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Lodo Meneghetti
Centenario della rivoluzione sovietica. Fallito il socialismo, demoliti gli edifici realisti. Salvare l’arte e l’architett
15 Novembre 2017
Lodovico (Lodo) Meneghetti
Sia che le proposte urbanistiche degli anni Venti fossero di «urbanisti» o di «disurbanisti», ci pensò il Comitato centrale sovietico del 16 maggio 1930 a decretarne la morte o la stentata sopravvivenza (segue)

Sia che le proposte urbanistiche degli anni Venti fossero di «urbanisti» o di «disurbanisti», ci pensò il Comitato centrale sovietico del 16 maggio 1930 a decretarne la morte o la stentata sopravvivenza (segue)

Sia che le proposte urbanistiche degli anni Venti fossero di «urbanisti» o di «disurbanisti», ci pensò il Comitato centrale sovietico del 16 maggio 1930 a decretarne la morte o la stentata sopravvivenza, tacciandoli di estremismo, utopismo e, per eccesso di incoerenza, di opportunismo. Lenin era morto da sei anni. Egli riconosceva il ruolo indispensabile della città per il progresso sociale ma l’ideale di sopprimere l’antagonismo fra città e campagna era al primo posto. Sarà Stalin a dichiarare con impressionante noncuranza tautologica che «l’eliminazione delle differenze sostanziali fra l’industria e l’agricoltura non potrà portare all’eliminazione di qualsiasi differenza fra di esse. Una certa differenza… incontestabilmente rimarrà, a causa delle differenze esistenti nelle condizioni di lavoro nell’industria e nell’agricoltura»[1].

Il realismo era avverso all’utopismo e soprattutto al modernismo, come si confermerà in seguito per la restante durata dello stato sovietico a causa dell’ordine zdanovista applicato all’arte e all’architettura.

Leggiamo l’articolo del Guardian in eddyburg. Da una parte risaltano trionfalistiche costruzioni e sistemazioni pseudo-sociali di abbellimento urbano, dall’altra risuonano pesanti passi dell’oca verso il «cambiamento», ossia la privatizzazione dell’edilizia includente vecchi e umani spazi comunitari. Non esiste in Russia nel modo di costruire la città alcuna cultura e pratica differenti da quelle dominanti nel mondo della globalizzazione urbana.

L’architettura di oggi a Mosca
Quella, sempre a Mosca, del 1952

Come in qualsiasi paese d’occidente deturpato dalle ignobili scelte d’architettura urbana in un medio ed estremo oriente in grado di esportarle, Mosca esibisce, e continuerà a farlo nel futuro, i soliti grattacieli dritti, torti, sciancati come dappertutto, credendo con questi di dar lezione sbeffeggiante ai sette famosi edifici alti e complessi definiti «stalinisti» (Stalinskie Vysotki): dall’Hotel Ucraina all’Università Lomonosev, dall’Hotel Lenin al Ministero degli esteri, e così via: uniche grandi costruzioni realistiche da noi selezionate come architetture storiche difese dalla loro stessa consistenza massiva nella determinata funzione, e recepite sensitivamente come organi emittenti note estreme di un neo-romanticismo né europeo né asiatico, o forse fusione di entrambi. Il romanticismo musicale russo potette prolungare la propria esistenza, proporzionalmente appartata, oltre l’ultimo ventennio dell’Ottocento grazie a Rachmaninoff (che lasciò la Russia nel 1917), musicista estraneo ai movimenti espressionistici e al rivolgimento viennese ma capace di portare gli ascoltatori che riempivano e riempiono tuttora gli auditori al più alto grado di commozione con le sue invenzioni tematiche, esaltate da un pianismo mirabolante e in se stesso tecnicamente (diremmo) romantico.

Cosa è successo all’architettura e all’arte della rivoluzione, cosa potrebbe succedere? Qual è il grado di riconoscimento dell’autorità e dei cittadini verso l’architettura moderna e l’arte geometrica parente stretta della prima? L’arte è caduta prima del 1930; aveva raggiunto vertici d’espressione oltre l’astrazione, collegata com’era al tema della construction e all’impaginato colto della propaganda sovietica negli anni precedenti e immediatamente successivi al 1920. La pittura e la scultura realiste (oltre alla letteratura), celebrative o commemorative, dovettero ad ogni modo attendere il superamento (effettivo o apparente) dei contrasti politici e culturali al centro e alla periferia del potere per approdare alla più inerte forma di interpretazione della vita nella Grande Russia quale modello di felicità. La prospettiva zdanovista al congresso degli scrittori nel 1934 sanzionerà definitivamente ogni deviazione. Dopo la sua morte sarà Stalin in persona, nei pochi anni che gli resteranno da vivere, a emanare pesanti critiche, censure e divieti, il cui effetto durerà a lungo. Sicché, all’interno di un consenso popolare privo di strumenti conoscitivi, non potranno formarsi né tantomeno affermarsi, nuovi artisti in nessuna disciplina. Unica eccezione la straordinaria figura di Dmitri Shostakovich, personaggio centrale di un racconto, non proponibile qui, sul rapporto fra l’arte e il potere.

L’architettura dopo la rivoluzione presenta una propria versione della tendenza che in diversi modi percorre l’Europa, tutti diretti a contestare l’eclettismo ottocentesco e i suoi retaggi, a cercare nuove strade, nuovi stili improntati alle ragioni fondamentali delle funzioni relative alle persone e alle domande sociali. Architetture diverse possono manifestare la stessa volontà di riforma, ma si è soliti identificare come maggioritario ed europeista il razionalismo originato in Germania e diffuso in altri paesi, magari trascurando esperienze non meno importanti benché localizzate in contesti regionali, per esempio Vienna o Amsterdam. In Russia numerose associazioni di architettura o di cultura in cui l’arte e l’architettura concorrono a creare condizione nuove, «rivoluzionarie », agiscono per rispondere modernamente alla gigantesca domanda di ogni genere di edifici e infrastrutture.

Gli architetti con alla testa i giovani non estranei agli sviluppi della disciplina in Europa ricevono il messaggio razionalista ma ne vogliono approfondire la costituzione più avanzata. Così si affermano correnti originali, in alleanza con l’arte geometrica cui abbiamo accennato, che avranno risonanza fuor dei confini. Razionalismo «sovietico», costruttivismo, cubofuturismo (preavvisato, se così si può dire, dall’avanguardia futurista in pittura fin dal 1912) testimonieranno con interventi in diverse città la grandezza di molte realizzazioni. La nuova architettura, diversamente dall’urbanistica, sembrò poter superare l’anatema del 1930 e infatti qualche risultato conforme lo ottenne ancora al principio del decennio, ma bastò poco tempo perché suonasse la grancassa del realismo socialista ripudiante l’opera avanguardista degli anni Venti.

Di qui possiamo riallacciarci agli interrogativi fatti. Esistono ancora in Russia, e anche in nuovi stati distaccatesi dall’«impero», numerosi complessi architettonici o unità che, come già avvenuto nel passato, potrebbero rischiare di scomparire stante la concezione urbana e architettonica predominante.

La Royal Academy of Arts ha organizzato per la fine del 2011 e l’inizio del 2012 la mostra Building the Revolution: Soviet Art and Architecture 1915-1935. Quattro città europee l’hanno accolta, Salonicco, Barcellona, Madrid e Londra. Il magnifico catalogo ci è arrivato da poco. Ne abbiamo ricavato una selezione, cinque lavori di grafica-pittura-modellini (quattro dal titolo Construction, uno con la proposta grafica di El Lizzistzky per il monumento a Rosa Luxenburg), sedici di architettura, disparati. Con queste ventuno figure abbiamo costruito un corpus di immagini facilmente consultabili: vedi qui sotto il rettangolo del frontespizio blu con la scritta; basta il doppio clic per aprire la serie a pieno schermo del pc, passando dall’una all’altra con un semplice clic o con le freccette di spostamento.

Clicca qui per sfogliare il catalogo

Il quadro d’insieme delle architetture evidenzia:
1.- Molti edifici appaiono in stato di degrado, tanto da richiedere interventi urgenti di restauro. In verità dove ha prevalso l’abbandono, spesso concentrato nell’industria ma non estraneo a nuclei abitativi, l’ipotesi del restauro sarebbe illusoria se non falsa.
2.- Qualche caso di restauro accurato emerge dalla rassegna. Vedi in particolare la bellissima scala «novecento» in un complesso a Ekaterinburg destinato originariamente a personale del KGB (privilegio delle élite?).
3.- Risalta la mancanza di manutenzione in edifici residenziali famosi, vedi la Casa comune di Ginzburg e Milinis in viale Novinski a Mosca.
4.- Al contrario, si nota come possa perpetuarsi la funzione sociale di complessi abitativi un tempo pubblici quando la soluzione urbano-architettonica sia stata particolarmente felice, vedi la Casa comune di Ginzburg e Pasternak a Ekaterinburg.

[1] G. Stalin, Problemi economici del socialismo nell’URSS, Ed. Rinascita, Roma 1953, pp. 40-41, cit. in V. Gerratana, Introduzione a F. Engels, Antidüring, Editori Riuniti, Roma 1971, p. XXVII, nota 11

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