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Corrado Stajano
Il secolo dei bimbi sterminati Una tragedia che non è finita
30 Novembre 2017
Libri da leggere
Corriere della Sera, 30 novembre 2017. La recensione al saggio di Bruno Maida L’infanzia nelle guerre del Novecento. «I bambini con il fucile in mano rappresentano il fallimento degli adulti e della cultura dell’Occidente ». (m.p.r.)

Corriere della Sera, 30 novembre 2017. La recensione al saggio di Bruno Maida L’infanzia nelle guerre del Novecento. «I bambini con il fucile in mano rappresentano il fallimento degli adulti e della cultura dell’Occidente ». (m.p.r.)


Bruno Maida L’infanzia nelle guerre del Novecento, Einaudi 2017.p.360, €10,99

È difficile dimenticare «la bambina della foto», Phan Thi Kim Phúc che l’8 giugno 1972 corre corre, bruciata dal napalm durante la guerra del Vietnam. Si è strappata la vestina che aveva preso fuoco, urla e piange, le braccine spalancate, immortalata dal fotografo Nick Ut che la porterà all’ospedale dove sarà salvata.

I bambini e la guerra. Il dolore e la pietà. La violenza e l’aggressività. La vita appesa a un filo traballante. La gratuità della morte. Le stragi belluine. Le guerre patriottiche e quelle di rapina. I bambini vittime. I bambini soldato. I bambini protagonisti. I bambini testimoni di genocidi e di altri fatti atroci che non dimenticheranno mai, non diversamente dagli adulti. (La guerra, risulta da tanti segni, memorie, diari, è forse il fatto che per tutta la vita non smette di pesare sul cuore dell’uomo) .

Bruno Maida, ricercatore dell’Università di Torino, ha scritto per Einaudi un corposo saggio sui bambini e i conflitti nel mondo: L’infanzia nelle guerre del Novecento un libro importante e partecipe, fondato su una ricchissima documentazione. Autore di uno studio sulla Shoah dei bambini, Maida articola ora il suo nuovo libro in una serie di capitoli tematici: il rapporto tra infanzia e guerra, la legislazione sui civili diventati i veri attori dei conflitti, la Prima guerra mondiale, il fascismo, il nazismo e lo stalinismo, la Seconda guerra mondiale, i processi di decolonizzazione postnovecenteschi, le eredità delle guerre, i ricordi dei bambini e quelli sui bambini.

Le guerre nascono col mondo e con loro anche i bambini soldato, non sempre costretti, ma affascinati non raramente dalle divise e dalle armi. Il gioco della guerra.

Napoleone creò il Reggimento dei Pupilli della Guardia; nella guerra civile americana avrebbero combattuto centomila ragazzi di età inferiore ai 15 anni. Tra i Mille di Garibaldi risultano un undicenne, due tredicenni, tre quattordicenni e altrettanti quindicenni. Nel Cuore di De Amicis - Il tamburino sardo, La piccola vedetta lombarda - i fanciulli sono ansiosi di prender parte, le armi in pugno, alle guerre risorgimentali.

Nelle guerre del Novecento il numero dei morti è raccapricciante: 100 milioni, di cui 62 milioni di civili, senza contare quasi 100 milioni uccisi in altre stragi. Numerosi i morti bambini e ancor più gli orfani, con la conseguente degenerazione di intere comunità.

Nel 1945 si pensava che dopo la bomba atomica, dopo la Shoah, si sarebbe vissuti serenamente, al riparo dalle bombe. In Europa è accaduto, o quasi - se non si considera il terrorismo - ma si calcola che in quel secolo i conflitti siano stati nel mondo quasi 250. Soltanto negli anni Novanta del Novecento - scrive Maida - sono scoppiate 30-40 guerre. L’80 per cento delle vittime sono civili, moltissimi tra loro i ragazzini: una stima indica che tra il 1985 e il 1995 ne siano stati uccisi circa due milioni.

Fin dalle origini il fascismo è portatore della sua dottrina militaresca anche per gli innocenti pargoli. A sei anni gli scolari indossano la divisa di figlio della Lupa, il fucilino del balilla moschettiere è il gran miraggio. I maestri, che indossano la sahariana nera col pugnaletto alla cintura, predicano la fede nella grandezza imperiale di Roma. Il desiderio di arruolarsi, piccoli soldati, soprattutto al tempo della guerra d’Etiopia, è cocente. Mussolini è il mito vivente: «Giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione fascista», recita l’obbligato giuramento. Poveri bambini, si sa come andrà a finire.

Il nazismo segue la stessa via, ogni bambino deve essere un cittadino-soldato al servizio del Führer, «da prima del suo concepimento». «A scuola - scrive Maida - le lezioni di religione terminavano con il saluto al Führer. (...) I bambini dovevano esclamare all’inizio: “Heil Hitler! Sia lodato Gesù Cristo in eterno, amen”, per concludere con: “Sia lodato Gesù Cristo in eterno, amen. Heil Hitler!”».

In Unione Sovietica le cose non andavano diversamente. I giovani pionieri dovevano essere sempre pronti alla lotta per la classe operaia: giuravano di esser fedeli ai precetti di Lenin, di voler combattere con fermezza per il comunismo. Ordine e disciplina. Libri e moschetti anche qui. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale i pionieri erano 11 milioni. Nella figura del generale Kutuzov che nel 1812 aveva sconfitto le armate di Napoleone, i piccoli russi dovevano intravedere le virtù leggendarie di Stalin.

Furono i nazisti, forse, i bambini che impararono meglio la lezione. Un esempio. Nel 1943 fu creata la 12ª SS Panzer Division Hitlerjugend, 10 mila ragazzi. Combatterono su più fronti, soprattutto in Normandia. «Fanatici e motivati», scrive Maida, «ne sarebbero tornati a casa solo seicento».

Dei sei milioni di ebrei uccisi durante la Seconda guerra mondiale almeno un milione erano bambini. Pochissimi riuscirono a salvarsi nei lager di Treblinka, Sobibór, Belzec, Chelmno. «La condizione dell’infanzia ad Auschwitz è incarnata in Hurbinek, che era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz, dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva nulla di lui, non sapeva parlare e non aveva nome»: lo racconta Primo Levi nel suo La tregua. «Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole».

Poi nella seconda metà del Novecento e nel Duemila affliggono il mondo guerre spesso sconosciute, portatrici di fame, di povertà, di disperazione, di marginalità.

Le fabbriche di armi sono sempre al lavoro. Lo insegna Trump. Ma anche negli anni passati non sono mai mancate le commesse: dal 1997 al 2000 sono state vendute nel mondo armi leggere per 51 miliardi di dollari.

Maida racconta storie di bambini che non hanno mai visto una scuola, come in Colombia; di bambini palestinesi che conoscono soltanto il campo profughi dove sono nati; di bambini che in Rwanda, secondo una ricerca dell’Unicef, sono stati testimoni di assassinii, hanno visto uccidere i famigliari, sono stati minacciati di morte. In Siria, tra il 2011 e il 2013, sono stati uccisi più di 10 mila bambini; in Pakistan, nel 2014, i Talebani hanno ammazzato in una scuola 132 bambini; in Cambogia, tra il 1975 e il 1979, morirono in guerra circa 2 milioni di persone, innumerevoli i bambini, spesso con il kalashnikov al collo. Nella guerra tra Iran e Iraq, negli anni Ottanta del Novecento, persero la vita centomila bambini iraniani, con in tasca il «passaporto per il Paradiso»; in Uganda, secondo un documento del Congresso americano del 2009, oltre 66 mila bambini.

L’Asia, l’Africa, il Sudamerica sono stati i luoghi della geografia della morte. I diamanti in Sierra Leone, il coltan, un minerale prezioso, in Uganda, la cocaina in Colombia sono serviti e servono ad arricchire i capi delle milizie armate e a procurarsi armi.

Quali sono state e quali sono le manchevolezze del Diritto Internazionale, della vecchia Società delle Nazioni, dell’Onu, della Unione Europea?

Scrive Maida: «I bambini con il fucile in mano rappresentano il fallimento degli adulti e della cultura dell’Occidente che produce armi, le vende e ci si arricchisce dopo avere avuto una responsabilità non secondaria nella povertà e nel caos di quei Paesi che vivono in uno stato di guerra perenne».

L'articolo è tratto dal Corriere della Sera on line. L'originale è accessibile qui
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