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Marco Boschini
La sindaca che ha salvato il fiume
29 Gennaio 2017
Altre buone pratiche
«La liberazione delle acque italiane è iniziata così, nel cuore sismico del Paese, nel punto in cui il Sangro, sceso dalle balze del Parco nazionale d’Abruzzo, curva verso l’Adriatico sotto le montagne del Molise

«La liberazione delle acque italiane è iniziata così, nel cuore sismico del Paese, nel punto in cui il Sangro, sceso dalle balze del Parco nazionale d’Abruzzo, curva verso l’Adriatico sotto le montagne del Molise». comune-info, 28 gennaio 2017 (c.m.c.)

«Il bulldozer affonda i cingoli nella corrente, pianta il braccio snodabile nel muro dell’argine e in un fracasso infernale aziona la perforatrice. Appena il primo pezzo di cemento crolla, ecco l’acqua appenninica nuovamente libera, trovare una strada tra i massi. La senti cantare, respirare, spumeggiare, come una volta». Potrebbe essere l’incipit di un libro di fantascienza, invece è il resoconto poetico e autentico che il giornalista e scrittore Paolo Rumiz riporta su “Il Venerdì” di Repubblica per raccontare quanto accaduto nel comune virtuoso di Scontrone, seicento abitanti in provincia dell’Aquila.

Quest’anno il Comune di Scontrone ha vinto il Premio Comuni Virtuosi nella categoria Gestione del territorio, per un’operazione che in Italia suona come una specie di rivoluzione: restituire spazio e terra ai fiumi, lavorando sulla prevenzione.

«Il progetto cha abbiamo candidato racconta di come, dopo trent’anni, il fiume Sangro abbia vinto la sua battaglia contro il cemento – dice la sindaca Ileana Schipani, dottoressa in scienze ambientali. Negli anni Ottanta, infatti, il tratto di fiume Sangro che scorre nel nostro territorio, tra Villa Scontrone e Castel di Sangro, venne canalizzato e cementificato per sei chilometri. Un intervento di grande impatto, con il quale l’assetto naturale del corso d’acqua fu completamente modificato, il fiume raddrizzato e sagomato con opere artificiali, il bosco ripariale distrutto».

Un’opera da trenta miliardi di vecchie lire finanziata – si motivava all’epoca – per evitare che il fiume straripasse nelle vicine campagne durante i periodi di piena. Oggi, dopo tanti anni di convivenza incivile tra fiume e cemento, è stato finalmente avviato un progetto integrato dal punto di vista idraulico e ambientale, finanziato attraverso fondi comunitari. «Si tratta – continua la sindaca – sostanzialmente di un intervento che punta a ridurre il rischio idraulico, restituendo spazio al corso d’acqua e quindi migliorando l’ambiente fluviale».

In particolare, i lavori mirano a consentire una dinamica fluviale che abbandoni la logica della canalizzazione: nel progetto si è infatti scelto di procedere alla demolizione dei muri e delle difese spondali in cemento ormai rovinati; per proteggere i centri abitati è stata prevista la realizzazione di rilevati arginali a ridosso delle aree già urbanizzate, senza sottrarre spazio alle aree di potenziale esondazione; in alcuni punti si è ritenuto di riprofilare le sponde per ricostituire un adeguato gradiente di riconnessione tra l’alveo attivo e la piana alluvionale adiacente, così da consentire una naturale laminazione delle acque di piena nelle aree alluvionali di natura demaniale (e non urbanizzate) presenti lungo il corso d’acqua.

«A tutt’oggi, il progetto in corso di realizzazione può essere annoverato come esempio unico nel panorama regionale e probabilmente nazionale, e può costituire un precedente importante, da imitare anche in altre realtà simili con corsi d’acqua resi artificiali».

Chiedo quali sono state le difficoltà maggiori che l’amministrazione ha incontrato nella realizzazione di un progetto che ha richiesto tempo, e quindi pazienza e lungimiranza per essere messo in cantiere. «Il progetto ha richiesto un’intensa e costante interazione tra i soggetti coinvolti diversi, e un elevato di livello di competenze tecniche e di conoscenza del territorio. Partivamo da un progetto preliminare del Genio civile regionale, che prevedeva di mitigare il rischio idraulico attraverso interventi volti a riportare il canale in cemento alla sua condizione originaria (cioè quella della costruzione degli anni Ottanta). La capacità dell’Amministrazione comunale di avanzare una proposta alternativa e concreta, e sostenibile dal punto di vista ambientale, ha probabilmente giocato un ruolo decisivo per arrivare agli interventi sopra descritti».

Il comune ha ragionato in un’ottica di area vasta, cercando alleanze e sinergie con i comuni limitrofi, trovando una governance che tenesse conto del disegno di insieme di un intero territorio.

La cementificazione del fiume Sangro prese il via proprio negli anni Ottanta, e trovò da subito una forte opposizione delle popolazioni locali, ciò che blocco a metà il nefasto intervento. «Si può dire che quella fu una tra le prime proteste ambientaliste contro la cementificazione dei fiumi. È facile quindi comprendere come la presenza del canale sia stata considerata fin dall’inizio un elemento estraneo alla comunità e poi, col passare degli anni e il progressivo degrado dell’opera, sempre più come un detrattore ambientale. Non a caso, nei programmi elettorali amministrativi da oltre un decennio si parlava di ‘rinaturalizzazione del fiume Sangro’ come di un importante obiettivo da perseguire. C’è stato quindi un generale consenso della comunità locale intorno a questo nuovo progetto. Nel periodo precedente l’intervento sono stati realizzati diversi momenti di informazione e di coinvolgimento della popolazione per illustrare, discutere e condividere gli aspetti progettuali».

Ileana Schipani è un sindaco giovane. Tra le vene scorre passione pura per un mestiere che è il più bello e complicato del mondo, in barba a tutte le maldicenze che riforniscono di carburante l’auto della demagogia. Com’è oggi fare i sindaci di una piccola comunità? «È senza dubbio un’esperienza umanamente straordinaria, perché in una piccola realtà la partecipazione attiva della comunità alla vita del paese è l’elemento determinante per provare a costruire prospettive di sviluppo locale, soprattutto in un contesto come quello della montagna appenninica. Quindi l’impegno principale, al là dell’amministrazione ordinaria, sta proprio nel farsi venire buone idee e nel prodigarsi per la loro realizzazione. Che in fondo è proprio ciò che provano a fare ogni giorno i cosiddetti Comuni virtuosi».

Cosa dovrebbe fare la politica nazionale per essere di aiuto alle periferie dell’impero? «Se penso all’amministrazione di un piccolo comune come il mio, senza dubbio chiederei alla politica di saper fare distinzione tra le diverse realtà degli enti locali: spesso ci troviamo a dover applicare procedure e norme o ad assolvere ad adempimenti burocratici che risultano completamente slegati dalla realtà, con il risultato che gli stessi spesso contribuiscono ad aggravare le criticità della macchina amministrativa invece che semplificarla. Chiederei regole generali certe, ma più autonomia nell’azione volta a dare risposte alle aspettative della nostra comunità, anche e soprattutto al fine di invertire la rotta dello spopolamento e dell’abbandono della montagna».

«La liberazione delle acque italiane è iniziata così, nel cuore sismico del Paese, nel punto in cui il Sangro, sceso dalle balze del Parco nazionale d’Abruzzo, curva verso l’Adriatico sotto le montagne del Molise». Se a dirlo è Paolo Rumiz allora possiamo crederci per davvero. (Il progetto di rinaturalizzazione in sintesi).

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