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Marco Palombi
Per il dissesto idrogeologico spesi 110 milioni in tre anni
8 Agosto 2017
Generalia
«Il terreno sfibrato aumenta il rischio di alluvioni e frane. Il Piano da 9 miliardi annunciato da Renzi nel 2015, però, va a rilento».

il Fatto Quotidiano, 8 agosto 2017 (p.d.)

Il fuoco che sta devastando mezza Italia comporta un pericolo futuro che, in tempi di caldo e siccità, si fa fatica a considerare: gli incendi aumentano considerevolmente il già alto rischio idrogeologico in molte zone del Paese. Non è un caso che il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio – proprio parlando del fuoco che brucia piante e boschi lasciando dietro di sé un terreno sfibrato e debole – abbia parlato di “nuove o aggravate condizioni di rischio idrogeologico” e chiesto agli enti locali di “lavorare, da subito, in termini di pianificazione, prevenzione e informazione per essere pronti a fronteggiare eventuali emergenze”. Insomma, come ci ricorda il violento temporale a Cortina della scorsa settimana, a breve torneranno le piogge e il rischio di frane e inondazioni nel frattempo è aumentato grazie ai roghi (si pensi alle pendici del Vesuvio, ancora fumanti).
Dirà il lettore: però c’è il “Piano contro il dissesto” annunciato a suo tempo dal governo Renzi e i cui risultati sono stati vantati dall’attuale giusto a maggio scorso. Dotarsi di un piano e della relativa struttura di missione a Palazzo Chigi (“Italia sicura”, guidata dall’ex direttore dell’Unità Erasmo D’Angelis) è sicuramente un’ottima idea, ma i 9 miliardi di investimenti in sette anni di cui parlavano due anni fa l’attuale segretario Pd e il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti si sono rivelati poca cosa. Al momento sono stati effettivamente investiti – dice lo stesso ministero dell’Ambiente in documenti ufficiali – poche centinaia di milioni “nuovi” a fronte di richieste delle regioni arrivate al sistema ReNDiS dell’Ispra per 20,4 miliardi per il quinquennio 2015-2020.
Andiamo con ordine. In principio furono i 9 miliardi venduti ai giornali da Renzi e Galletti. Nella realtà, l’unica iniziativa partita è il cosiddetto “Piano stralcio” (settembre 2015) che riguarda le aree metropolitane e quelle aree urbane con molta popolazione esposta a rischio di alluvione. Dotazione finanziaria: circa 650 milioni di euro, che sono un po’meno di 9 miliardi. E cosa è stato effettivamente fatto e quanti soldi sono arrivati alle Regioni finora? Ce lo dice il ministero dell’Ambiente rispondendo a una interrogazione di Federica Daga, deputata del M5S. Partiamo dai cantieri: al 27 aprile 2017, dei 33 interventi totali previsti dal Piano stralcio “6 risultano non avviati (1 Abruzzo; 2 Liguria; 1 Sardegna; 2 Toscana); 16 in corso di progettazione (2 Emilia-Romagna, 7 Lombardia, 4 Toscana, 3 Veneto); 6 con progettazione ultimata (3 Toscana e 3 Emilia-Romagna); 3 con lavori in esecuzione (2 Liguria e 1 Lombardia); 1 con lavori ultimati (Emilia-Romagna)”.
Quanto ai soldi, la situazione è questa: alle Regioni sono stati trasferiti circa 110 milioni di euro (il 16,9% del totale). Così distribuiti: 7,8 milioni all’Abruzzo; 18,5 all’Emilia-Romagna; 40 alla Liguria; 9,2 alla Toscana; 16,2 alla Lombardia; 15,6 al Veneto; 2,5 alla Sardegna. Nessuna notizia sull’uso effettivo dei 100 milioni (presi dal Fondo di Sviluppo e Coesione) previsti da una norma del luglio 2016 per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico che non avevano raggiunto un livello di progettazione esecutiva.
E poi c’è la bizzarra questione delle “revoche”. Siccome l’Italia, ci ha detto Renzi per tre anni, è bloccata dalla burocrazia e dalla mancanza di un credibile progetto di futuro, il decreto Sblocca Italia stabilì che erano revocati tutti i soldi assegnati a progetti contro il dissesto idrogeologico che, al 30 settembre 2014, non avessero visto pubblicato il bando di gara o disposto l’affidamento dei lavori. Sono le cosiddette “revoche”, tutti soldi bloccati dai cattivi che ora Palazzo Chigi avrebbe usato per rendere sicura l’Italia. A maggio 2017 Italia Sicura spiegava che le “revoche” sono manna dal cielo: 2,2 miliardi di euro che possono cambiare verso al Paese. Se esistessero, però.
Il 5 luglio il ministero dell’Ambiente spiega però alla solita deputata Daga: “Gli interventi oggetto di tale procedimento sono risultati 169, l’importo finanziato corrispondente ammonta a circa 245,5 milioni di euro (...) pari al 5,3 per cento di quelli complessivamente finanziati nel periodo 1998-2008”. Solo 250 milioni? No, per la verità solo 7 (sette) milioni: alla fine le revoche autorizzate hanno riguardato, infatti, solo 15 progetti su 169. No, dice Italia Sicura a mezzo stampa, sono 2,2 miliardi “frutto di un enorme lavoro di monitoraggio e di verifica della spesa pubblica al di là degli schieramenti politici (sic), finalizzata ad accelerare al massimo progetti indifferibili (...) Di queste risorse solo una piccolissima parte è stata revocata”. Insomma sono 2,2 miliardi, ma solo qualche decina di milioni messi negli ultimi tre anni e il resto risalenti anche a vent’anni fa.
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