parlamento nazionale non sta, tuttavia, facilitando il dibattito sul piano, pressoché ignorato dagli organi di informazione e considerato finora assai poco anche dalle amministrazioni comunali. Ed è una circostanza negativa perché esso può indubbiamente costituire un utile base di partenza, dal momento che la sua impostazione denota adeguata consapevolezza della complessità delle questioni con cui misurarsi e della necessità di un approccio strategico olistico e integrato. Le sue opzioni fondamentali mirano infatti ad intrecciare fra loro:

- la tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale come scelta strategica per un diverso sviluppo, liberato dalle mistificazioni della crescita quantitativa e basato sulla valorizzazione economico-sociale delle qualità identitarie, intese prima di tutto come fattori di benessere per le comunità insediate;

- il drastico contenimento del consumo di suolo, non consentendo le tradizionali espansioni urbane su territori agricoli, ma solo calibrate densificazioni insediative di aree già parzialmente urbanizzate o edificate con basse densità edilizie, e promovendo invece l’alleggerimento demografico degli ambiti vesuviano e flegreo a più elevato rischio vulcanico;

- il superamento degli squilibri fra il distretto centrale del capoluogo e i territori periferici dell’hinterland in direzione di una riorganizzazione policentrica e reticolare del sistema urbano verso “una città di città”, basata sulla riqualificazione ambientale, sulla complementarità funzionale e sull’integrazione socio-culturale di tutti gli aggregati insediativi;

- il perseguimento di un sistema intermodale di mobilità che valorizzi il trasporto collettivo e riduca il traffico automobilistico privato, integrando inoltre le reti di trasporto in modo da temperare l’antica polarizzazione radiocentrica sul capoluogo con nuove connessioni dirette fra i settori esterni dell’area metropolitana;

- la protezione e la riqualificazione paesaggistico-ambientale dei territori agricoli, tutelati anche per la loro elevata produttività, innervandoli inoltre mediante una adeguata rete di corridoi ecologici agganciati al sistema dei parchi (parco naturale nazionale del Vesuvio; parchi naturali regionali dei Campi Flegrei, dei Camaldoli, del Partenio, dei Monti Lattari e del fiume Sarno; parco agricolo dei Regi Lagni);

- la qualificazione polisettoriale delle attività produttive puntando su energie rinnovabili, tecnologie avanzate e interdipendenze settoriali, nel cui contesto ruolo prioritario viene riconosciuto alla rigenerazione urbana.

È evidente che l’anticipazione di fatto, rispetto al piano strategico, di uno strumento urbanistico così connotato determinerebbe qualche garanzia in più circa la sostenibilità delle prossime politiche di sviluppo. Diventa perciò decisiva, ora, la questione delle modalità di costruzione del piano strategico, soprattutto in rapporto alla necessità di coinvolgimento autentico, oltre che delle istituzioni elettive, anche di tutte le forme sociali di autorappresentazione e di tutti i soggetti che stanno animando le numerosissime vertenze dal basso oggi in atto, specie per la difesa dei beni comuni e il recupero sociale di immobili e spazi abbandonati o violati. Il confronto dovrà insomma assicurare non solo l’efficacia dell’elaborazione, ma anche una sua più sostanziale democraticità.

Non sarà una partita facile. I poteri forti dell’avidità speculativa e della sopraffazione western non stanno alla finestra: lo prova, ancora una volta, l’ennesima proroga del famigerato “piano casa” che la Campania ha deciso qualche settimana fa, nel consueto bailamme delle decisioni di fine anno, confermando la linea politica derogatoria e cementiera dell’attuale maggioranza regionale.

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