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Alberto Melloni
L’abbraccio del Papa al profugo in difesa del diritto alla speranza
2 Ottobre 2017
Jorge Mario Bergoglio
la Repubblica, 2 ottobre 2017. Il significato del gesto di papa Francesco, nell'incrociare la sua mano di rifugiato con la mano d'un altro rifugiato. I tre diritti: il diritto alla cultura, come spirito critico, il diritto alla speranza, il diritto alla pace

la Repubblica, 2 ottobre 2017. Il significato del gesto di papa Francesco, nell'incrociare la sua mano di rifugiato con la mano d'un altro rifugiato. I tre diritti: il diritto alla cultura, come spirito critico, il diritto alla speranza, il diritto alla pace

Il polso del Papa col bracciale giallo col quale si numerano i profughi il suo- 390003 - non fornisce solo una immagine potentissima della visita di Francesco a Bologna. È un gesto profetico: riconfermato poco dopo davanti al corpo dell’università con una citazione, solo apparentemente innocua. In quel porgere il polso di Francesco c’è la profezia del vangelo di Giovanni (“Quand’eri giovane ti cingevi da te”). C’è la denuncia mite e durissima del tentativo di ridurre la sua istanza evangelica a espressione di un “un certo cattolicesimo”, da squalificare perché ingenua o potenzialmente “eretica” (come dice il tradizionalismo piccolissimo e rumorosissimo che si sforza di sembrare metà della Chiesa).

Tant’è che la forza profetica chiusa in quel 390003 non s’è esaurita all’hub dei profughi. Ha come riverberato nel discorso davanti all’università di Bologna, dove Francesco s’è rivolto all’ateneo più antico del mondo. Un discorso lontano da quelli d’occasione dei decenni passati e che ricorda per importanza quello di Ratisbona.
Nel settembre 2006 la prolusione tenuta da papa Ratzinger nell’ultimo ateneo dove aveva insegnato, diventò casus belli per una citazione bizantina contro l’islam. Il vezzo professorale per la citazione ad effetto (dicono che il cardinal Sodano lo avesse avvertito) si trasformò in una parola d’ordine per quel mondo xenofobo e relativista in materia di democrazia, a dispetto delle intenzioni del Papa. E ancora oggi le frange del tradizionalismo lo citano come il modo in cui un “vero” Papa dovrebbe farla vedere ai musulmani.
A Bologna Francesco ha fatto un discorso non meno denso, teologicamente e politicamente impegnativo: carico del sogno europeo e di una visione del mondo che relega la prolusione di Ratisbona al rango di precedente. L’ha fatto in un ateneo che in un certo modo è “suo”, non solo perché, come gli ha ricordato il rettore Ubertini, ha una sede a Buenos Aires: ma perché nella storia del papato le bolle del pontefice entravano in vigore quando venivano insegnate a Bologna, non quando venivano firmate a Roma.
E a Bologna Francesco ha portato un contributo alla concezione del diritto post-moderno individuando tre diritti — il diritto alla cultura, il diritto alla speranza, il diritto alla pace — che ha consegnato agli scolari e ai loro maestri.
Il diritto alla cultura, come coltivazione di un senso critico opposto ai “teatrini dell’indignazione”. Il diritto alla speranza come contrasto alle “frasi fatte dei populismi” e al “dilagare inquietante e redditizio di false notizie”. E infine il diritto alla pace.
Lo ha fatto glossando il magistero di Benedetto XV — il Papa che condannò la guerra come “inutile strage”. E lo ha fatto dichiarando che la Chiesa non è “neutrale, ma schierata per la pace” con una frase di Giacomo Lercaro: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia». Quella frase Lercaro la disse il primo gennaio del 1968, prima giornata mondiale della pace, facendo suo un testo di Giuseppe Dossetti. Detta in piena guerra del Vietnam, mentre si inseguiva la chimera di favorire un cessate il fuoco con la neutralità sui bombardamenti a tappeto, quella profezia costò all’anziano cardinale la rimozione dalla sede, al culmine di un complesso complotto, con mandanti ed esecutori. Bergoglio lo ha usato senza enfasi e senza riduzioni: perché la profezia è il suo registro.
Ricevendo il Papa, sia l’arcivescovo Zuppi sia il rettore Ubertini hanno ricordato l’altro Francesco venuto a Bologna nel 1222: che predicava modus concionandi e si faceva intendere da tutti. L’altro Francesco andato ieri a Bologna ha usato quel modus. E s’è fatto intendere.
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