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Maurizio Maggiari
O mi sposo o mi iscrivo al Pci. E poi ho scelto Berlinguer
1 Gennaio 2017
Enrico Berlinguer
Una testimonianza utile, poiché conoscere ciò che è stato aiuta sperare che un altro mondo, così come è stato possibile nel passato, può esistere
Una testimonianza utile, poiché conoscere ciò che è stato aiuta sperare che un altro mondo, così come è stato possibile nel passato, può esistere anche nel futuro (certo diverso da quello che fu) .

Il Fatto quotidiano, 31 dicembre 2016

Il mio giudizio su Enrico Berlinguer è un po’ più tridimensionale di quello in voga. Perché non ha una sola faccia, una sola superficie, non è piatto. Già il fatto che ci sia stato un film-documentario di successo su Berlinguer, quello realizzato da Walter Veltroni, in cui c’è un tratto insincero, ti dice come Berlinguer sia disponibile a essere ‘utilizzato’. In questo film c’è uno spezzone del servizio girato dalla Rai ai suoi funerali. Si vede la grande folla riunita in piazza San Giovanni, ma il regista ha tolto l’audio. Se lo avesse lasciato che cosa si sarebbe sentito? L’Internazionale. Perché Berlinguer è l’ultimo dirigente comunista che faceva suonare l’Internazionale. È importante che ci sia questa colonna sonora. E lì non c’è.

C’è un’altra cosa molto interessante in quel documentario. Mentre parla Nilde Iotti e ringrazia il presidente della Repubblica, si vede Sandro Pertini che non riesce a trattenere le lacrime. Al suo fianco c’è il primo ministro di allora, Bettino Craxi, che non riesce a trattenersi dal ridere. Sono proprio a fianco, le due cariche principali della Repubblica. Uno piange e l’altro ride. E questo dice tutto.

Perché la mia opinione è tridimensionale? Perché io sono un anarchico, non un comunista. Sono un anarchico che, per non mi ricordo più quanti anni, è stato iscritto al Pci ed è andato a prendersi la tessera il giorno dopo aver ascoltato il famoso discorso di Berlinguer in cui diceva che non sarebbe bastato arrivare al 51%. E lo diceva perché Salvador Allende c’era arrivato al 51%, ma non gli era bastato. Pensa un po’: un anarchico che si iscrive al Pci perché è d’accordo sul Compromesso Storico. Una roba grossa! Ma bisogna capire. (…) Immagino abbiate presente che cosa sono stati il 1974, il 1975, il 1976: in quegli anni la democrazia in questo Paese è stata veramente in serio e imminente pericolo. E lo dice un anarchico, ancora una volta. Essendo un anarchico, forse non me ne importava nulla della democrazia? No, me ne importava eccome. (…)

Nel 1974 è arrivata la paura, con il tentativo di colpo di Stato, gli attentati. E poi una cosa terribile: il Movimento che si sfascia. Ero abituato all’idea che tutto fosse precario, ma non che tutto fosse perduto. Mai. (…) In quegli anni la mia compagna e io non vedevamo una contraddizione tra Berlinguer e le nostre idee, che pure erano diverse dalle sue. Quando sono andato a iscrivermi al Pci non sono andato alla Sezione Centro, sono andato alla Sezione Nord di La Spezia, che era quella del quartiere operaio, dove se c’era una cosa che proprio non sopportavano erano quelli come me. Però non mi sopportavano come non si sopporta un figlio. E infatti, appena mi sono iscritto, la prima cosa che mi hanno fatto fare è stata quella di scaricare la roba alla Festa dell’Unità, non mi hanno chiesto di elaborare un pensiero.

La mia iscrizione al Pci era veramente un atto di riconoscimento di una necessità, del bisogno di protezione. Che veniva da Berlinguer. (…) Sapevo e so che diceva la verità, soprattutto che diceva una verità che parlava alla mia fragilità, e che il suo Partito Comunista poteva sembrarmi un posto dove potevo stare. (…) Mi dicevo: devo pagare qualcosa alla realtà, altrimenti la realtà mi sommergerà. Mi dicevo: o mi iscrivo al Pci o mi sposo. Mi sono iscritto al Pci. Berlinguer era la realtà più consona a quella che era stata la mia educazione. Quando ho sentito il discorso del 51%, così poco anarchico, così poco sognatore, ho sentito che era il discorso della verità. (…)
Eppure nell’atto stesso della mia adesione c’era il seme della mia dis-adesione. Nel 1974 a La Spezia ci fu una grande assemblea sul Compromesso Storico. Mille persone, mille compagni del Pci in sala, e io sono in piedi nel corridoio, accanto a Paolino Ranieri, comandante partigiano. Mentre qualcuno parla dal palco sento che Ranieri dice: “Sì, però non l’ha mica discusso nel Comitato Centrale”. Nel momento stesso in cui mi affido a Berlinguer, mi rendo conto che mi affido anche, nella sua stessa logica, a uno che non si affida alla democrazia centralizzata, nemmeno a quella. Per inciso, fece benissimo. (…)

Berlinguer è stato sconfitto dal suo partito, perché forse l’unica possibilità che ancora poteva avere la democrazia incompiuta di questo Paese per compiersi era quella del passaggio generazionale, del raccogliere intorno a sé i figli, che non solo avevi messo al mondo ma che avevi fatto studiare e a cui avevi dato la possibilità di scapicollarsi e di essere questa enorme massa viva in totale abbandono. E invece questo salto il partito non glielo fece fare. (…)

Mi ricordo la fine degli anni Ottanta. Per un breve periodo ho lavorato al Comune di La Spezia e vedevo gli assessori che entravano in ufficio con L’Unità nella tasca della giacca, bella in vista. All’improvviso un giorno non c’è più L’Unita ma Il Sole 24 Ore. Quindi i comunisti si mettono a leggere Il Sole senza capirci nulla, perché non erano preparati, non avevano gli strumenti. (…) E poi ovviamente Craxi. Tra Compromesso Storico e giunte con sindaci socialisti il passo nel baratro è stato spettacolare. Craxi ha distrutto, cancellato quel poco di Berlinguer che ancora c’era. Berlinguer era amato dal suo popolo e non solo. Per me era una questione di sensazione, non di conoscenza. Berlinguer era così: le sue parole erano sempre la sua faccia e il suo esempio.

Garibaldi, dopo che con sessantaquattromila fucili puntati contro ha consegnato al re, a Teano, la più grande conquista militare del XIX secolo, viene immediatamente messo, di fatto, agli arresti domiciliari. Scappa, senza dare nell’occhio, va a Londra. Quando arriva a Londra la città si ferma, il porto si ferma, una folla immensa lo festeggia. La regina Vittoria scrive al suo primo ministro Benjamin Disraeli per chiedergli la ragione di questo trionfo. E lui risponde testuale: “Maestà, Giuseppe Garibaldi è oggi l’individuo più potente del mondo. Perché è ciò che dice, dice ciò che fa, fa ciò che è”. Puoi dirlo anche di Berlinguer. (…)

Mi sono iscritto anche al Pd. Sono andato nella sezione di casa mia, a Genova e l’ho trovata chiusa. Fisso un appuntamento, la segretaria si presenta con un’ora di ritardo. Prendo la tessera, ma non mi arriva mai la comunicazione della convocazione dell’assemblea congressuale, la ragione per cui mi ero iscritto. Chiedo informazioni e mi rispondono che me l’hanno mandata in busta anonima (un tipo di busta che normalmente butto via) “per non mettere in imbarazzo chi la riceve”. La sede è ancora chiusa.

Nel 1982 entrai nell’Arci e per me è stata una nuova possibilità. Conobbi Tom Benetollo, cacciato dal Pci. Anni prima, Berlinguer segretario lo aveva mandato al Congresso Mondiale della Gioventù Comunista a Pechino. Tom andò e lesse in un’aula immensa, attonita e silenziosa il testo di Blowin’ in the Wind, di Bob Dylan. Fu l’unico non applaudito in tutti quei giorni. Di nuovo, Tom assomiglia a Berlinguer e assomiglia a Garibaldi. L’idea è ciò che rende un uomo veramente potente. E noi ci crediamo e non smettiamo mai di crederci.

(Dalla postfazione a “Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente”, di Simone Siliani e Susanna Cressati, Maschietto editore, Firenze 2016)

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