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Sandro Roggio
Lo stile sardo è un abbaglio che ha manomesso i nostri paesi
2 Agosto 2017
Sardegna
«Cosa non si fa per piacere ai turisti, e agevolare la vendita della mercanzia».

la Nuova Sardegna, 2 agosto 2017 (m.p.r.)

In giro per la Sardegna vedo vecchie e recenti manomissioni. Fanno penare quelle più brutali, dell'inquinamento con seguito di malattie, e la somma di mille atti devastatori nello sfondo, gli incendi anzitutto. Fanno la loro parte anche le brutte case sparse dappertutto nell'isola. Una marea (ci sono curiose raccolte a tema in FB) e passano per carine/eleganti, la manna per l'isola. Ma credo che ci faranno riflettere passata la ubriacatura. Si capirà, vivendo e riguardandole, che l'edilizia sarda di questo mezzo secolo è tanta e pregiudizievole, come spiegano i rapporti Ispra sullo spreco di terra. Ma non sottovaluterei il messaggio imbarazzante della mascherata, né potrà trascurarlo chi teme lo svilimento della cultura sarda e si appassiona nella difesa della lingua.

C'è di mezzo il deficit di accortezze storico-antropologiche, direbbe Giulio Angioni, nel solco degli equivoci risaputi: la caricatura del sardo con i panni che gli vogliono vedere addosso prontamente indossati: cosa non si fa per piacere ai turisti, e agevolare la vendita della mercanzia. Almeno un po' esecrabile direi: perché la maschera in Sardegna è una cosa seria, nasce da riti arcaici per alleviare paure primordiali, esorcizzare la morte e preparare la rinascita. Le case “in perfetto stile sardo” – leggo in un post – sono ormai la cifra delle riviere, paesaggi camuffati nella linea deformante e omologante della villeggiatura.

Le fogge della città turistica hanno radici lontane e sono ormai percepite come nostrane, in linea con la storia dell'isola, ci spiegano. Invece è un abbaglio collettivo. L' esordio, si sa, con il primo insediamento di Costa Smeralda, scenografia dedotta da cartoline di villaggi vacanze dappertutto. Il modello – reinterpretato negli anni da trovate estemporanee – diventato irresistibile e invadente. Ognuno l'ha declinato nel modo più conveniente, con la propria visione e in base ai propri mezzi.

Protagonista l'arco (pieno centro, ribassato, ogivale) in genere senza valore strutturale in tutte le varianti di audaci correzioni/accostamenti, pretesto per scriteriati revivals stilistici. Archi quanti più ce ne stanno, impilati in modo fumettistico come i cappelli portati dai venditori nelle spiagge in questi giorni. Lo “stile sardo”: se fosse una parlata avrebbe il carattere del grammelot reinventato da Dario Fo. Comprensibilmente pop, e il successo lo capisci dallo sconfinamento: dai litorali alle campagne, alle periferie di città e paesi.

Preoccupa che l' epidemia tentacolare abbia iniziato a colonizzare le parti antiche di molti centri abitati, con contraffazioni di tipologie originarie, senza riguardo per sobri palazzetti, fin troppo compassati per la ritrosia - pensate un po' - ad accogliere gli apparati decorativi modernisti. Così in tanti luoghi autentici si somma temerariamente il vero e il falso, gli interventi in blocchetti in cls e alluminio (ingredienti del non finito sardo) ai trattamenti - apparentemente innocui e amabili - per somigliare ai villaggi turistici. Il florilegio di addobbi distribuiti in modo approssimativo, un successo la simulazione degli acciacchi del tempo con intonaci che mimano quelli d’epoca lasciando parti scrostate.

Si esaltano le imperfezioni costruttive che consentono l'impiego di manodopera mediocre. Il malfatto rustico dilaga pure negli interni, con la esaltazione della pietra del Trentino incollata e la immancabile pittura a spugna. Generando le atmosfere malinconiche di cose che non sono mai state nuove e non potranno invecchiare con dignità. Nel tempo dell'individualismo estremo, la libertà della reinvenzione di sè non ammette appelli alla coerenza, men che meno all'eleganza. Ogni appello a tornare in sé, alla buona buona creanza estetica, rischia di apparire incomprensibile e pedante. E credo non darebbe frutti in tempi brevi.

Sarà però il caso di rifletterci meglio su questa resa di massa ai modi espressivi della vacanza. Di parlarne. Mentre resta ai margini l'architettura che, pure nell'isola si studia nelle università; e magari potrebbe stare al passo con i tempi (gli stili che a suo tempo abbiamo accolto erano quelli all'avanguardia in Europa). Peccato che la Sardegna rinunci al confronto con il mondo - scivolando dal kitsch al trash - proprio quando il mondo sarebbe disposto a guardare con interesse alle sue storie vere.

E infatti mentre molti si interessavano della brutta legge urbanistica, il Consiglio regionale, infilava nella legge sul turismo, oplà, una norma per rimpinzare i campeggi di case mobili(?), maldestra forzatura che produrrà sicuramente altre brutture. Che tristezza.

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