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Maria Cristina Gibelli
DACA e ius soli: un monito dagli USA.
27 Settembre 2017
Maria Cristina Gibelli
Mentre in Italia si congela a tempo indeterminato il disegno di legge sullo jus soli, Trump è in difficoltà: forse i “dreamer” non verranno deportati. (segue)

Mentre in Italia si congela a tempo indeterminato il disegno di legge sullo Jus soli, Trump è in difficoltà: forse i “dreamer” non verranno deportati. Manifestazioni popolari, contromisure adottate a livello locale e statale, preoccupazioni espresse dalle università e dalle grandi imprese globalizzate stanno affossando la sua iniziativa per cancellare DACA, la misura di protezione dei giovani figli di immigrati introdotta da Obama. Un bell’avvertimento per il governo italiano e, in particolare, per il suo Ministro degli Esteri!

Il presidente americano, con l’usuale feroce cinismo che lo caratterizza, in settembre ha invitato il Congresso ad abolire DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), il programma adottato durante la presidenza Obama che consentiva a 800.000 giovani, immigrati illegalmente nell’infanzia con la loro famiglia e cresciuti negli USA ma ancora privi di documenti, di vivere, studiare, lavorare, accedere ai servizi sanitari, ottenere la patente di guida, etc. Il programma riguarda i cosiddetti dreamer: i giovani che, grazie a DACA, hanno potuto uscire dall’illegalità, anche se ancora in attesa di una legge per il pieno riconoscimento di cittadinanza (un diritto di cui gode invece chi nasce in America, a differenza dell’Italia). I dreamer sono una frazione insignificante degli 11 milioni di emigrati illegali che vivono e lavorano negli Stati Uniti. Ma anche su di loro Trump ha voluto accanirsi: respingendo i giovani nei paesi di origine delle loro famiglie, si affabulava in campagna elettorale, si sarebbero liberati posti di lavoro e si sarebbe attenuata la disoccupazione per i ‘veri americani’.

Il progetto di abolizione di DACA, pienamente coerente con il programma elettorale e l’evidente accento razzista dell’ideologia presidenziale, ha però già incontrato notevoli ostacoli: e infatti non è ancora stato approvato dal Congresso e, probabilmente, sarà abbandonato.

Sottostanti a questa ennesima probabile sconfitta del presidente ci sono diversi motivi. Il primo, e principale, è rappresentato dall’opposizione manifestata dalla maggioranza della popolazione di molte grandi città: da tutte le cosiddette “città santuario” e, soprattutto, dalle grandi città nelle quali la presenza di dreamer è cospicua - in primis le grandi città californiane dove risiede almeno un quarto degli 800.000 giovani presi di mira e dove la solidarietà espressa nelle molte manifestazioni popolari è stata imponente.

Ci sono poi le contromisure adottate o proposte dalle amministrazioni locali. Ad esempio, San Francisco, prima fra le città santuario - che sono ormai centinaia in tutto il paese - ha immediatamente cancellato l’accesso al suo sistema informativo per tutti i dati relativi agli immigrati illegali residenti. Il Consiglio comunale di Los Angeles, una città abitata per il 46% da popolazione di origine ispanica e che ospita più del 30% dei dreamer della California, sta discutendo su come costituirsi in città santuario proprio in risposta all’abolizione di DACA.
Fra le proposte in discussione: fare della città una “Dreamer Arrest-Free Zone”(un luogo nel quale è proibito arrestare i dreamer); preparazione di una lettera personale di presentazione scritta da avvocati incaricati dalla amministrazione e da esibire in occasione di qualsiasi contatto dei giovani DACA con gli agenti federali dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement); sostegno legale gratuito e, come a San Francisco, blindatura delle informazioni sui residenti illegali.

Anche gli Stati stanno reagendo: già 15 hanno avviato un procedimento legale contro Trump e, in particolare, alcuni si sono recentemente autoproclamati “Stati Santuario”. Di nuovo, lo Stato della California è in prima linea: il Parlamento ha approvato un disegno di legge che vieta di fornire informazioni sullo status degli immigrati e blocca l’accesso ai database statali; e il 13 settembre è stata adottata la legge AB-291 (Housing: immigration) che vieta ai proprietari di case in affitto di fornire informazioni sui loro inquilini alle autorità federali che si occupano di immigrazione, e di sottoporre gli inquilini a ricatti e intimidazioni: pena multe elevatissime.
Ma l'opposizione nei confronti delle politiche disumane di Trump sta diventando bipartisan: anche il governatore repubblicano dello stato dell'Illinois ha approvato recentemente un disegno di legge che protegge dal rischio di venire incarcerati semplicemente perchè immigrati.

E infine ci sono le università e i business leader. Di nuovo, in particolare in California, uno stato che deve la sua formidabile ricchezza alla presenza di università di eccellenza in campo scientifico e tecnologico che sfornano laureati di altissima competenza, a un settore industriale molto avanzato e a un mercato del lavoro flessibile - è il modello ‘Silicon Valley’, fondato sulla presenza non soltanto di un vasto bacino di laureati di qualità, ma anche di manodopera a basso costo e non sindacalizzata costituita prevalentemente da latinos -, le università si sono tutte schierate a sostegno di DACA. La presidente delle università della California ha denunciato una misura che “distruggerebbe il futuro di alcuni dei più brillanti studenti del paese” - migliaia di studenti universitari e di laureati – e annunciato il rafforzamento delle misure di sostegno economico e protezione degli studenti. Infine, le grandi imprese globalizzate high tech si sono tutte schierate contro l’abolizione di DACA: in particolare, apponendo la loro firma a una lettera inviata a Trump dai CEO delle 400 più importanti imprese americane.

Non sono dunque soltanto la grande solidarietà “dal basso” e la risposta a tutela dei diritti di cittadinanza da parte di alcune amministrazioni locali e statali, ma anche la forte pressione esercitata dalle grandi imprese globalizzate ad alto contenuto di conoscenza a militare a favore dell’apertura e della multietnicità.

Trump sarà costretto a rimangiarsi il suo progetto? Pare di sì, anche se la promessa di "liberarsi degli immigrati illegali" fatta in campagna elettorale gli ha garantito il voto della destra xenofoba e dei lavoratori dei settori dell’industria più tradizionale e in inesorabile declino: e i suoi elettori più entusiasti sono delusi e lo stanno ricoprendo di insulti.

Per arginare i danni di immagine prodotti dalla ennesima sconfitta, il presidente sembra orientato a rilanciare, con il solito linguaggio sopra le righe, il blocco delle opportunità migratorie annunciando un “massive border security upgrade” (un imponente potenziamento della protezione dei confini) e riproponendo come priorità il progetto del famigerato muro che dovrebbe essere costruito lungo tutto il confine fra gli Stati Uniti e il Messico. Ma anche la costruzione del muro, malgrado l'inquietante valore simbolico che gli è stato attribuito dalla amministrazione Trump, non sarà facile. Perché, rapidamente abbandonata la provocatoria, e assurda, pretesa di farlo pagare al Messico, dovrebbe essere il governo americano a finanziarlo con costi elevatissimi. E anche perché si dovrà affrontare un ulteriore, e spinoso, problema: soltanto un terzo dei terreni coinvolti nel progetto di un muro lungo 2.000 miglia è attualmente di proprietà pubblica. L’esproprio dei terreni di proprietà privata che si renderebbe necessario per poterlo realizzare sta già suscitando molte opposizioni (in particolare in Texas, da parte dei proprietari di grandi aziende agricole e campi da golf - questi ultimi, fra l'altro, costituiscono una lucrosa attività anche del presidente in carica e della sua famiglia!): una decisione che sembra incompatibile con il programma di un governo che fa della tutela della proprietà privata un dogma e che potrebbe di nuovo scontentare il suo elettorato.

È una vicenda, quella dei numerosi fallimenti di un presidente razzista, impreparato e narcisista, che dimostra come la negazione dei diritti di cittadinanza nei confronti di coloro che hanno ormai profonde radici nel paese nel quale vivono, studiano e lavorano non paga.

È un segnale importante anche per il nostro paese dove ieri, 26 febbraio, l’ineffabile Ministro degli Esteri ha dichiarato che occorre congelare il disegno di legge sullo ius soli che, è bene ricordarlo, riguarda anche i figli nati in Italia da genitori immigrati, e non soltanto i dreamer come negli Stati Uniti. Come ci ha insegnato Hanna Arendt: «il diritto ad avere diritti, o il diritto di ogni individuo all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa»: umanità alla quale non sembra appartenere Angelino Alfano.

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