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Enrico Bettini
L’amaro destino della “Cavallerizza” di Torino
19 Ottobre 2017
Torino
Nel dibattito sul destino del prestigioso complessodella Cavallerizza Reale di Torino interviene Enrico Bettini, tra gli autoridel progetto di restauro e riutilizzazione degli spazi di uno dei maggiori “monumentiurbani” di cui l’antica capitale del Regno d’Italia dispone.

Nel dibattito sul destino del prestigioso complessodella Cavallerizza Reale di Torino interviene Enrico Bettini, tra gli autoridel progetto di restauro e riutilizzazione degli spazi di uno dei maggiori “monumentiurbani” di cui l’antica capitale del Regno d’Italia dispone.


Il vicesindaco di Torino Guido Montanari (11.10.17), nel confutare le affermazioni di Forni-Negro (della cui ricerca si è avvalsa una proposta meta-progettuale coordinata dal sottoscritto) sulle intenzioni della sua giunta nei confronti del complesso castellamontiano denominato “Cavallerizza”, vuole dimostrare, a suo dire, che la giunta stessa è impegnata ad interrompere il processo di vendita e a riacquisire l’immobile anche se, per colpa di Fassino, non c’è un euro in cassa. Vengono di seguito forniti diligentemente i dati (con un po’ diconfusione tra sup. territoriale e sup. coperta): 16.000 sono i mq. diproprietà della Cassa Depositi e Prestiti (CDP); 25.000 i mq. di proprietà delfondo di cartolarizzazione attivato in precedenza dalla città (CCT); 1.200 imq. che la precedente amministrazione aveva già decartolarizzato,corrispondenti al solo Maneggio al chiuso, opera di B. Alfieri, il gioielloarchitettonico dell’ex ‘Zona di comando’ militare dei Savoia).

Montanari illustra dunque il nuovo processo. Iniziaa stabilire che, in realtà, l’area di proprietà della CDP (oltre un terzo ditutto il compendio) rimarrà della CDP, non si riacquisisce nulla, nemmeno inipotesi. Però con la CDP ci si sta accordando per la realizzazione, sul suolotto, di un ostello della gioventù (“importanteattrattore di giovani”) che la stessa CDP considera investimentoredditizio. Come esordio di tutta la sbandierata “..visione d’insieme nellaquale trovano collocazione una serie di progetti coordinati..”, del “..centro culturale di ricerca,sperimentazione, espressione delle arti performative..”, della smentita del “..paradigmadella privatizzazione..”, non c’è male.

Ma forse va meglio per le altre parti dell’enorme complesso. L’illustrazione di Montanari prosegue chiarendo che lastessa CDP potrebbe cedere una manica di sua proprietà per uno “spazio mostre”, non si sa per chi; nella parte delle cosiddette ‘pagliere’ si è orientati verso funzioni ricettive e terziarie; per la parte della ex Zecca, si prospetta la destinazione di residenza universitaria in accordo con l’EDISU (che ha già detto ai quattro venti che non è nelle sue possibilità alcun impegno); per l’ex Maneggio dell’Alfieri (l’unico attualmente di proprietà del Comune) si è deciso di darlo in gestione al gruppo di occupanti che dal 2014 dispone di tutto il compendio a proprio piacimento, avendo provveduto a sistemarvi alloggi personali del tutto abusivi, in totale azzardo rispetto alle condizioni di dichiarata pericolosità, dell’assenza del rispetto dei più elementari limiti di sicurezza degli edifici e non solo. Ecco, questo è il quadro della ‘vision’ del vicesindaco per la Cavallerizza di Torino. Questo è il suo ..processo di riacquisizione dell’immobile al fine della trasformazione dello stesso..”, e, sempre questo, è il suo proposito ”.. sicuramente ambizioso e innovativo, di elaborare un progetto di riqualificazione e gestione orientato con forza nella direzione del coinvolgimento della cittadinanza attiva..” (!). Non a caso Montanari, dopo queste inoppugnabili dimostrazioni, si diffonde maggiormente nell’illustrare la rifunzionalizzazione degli annessi giardini e relativi ‘garittoni’, con relazione inviata all’Unesco (della relazione sul suddetto riuso dei 43.000 mq dello “..straordinario complesso architettonico urbanistico..” non si occupa).

E’ evidente, anche ai profani di urbanistica, che questo non corrisponde forse al frazionamento in senso catastale ma in compenso rappresenta l’assoluta frammentarietà dell’idea progettuale; rappresenta l’incapacità (non volontà, più probabile) di fondare il progetto su linee guida unitarie e coerenti, su un’idea autenticamente di insieme: quella idea che per Amedeo di Castellamonte era la realizzazione di un’ampia zona della città di allora per la funzione militare per il regno; per la Torino di oggi, è –dovrebbe essere- la sua trasformazione in cittadella della formazione e della creatività giovanili secondo i principi inclusivi dell’inter-cultura promossa e coordinata grazie al coinvolgimento delle istituzioni culturali cittadine (Università e Politecnico, in primis) chiamate a realizzare un grandioso programma di unitarietà di intenti. Ne dovrebbe conseguire che ragionare a pezzi, come fa Montanari, è l’dea più sbagliata che si possa avere. E dire che nelle tante discussioni sulla Cavallerizza (quando Montanari non era ancora un politico) l’assioma per il suo riuso era l’unitarietà del progetto-programma di riuso e che avrebbe avuto senso solo se comprensivo di tutte le sue parti, nessuna esclusa. Ricordo che Montanari additava l’albergo nella ‘manica del Mosca’ (previsto dal ‘masterplan Fassino’) come emblema del modo scorretto e indegno di affrontare il ‘problema Cavallerizza’. Ora, preso –di fatto- il posto di Fassino, propone un ostello per giovani, gestito da un ente esterno. Un gran salto, non c’è che dire! Si era insieme criticato, a muso duro, il bando della giunta Fassino edito per la manifestazione d’interesse di investitori sulla Cavallerizza perché riguardava neanche la metà del compendio. Ma è evidente: era un altro Montanari, allora.

Ma c’è di peggio. Alcuni tra coloro che sviluppavano quelle critiche insieme a Montanari -tra cui il sottoscritto, la dott. Forni e il dott. Negro- gli avevano nel frattempo mostrato una elaborazione progettuale di massima (senza alcuna finalità di compenso) allo scopo di rendergli evidente la possibilità dell’applicazione di quei principi che, insieme, giudicavamo inderogabili. Abbiamo presentato tale bozza, e relativa relazione esplicativa, a tutte le istituzioni culturali ricevendone grande apprezzamento e, in alcuni casi, totale condivisione. Gli abbiamo anche fornito le cifre approssimate del restauro e risanamento e indicato il percorso di finanziamento più opportuno e realizzabile. Insomma, superato il tempo delle discussioni e delle comuni critiche alla vecchia giunta, il nostro grupposi è dato l’obiettivo di fornire credibilità all’attuazione delle idee e dei principi. Ci è parso evidente che per ottenere il concreto coinvolgimento di tutti gli ‘attori’ culturali e gestionali del suddetto programma e quello dei finanziatori, il mezzo migliore era (è) quello di richiederlo sulla base di un articolato progetto che fosse chiaro per tutti, che prevedesse tipo e modalità d’inserimento spaziale di ognuno di loro, tipo e modalità di gestione di ciascun ambito, tipo e livello di organizzazione della indispensabile gestione coordinata di tutte le attività e funzioni.

Montanari, nel suo nuovo ruolo politico, non ha seguito questa strada maestra. Ha, sì, convocato tutti i possibili interessati ma solo per dare l’immagine della loro partecipazione (e del rispetto del principio della partecipazione di tutti). In realtà, ha deciso di sposare in toto solo la posizione dal comitato degli occupanti estesa al diritto di autogoverno degli occupanti stessi, allargato a non meglio specificate assemblee cittadine ad imitazione dell’esperienza dell’”Asilo Filangeri” di Napoli (che riguarda un palazzo, non un intero settore urbano). Ne è scaturita l’enfasi sull’’uso civico’ “..motore eccezionale di cultura e di bellezza.. per cui si chiede ad un gruppo di cittadini di codificare un regolamento..”(com. stampa C.C. 25/09/17) e, immancabile, l’enfasi sui ‘beni comuni’. Questo il percorso Montanari-Appendino.

Risultato? Abbiamo perso per strada Università, Politecnico, Accademia delle Belle Arti, Conservatorio, Museo del cinema, Archivio di Stato, Cantiere scuola di restauro, ecc. ecc. primi attori della formazione di tutti. La formazione non è abbastanza civica? non è considerata importante? È stata dimenticata? Non fa parte della cultura? Che cos’hanno di non pubblico le migliaia tra studenti, ricercatori, artisti, professionisti, docenti, artigiani, attori, registi, restauratori, letterati, pubblicisti, strumentisti, linguisti, ecc. ecc. che un impianto fondato sulle gambe delle alte istituzioni culturali cittadine (situate tutte nei paraggi della Cavallerizza) avrebbe garantito? L’interpretazione spontaneista e movimentista della giusta esigenza di partecipazione civile ha sacrificato l’obiettivo strategico dell’organizzazione della convergenza delle diverse scuole e specializzazioni della cultura esistenti, cosa ben più difficile che pensare di risolvere il tutto con un po’ di mostre di super-avanguardia e programmi di visibilità decisi da assemblee di neo-comunardi (così da dispensare l’ente pubblico da ogni responsabilità). Molto più difficile, utile e urgente, incidere sull’assetto omologante e omologato delle istituzioni produttrici di cultura a Torino. L’obiettivo strategico rimane quello della ricostruzione della Cavallerizza da ‘zona di comando militare’ a un quartiere interculturale della Torino del XXI sec. per la ricerca totale di nuova cultura, germe di una possibile nuova società.

Si è persa per strada la sapienza secondo cui la vitalità, lo sviluppo e lo sperimentalismo culturali, l’innalzamento della creatività artistico e di largo pensiero dipendono proprio dalla struttura e dall’operatività sinergica delle agenzie di formazione del sapere. Avrebbe bisogno di una sede molto coesa e ben articolata tutto ciò. La Cavallerizza sarebbe stata la sua sede-città. Peccato.


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